Serie TV > Altro - Fiction italiane
Segui la storia  |       
Autore: Rob2321    11/10/2022    2 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]«Vuoi giocare al gatto e al topo? Va bene, giochiamo, ma da ora in poi le regole le decido io.»
L'evoluzione del rapporto tra Imma e Calogiuri dalla 2x05 in poi, visto dalla mia prospettiva
E se le cose fossero andate in modo completamente diverso?
Grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno e vorranno lasciarmi un feedback. E' la mia prima prova, spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ANGELO O DIAVOLO 
Capitolo 1 


Per la cornice ci pensi lei, a suo buon gusto.

Con tutto il casino che stava per succedere ci mancava solo l’ennesima battuta di Vitali la cui ironia sinceramente capiva ormai a fatica. Avrebbe voluto rispondergli ma dopo quella lavata di capo era meglio restare in silenzio per evitare che uscisse dalla sua bocca qualcosa di cui si sarebbe pentita ben presto. Furono congedati subito dopo. Era confusa, preoccupata, arrabbiata, sinceramente la verità era che non sapeva più che pesci pigliare ma di una cosa era sicura, di quelle foto bisognava parlare.

Precedette Calogiuri affannata a passo svelto, mentre il rumore del tacco degli stivali scandiva i suoi passi pesanti. Lui la seguiva lentamente… maledettamente lentamente, pensò mentre aspettava che entrasse nel suo ufficio. In un altro momento gli avrebbe intimato uno scherzoso: “Forza Calogiuri, veloce” ma persino quella stupida quotidianità appariva oramai assai ben lontana.
Sbatté la porta con forza per evitare che qualcun altro li sentisse, che ci mancava pure di dare adito alle voci della Procura e dopo di che se ne poteva scappare pure in America, non che per come fossero messe male le cose non ci avesse già pensato almeno una volta, pure per scherzo.   

 -   Scusa posso chiederti una cosa, ma come cacchio ti è venuto in mente di fare il principe azzurro quella sera che poi da sceriffo di Matera a Bella Addormentata nei Sassi è un attimo. Sputò fuori rifugiandosi dietro la scrivania mettendo una distanza assolutamente necessaria fra lei e lui.

 -  Dottoressa io non lo so come mi è venuto in mente, forse ho sbagliato. Cercava di balbettare senza riuscire praticamente a guardarla negli occhi, perché lo sapeva che era colpa sua e sinceramente la cosa che gli faceva più paura era che lei potesse perdere la stima nei suoi confronti.

 -  Ma non avrei mai immaginato che poteva succedere tutto questo. Aggiunse rammaricato.

«Tutto questo…» pensò fra sé e sé. «Tutto questo è proprio un gran casino Calogiù e sinceramente per colpa tua e pure mia, non so più da dove cominciare a riaggiustare le cose». La rabbia prese il sopravvento su di lei.

 -   Ma ti rendi conto che mi hai baciata mentre dormivo? Gli urlò letteralmente sul viso, mentre la distanza che si era autoimposta precedentemente era andata a farsi fottere. Un centimetro di più e gli sarebbe letteralmente andata a sbattere addosso. E ora se ne stava lì, a guardarlo negli occhi azzurri arrossati leggermente dal basso, mentre lui prepotentemente la fissava senza indietreggiare di un passo. Il respiro si fece più corto. Ingoiò vistosamente la saliva tentando inutilmente di allentare il nodo alla gola, ma nulla poteva fare contro ciò che la strappava da dentro fra il cuore e lo stomaco.
Commise l’errore di sfiorargli le labbra con gli occhi, uno sguardo che sapeva di un «baciami ancora, ho bisogno di ricordarmi cosa si prova» un non detto che come sempre cadeva nel vuoto mentre restavano in silenzio. Un sospiro e si voltò di spalle, la mano passata fra i capelli per cercare di ricomporsi ma il tempo di ristabilizzarsi non le fu concesso.

 -  Non è vero, cioè non è che non è vero. Il diaframma le si alzava e le si abbassava sempre più velocemente, sempre più affannosamente mentre gli dava le spalle; ma non c’era nulla da fare avrebbe notato la sua difficoltà, avrebbe notato che le mancava il respiro quando lui le parlava.

