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Autore: Kameyo    16/10/2022    1 recensioni
Arthur è un giovane grifondoro alla ricerca di avventure. In un giorno di noia s'imbatte in una vecchia porta rossa mai vista prima, la tentazione è troppo forte.
"Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it!
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it
Prompt: Magic School
N° parole: 2715
 


 
La porta rossa
 
 
 
Arthur guardò con timore e curiosità la porticina rossa spuntata all’improvviso davanti ai suoi occhi, era davvero piccola e malandata con un drago dorato al centro. Non l’aveva mai vista prima, nonostante avesse girovagato per quegli stessi corridoi un migliaio di volte, ma se c’era una cosa che aveva imparato durante i suoi anni a Hogwarts era che se finivi da qualche parte – magari a causa delle scale – dovevi seguire la magia.
In realtà, il professor Gaius avrebbe avuto da ridire a riguardo, così come Morgana, Lancelot e tutti gli altri, ma Arthur poteva quasi sentire la voce del preside Kilgharrah che gli rifilava uno dei suoi soliti discorsi criptici e lo invogliava velatamente a rischiare.
Afferrò il pomello dorato e spinse con delicatezza, cercando di fare il meno rumore possibile. Subito lo travolse un profumo di erbe e fiori, un odore che gli risultò familiare e doloroso, anche se non riusciva a ricordare a cosa il suo olfatto lo stesse associando. Entrò nella stanza con cautela e si accorse che si trattava di un vecchio laboratorio, c’erano pile e pile di libri sparse dappertutto, scaffali ricolmi di barattoli e calderoni piazzati qua e là, vide persino un letto dalle lenzuola sgualcite. Si guardò intorno incuriosito e nemmeno si accorse della porta che, da sola, si era chiusa alle sue spalle.
«Oh, un visitatore» disse una voce all’improvviso.
Arthur sussultò ed estrasse la bacchetta spostando lo sguardo in continuazione.
«Chi sei?» domandò.
«Ha! Ma sentilo! Chi sei tu, ragazzo?» rispose un’altra voce, questa volta più gracchiante e stizzita. «Entri in casa d’altri senza permesso e ci minacci pure con quello stecchino!»
Arthur alzò gli occhi verso il soffitto, da dove gli era parso provenisse la seconda voce, e scoprì un gufo marrone che lo fissava torvo con i suoi occhietti gialli.
«Allora? Chi sei? Che cosa vuoi? E posa quella dannata bacchetta, qui dentro non ti servirà a nulla!»
«Sono uno studente» rispose Arthur guardingo. «Sono finito qui per caso. Di chi è questo laboratorio?»
«Uno studente! Uno studente!» urlò il gufo planando per poi posarsi sul tavolo. «Gli studenti qui non possono entrare! Ci sono gli incantesimi di protezione! Chi sei? Parla!»
Arthur gli puntò la bacchetta contro sempre più confuso dalla situazione, dove diavolo era finito? E perché quel gufo parlava perfettamente la lingua degli umani? Chi gliel’aveva insegnata? Era un animagus?
«Sono uno studente!» ripeté. «Le scale mi hanno portato qui e la porta è apparsa!»
«Bugiardo!»
Si sentì un frastuono di libri e pentoloni che cadevano a terra, Arthur trasalì di nuovo e puntò la bacchetta verso la libreria. «Chi è là?!» urlò.
«Metti giù quella bacchetta, Arthur Pendragon, sono solo io» disse la voce che lo aveva accolto, e da dietro la libreria spuntò un uomo anziano con capelli e barba lunghissimi e dello stesso colore della neve. «Sei un po’ in ritardo, lo sai?»
Arthur lo fissò con la bocca spalancata e la bacchetta gli cadde dalla mano, non riusciva a credere ai suoi occhi.
«T-Tu... Tu sei... Sei reale?»
«Tu che dici?»
L’anziano sorrise e gli si avvicinò, i suoi occhi brillarono d’oro e la bacchetta fluttuò a mezzaria davanti ai loro visi. Arthur l’afferrò stupefatto.
«Oh, cavolo! Sei davvero tu, cioè... è davvero lei, signore! Ma come c’è riuscito?!»
«Te l’avevo detto che era stupido!» disse il gufo, poi si rivolse ad Arthur. «Come pensi che ci sia riuscito? È Merlin, per l’amor del cielo! Raddrizza quella cravatta e stai dritto! Non sai come ci si deve comportare in presenza del più potente stregone mai esistito?!»
Arthur passò lo sguardo dal gufo a Merlin e arrossì, rimise la bacchetta nella tasca del mantello e fece una mezza riverenza. Aveva sentito una marea di voci sul fatto che il più grande stregone di tutti i tempi fosse ancora vivo e girovagasse per l’Inghilterra, ma non immaginava che quelle voci fossero vere e che addirittura Merlin avesse un laboratorio proprio lì.
