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Autore: morrigan89    09/09/2009    6 recensioni
Anno 2191. Il pianeta Terra è stato devastato da una Guerra Nucleare. La città di Nuova Edo è sotto dittatura della potente Mishima Zaibatsu, la violenza è all’ordine del giorno, la libertà è un sogno destinato a pochi. Tra i resti di un mondo morente si intrecciano le vicende di alcuni personaggi, alcuni guidati dall’avidità, altri dall’odio, alcuni dai propri desideri innocenti, altri dai propri ideali.
-Perché non tutti i cuori sono morti-.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Jin Kazama, Kunimitsu, Ling Xiaoyu, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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5. Warmachine
 




–Maledizione! Come pretendono di facilitare le indagini se non ci lasciano nemmeno entrare a indagare?–.
A porsi questa domanda era stato uno stizzito Lei Wulong mentre scendeva a grandi passi l’interminabile rampa di scale dell’edificio in cui erano situati i Laboratori Mishima. Non aveva nemmeno avuto la pazienza di aspettare che l’ascensore giungesse al suo piano, tanta era la sua irritazione e il bisogno di sfogarsi lontano da orecchie indiscrete.
–Segreti di Stato… bah, e dire che ho sempre pensato che NOI agenti facessimo parte dello Stato! In tanti anni di servizio non mi era mai successo di vedermi chiudere la porta in faccia! “Informazioni strettamente confidenziali”!– continuò a bofonchiare irosamente tra sé e sé, quasi dimentico del trafelato Hinagawa che lo seguiva cercando di stare al suo passo.
–Ehm…– esordì il giovane collega cercando di non far notare il fiatone –Forse dovremmo fare a meno di queste informazioni e concentrarci su ciò che abbiamo già–.
–Ma ancora non abbiamo niente. Solo una sospettata terrorista che però è scomparsa nel nulla dopo che la Squadra Speciale le ha dato la caccia fin dentro le fogne della Zona Industriale–. Già, anche questa era una bella rogna. Una persona che non volesse farsi trovare avrebbe potuto cavarsela per anni prima di venire inchiodata dai sistemi di controllo; e Wulong ne sapeva qualcosa dopo che aveva passato anni a cercare un fantomatico e ancora sconosciuto boss della droga che pareva aleggiare sulla città invisibile come un fantsma.
–Però suppongo che tu abbia ragione, Hinagawa– disse Lei fermandosi di botto in mezzo alle scale col rischio di essere investito dall’altro agente. –Per ora questa matassa ha un unico capo. Tiriamolo e forse riusciremo a dipanarla. Andiamo subito al White Crow!–. E così dicendo riprese a scendere le scale come un forsennato.
L'agente annuì senza fiato e poi riprese a inseguire il suo instancabile superiore.
 
*

Sono di nuovo sveglio.
Vorrei non esserlo.

Caricamento dati in corso…
Queste persone che mi guardano con orrore, come se fossi un mostro. Non sanno che sono io quello che riesce a malapena a guardarle. Non hanno nemmeno idea di cosa mi ha tolto gente come loro. Non sanno. Non sanno niente.
Meritano di morire.
Caricamento effettuato. Scanner corporeo attivato. Inizio scansione…
Non provo niente. Non sento niente. Il mio corpo è insensibile come se fossi morto. L'unica scintilla di vita attraversa il cervello come una scarica elettrica. Ma è estranea e artificiale come una protesi. Mi mostra cose che non ho mai saputo. Trasmette ricordi che non dovrei e non vorrei più avere.
Scansione effettuata… Stato: OK.
Forse è proprio questa la morte, forse sono davvero morto. Un morto che cammina.
Scanner cerebrale attivato. Inizio scansione…
Sono stato riprogrammato come un computer.
Avevo un nome che mi è impedito ricordare. Ma non sono riusciti a cancellare la consapevolezza di chi ero. Hanno sbagliato. Avrebbero dovuto cancellarlo. Dovrei essere consapevole solo di ciò che sono ora, ma i miei ricordi mi mostrano crudelmente che non sono sempre stato così.
Scansione effettuata. Stato: Rilevata anomalia nella Corteccia Peririnale.
Un mostro. Una macchina da guerra. Loro mi hanno reso così.
Vorrei morire ma una voce estranea nel mio cervello mi comanda di non farlo, di non suicidarmi.
Posso solo uccidere.
E ucciderò.
 