 -  Non è che non lo desideravo anzi, io lo desideravo con tutto me stesso, ma non l’ho fatto”

«Ed eccolo qui Calogiuri, ma si rendeva conto dell’intensità delle cose che diceva? Perché doveva essere sempre così…»
Strinse i pugni ma non riuscì a trovare la parola giusta. Se qualcuno un anno fa le avesse detto che si sarebbe trovata protagonista di quegli amori disperati da film, con le frasi spezzate, i baci rubati, quei ti desidero ma non possiamo, quei fuggo ma non riesco a starti lontano, non ci avrebbe creduto. Ma non ci credeva manco ora che uno così bello, giovane, uno che faceva girare la testa a tutta la Procura e pure fuori potesse trovare attraente una come lei. Che poi non esistevano manco più uomini che ti dicono certe cose. Si sentì come se qualcuno avesse aperto d’improvviso la finestra, le parole l’avevano investita come una folata di vento freddo sulla schiena. Percepiva il suo sguardo inchiodato su di lei, che le trafiggeva le spalle, le guardava attraverso come in attesa di una risposta. Avrebbe di sicuro scoperto anche da lontano quanto forte stesse battendo il suo cuore. Abbassò gli occhi che cominciavano a velarsi di lacrime per quella nuova ammissione strozzata, per la rassicurazione di quanto ancora la desiderasse nonostante la sua nuova relazione. Non avrebbe mai ammesso di aver avuto paura che lui potesse cancellarla dal suo cuore, ma così era accaduto. Aveva avuto paura che lui fosse passato avanti, passato oltre e forse alla fine si era messa pure un poco l’anima in pace che tanto era meglio così, così sarebbe stato tutto più facile. Aveva scelto la strada difficile per tutta la vita, un po’ perché le era capitata, un po’ perché a lei le cose semplici non piacevano proprio. Era complicata, pure troppo. Ora cercava solo un po’ di leggerezza, di facilità.

 -  Poi se si vuole condannare una persona solo per le intenzioni allora io sono colpevole, anche perché sono stato imprudente, superficiale, ma io vi giuro che non l’ho fatto, lo giuro. Cercava di assumersi tutte le sue responsabilità sull’orlo del pianto scusandosi e riscusandosi perché tutto poteva accettare ma non che lei credesse che l’avesse baciata senza il suo permesso, senza che lei ne fosse cosciente. Pendeva dalle sue labbra come dal giudizio di chi si ammira incommensurabilmente, ma lei non era arrabbiata per quel bacio mezzo rubato.

Era quello che lui aveva appena ammesso che la spaventava e tanto pure. «Io sono colpevole… queste parole risuonavano nella sua testa, colpevole di cosa? di tenere a me, di desiderarmi, di volermi, di amarmi.» Ogni ipotesi ventilata era peggiore di quella precedente perché ora era sicura che fosse di nuovo così, che le cose non erano mai cambiate per lui, nonostante Jessica, che non importava quanto volessero o potessero allontanarsi, perché quel peso sul suo petto non se ne andava mai, se non quando tornavano di nuovo a coesistere, insieme, nell’abitacolo di una macchina o altrove. Si voltò a guardarlo, ma il rumore di un messaggio interruppe il momento.

Pietro! Il pensiero le balenò nella mente e con esso tutta la preoccupazione di ciò che sarebbe potuto succedere o forse di ciò che era già accaduto. Lo ascoltò ad alto volume, non ci pensò nemmeno. Che privacy ci poteva essere dopo quello che si erano appena detti lei e il maresciallo e poi del resto in quel casino ci erano finiti in due e tenere Calogiuri all’oscuro sarebbe stato comunque inutile, tanto riusciva a leggerle dentro come nessun altro, non servivano le parole, bastavano gli occhi.

  -  Ma secondo te la foto è stata diffusa?
  -  Non lo so dottoressa, prima ho dato uno sguardo su Internet con il cellulare, ma sembra di no.
  -  A me il tono di mio marito non mi convince, ora lo raggiungo.
  -  Tu che fai? Gli chiese, mentre lui la guardava con il capo un po’ abbassato in avanti, gli occhi arrossati già gonfi di pianto.
  -  Vado a mettere le cose a posto con Jessica.

«Cosa voleva dire? Dirle di noi? Lasciarla? Eludere semplicemente l’argomento? Ma poi che importava a lei di cosa avrebbe fatto in casa sua con la sua ragazza»

  -  Ma le vuoi dire della foto? Aggiunse preoccupata.
  -  No meglio di no.
Tirò un sospiro, di sollievo… si faceva per dire. Almeno avrebbero evitato lo scandalo in Procura e alla fine era già qualcosa.  
  -  Va bene. Ebbe solo la forza di mormorare.