«È vero onore!» disse a voce troppo alta rialzando la testa.
Merlin gli sorrise ancora, ma il suo sguardo era velato di tristezza. Arthur notò che aveva gli occhi di un bellissimo blu e gli parve di averli già visti da qualche altra parte; aveva forse dei discendenti?
«È bello averti qui, Arthur. Ti aspetto da molto tempo.»
«Mi stava aspettando?» chiese sorpreso.
«Oh, sì, da tanto, tanto tempo. Quasi non ci speravo più, sai? Ma finalmente ce l’hai fatta!»
«Ce l’ho fatta?»
Merlin indicò la porta. «A ritrovare la strada. Ho dipinto la porta di rosso sperando che la notassi, ma la tua antica essenza ci ha messo un po’ per tornare a galla.»
Arthur guardò il drago dorato e poi Merlin, una parte di sé non riusciva a capire di cosa l’antico stregone stesse parlando, ma l’altra, quella che aveva riconosciuto il profumo di quel luogo, gli stava letteralmente urlando di aprire gli occhi.
«Antica essenza un corno! Questo qui non ricorda niente! Altro che re in eterno!» borbottò il gufo.
«Anacleto, cosa avevamo detto?» sbuffò Merlin. «Arthur è sempre stato lento per certe cose, bisogna avere pazienza.»
«Pazienza! Pazienza! Passeranno altri millecinquecento anni di questo passo! Dagli un colpo in testa, vedrai come ricorda!»
«Perché dovrebbe darmi un colpo in testa?» chiese Arthur indignato. «E cosa dovrei ricordare?»
Merlin sospirò con un sorriso e lo invitò ad accomodarsi. «Vuoi del tè?» domandò.
Arthur annuì e si sedette. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e per qualche strana ragione si sentiva in conflitto; voleva fare tutto quello che gli chiedeva, ma voleva anche stuzzicarlo e comportarsi un po’ da despota e non ne capiva il perché. E poi, c’erano i suoi occhi. Quello sguardo blu era sicuro di averlo già visto da qualche altra parte e gli provocava un dolore inspiegabile al petto, una malinconia che gli stava facendo venir voglia di abbracciarlo. Perché dovrei voler abbracciare il grande Merlin? E perché cavolo questo gufo non la smette di guardarmi male?!
«Mi scusi, non potrebbe dire al suo gufo di smetterla? Sembra voglia... beccarmi dritto sugli occhi!»
Merlin si sedette e i suoi occhi brillarono ancora, tazze e teiera si mossero da sole.
«Anacleto, se non la smetti d’importunare il mio ospite, ti faccio diventare un uomo.»
Il gufo strabuzzò gli occhi e arruffò le penne. «No! Uomo no!»
«Allora smettila e lascia Arthur in pace, non è colpa sua. Lo sai bene che non è colpa sua.»
Arthur guardò prima uno e poi l’altro in silenzio, c’era decisamente qualcosa di strano nel modo in cui si guardavano e in ciò che Merlin continuava a dire su di lui. Cosa non era colpa sua? E cosa doveva ricordare?
Il gufo non rispose, si limitò a fare un verso strano e a volare di nuovo verso il soffitto, dove era stata appesa una piccola casetta tutta per lui. Merlin ridacchiò.
«Quella minaccia funziona sempre» disse ridendo, poi lo guardò. «Scusalo, non è abituato agli altri umani.»
«Sembra che ce l’abbia con me» rispose Arthur prendendo la tazzina piena di tè. «Perché mi odia? Gli ho fatto qualcosa? Non volevo entrare senza permesso, la porta è apparsa all’improvviso e non ho saputo resistere.»
«Certo che non hai saputo resistere, quando mai l’ignoto ti ha spaventato? Sempre così coraggioso e avventato...»
«Sempre? Mi ha visto altre volte? È un veggente? Mia sorella lo è, è inquietante.»
Merlin stirò le labbra. «Sono tante cose ormai, il problema è che non mi ricordo più chi ero. Ricordo solo...» sospirò. «Ricordo solo chi erano gli altri.»
«Gli altri?» Arthur non riuscì proprio a fare a meno di domandarglielo. Aveva bisogno di sapere, di capire, ma sapere cosa? Capire cosa? Era questo l’effetto che Merlin faceva ai maghi?
Merlin prese la tazzina, ma non per il manico, l’afferrò prendendola in mano, mettendo il mignolo sul fondo, il pollice davanti e indice, medio e anulare sul retro. Un gesto che, Arthur non sapeva come ma ne era sicuro, aveva già visto fare milioni di volte. Ma dove? A chi?
