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Autore: Shichan    28/10/2022    0 recensioni
Shouto è destinato a diventare re e la tradizione vuole che chiunque desideri corteggiarlo abbia un mese intero per farlo senza che lui possa cacciarlo via. Allo scadere del tempo rifiuta, uno dopo l’altro, tutti i pretendenti che Enji sceglie per lui perché non crede nel matrimonio combinato.
Hitoshi, nonostante detesti la nobiltà e la famiglia reale, ha un valido motivo per corteggiare il principe perciò accetta quando gli si presenta l’occasione.

[Royalty!au, TodoShinso; scritta per il BBI12]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hitoshi Shinso, Shouto Todoroki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N/A: questa fanfic è stata scritta per partecipare alla dodicesima edizione del Big Bang Italia, indetto da Lande di Fandom. Per me è stata la scusa perfetta per lanciare la mia otp in royalty!au. A questa storia è collegato un gift fatto da un'altra partecipante ma che, per questioni di spoiler, sarà linkato nell'ultimo capitolo. In tutto, la storia ne avrà tre.
 

 metanoia
the journey of changing one’s mind, heart, self or way of life


«Con permesso.» la voce del servitore suona come nulla più di un semplice congedo, ma alle orecchie di Shouto significa qualche ora di libertà, qualche giorno se sarà fortunato. La posizione composta ed elegante si sfalda nel momento in cui si chiude la porta della sala dove sono soliti accogliere gli ospiti di una certa importanza. Non appena sente il suono familiare, si concede finalmente di rilassare la schiena e lasciarsi andare contro la poltrona. 

Chiude gli occhi per qualche secondo, riaprendoli quando un piccolo sbuffo divertito rompe il silenzio. Il suo sguardo vaga verso un punto preciso alla propria sinistra: lì, intento a camminare verso il comodo divano di fronte alla poltrona su cui siede Shouto, c’è Midoriya Izuku. Agli occhi del regno non è che “l’amico del principe Shouto”, ma ai suoi Izuku appare come un salvatore. Nonostante il diretto interessato non si sia mai considerato tale. 

«Non dovresti ridere del tuo principe.» finge di redarguirlo, ma il tono stanco e la poca convinzione non rendono affatto credibile il rimprovero. Infatti Midoriya prende posto e mantiene il suo sorriso divertito, sebbene la sfumatura di gentilezza tipica di lui non lo abbandoni mai.

«L’ultima volta mi hai sgridato dicendo, e cito testualmente, “prima di essere il tuo principe sono il tuo amico d’infanzia”.» sottolinea Izuku, la cui memoria è sempre stata eccezionale, per sfortuna di molti.

«Avevamo dieci anni.» rimbrotta Shouto, solo per sentirsi rispondere: «Quasi undici. E l’hai usato contro di me perché cercavo di impedirti di arrampicarti sulle mura del giardino e scavalcarle per andare al mercato senza scorta.» puntualizza scherzosamente. Shouto si ricorda bene l’occasione: la volta in cui è stato più vicino al rompersi una gamba, cavandosela con una sgridata del suo maestro di spada. Izuku aveva pianto per una buona mezz’ora.

Si guardano, uno di fronte all’altro ora che Izuku ha preso posto sul divano, e un ridacchiare sommesso riempie la stanza. Sarebbe bello avere sempre un’atmosfera così rilassata.

«Ho intravisto sua Maestà il re, quando sono arrivato. Non sembrava di buon umore.»
«Hai ricordi di mio padre di buon umore? Devo essermelo perso, forse ero da un’altra parte.» commenta, più pungente di quanto vorrebbe. Izuku abbozza un sorriso quasi di scuse e Shouto sospira. Sanno entrambi la ragione del malumore del re che, per ironia della sorte, combacia in un certo senso con quella del pessimo umore del principe. Il corteggiamento per l’erede al trono. 