Poi lui si voltò e se ne andò. Prima di chiudere la porta le lanciò un ultimo sguardo disperato, di chi non sa più dove andarsi a rifugiare. Nessuno dei due sarebbe potuto andare incontro all’altro per aiutarlo, per sostenerlo, non questa volta. Si limitarono a guardarsi con gli occhi pieni di lacrime mentre le pareti silenziose di quella stanza urlavano l’angoscia di un sentimento soffocato che cercava ostinato di tornare a galla. Forse speravano che l’altro aggiungesse qualcosa, che qualcuno dicesse all’altro: “ti prego resta, stringimi forte non te ne andare! Non lasciarmi da solo ad affrontare tutto ciò che devo affrontare.” Ma nessuno lo fece. La porta si chiuse definitivamente. Imma fece come per abbracciarsi, si strinse nelle spalle e pianse molto più di quanto potesse immaginare e così anche lui molto di più, molto di più di quanto potesse immaginare.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Due soli giorni erano passati e le loro vite erano letteralmente cambiate da capo ai piedi. «Un figlio… stava per avere un figlio da Jessica. Un piccolo Calogiuri con gli occhi celesti, la sua dolcezza.» L’immagine le fece velare nuovamente gli occhi. Si era sentita crollare il mondo addosso nel momento in cui Diana con il suo solito savoir faire le aveva rivelato quello che sarebbe dovuto rimanere un segreto: “Jessica aspetta un figlio da Calogiuri.” Ebbe un conato di vomito, mentre davanti ai suoi occhi passarono gli scenari più disparati in cui quel bambino sarebbe potuto essere stato concepito. Chissà se gli stessi sguardi dolci e languidi che aveva sempre dedicato solo a lei, li aveva dedicati anche a Jessica. Chissà se la baciava con lo stesso impeto e passione con cui aveva baciato lei nel suo ufficio quel maledetto giorno della Festa della Bruna. Fu solo un attimo, la rabbia lasciò spazio a tutte le sue insicurezze, lui, lei, la sua giovane età, il futuro che non avrebbero mai potuto avere, il futuro che lui si meritava e tutto ciò che lei non avrebbe potuto dargli. Non l’aveva neanche chiamata per dirglielo, forse non aveva avuto il coraggio, forse non sapeva cosa dirle. Come sarebbe stato rivederlo? Avrebbe cercato di condividere con lui la gioia che gli stava capitando anche se con dolore? Avrebbe messo su la sua solita maschera invitandolo a vivere la sua vita? Avrebbe scherzato sulla sua giovane età? Lo avrebbe allontanato da quel sentimento che non avevano potuto vivere e la cui nostalgia tuttavia non smetteva di fare male. Quei ma forse se… Chissà quanto… che importanza avrebbero potuto assumere ora. Era meglio così e se lui non l’avesse capito, gliel’avrebbe spiegato lei che era la cosa migliore da fare. Avrebbe avuto delle responsabilità, avrebbe capito cosa volesse dire avere una famiglia propria.

  -  Dottoressa tutto ok?
Le chiese la Bartolini mentre girava ormai da troppi minuti un caffè definitivamente raffreddato. Riaggiustò gli occhiali da sole sul viso per nascondere le occhiaie.

«No, che non è tutto ok, non vedi che sta andando tutto una merda»

  -  Si, Bartolini non si preoccupi, è solo un forte mal di testa.
  -  Lei piuttosto, su forza mi aggiorni qualche novità sul caso Lorusso?
  -  No dottoressa, di Federico Lorusso nemmeno l’ombra, ci resta da guardare a casa di un amico che abbiamo rintracciato proprio adesso.
  -  … e allora su forza, cosa state aspettando, porti con lei Calogiuri.

  -  il maresciallo è ancora in permesso
   
«Era ancora a Grottaminarda… e che stava dando la lieta novella a tutta la città?» Immaginò sorrisi e una serie di buffettoni sulle guance.
“Ma che bello! Madonna mia, il figlio mio che aspetta un bambino, finalmente!” e poi brindisi, pranzi e compagnia bella.
Bleah… un’espressione di disgusto piuttosto evidente apparse sul suo viso senza accorgersene.

  -  Prenda Capozza.
Aggiunse e si dileguò prima che le potesse venire chiesto per l’ennesima volta a cosa stesse pensando. 

