015. Chi si preoccupa maggiormente quando l'altro torna a casa ferito?
Ochaco era sussultata a causa di un rumore improvviso. Fuori pioveva e si era quasi appisolata sul divano, quando la porta si era aperta di scatto: Tenya era entrato, grondante d’acqua e con un braccio ferito: sì, era senza subbio sangue quello che gli colava dalla manica strappata. E doveva fare anche parecchio male, a giudicare da come lo stringeva.
«Tenya! Cos’è successo? Sei ferito. Oh, no…» Ochaco si avvicinò, sfiorandolo. Anche nel dolore, Tenya era sempre dignitoso, come se niente fosse.
«Non preoccuparti, non è niente di che. Rapina a mano armata. Ero nei dintorni, sarebbe stato disonorevole non fare nulla.»
Erano eroi, era ormale intervenire in certe situazioni, ed era normale anche ferirsi. A non ci si abituava mai, soprattutto se a farsi male era la persona che amavi. Ochaco andò a prendere un asciugamano e gliel’avvolse attorno al braccio.
«Ti hanno sparato?!» domandò, già in panico.
«Eh? No, ma che sparato. Sono solo caduto, l’asfalto sa far male.»
«Non vuoi andare in ospedale?»
Ochaco era amorevole e attenta. Non che lui non si preoccupasse, ma era più bravo a controllarla, quella preoccupazione.
«Non è così grave. Devo solo disinfettare il taglio. E asciugarmi, magari.»
Ochaco annuì e poi i suoi occhi divennero lucidi. Che poteva farci se era sensibile quando di mezzo c’era il suo ragazzo?
«Eh?! Oh, no. Dai, non piangere. Io sto bene, vedi? Ho avuto ferite ben peggiori» cercò di calmarla Tenya.
«NON CI VOGLIO PENSARE. Scusa, mi dispiace, è che a certe cose non mi abituo mai. È ovvio che mi preoccupo, ecco» Ochaco si strofinò un occhio. Tenya lo sapeva, la conosceva. Allungò un braccio – quello buono – per stringerla a sé, contro il suo corpo bagnato.
«Su, su. Lo so. Nemmeno io mi abituo mai. Ma sono qui, sto bene. Sono duro da far fuori, lo sai.»
Ochaco singhiozzò, il viso poggiato sul suo petto.
«Sì, lo so.»
Forse non si sarebbe davvero abituata mai. Ma quanto era bella la sensazione di sollievo nell’averlo lì?
Ochaco era sussultata a causa di un rumore improvviso. Fuori pioveva e si era quasi appisolata sul divano, quando la porta si era aperta di scatto: Tenya era entrato, grondante d’acqua e con un braccio ferito: sì, era senza subbio sangue quello che gli colava dalla manica strappata. E doveva fare anche parecchio male, a giudicare da come lo stringeva.
«Tenya! Cos’è successo? Sei ferito. Oh, no…» Ochaco si avvicinò, sfiorandolo. Anche nel dolore, Tenya era sempre dignitoso, come se niente fosse.
«Non preoccuparti, non è niente di che. Rapina a mano armata. Ero nei dintorni, sarebbe stato disonorevole non fare nulla.»
Erano eroi, era ormale intervenire in certe situazioni, ed era normale anche ferirsi. A non ci si abituava mai, soprattutto se a farsi male era la persona che amavi. Ochaco andò a prendere un asciugamano e gliel’avvolse attorno al braccio.
«Ti hanno sparato?!» domandò, già in panico.
«Eh? No, ma che sparato. Sono solo caduto, l’asfalto sa far male.»
«Non vuoi andare in ospedale?»
Ochaco era amorevole e attenta. Non che lui non si preoccupasse, ma era più bravo a controllarla, quella preoccupazione.
«Non è così grave. Devo solo disinfettare il taglio. E asciugarmi, magari.»
Ochaco annuì e poi i suoi occhi divennero lucidi. Che poteva farci se era sensibile quando di mezzo c’era il suo ragazzo?
«Eh?! Oh, no. Dai, non piangere. Io sto bene, vedi? Ho avuto ferite ben peggiori» cercò di calmarla Tenya.
«NON CI VOGLIO PENSARE. Scusa, mi dispiace, è che a certe cose non mi abituo mai. È ovvio che mi preoccupo, ecco» Ochaco si strofinò un occhio. Tenya lo sapeva, la conosceva. Allungò un braccio – quello buono – per stringerla a sé, contro il suo corpo bagnato.
«Su, su. Lo so. Nemmeno io mi abituo mai. Ma sono qui, sto bene. Sono duro da far fuori, lo sai.»
Ochaco singhiozzò, il viso poggiato sul suo petto.
«Sì, lo so.»
Forse non si sarebbe davvero abituata mai. Ma quanto era bella la sensazione di sollievo nell’averlo lì?