*
 
Il White Crow era ancora chiuso al pubblico ma ormai buona parte dei segni della sparatoria erano stati cancellati. Marshall, Anna e qualche altro volontario ci avevano lavorato giorno e notte, interrotti soltanto dalle ripetute visite della polizia. Ci erano così abituati che quasi non alzarono la testa dalle loro occupazioni quando due agenti in borghese varcarono la porta.
–Detective Lei Wulong, Cyberpolizia– disse il poliziotto mostrando il distintivo. Alle sue spalle l'ispettore Hinagawa faceva lo stesso.
Marshall Law appoggiò a terra gli attrezzi e si fece avanti pulendosi le mani su un panno. Il suo viso era innaturalmente inespressivo come quello di una persona che cerca di mascherare l'irritazione. –Oh, finalmente due agenti che mostrano i loro volti piuttosto che il loro visore elettronico. Buongiorno Detective–.
Wulong recepì immediatamente la rabbia repressa del barista e benché sapesse che avrebbe avuto il potere di richiamarlo immediatamente all'ordine decise di non farci caso. –A quanto pare avete già avuto a che fare con la Squadra Speciale– disse mostrandosi amichevole –Ma anche io avrei delle domande da farle, signor Law–.
–Bene, abbiamo già risposto adeguatamente ai suoi colleghi ma siamo sempre pronti a renderci utili. Mi segua pure– disse avviandosi verso i privet.
I due agenti e il proprietario del pub si sedettero attorno a un tavolo da poker illuminato da un riflettore.
Il Detective studiò attentamente l'uomo per alcuni istanti e notò che sembrava perfettamente a loro agio. Prese la parola. –So già cosa avete detto alla Squadra Speciale, ho letto i rapporti. So anche che la Squadra Speciale ha metodi bruschi e per questo ispira timore. E il timore induce molte persone a dire il minimo indispensabile, tralasciando i dettagli che potrebbero essere importantissimi per l'indagine–. Gli lanciò un'occhiata significativa.
Law appoggiò entrambe le mani sul tavolo verde e guardò Lei dritto negli occhi, senza esitazione. –Come ho appena detto abbiamo riferito alla Squadra Speciale tutto ciò che sapevamo, Detective–.
–Lo credo e lo spero bene, signor Law– disse Lei con un sorriso –Ma io ho metodi diversi dalla Squadra Speciale e ho bisogno di parlare apertamente con le persone che sono implicate nel caso–.
–Capisco, mi chieda quello che vuole–.
–Riprendi, Hinagawa–. A quelle parole il giovane agente tirò fuori una telecamera tascabile e l'appoggiò sul tavolo.
Lei Wulong si mise comodo sulla sedia. –Conosceva quella donna, Kunimitsu?–.
–Superficialmente. Era una cliente abituale–.
–Cosa intende per "superficialmente"?–.
–La vedevo qui spesso. So come si faceva chiamare da tutti. Ma questo non è un mistero. Ignoro il suo vero nome e la sua età–.
–Le ha mai parlato?–.
–Sì, ma solo chiacchiere da bar che faccio un po' con tutti i clienti–.
–L'ha mai vista senza maschera?–.
Law scosse la testa –La porta da sempre, che io sappia–.
–Ha amici?–.
–Penso di sì. Ma non saprei dire chi sono. Non passo mica tutto il mio tempo a osservare i clienti, le pare?–
–Lo immagino. Sa perché è ricercata?–.
–Mi hanno detto che aveva addosso un bel po' di droga–.
Lei Wulong intrecciò le dita davanti a sé. –È proprio questo il punto. Si è mai chiesto come mai un singolo caso di detenzione di droga, come ce ne sono a migliaia in questo covo di delinquenti, abbia richiesto uno spiegamento di forze del genere?–.
–Non è affar mio come la polizia decide di indagare sui propri casi– sbottò Law.
Il Detective si sporse in avanti sul tavolo –Probabilmente no. Ma sono convinto che lei non sia uno sprovveduto perciò immagino che si sarà comunque fatto un'idea del perché–.
Law assunse un'aria pensierosa come se stesse pensando a quella questione per la prima volta. –Sarà invischiata in qualcosa di più grosso, non posso saperlo–.
Lei si riappoggiò allo schienale, con un lieve sorriso sulle labbra. –Che cosa direbbe se le dicessi che è sospettata di atti di matrice terroristica?–.
A guardarlo con stupore non fu solo Law ma anche l'agente Hinagawa.
–Terrorismo?–. Inarcò le sopracciglia. –Stento a crederlo–.
–Eppure è così– disse Lei ignorando completamente la sorpresa negli occhi del suo collega. Sapeva benissimo che non era tenuto a divulgare questa informazione, ma a volte per ottenere quello che si vuole bisogna abbandonare il protocollo. – Si potrebbe sospettare che il suo pub è un luogo di ritrovo per terroristi oltre che di spacciatori e ubriachi. Il che mi darebbe l'autorità di arrestarla su due piedi, signor Law. Fare terra bruciata, è così che si dice–.
Il proprietario del White Crow aggrottò lievemente le sopracciglia. –Mi sta minacciando? Mi pareva che avesse detto di non usare i metodi della Squadra Speciale–.
–No, la sto solo avvertendo. Parliamo chiaramente, signor Law. Finchè non troviamo questa Kunimitsu lei e tutte le persone collegate a lei sono in pericolo. Trovarla è affar mio, ma se non ci riuscirò in tempo breve il caso mi sarà tolto e passerà direttamente alla Squadra Speciale e allora sì che potrebbe passare dei guai seri–. Lei Wulong strinse i denti. Odiava quella parte, odiava la maschera da cattivo, odiava lo strapotere della Squadra Speciale. Eppure sapeva che era necessario, che senza questi espedienti sarebbe impossibile governare su quella Babilonia di criminali che era la Zona Rossa.
Law sospirò cercando di non apparire nervoso. –Anche io parlerò chiaramente, Detective. Non sono responsabile delle persone che frequentano il mio locale, e lei mi sembra una persona abbastanza ragionevole da capirlo. Finchè pagano le ordinazioni non ho nessun motivo per impicciarmi dei loro affari. Se la Squadra Speciale viene a prendermi non posso farci niente–. Lanciò al poliziotto un'occhiata accusatrice, come se si chiedesse con che coraggio potesse permettere una cosa del genere. –Non posso aiutarla–.
–E invece io le darò la possibilità di farlo. So che i miei colleghi non le hanno ancora mostrato questo– disse il detective Wulong mentre faceva scivolare una fotografia sul tessuto verde del tavolo. Law si chinò a guardarla. Era una foto scattata con un modello assurdamente vecchio di fotocamera, probabilmente qualche rimasuglio di magazzino ante guerra, roba da due soldi. Mostrava due persone in atteggiamenti amichevoli: una ragazza con una maschera di volpe teneva un braccio appoggiato sulle spalle di un ragazzo dai capelli di una strana sfumatura di arancione. Due amici allegri che non avevano alcuna idea di ciò che gli sarebbe successo.   
–Era nascosta sotto una mattonella in camera di Kunimitsu. Mi dica chi è l'altro e dove posso trovarlo–.
Marshall Law alzò lentamente lo sguardo. Deglutì.
  