Si rifugiò nel suo ufficio e cominciò a sfogliare incartamenti, fascicoli. I suoi occhi passarono oltre nomi, cognomi, conti correnti. Spulciava le vite private di un milione di persone, le scandagliava, entrava nella loro intimità pur non conoscendoli, in quel luogo che fino a quel momento era sempre stato il suo porto sicuro, quel piccolo ambiente sereno in cui non aveva bisogno di autoaffermarsi e che ora era contaminato dalla presenza di Calogiuri: la scrivania, il pavimento, le pareti, le bacheche. Si sentì soffocare, aprì la finestra e respirò a polmoni aperti. Non c’era nulla da fare anche lei era mortalmente contagiata da lui.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

I giorni si avvicendavano inesorabili e tutti uguali. La situazione con Pietro non accennava a risolversi nemmeno per sbaglio. Il suo silenzio passivo, le sue bordate futili e non costruttive, rendevano le sue giornate sempre più pesanti. Si comportava come un muro di gomma e questo la faceva arrabbiare ancora di più. Aveva scelto lui, cosa poteva volere di più? Aveva rinunciato a tutto per lui e sinceramente si era stancata di stare a ripeterlo ancora, ancora e ancora. Sperava in una soluzione rapida e indolore che potesse chiudere questa storia e farla ricominciare a vivere normalmente. Aveva anche deciso di cambiare aria sperando che la fuga a Torino potesse darle almeno un po’ di quel sollievo che disperatamente cercava o perlomeno che la facesse dormire una notte intera. Ma appena salita sul volo di ritorno quel senso di nausea aveva ricominciato a rincorrerla di nuovo, l’aria di Matera le stava stretta... ancora. La città era ormai praticamente deserta e la piazzetta sotto casa leggermente illuminata. Alzò lo sguardo, la aspettava una casa sostanzialmente…vuota. Quella casa che era stata il centro della sua vita, il centro di una cosa solo sua, la sua famiglia. Si sentiva come seduta sulla riva del mare ad aspettare che l’onda cancellasse l’ultima traccia di un castello costruito con enorme fatica, pezzo dopo pezzo, dalle fondamenta fino alle torri. Tutto ciò che aveva fabbricato si stava sostanzialmente sgretolando davanti ai suoi occhi. Odiava sentirsi impotente, ma non poteva fare altrimenti. Sapeva bene quanto il suo tempo di riaggiustare le cose fosse diverso da quello degli altri, correva troppo veloce. Ma forse a volte le cose smettevano semplicemente di funzionare e non era colpa di nessuno. Accettare di non poter riaggiustare, lasciare andare… quello invece era tutto un altro paio di maniche. Era fatta per tante cose, ma forse non era fatta per questo. Si sedette sul muretto e comincio a mangiare uno ad uno una serie di gianduiotti comprati all’aeroporto, quando lo schermo del suo telefono si accese all’improvviso.

“Vediamoci giù a casa, dobbiamo parlare.”

Tirò un sospiro di sollievo, finalmente un gesto di apertura da parte di Pietro. Le parve come se per una volta la Madonna l’avesse voluta aiutare. All’improvviso si sentì particolarmente nervosa, quasi a disagio. Lei e Pietro non erano mai stati dei grandi comunicatori né fra di loro, né con Valentina ma fino ad ora il loro modo l’avevano sempre trovato. A volte il problema veniva eluso e risolto in altro modo, ma questa volta di fare arti e mestieri non era proprio il caso e ormai era così pure da un bel po’.

  -  Ciao Imma.
  -  Ciao Pietro
.
Accennò un sorriso per stemperare la situazione imbarazzante.
  -  Imma… ho pensato che potremmo ricominciare, mettiamoci una pietra sopra e andiamo avanti.

Il sollievo lasciò subito spazio ad un sorriso nervoso. «Giorni e giorni di silenzio francamente inutile e pesantissimo ed ora voleva ricominciare da capo così come se nulla fosse, non che questo gli desse fastidio. Tornare alla sua vita di prima era sinceramente l’unica cosa che desiderava, ma doveva capire perché.» La chiamava per così dire...ecco… deformazione professionale!

  -  Scusa Pietro, posso chiederti cosa ti ha fatto cambiare idea?
  -  Ci ho riflettuto e ho parlato con il maresciallo Calogiuri.
Strabuzzò gli occhi.

«Un incontro fra lui e Calogiuri, senza di lei… e bravi ma a cosa siamo tornati al 1500, ai duelli fra i due uomini che si contendono l’oggetto del desiderio»

  -  E sentiamo cosa vi siete detti? Le uscì con tono un po’ dispregiativo.
  -  Mi ha detto tutto.
«Apposto anche meglio…»
  -  Tutto cosa? Rispose improvvisamente preoccupata, mentre si sfiorava la nuca con la mano destra.