Non è la prima volta che il corteggiamento non porta al risultato sperato dal re e questo non aiuta nessuno: né Enji né Shouto al quale, ogni mese, viene proposto un diverso pretendente. Ormai tutto il regno sa che il principe Shouto ha rifiutato tutti i suoi corteggiatori, dalla ragazza più raffinata al giovane più valoroso. A niente sono valsi gli sforzi di re Enji - e dei suoi consiglieri - nel cercare i migliori partiti che la nobilità potesse offrire: diverse età, aspirazioni, qualità non hanno comunque mai incontrato l’interesse e l’approvazione di Shouto. E, sfortunatamente per Enji, se è vero che il principe non può rifiutare il corteggiamento è altrettanto vero che non può essergli imposta la decisione finale.

«Ho sentito che Hawks ha casualmente consigliato a sua Maestà di lasciarti scegliere il corteggiatore.» dice Izuku, cercando di suonare incoraggiante «Magari questo potrebbe migliorare le cose.» aggiunge. Shouto lo guarda per qualche momento, in silenzio. In più di un’occasione ha pensato che sarebbe stato tutto molto più semplice, se fosse riuscito a innamorarsi di Izuku e se, con il tempo, quel sentimento fosse stato ricambiato. Invece, nonostante l’altro sia stato senza alcun dubbio il motivo per cui Shouto ha intuito di poter essere attratto dai ragazzi, prima che potesse sperare in un suo corteggiamento il loro rapporto aveva già consolidato una propria forma. Dovesse spiegarla a qualcuno, dovrebbe definirla un ibrido tra due fratelli e due compagni d’armi. Sarebbe comunque, in un certo senso, una spiegazione imprecisa. 

«Mio padre non accetterà mai. Il motivo per cui ha proposto lui i pretendenti è perché sa che, se dipendesse da me, non ci sarebbe nessun corteggiamento.» rivela, arrendendosi a godere di quelli che saranno di certo pochi ma preziosi giorni di libertà. 

«Forse spera che, alla fine, ci sarà qualcuno capace di farti pensare “va bene per me”.» tenta Izuku in un - non ben mascherato - debole tentativo di non ammettere che persino lui ha finito col perdere un po’ del suo ottimismo sulla questione. Shouto annuisce vagamente e socchiude gli occhi, con la tacita scusa di voler riposare più la mente del fisico.

Sarebbe tutto semplice se ci fosse qualcosa che non va nei suoi pretendenti. Invece il problema è lui.

*

Se Hawks ha provato a intercedere di nuovo, i risultati possono definirsi disastrosi. Non sono passate nemmeno due settimane da quando ha parlato della cosa con Izuku e suo padre è già riuscito a prendere accordi con qualcuno e combinargli l’ennesimo incontro che lo costringerà a un intero mese di fallimentari tentativi di corteggiamento. 

Shouto abbassa lo sguardo sui fogli della lettera recapitatagli poche ore fa: l’elegante calligrafia occupa poco più di un foglio, in cui Momo gli scrive che il viaggio di ritorno è andato bene ed è contenta del loro aver maturato quella che spera sarà un’amicizia duratura. 

Yaoyorozu Momo è l’unica erede di una delle famiglie più influenti dell’aristocrazia. Shouto ricorda di averla conosciuta quando erano bambini, ma l’occasione di andare oltre una presentazione e qualche parola di cortesia non si è mai presentata prima del corteggiamento del mese prima. Shouto si è stupito nello scoprire di poter essere per lei almeno un buon amico; non è Izuku, ma si è rivelata una presenza piacevole da avere al proprio fianco. Solo, non come consorte. 

Si ritiene comunque fortunato: di rado è capitato di lasciarsi in brutti rapporti con i corteggiatori scelti da suo padre fino a oggi, ma sarebbe sbagliato dire che siano rimasti in buoni. Momo è forse la prima con cui ha la possibilità di mantenere una corrispondenza, l’unica che in una lettera abbia menzionato di apprezzare l’idea di un’amicizia tra loro. Non c’è molto da stupirsi sulle reazioni di chi c’è stato prima di lei – immagina che non piaccia a nessuno l’idea di corteggiare qualcuno per un mese intero per poi essere rifiutati. Prima di Momo Shouto si è seriamente chiesto se, nell’inutile ricerca di una persona con cui passare il resto della vita, non stia invece riuscendo a circondarsi solo di potenziali nemici.