«Perché mi stava aspettando?» chiese, quando si rese conto che lo stregone non aveva intenzione di rispondere all’altra domanda.
«Perché era mio compito» disse, poi i suoi occhi si fecero lucidi. «E perché volevo farlo. Volevo... rivedere il Re.»
«Re?» domandò, poi capì. «Intende... Oh. È per via del mio nome, vero? Una veggente ha detto che sono la reincarnazione del famoso re, ma io non ci credo molto. Sono solo un suo discendente, come tutti gli altri miei zii e cugini e nonni che si chiamano come me.»
«È questo quello che pensi? Credi di essere l’Arthur sbagliato?»
Arthur poggiò la tazzina sul tavolo e trattenne uno sbuffo, odiava quella storia. Da quando era nato tutti non facevano altro che aspettarsi grandi cose, e solo perché una strega svampita aveva detto che lui, proprio lui, era la reincarnazione del grande Re Arthur. Persino Morgana ne era convinta.
«Non ho mai fatto nulla di straordinario e non sono neanche un bravo studente, anzi, sono piuttosto scarso con gli incantesimi. Perché dovrei essere un re?»
Merlin annuì, i suoi occhi però s’illuminarono. «Ma sei bravo sulla scopa e sei il migliore in difesa contro le arti oscure. Inoltre, so che aiuti chiunque ne abbia bisogno e che la tua squadra ti segue senza mai dubitare delle tue decisioni. Non ti sembra già abbastanza?» Posò la tazzina e incrociò le dita ossute sul grembo – Arthur notò che tremavano. «E poi, sei riuscito ad arrivare qui, da me. Nessun altro Arthur Pendragon c’era mai riuscito.»
Arthur si sentì in trappola, qualcosa nella sua testa lo stava braccando, lo stava spingendo a muoversi, a fare qualcosa, ma cosa? Merlin lo guardava in attesa, come se lo avesse appena messo alla prova toccando i giusti tasti dentro il suo cuore. Non ti sembra già abbastanza? Sei riuscito ad arrivare qui, da me. Sì, era riuscito a trovare il laboratorio di Merlin, ma era stata pura fortuna. Le scale lo avevano condotto lì, la porta si era palesata all’improvviso, lui non aveva fatto assolutamente nulla. A parte seguire la magia, seguire l’urlo silenzioso del suo cuore.
«Hai mai fatto sogni strani?» gli chiese Merlin dopo qualche minuto di silenzio. «Posti che non hai mai visto, ma che ti sembravano familiari. Persone, avvenimenti. E... mi hai mai sognato?»
La voce dello stregone aveva tremato, i suoi occhi si erano spostati verso il pavimento e si erano velati di lacrime. Arthur percepì qualcosa spezzarsi dentro di sé, non voleva vederlo triste, non voleva vederlo in uno stato tanto miserabile; era il più grande stregone di tutti i tempi o no?
«In realtà no, mai» gli rispose dispiaciuto, e il suo rammarico aumentò quando vide il suo sguardo spegnersi e un sorriso terribile spuntare sulle sue labbra. «Le avevo detto che non sono io. La veggente si è sbagliata.»
Merlin annuì e a fatica si alzò. «Capisco» disse, come svuotato di ogni energia. «Immagino che la mia magia abbia commesso lo stesso errore allora. Ti chiedo scusa per averti fatto perdere tempo.»
Arthur si alzò di colpo, la sedia cadde per terra, era così che finiva il loro incontro? Solo pochi minuti? Solo allusioni incomprensibili e domande lasciare senza risposta? Non poteva ancora andare via. Non poteva ancora lasciarlo.
«Non lo dica nemmeno! Conoscerla è stato un grande onore! È il sogno di ogni mago poter parlare con lei!»
Merlin mise le mani dietro la schiena, come faceva qualcun altro. «Il sogno di ogni mago è diventare il più potente, non incontrare un fantasma.»
«Lei non è un fantasma. Il mondo magico la cerca ancora, studia i suoi libri, chiunque vorrebbe trovarsi al mio posto.»
«Ma ci sei arrivato tu qui, non chiunque.»
Arthur si ritrovò a non sapere come rispondere. Merlin sembrava nutrire ancora una piccola speranza, non voleva accettare di essersi sbagliato, proprio come la veggente o come il preside o come Morgana.
«Non sono il suo re, signore. Mi dispiace.»
Lo stregone stirò le labbra in una linea dura, la sua magia riempì l’aria, li avvolse entrambi, e Arthur ne sentì la rabbia, la disperazione, la malinconia, la solitudine. Sentì l’amore di un cuore spezzato.