  -  Che si era preso una cotta per te come quelle che si prendono al liceo con la professoressa, che tu non gli hai dato corda ma che ora è passata, che ora aspetta un figlio e sta per sposarsi.

Le servì un minuto per processare tutte le informazioni che aveva appena ricevuto. «L’avrebbe sposata e certo… come aveva potuto anche solo pensare che non sarebbe accaduto» per un solo istante desiderò che Calogiuri fosse ribelle, irrispettoso e non quel bravo ragazzo di provincia che mette incinta la fidanzata e poi se la sposa, ma forse erano da sempre stati questi suoi modi di fare un po’ all’antica a piacerle. Gli sguardi soffocati e rispettosi come di chi ti chiede il permesso per guardarti. La cortesia, la gentilezza che in tutti gli altri gli sarebbe sembrata una reale presa per il culo. Aveva lottato per aprirsi da sola la portiera e piuttosto che farsela aprire, l’avrebbe sbattuta in faccia a qualcuno, ma con lui non c’era niente da fare. Poi le parole… le parole di altri tempi, quando si parlava di quello che desiderava, non c’era pudore, ma solo la semplicità di dire la verità. Non sapeva mentire, era bravo Calogiuri a dire la verità. In questo, lui di sicuro era molto più bravo di lei.

  -  Insomma una bella chiacchierata fra uomini, e tu gli hai creduto?
  -  Mi è sembrato sincero.


  «E certo sincero come no, una cotta come quelle del liceo, se solo avesse saputo… che lei non solo gli aveva dato corda, ma avrebbe voluto proprio lanciargli la fune. E invece no… il suo principe azzurro l’aveva protetta, aveva eluso quel momento magnifico che avevano vissuto insieme.» Era lì pronta per litigare, a dichiarare tutto finito pur di levarsi davanti l’arduo compito di dover essere per forza lei a fare qualcosa e invece si trovava di nuovo costretta a continuare a raccontare false promesse e bianche bugie.

  -  Alla fine è un ragazzo giovane, tu gli sei superiore, si sarà innamorato di tutta la situazione.
  -  E quindi ora tutto apposto, perché il maresciallo ti ha detto che è stata una stupida cotta.
  -  Imma ma non ho capito, cos’è che cerchi di dire?
  -  Niente Pietro, dico solo che ti è servito parlare con lui per potermi perdonare.


Voleva urlargli in faccia che non era della situazione che si era innamorato, né solo della sua testa, ma anche del suo corpo, insomma di lei tutta intera, ma restò muta. «Perché era così difficile capire che anche un ragazzo giovane e avvenente si sarebbe potuto innamorare di lei, che l’avesse potuta desiderare e non solo come quelle cotte platoniche di ammirazione.»

  -  Imma c’ho avuto difficoltà, lo vuoi capire.
  -  Perché pensi che io non c’ho avuto difficoltà. Urlò letteralmente, cercando di risentirsi viva.
  -  Perché uno resiste, resiste, resiste, però dopo non basta
.

Non riuscì a dire se le fosse sfuggito apposta dalla bocca oppure no, ma di sicuro era la verità, perché era vero che aveva resistito, che resisteva tutti i giorni, violentandosi internamente per non lasciarsi andare e fuggiva in tutti i corridoi polverosi e meno frequentati, raggiungeva stanze piene di scatoloni chiusi con lo scotch da pacchi. I luoghi della Procura dove scappare erano sostanzialmente finiti.

  -  A chi? resistere a chi Imma? al maresciallo? Disse in tono calmo ma dispregiativo.

Si prese un attimo per pensare a cosa rispondere, ma ne basto solo uno per far sì che Pietro scappasse.

  -  Va bene, io ci ho provato. Espresse con tono rassegnato, girò i tacchi e se ne andò.
  -  E te pareva. Sibilò lei.