*

Lei Wulong sedeva alla sua scrivania riguardando al computer la registrazione della sua interrogazione a Marshall Law. Non era per niente contento: le risposte che aveva ottenuto non gli avevano detto niente che già non sapesse e il ragazzo coi capelli arancioni erano rimasto senza nome. Aveva consultato da cima a fondo l'archivio elettronico in cerca di informazioni sul suo conto e non aveva trovato nulla. Questo era forse l'unico aspetto positivo per un abitante della Zona Rossa: non sei nessuno, ma se non sei nessuno è molto più difficile rintracciarti.
Fece scivolare un dito sul touch screen ritornando così al punto della registrazione che gli interessava.
"Non conosco questo tizio" disse il barista sullo schermo.
Lei digitò qualche tasto sulla tastiera e l'immagine zummò immediatamente sull'occhio color nocciola dell'asiatico. Il volto del detective si illuminò. Tornò indietro di qualche secondo.
"Non conosco questo tizio".
Mentre l'uomo pronunciava questa frase la pupilla si contrasse leggermente, un movimento che sarebbe stato invisibile a occhio nudo ma che la tecnologia riusciva a registrare nei minimi dettagli.
Non poteva sbagliarsi. Marshall Law sapeva bene che sarebbe stato scoperto, eppure aveva mentito.

*
 
La stanza era buia e angusta e umida. Non era il genere di posto in cui uno trascorrerebbe il suo tempo se non ci fosse costretto da qualche necessità, come la necessità di non essere spiati da nessuno.
L’anziano era seduto in attesa su una sedia di plastica, unica forma di comfort concessa per benevolenza verso la sua età.
Improvvisamente un lieve soffio d’aria riempì la stanza e l’uomo capì di non essere più solo. Un respiratore emetteva il suo rumore soffocato nella semioscurità.
–Sono venuto appena ho saputo, Dottore. Perché ha lanciato l'allarme?– disse la voce metallica carica di apprensione.
Il Dottore sospirò e si agitò sulla sedia. –L'Esperimento Numero 9 è scappato poche ore dopo che me lo avete portato, nel cuore della notte, e ha distrutto tutto quello che ha incontrato. A quanto pare era difettoso altrimenti non si sarebbe attivato da solo–.
L'uomo col respiratore rimase un attimo in silenzio. –Bryan– osservò e la sua voce metallica risuonava d'irritazione. –Si chiama Bryan–
Il Dottore scosse la testa con severità. –Non è più umano, Yoshimitsu. E tu lo sai. Non possiamo farci niente–.
Yoshimitsu prese a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza, mentre la lunga palandrana nera si riempiva di polvere. –Che cosa consiglia?– chiese infine, col tono di uno che preferirebbe non avere una risposta.
–Purtroppo non abbiamo scelta. È pericoloso. Ci sono state due morti nei pressi del Laboratorio e sono quasi certo che siano opera sua. Deve essere fermato– rispose con comprensione. Poi aggiunse –Mi dispiace. So bene che lo conoscevi–.
Yoshimitsu continuò a camminare e poi si fermò. Se la sua voce avesse avuto un'inflessione naturale, probabilmente in quel momento sarebbe stata rotta dal dolore. –Pensavo che avrei potuto salvarlo–.
Il Dottore si alzò e mise una mano sulla spalla dell'altro uomo, benché la raggiungesse a fatica a causa della sua altezza. –Non darti la colpa, sono stati loro a fare questo. In questo momento la cosa più misericordiosa che possiamo fare è dargli la morte–.
–Ha ragione. Ci penserò io– rispose con riacquisita fermezza.
Il Dottore emise un sospiro. In tutti quegli anni Yoshimitsu non era cambiato di una virgola. –Non puoi salvare tutti–.
–Lo so fin troppo bene, Dottore. Fin troppo bene…–.
 