«Allora perché sei identico a lui? Perché hai i suoi occhi? Perché hai la sua stupida faccia da rospo?» la voce di Merlin s’incrinò, la magia sparì. «Perché... Perché sei una testarda testa di fagiolo anche tu?»
Testa di fagiolo.
Cosa dovrebbe significare?
In due parole? Principe Arthur.
Arthur fece un passo indietro. Ricordava quell’insulto senza senso, l’aveva sentito o sognato, non ne era sicuro. Ricordava anche un fazzoletto rosso, delle mani dalle dita sottili, capelli neri, occhi di un blu splendente e... profumo di foresta. Un ragazzo dagli occhi blu che profumava di foresta. Come aveva fatto a dimenticarlo?
Alzò lo sguardo su Merlin, che adesso era accartocciato su se stesso, e sentì il bisogno di stargli vicino, di dargli un pugno sulla spalla o sfregargli le nocche sulla testa. Ma era assurdo. Non si sarebbe mai permesso di toccare un uomo anziano in quel modo, figurarsi un grande stregone. Eppure, gli occhi di Merlin, ora che ricordava, erano identici a quelli del ragazzo.
«Conoscevo un ragazzo quando ero più piccolo, o forse lo sognavo e basta, non mi ricordo. Aveva delle... orecchie davvero grandi ed era un idiota» raccontò con un sorriso. «Stavamo sempre insieme e andavamo in giro per la foresta a cacciare. Lui lo odiava, ma veniva lo stesso. Aveva anche la magia, ma la teneva segreta. Gli volevo... davvero tanto bene, più che a tutti gli altri. Penso... che sarebbe stato contento di sapere che anch’io sono un mago.»
Dal petto di Merlin sgorgò un singhiozzo. Lo stregone chiuse gli occhi e annuì. «Certo che ne sono felice» disse, e sia i suoi vestiti che il suo aspetto iniziarono a mutare. La tunica si accorciò e sotto di essa spuntarono dei pantaloni e un paio di stivali marroni, la barba scomparve e i capelli divennero più corti e scuri.
Arthur guardò a bocca aperta le grandi orecchie e il fazzoletto blu che comparve dal nulla. Il cuore cominciò a battergli più forte e il respiro accelerò, riconosceva il ragazzo che aveva di fronte, era lo stesso dei suoi sogni. No, si disse, è lo stesso dei miei ricordi. Come aveva potuto dimenticarsi di lui?
«Merlin» sussurrò.
La sua magia rispose alla dolcezza dello sguardo di Merlin divampando. Tutto ciò che aveva sognato da bambino tornò in superficie, ogni momento passato insieme a lui divenne nitido, e sentì i loro poteri, la loro essenza, toccarsi. Era quello il vero calore di Merlin?
Merlin allargò le braccia e Arthur si tuffò su di lui, lo strinse nell’abbraccio che non gli aveva mai concesso in passato. La loro magia si fuse e fu come se i loro corpi e le loro anime stessero facendo lo stesso.
«Perdonami. Perdonami» mormorò contro il suo collo. Foresta e fiori selvatici. «Ti ho fatto aspettare così tanto.»
Merlin gli baciò la fronte e non fu affatto strano sentire quelle morbide labbra su di sé, solo giusto. E sarebbe stato giusto anche in passato, se solo uno dei due avesse avuto abbastanza coraggio da fare il primo passo.
«Va tutto bene, sire. Siete tornato, è questo che conta» gli disse poggiando la fronte sulla sua. «Siete tornato da me.»
Arthur gli prese il viso fra le mani. Come aveva potuto dimenticarsi di Merlin? Come aveva potuto lasciarlo da solo per tutto quel tempo? Allo stesso tempo però gli venne da ridere, si erano ritrovati nel modo più assurdo in assoluto.
Rimasero abbracciati in silenzio per un tempo indefinito, sentendo in sottofondo il borbottare di Anacleto che li chiamava stupidi umani, finché Arthur decise che non potevano restare in quel modo per sempre, avevano tante cose da raccontarsi, tempo da recuperare e nuove avventure da vivere. Si sarebbero finalmente baciati? Rise immaginando la faccia che avrebbe fatto Merlin quando gli avrebbe confessato di averlo sempre amato.
«A che cosa state pensando?» gli chiese Merlin sorridendo.
Arthur sfregò il naso contro il suo. C’era tempo, si disse, doveva ancora crescere e diventare alto almeno quanto lui prima.
«Devo dirti una cosa.»
«Che cosa?»
Si staccarono un po’ per potersi guardare meglio negli occhi, e Arthur cercò di fare una faccia seria.
«Sono un mago» disse.
Merlin scoppiò a ridere.
  
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