Lacrime di rabbia insfogata presero il sopravvento, avrebbe voluto urlare, ma l’avrebbe sentita tutto il vicinato e poi la voce sarebbe arrivata a tutte le comari della città che quasi sicuramente avevano già osservato l’alterco fra i due, nascondendosi dietro le tendine bianche di pizzo delle loro piccole finestre. Se ne stette zitta, si strinse nella giacca, aprì il portone e salì le scale. Calciò gli stivali e si sfilò il maglione. Soffocò la voglia ardente di prendere il telefono in mano e fare una chiamata per mandare tutti a quel paese: Calogiuri perché stava per sposare Jessica, Pietro perché con lui non c’era mai modo di litigare veramente e poi quella maledetta città dove tutti sapevano le cose di tutti, dove tutti mettevano bocca nelle cose di tutti. Si infilò il pigiama, tirò su le coperte, spense il lumino augurandosi perlomeno di non scendere dal letto con il piede sbagliato il mattino dopo. 
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

L’alba di un giorno nuovo si abbatteva su Matera, ma la voglia di litigare non le era passata manco per sbaglio. Il vento le tagliava, freddo, il viso.
«Ma quand’è che era arrivato l’inverno a Matera? altro che primavera.» Si maledì per non aver indossato una giacca più pesante mentre entrava in Procura sbattendo la porta e travolgendo la metà dei presenti nel corridoio.
Vitali la guardò allontanarsi con la sua solita marcia trionfale

  -  Buongiorno anche a lei Dottoressa. Maronna mia aiutami tu, è arrivata come a na tempesta! Si fece il segno della croce, il primo di una lunghissima giornata.

  -  Imma, questo è il fa…
  -  Non ora Marì, oggi non è giornata proprio! Urlò alla Moliterni mentre ormai già l’aveva superata tirando dritto e riaggiustando gli occhiali nerissimi sul viso.

Entrò in ufficio, scaraventò la borsa sulla scrivania e si lasciò cadere sulla sedia emettendo un sospiro rumoroso.

  -  Imma ma che c’hai, sono giorni che stai così.

La figura di Diana apparve sulla porta dei loro uffici comunicanti
«Oddio non di nuovo, no»

  -  Diana, mamma mia che palle. Sentenziò.
  -  Ma perché mi ripetete tutti la stessa domanda, uno può avere una settimana orribile oppure non è concesso. 

Si pentì quasi subito del tono aggressivo della sua risposta. La cancelliera inclinò leggermente il capo, sollevò le sopracciglia e la guardò da sopra la montatura degli occhiali.

  -  Ma niente Diana, un po’ di problemi. Aggiunse addolcendosi
  -  Senti Imma se riguarda quel tipo di problemi, insomma… quelli di coppia intendo.
 
«E ti pareva… che non lo sapeva già dei problemi che aveva con Pietro. Quella come minimo aveva ascoltato ogni sua telefonata dalla porta semi socchiusa.»

  -  Manolo sta organizzando con un amico questo corso di tango e ci servirebbero più iscritti, sai per far sì che la cosa vada in porto. Allora che faccio iscrivo te e Pietro?
  -  Diana, questa ti sembra la faccia di una che vuole andare a fare lezione di tango? La squadrò indicandosi il volto con l’indice.
  -  Ma Imma si sa che il tango è un toccasana per la passione e l’intimità di coppia. Le rispose con un occhiolino ben assestato.
  -  Diana ma sei impazzita? Non se ne parla proprio. Sbraitò come suo solito.
  -  Che fine ha fatto il fascicolo su Lauria? Ci vogliamo dare una mossa o facciamo solo seduta di conseuling e terapia di coppia dentro a questa Procura!! 
  -  Ed ecco di nuovo la solita Imma! Mormorò fra sé e sé Diana
  -  Maria avrebbe dovuto lasciartelo stamattina appena arrivata. Era già pronto, ma siccome sono una tua AMICA te lo vado a recuperare io.

 «Grazie Diana, se non ci fossi tu» lo pensò ma non lo disse.
«Ecco cosa le stava dicendo la Moliterni... ricollegò nella sua testa, Imma questo è il fascicolo!»
Per un attimo si dispiacque persino per Maria Moliterni. Forse c’aveva ragione Vitali a dire che in quei giorni non g stev proprj ca cap.

Cercò di mettersi al lavoro ma la conversazione con Pietro del giorno prima le faceva ribollire ancora il sangue nelle vene.
“Ho parlato con il maresciallo, mi ha detto tutto, è stata una cotta adolescenziale.” Decise di tagliare la testa al toro, tanto Calogiuri era tornato e giusto per precisare, questo lo sapeva perché gliel’avevano riferito non di certo perché lei l’avesse cercato. Compose il numero di telefono e lasciò squillare finché una voce gentile le rispose.

  -  Pronto Dottoressa… «Che bello il tono con cui diceva la parola dottoressa...» Lo immaginò ripetuto più volte… ma in un altro contesto. Avvampò per un secondo.
  -  Pronto Calogiuri… ho bisogno di parlarti. Vediamoci fra mezz’ora nella piazza davanti la Procura.
  -  Va bene a fra poco.