*
 
Lei Wulong aveva appena dirimato a tutte le stazioni di polizia l'identikit del ragazzo dai capelli arancioni. Non era sicuro che fosse coinvolto nelle esplosioni notturne ma era sicuro che avrebbe potuto sapere molte cose sulla donna volpe; sempre che lo avessero preso, ovviamente, il che era difficile. Ma del resto che altro poteva fare? Non aveva altri indizi su cui lavorare dal momento che i Laboratori Mishima si erano rifiutati di lasciarlo entrare a cercare prove.
Stava per uscire dal suo ufficio quando il telefono sulla scrivania squillò. Fu molto stupito dal vedere che il display non riusciva a rintracciare il numero da cui proveniva la chiamata.
Sollevò la cornetta. –Pronto?–.
Buonasera, Detective Wulong–. Lei trasalì. La voce all'altro capo era così pesantemente distorta da non lasciargli nemmeno distinguere se appartenesse a un uomo o a una donna.
–Chi parla?–.
Non ha importanza. Voglio solo darle un consiglio–.
Wulong rimase in silenzio per lasciar parlare la voce.
Visiti i Laboratori Biotech. Potrebbe essere istruttivo–.
Click. La comunicazione si interruppe lasciando il detective a osservare il ricevitore, perplesso. 

*
 
L'Agente W, al secolo Nina Williams, appese la cornetta e si lasciò cadere con un sospiro su una poltrona di pelle. Si trovava nella buia stanza dei computer in una delle numerosi sedi segrete del Tekken Force, la squadra di agenti speciali al diretto servizio di Heihachi Mishima.
Quell'idiota di un poliziotto stava perdendo tempo. Lee Chaolan le aveva detto che era il detective più sveglio di tutta Nuova Edo eppure continuava ancora a brancolare nel buio, ben lontano da ciò che davvero interessava alla Mishima: la Biotech. Davvero, Nina non riusciva a capire perché non avessero voluto affidare direttamente il caso a lei. A quell'ora, da sola o con l'aiuto della Squadra Speciale, avrebbe raso al suolo ogni ostacolo al potere della Mishima, eliminando ogni problema alla radice; invece si trovava a fare da angelo custode a un sempliciotto con un distintivo. Un compito ben al di sotto delle sue capacità.
–La tua soffiata non renderà lui sospettoso?– le chiese un uomo con un profondo accento straniero, seduto dall'altra parte della stanza e seminascosto da una spessa voluta di fumo di sigaro. L'Agente D non parlava molto bene il giapponese, la lingua ufficiale di Nuova Edo, ma non era importante. Del resto per compiere il suo lavoro non aveva bisogno di parole.
–Non importa, tanto è solo uno strumento senza valore. Quando avrà finito lo eliminerò come un cane– disse Nina con ostentata noncuranza. Ma le sue parole erano più fredde e affilate di un coltello e indicavano rabbia.
–Sembra quasi che tu abbia preso questa storia sul personale– disse l'Agente D emettendo qualcosa di simile a una risata. Lui non rideva mai. –Irritata col capo?–.
Nina gli lanciò un'occhiataccia. –Non vedo perché dovrei esserlo–.
–Non saprei– disse l'uomo alzandosi e spegnendo il mozzicone di sigaro in un portacenere –Forse perché lui non fa a te abbastanza favori anche se tu fai abbastanza favori a lui. Se capisci cosa intendo…–.
Nina affondò le dita nei braccioli della sedia e fissò il volto pallido e segnato da cicatrici dell'Agente D come se questo potesse mandarlo in pezzi. I due rimasero per un po' a fissarsi, occhi di giaccio contro occhi di ghiaccio.
–Non scherzare col fuoco, Dragunov. Quello che faccio sono affari miei– sibilò Nina.
–Ci sono cose che bruciano più del fuoco, Williams– disse Dragunov con una smorfia che qualcuno che non lo conosceva bene avrebbe potuto scambiare per un abbozzo di sorriso. Uscì dalla stanza lasciando l'altro agente a riflettere su quella frase enigmatica.
Nina si rilassò e lasciò andare i braccioli della poltrona. Le velate insinuazioni del russo erano una gatta da pelare a cui avrebbe preferito non pensare. Evidentemente lui sapeva che il suo rapporto con Lee Chaolan, il rampollo della Mishima, non era unicamente un rapporto di lavoro.
Si sentì spiata e quella sensazione, nuova per lei che spia lo era di professione, le era odiosa. Eppure sapeva benissimo che era perfettamente naturale che venisse controllata, dato che probabilmente, tra tutti i milioni di persone che abitavano Nuova Edo, lei era la più vicina ad avere la possibilità di uccidere il signor Chaolan se solo lo avesse voluto. Se Lee fosse morto sarebbe stato un duro colpo per la Mishima, anche se non era certo un individuo indispensabile.
Nessuno era indispensabile per Heihachi e Nina lo sapeva bene.
In quella metropoli la lotta per restare a galla era continua; in milleni di civiltà, quell'epoca postbellica era probabilmente la più vicina alla legge della giungla. Uccidi o vieni ucciso, eccelli o vieni rimpiazzato. L'Agente W conosceva questa legge più di qualunque altro: eccelleva nell'uccidere ed era diventata fredda e lucida come una macchina. Sembrava essere nata apposta per essere un membro del Tekken Force. E finché avesse continuato a svolgere le sue missioni alla perfezione nessuno l'avrebbe gettata via come uno strumento senza valore.
 