Il tono della voce di lui era leggermente cambiato, più teso, nervoso. Del resto non si erano visti né sentiti dal momento in cui lui aveva saputo di stare per diventare padre.Quella mezz’ora passò con una lentezza inesorabile. Prese il suo tempo per ricomporre le idee. Attraversò il corridoio per scendere le scale e lo vide dalla finestra mentre la attendeva nella piazza giocherellando con le dita dietro la schiena. Anche lei aveva cominciato a fare un strano giochino con le mani, girava e rigirava la fede intorno all’anulare. Non l’aveva fatto mai. Lo raggiunse. «Le spalle larghe, le mani grandi, le braccia forti. Dio quanto era bello! Come sarebbe stato restare prigioniera fra quelle braccia?»

Gravitò naturalmente verso di lui. Lo indirizzò verso una balconata poco distante con un cenno del viso. Era meglio restare lontano da occhi e orecchie indiscrete.

  -  Perché non mi hai detto che aspetti un figlio da Jessica. Lo colse di sorpresa all’improvviso con un tono forse troppo duro.

  -  Scusate Dottoressa, sono successe tante cose, ho provato a dirvelo per telefono ma non ci sono riuscito. Mormorò a mezza voce rammaricato, intanto che fermava gli occhi azzurri su di lei cercando di interpretare cosa le stesse passando per la testa.

  -  Eccerto non hai avuto il tempo di dirlo a me, ma a mio marito sì. Ma dico come ti è venuto in mente Calogiuri? Ribatté arrabbiata ad un’ottava superiore.
Quella voglia di litigare che le era tornata prepotentemente a galla, quanto aveva bisogno di qualcuno che la contraddisse.Lui la riguardò spaesato, pensando di aver commesso di nuovo un errore. Lei si spazientì, non avrebbe cavato un ragno dal buco neanche questa volta. Gli rivolse le spalle e fece per andarsene.

  -  Cosa c’è non riuscite ad affrontare una conversazione senza scappare Dottoressa? Le urlò.

Lui non poteva vederlo, ma un sorriso le comparve sul volto. Ascoltare quella frase fu come vedere qualcuno gettare benzina su un fuoco ormai divampato, ma lei bramava che non si estinguesse. MAI. Un brivido le percorse la schiena quando si voltò di nuovo verso di lui e lo vide, la mascella serrata, gli occhi che si erano un poco scuriti, le pupille dilatate, le nocche bianche della mano che stringeva la ringhiera. Cercò di mantenere un’espressione impassibile mentre gli si riavvicinava a testa alta, spinta da un moto involontario. Stavano per litigare ma la verità era che dentro di lei godeva da matti. Sapeva che solo lui avrebbe potuto donarle quella discussione, che tanto desiderava, le parole urlate sulla bocca dell’altro, quel guardarsi negli occhi di fuoco, combattere con chi non le dava ragione a prescindere e poi pensò ai baci, ai morsi, alle dita affondate nella carne, a come si sarebbe potuto fare pace dopo… D’improvviso si sentì accaldata. Erano ormai di nuovo uno di fronte all’altra, ma la calma non era più la stessa di prima.

  -  Sentiamo un po’ perché hai sentito questa urgente necessità di parlarne con mio marito prima che con me.
  -  L’ho incontrato per caso.Le rispose fra i denti con lo stesso tono beffardo con cui lei gli aveva lanciato la palla. Non gliel’avrebbe data vinta così facilmente

  -  Sapevo che ci era rimasto male per la storia delle foto, pensavo vi facesse piacere.
Percepì il suo sguardo intenso che le stava incollato addosso, risaliva dai piedi alla testa e poi riscendeva come accarezzandola.

  -  Sarà stato il destino a farci incontrare, Dottoressa. Sogghignò con malizia e lei escogitò nella sua testa un milione di piani per cancellargli quel sorriso dalla faccia.

  -  Il destino non esiste Calogiuri, esistono solo le coincidenze e guarda caso una di queste è accaduta fra te e mio marito.
  -  Ma lo sai che sei impossibile? Sì lo sapeva bene.

Non era né il primo, né l’ultimo a dirglielo, quante volte se l’era sentito dire, mamma mia che brutto carattere! Mamma mia sei una cosa impossibile! ma detto da lui assumeva un significato completamente diverso. Lui che era il solo in grado di gestirla.

  -  Di cos’è che hai paura, che io possa raccontare tutta la verità? Che sono in grado di sentire il tuo respiro che si spezza, come il tuo corpo sta reagendo al mio? Il passaggio dal voi al tu, la fece sussultare.

«Ma quand’è che era diventato così diretto, così virile, così uomo...»
Lo scoprì a fissarle un punto preciso fra il collo e le spalle sull’osso visibile della clavicola, mentre si inumidiva le labbra. Il pomo d’Adamo si gonfiava vistosamente mentre cercava di ingoiare la saliva. Poteva quasi sentire le sue labbra morbide lasciarle un bacio proprio lì, ma se lo stava solo immaginando. Sentì il suo stesso fiato che si spezzava, la mano sinistra che cominciava a tamburellare sulla gamba. Arrossiva, abbassava lo sguardo mentre il suo corpo reagiva alla presenza di lui che veniva sempre più vicino.

  -  Non avresti dovuto farlo.
Sussurrò incespicando con la voce in mancanza di salivazione.
  -  Io pensavo di fare una cosa buona. 
Le mormorò lui quasi sulle labbra.

L’avrebbe baciata. Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto baciarla, prenderle il viso fra le mani, toccarla davvero e non soltanto immaginarla, ma non lo fece. Spettava a lei fare qualcosa. Era stanco di dire e di fare mentre lei fuggiva via e tornava nel talamo nuziale, facendo finta di nulla. Gli rubava un mezzo bacio appassionato, solo per la noia della sua vita coniugale.Si allontanò anche se impercettibilmente, per non perdere quel poco potere che la sua altezza e il suo corpo gli permettevano di avere su di lei.

  -  Una cosa buona dicendo a mio marito che la nostra è stata una semplice cotta adolescenziale, ma del resto a cosa importa, visto che ora sei innamorato di Jessica e stai per sposarla.
Sibilò, rialzando le palpebre e guardando altrove.

Era bastata una frase a rompere la delizia di quel momento.Indietreggiò allontanandosi, ma lui glielo impedì. Sinceramente si era stancato di questi vorrei ma non posso, sono gelosa ma non ti voglio. Strinse le dita attorno al suo avambraccio e la tirò di nuovo a sé. Il corpo letteralmente incollato al suo. La intrappolò, mentre con una mano aperta sulla schiena le impediva di allontanarsi. Lei sembrò per un attimo rilassarsi pur cercando di inalare l’aria che le mancava.

  -  Non è questo, quello che vuoi? Che io mi crei una mia famiglia e rimanga l’idiota che rimanda la donna che desidera fra le braccia del marito. Non è questo che ti interessa?  Rientrare la sera a casa con la coscienza pulita, senza macchia. Perché non sia mai che la Dottoressa Tataranni commetta un errore, lei che ha la reputazione specchiata, lei che è incorruttibile, lei che non commette peccato. Dovresti ringraziarmi perché questa è l’ultima volta in cui ti facilito le cose. Vuoi giocare al gatto e al topo? Va bene, giochiamo, ma da ora in poi le regole, le decido io!
Si allontanò di scatto e se ne andò.

La lasciò lì con la temperatura del corpo decisamente troppo alta. Aveva recepito ogni provocazione che involontariamente gli aveva lanciato. Avrebbe voluto tirargli uno schiaffo almeno per la prima parte di quello che le aveva detto. L’aveva punta sul vivo, su tutti quegli aspetti dietro cui si era trincerata per tutta la vita, dietro tutte quelle maschere che le avevano permesso di ottenere un po’ di stima. La capiva, la leggeva come un libro aperto nonostante lei non gli avesse spiegato neanche la lingua in cui leggerlo. Era bello, ma voleva dire che sapeva bene dove andare a parare, quali tasti toccare per ottenere quali reazioni. Cercava di reagire, ma non le era mai capitato. Pietro era stato l’unico uomo della sua vita e non si comportava così. «Vuoi giocare al gatto e al topo? Va bene, giochiamo, ma da ora in poi le regole le decido io.» Questa frase si propagava e faceva il giro della testa, senza uscire mai, mentre il cerchio delle dita di lui attorno all’avambraccio pulsava come marchiato a fuoco. Esercitò una lieve pressione nei punti in cui l’aveva toccata, come per risentire la forza e la veemenza con cui aveva stretto le mani attorno al suo corpo. Fu del tutto inutile, ma nello stomaco intanto si faceva strada uno strano senso di eccitazione.  
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - Fiction italiane / Vai alla pagina dell'autore: Rob2321