*

–Perché, Marshall?–. Anna scosse la testa per scacciare le lacrime agli occhi. Il suo volto era contratto da una rabbia venata di paura. –Perché hai mentito a quel poliziotto?–.
Marshall, seduto alla sua scrivania, era scuro in volto. Non rispose.
–Ora daranno la caccia anche a te!– esclamò, come se la terribile idea non fosse già evidente a entrambi. Il proprietario del White Crow annuì senza dire una parola.
–E la cosa non ti spaventa!?–.
–Che cosa avrei dovuto fare, Anna? Consegnare anche Hwoarang nelle mani della polizia?– disse con tono lugubre. L'aveva già fatto, a malincuore, aveva tradito un’amicizia e non aveva il coraggio di rifarlo. –Non ci sono riuscito–.
–Ma Kunimitsu…–.
–Per lei è diverso. Era già sotto la protezione del clan–.
–E sentiamo, perché questo fantomatico clan non può proteggere anche lui?– chiese Anna, stizzita. Che razza di potere aveva questo clan se non poteva proteggere nemmeno un ragazzo?
–Non arriverebbe mai in tempo. La Squadra Speciale è molto più veloce. Ho saputo che anche Kunimitsu è riuscita a scappare per miracolo. Ma di Hwoarang non sanno niente, nemmeno dove abita. Riuscirà a non farsi beccare se tu lo avvertirai in tempo–.
Anna scosse la testa, disperata. –E tu?–.
–So dove nascondermi. Se parto ora non mi troveranno– disse cercando di mostrarsi sicuro di sé, benché lui stesso non ne fosse convinto. Improvvisamente abbandonare la propria vita era così difficile. Marshall non era mai stato un tipo molto interessato all'azione e tutta la sua esistenza era strettamente legata a quel pub malandato. Il White Crow era casa sua. Quasi quasi avrebbe preferito restare lì a farsi catturare.
Ma no, aveva dei doveri da cui non poteva sottrarsi e, oltretutto, sapeva troppe cose sul clan perché potesse permettersi di cadere in mani nemiche. Del resto era lui il tramite fra il Manji e gli abitanti della Zona.
–Naturalmente mentre sarò via l'amministrazione del pub sarà compito tuo. I lavori sono già a buon punto. Forse tra qualche giorno potrai riaprirlo– disse con un sorriso rassicurante.
Anna annuì a malincuore.
–Ho anche già disposto che tu diverrai la proprietaria, nel caso che io non dovessi tornare–.
Lei lo guardò, furibonda. –Non dirlo neanche per scherzo. Tu tornerai!–. Poi il suo volto sì addolci mentre si costringeva a scherzare. In certi frangenti l'unica cosa saggia da fare era sdrammatizzare. –Non vorrai mica costringermi a portare avanti questa baracca tutta da sola!?–.

*
 
Era già pomeriggio quando Lei Wulong varcò da solo le porte di vetro dei Laboratori Biotech. Aveva preferito non informare il suo assistente di questa sua mossa benché nemmeno lui sapesse dire esattamente perché. Forse era stata quella telefonata misteriosa a metterlo a disagio.
–Vorrei parlare col direttore– disse mostrando il distintivo a una segretaria seduta dietro un immenso bancone bianco nel centro della sala.
La segretaria digitò sulla tastiera. –Il Dottor Boskonovitch in questo momento sta lavorando a un esperimento ma posso metterla in contatto con la sua assistente– rispose con cortesia.
 

Il detective si trovava davanti a una spessa porta metallica. Sopra di essa una targhetta di plastica recitava la scritta: Riforestazione. Responsabile: Dr.sa. J. Chang.
Suonò il campanello e dopo qualche minuto venne aperto da una donna che le rivolse un'occhiata interrogativa. Wulong la osservò attentamente: portava occhiali dalle lenti spesse, aveva dei capelli fuori posto che uscivano dalla sua treccia e l'aria di una persona che non dorme molto. Sgranò gli occhi quando vide il distintivo.
–È lei la Dottoressa Chang?–.
–S-sì, in che cosa posso esserle utile?–. Sembrava nervosa. Il detective si chiese se lo fosse di natura o se fosse agitata dalla comparsa inaspettata di un poliziotto.
–Vorrei farle qualche domanda, se non la disturbo–.
–Prego, mi segua– disse Julia facendogli strada attraverso una grande stanza buia illuminata da cilindri di vetro pieni di terra. Alcuni ricercatori, sparsi qua e là fra i tubi luminosi, alzarono lo sguardo con curiosità prima di ritornare alle proprie occupazioni.
I due si sedettero attorno a una scrivania nel piccolo studio della dottoressa.
–Mi dica, detective– disse Julia sforzandosi di sorridere come se fosse perfettamente a suo agio, benché a occhio esperto era evidente che non lo fosse. Allacciò le dita fra loro come per una preghiera –Come mai si trova ai laboratori Biotech?–.
In effetti nemmeno lui sapeva perché si trovasse lì ed era incerto su che domande fare. Se voleva cavarci qualcosa doveva mostrarsi sicuro di sé e forse la dottoressa avrebbe rivelato spontaneamente qualche particolare interessante. Scese un po' sulla sedia, mettendosi comodo, e con nonchalance aggiustò la penna appesa al taschino della camicia, attivando una telecamera nascosta. –Non saprei. Me lo dica lei–.
La dottoressa inarcò un sopraciglio. –Prego?–
–Ha notato niente di strano ultimamente? Voci di corridoio, qualche comportamento insolito…–.
Julia strinse i denti. Di cose che lei aveva ritenute strane ne aveva viste a bizzeffe negli ultimi tempi: la visita notturna di Abel, il comportamento circospetto del Dottor Boskonovitch il quale d'altra parte si ostinava a dire che tutto andava bene, le lettere che riceveva, le sue lunghe soste nei magazzini… Avrebbe potuto parlare a lungo dei suoi sospetti, eppure si ritrovò a chiedersi quale fosse la cosa giusta da fare. Fidarsi del dottore e andare contro la legge o rivelare le sue preoccupazioni a quel detective dall'aria amichevole?
–Direi di no– disse infine. La bugia non le costò molto, dato che dopo l'ultima visita del dottor Abel la sua fiducia nelle istituzioni era diminuita notevolmente.  –Del resto passo tutto il tempo qui dentro e ne esco solo per dormire un po'. È difficile che noti qualcosa di strano–. Sorrise, compiaciuta per aver tirato fuori una menzogna credibile.
–La capisco, anche il lavoro del detective spesso e volentieri si consuma lambiccandosi il cervello seduti a una scrivania– scherzò Lei. –Ma saprà almeno se i laboratori hanno iniziato qualche nuovo esperimento, nell'ultimo mese–.
Julia scosse la testa. –No, abbiamo già abbastanza studi per le mani e molti non hanno ancora avuto risultati–. Come la ricerca sulla riforestazione. Sospirò.
–Vorrei che mi parlasse del dottor Boskonovitch. Da quanto lo conosce?–.
–Da alcuni anni. Mi sono laureata con lui–.
–Oggi avrei voluto parlare con lui, ma in astanteria mi hanno detto che stava lavorando. Su cosa esattamente? In parole povere, la prego. Non me ne intendo di scienza– disse facendo un occhiolino.
Ciò strappò un sorriso dalle labbra della dottoressa. –Studia le mutazioni genetiche nell'uomo. In particolare come contrastare la formazione di quelle dannose e favorire lo sviluppo di quelle vantaggiose. Sa, a causa delle radiazioni sono diventate molto più numerose di quanto lo fossero nei secoli precedenti e se ne registrano di nuovi tipi in continuazione– spiegò con professionalità. –Si stupirebbe se sapesse quante persone al giorno d'oggi hanno mutazioni non evidenti. Alcuni non si accorgono nemmeno di averle, a meno che non gli si faccia una mappatura del DNA. Altre si rendono conto di avere qualcosa di strano, come capacità che nessun altro ha, e credono che si tratti di una malattia o addirittura di un dono soprannaturale. Ma le chiedo scusa, sto divagando!– disse con lieve imbarazzo.
–Invece è stata una spiegazione interessante, Dottoressa. Ci sono stati sviluppi in questo studio?–.
–Credo che la persona più indicata per rispondere sia lo stesso dottore. Anche se è stato il mio campo per alcuni anni ora mi occupo di tutt'altra cosa e lo aiuto solo di tanto in tanto–.
–Bene, direi che abbiamo finito– disse Lei alzandosi dalla sedia –Mi promette di chiamarmi se nota qualcosa di strano?–. Le porse un biglietto da visita elettronico con sopra lo stemma della polizia.
Julia lo prese e gli diede un'occhiata. Nel giro di qualche secondo l'immagine raffigurata cambiò lasciando il posto a una foto del detective e il numero con cui rintracciarla. L'aria da cittadino onesto che aveva in fotografia le sembrò quasi fatta apposta per ricordarle che aveva appena taciuto delle verità a un pubblico ufficiale.
–Certo– rispose, benché sperasse di non doverlo mai fare.
 
*
 
Sdraiata sulla sua brandina, Kunimitsu fissava il soffito cercando di costringersi a non urlare. Solo il tremito del piede indicava il suo nervosismo.
Non aveva idea di quante ore fossero passate da quando era entrata lì e le avevano portato da mangiare. Aveva dormito, forse un paio d'ore, poi si era svegliata e da quel momento era rimasta perfettamente immobile mentre ondate di panico la sommergevano a intervalli.
Si tirò sui gomiti e alzò lo sguardo su una videocamera che la occhieggiava beffardamente da un angolo. Si ributtò giù con un gemito di sconforto facendo cigolare le molle. Nelle ultime ventiquattro ore le erano successe un sacco di cose che avrebbero potuto tenerle occupate la mente, eppure riusciva a pensare solo a quanto si sentisse in trappola in quel momento.
"Le mie maledette pillole. Sto per andare in astinenza, cazzo". Poi si rese conto che se fosse andata avanti focalizzandosi unicamente su questo pensiero non avrebbe resistito a lungo.
Pensare, doveva pensare ad altro. Provò a recitare mentalmente un mantra di inenarrabili insulti diretti a Yoshimitsu, colui che l'aveva fatta richiudere in quella stanza, e questo parve farla sentire meglio. L'immagine dell'uomo mascherato richiamò quasi subito alla sua mente le parole che le aveva detto. Io sono il leader del movimento ribelle Manji e quello che ti sto chiedendo è, Kunimitsu: vuoi unirti a noi?.
Il suo cuore aveva sussultato a quelle parole in un modo che non credeva più possibile. Per la prima volta da quando suo nonno era morto qualcuno le aveva offerto una forma di redenzione da quella patetica vita da disadattati ai margini della società. Un tempo era stata piena di rabbia, quel genere di rabbia salutare che vorrebbe distruggere ogni cosa per ricominciare tutto da capo e raddrizzare ogni cosa storta. Un tempo aveva bruciato per la fiamma di quella rabbia, ma poi la vita l'aveva fatta soffocare. Aveva smesso di combattere contro ciò che la disgustava, aveva cominciato a trascinarsi nella sua esistenza come un fantasma, aveva conosciuto la droga e se n'era fregata di tutto.
L'unica cosa di cui le importava ancora era Hwoarang. Lui era come lei, anche lui aveva bruciato della stessa rabbia e poi si era spento. Lo conosceva da anni e aveva sempre vegliato su di lui come una sorella maggiore. Per lo meno fino in quel momento: ora che era lei quella nei guai non l'avrebbe potuto più proteggere. Chissà, forse non si sarebbero più rivisti.
Il pensiero la folgorò, ma prima che anche questa preoccupazione andasse a incrementare le ondate di panico, la porta si aprì facendone entrare Yoshimitsu.
Kunimitsu si tirò immediatamente a sedere.
–Oh, finalmente qualcuno si è degnato di farsi vedere!– sbottò lei, evidentemente spazientita. –Che ore sono?–.
–Mi stavo giusto chiedendo perché mi fischiassero le orecchie– scherzò Yoshimitsu sedendosi su una sedia accanto al letto. –È di nuovo notte. Hai dormito a lungo–
–Davvero? Devo aver perso la cognizione del tempo qui dentro–. Era già passato così tanto tempo? Non c'era da meravigliarsi che si sentisse scoppiare. Si chiese quanto ancora avrebbe potuto resistere senza pillole prima di cominciare a stare seriamente male. Si chiese se avebbe dovuto dirlo ma scoprì che esitava all'idea.
–Spero che tu abbia avuto abbastanza tempo per riflettere su quello che ti ho detto– esordì l'uomo. –Sentiti libera di scegliere, non sei obbligata a fare nulla che tu non voglia. Però…–
–Però?–.
–Però ricordati che se decidi di non essere dei nostri non potremo rimandarti indietro finché il compito del clan non sarà esaurito. Personalmente mi fido di te ma il clan non può rischiare che tu ci tradisca, magari senza nemmeno volerlo–.
Kunimitsu annuì a malincuore benché l’idea di starsene chiusa lì un minuti di più le facesse quasi scoppiare la testa. Aveva sentito numerose storie di persone che sotto tortura avevano accusato perfino i propri familiari innocenti. Chiunque sotto tortura sarebbe stato costretto a parlare. –Capisco–. 
–Bene. Allora…–. Yoshimitsu iniziò a parlare con una solennità così estrema da contrastare con la sua persona bizzarra –Ti ho esposto i nostri obbiettivi e ti ho chiesto se volevi servire la nostra causa, la causa di tutti coloro che sono stati schiacciati dal regime. Molti hanno dato la loro vita e molti ancora sono disposti a farlo finché il nostro obbiettivo non sarà stato raggiunto. I rischi a cui va incontro un membro del clan sono i più orribili che una persona possa correre, è bene che tu lo sappia. E di nuovo ti chiedo, Kunimitsu: vuoi far parte del Clan Manji?–.
Non ebbe bisogno di pensarci a lungo. Quelle parole risvegliariono la fiamma della rabbia sopita dentro di lei, le dissero che il suo cuore non era ancora morto. Kunimitsu si rese conto che aveva sempre saputo la risposta. –Sì–.
–Bene!– esclamò Yoshimitsu battendo le mani con gioia e distruggendo in un secondo la solennità del momento. –Sono davvero contento della tua scelta! Ora non ci resta che metterti alla prova–. Scattò in piedi.
–Prova? Quale prova!?– chiese una stupita Kunimitsu. Quando c'era di mezzo quello squilibrato le sorprese non finivano mai.
–Il resto del clan ancora non ti conosce e deve giudicare se sei degna di farne parte. Ogni vita è preziosa e ogni membro del clan rischia di perderla in ogni missione. Perciò per il loro bene non possiamo accettare persone che rischierebbero la loro vita inutilmente–.
–Per esempio?– chiese la kunoichi con un cattivo presentimento.
–Per esempio persone troppo giovani o che non sono in grado di combattere, niente malati, niente invalidi. Nessuno che dipenda da alcol o droghe sintetiche–.
Kunimitsu si sentì sbiancare sotto la maschera. Se prima si era chiesta se avrebbe dovuto parlare del suo problema con le pillole ora sapeva che non poteva assolutamente farlo. Se lo avesse detto sarebbe rimasta lì a marcire come in una prigione, la fiamma si sarebbe spenta di nuovo e il suo cuore sarebbe morto di nuovo. Non voleva più essere messa da parte. La testa prese a girarle.
–Mi… mi sembra giusto–.
–Bene, verrò a trovarti fra qualche ora– disse Yoshimitsu e fece per andarsene ma si fermò dopo qualche passo, colpito da un pensiero. –Oh, già…– mormorò rabbuiandosi istantaneamente. –C'è una cosa che dovresti sapere…–.
–Cioè?–.
Il leader del clan Manji si mantenne a distanza di sicurezza, esitante. –Beh, temo che mi ucciderai ma non penso ci sia un modo non traumatico per dirtelo–. Inspirò facendosi coraggio –La Cyberpolizia sospetta che tu sia una terrorista–.
Kunimitsu spalancò gli occhi dall'orrore. –Che cosa!? Com'è possibile? Pensavo mi cercassero solo per la droga!–.
Yoshimitsu abbassò lo sguardo. Strano come quella ragazza lo impaurisse più di un plotone di poliziotti della Squadra Speciale. –Sono riusciti ad avere una mia foto e… beh, ecco… pensano che tu sia me. Ti cercano al posto mio–.
La reazione della kunoichi fu proprio quella che si era aspettato.
–Che cosa?–. Kunimitsu saltò in piedi sul letto come se fosse stata punta da un serpente. –CHE COSA?– urlò con furia omicida. –Vuoi dire che tutte le fottutissime cose che mi sono capitate sono colpa tua, perché sei stato così IDIOTA da farti fotografare dalla polizia!?–.
Yoshimitsu indietreggiò portando le mani avanti. –Ti prego, stai calma! Sei al sicuro finché sei col clan!–.
Kunimitsu strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Era così inverosimile da essere ridicolo. Avrebbe fatto a pezzi quel dannato parruccone e tutto il suo maledettissimo clan. –Io rischio di essere catturata e uccisa, scopro che è tutta colpa tua e tu mi dici di STARE CALMA?!–. Saltò giù dal letto e investì Yoshimitsu come un fulmine. Non ci vedeva più dalla rabbia. Ore e ore di spossante attesa in quella minuscola camera e poi scopriva che era tutta colpa sua. Se fosse morta, se fosse rimasta lì a marcire per sempre, se non avesse più rivisto Hwoarang sarebbe stata tutta colpa sua.
Desiderava solo prenderlo a pugni; e lo avrebbe fatto con immenso piacere, se mentre lo strattonava non avesse cominciato a tremare violentemente. Lo lasciò andare e barcollò indietro, stupita di quello che il suo corpo le stava facendo così d’improvviso.
Respirava velocemente e faticosamente, si rese subito conto di stare iperventilando. Panico o astinenza? Non lo sapeva. Forse tutti e due. Le tempie cominciarono a dolergli come se qualcuno ci avesse piantato dei chiodi, le labbra cominciarono a formicolargli, ogni cosa prese a vacillare sotto il suo sguardo che lentamente si annebbiava.
Cadde in ginocchio e l'ultima cosa che vide prima di svenire fu Yoshimitsu che l'afferrava per le spalle cercando di fermare i suoi tremiti.






*Spolvera le ragnatele* E rieccomi qua coi miei sporadici aggiornamenti!
Che dire di questo capitolo? Non molto avvincente, temo, visto che praticamente è tutto un andirivieni del povero Lei che, ahimé, non ci sta capendo niente, ma tutto ciò è necessario per il proseguimento della storia.
Ed ecco svelato chi è il misterioso personaggio del "caricamento dati in corso". Ma forse non era poi così misterioso, no? Direi che non ho certo un futuro da giallista ma almeno ci si prova, suvvia.


Krisalia Kinomya. Grazie! Kunimitsu ha bisogno di più fan, lo dico sempre (in quanto sostenitrice delle cause perse). Per quanto riguarda Lee...oddio, non credevo che avrei suscitato l'ira di qualcuno <.< Comunque non è mia intenzione dipingerlo come viscido e gigolò, visto che in fondo sembra che sia stata Nina quella a farsi avanti per prima (e come potrebbe Lee rifiutare?). Certamente lo vedo come un personaggio un po' ambiguo, assoggettato a un padre dispotico ma desideroso di rivalsa, ed è proprio per questo che lo trovo interessante e intendo svilupparlo di più nei prossimi capitoli.
Angel Texas Ranger. *inchino* Ma tranquilla che tanto mi sa che appuntamento è una parola grossa!
Nefari. Grazie, è bello sapere che i miei lettori non sono ancora morti di inedia :P
Miss Trent Basta con questi complimenti, potresti creare un mostro! :P Comunque, per quanto riguarda Dragunov... Lol, detto fatto xD A dire il vero quando ho iniziato questa storia non avevo pensato a inserire anche lui, principalmente perché non ho Tekken DR e quindi è un personaggio che conosco poco, ma mi serviva qualche altro agente sanguinario da affiancare a Nina, anche se so già che non sarà mai all'altezza del tuo Dragunov in "Neve e Sangue"!
sackboy97. Ai suoi ordini! 





   
 
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