*

La sala del ricevimento è addobbata alla perfezione: lampadari di preziosa fattura a illuminarla, vasi di fiori ad abbellire e profumare l’ambiente, sistemati in modo strategico perché possano lasciarsi ammirare senza essere d’intralcio; tutti rigorosamente bianchi e blu, come il dress code e tema della serata hanno imposto. 

Di fronte alla grande porta d’ingresso della sala, attraversandola per intero, siedono il re e due dei suoi figli: Fuyumi, alla sua sinistra, con addosso un abito di un blu notte con un nastro di seta bianca sotto il seno e che lascia alla lunga gonna la libertà di scivolarle morbida lungo i fianchi. Enji, invece, siede al centro con la schiena dritta e l’espressione austera sul viso. I suoi abiti si mantengono su un blu quasi più scuro di quello di Fuyumi, per quanto riguarda la parte superiore comprendente la giacca, mentre i pantaloni sono di un bianco immacolato. Shouto, alla destra di suo padre, ha abiti esattamente opposti: pantaloni blu notte a fasciargli le gambe, una giacca bianca a vestire la parte superiore del corpo. Fuyumi ha insistito perché indossasse anche una mantella blu a coprire la spalla sinistra, un capo che Shouto ha sempre lasciato da parte. L’ultimo regalo fatto da sua madre, o almeno recapitato con un biglietto a suo nome. Risale a due anni fa e Shouto, a essere onesto, avrebbe voluto indossarla in un’occasione più importante di una stupida farsa come l’ennesimo corteggiamento. 

«Sarebbe l’occasione perfetta, se tu non avessi deciso di rifiutare chiunque a prescindere.» gli ha detto Fuyumi ormai ore fa, nella sua stanza «E va bene, Shouto, se senti di non essere pronto. Ma è un peccato aspettare per indossarla. Finirai con l’avere l’occasione giusta quando ti starà troppo piccola.»

Per quanto Shouto, a diciannove anni, dubiti di avere ancora chissà quanto margine di crescita fisica, ha capito cosa intendesse dire Fuyumi. E si è lasciato convincere. Anche se quella mantella, fatta su misura e resa un modello unico grazie alla lavorazione della stoffa, attira fin troppo l’attenzione con quell’effetto ottico a farla sembrare un cielo stellato.

Alla fine ha deciso di non badarci troppo. È comunque destinato ad avere tutti gli occhi puntati su di sé, con o senza mantella. 

«Raddrizza la schiena,» lo richiama Enji con discrezione e fermezza insieme: «sta arrivando.» dice, e Shouto non ha bisogno di chiedere per sapere che si riferisce al suo corteggiatore. Sposta invece lo sguardo davanti a sé, notandolo senza difficoltà: la prima cosa di cui si accorge è che non è un viso familiare e questo, accostato al suo dimostrare più o meno la stessa età di Shouto, è già una stranezza di per sé. È vero che suo padre sta lentamente perdendo la pazienza con questa storia dei corteggiamenti e, soprattutto, dei loro esiti; tuttavia Enji non è il tipo di genitore che sceglierebbe un pretendente senza fare estrema attenzione alle sue origini. Non a caso, finora, Shouto non si è mai trovato di fronte un perfetto sconosciuto.

Il giovane fermatosi davanti a loro rivolge un inchino alla famiglia reale – educato, perfettamente in linea con la tradizione del corteggiamento del loro regno e all’etichetta in generale. A incuriosire Shouto, però, è il fatto che non vada oltre. Inchini come quello tendono a esagerare in eccesso per i motivi più disparati: devi saperli riconoscere, gli ha spiegato Hawks quando ha iniziato a interessarsi alla sua formazione, anche se Shouto non sa perché. 

Più saprai leggere il linguaggio del corpo di chi hai davanti, aveva proseguito Hawks, meno dovrai preoccuparti delle bugie che ti racconteranno.

L’inchino del giovane davanti a lui è cortese, ma è anche meno rispettoso di quanto sembri a una prima occhiata. Non è tipico di qualcuno in soggezione nel trovarsi di fronte al re, anzi. Al di là di questo, però, è un ragazzo come tanti: l’abito blu e bianco rispetta il dress code imposto ed è di buona fattura, anche se non ostenta il pregio dell’alta aristocrazia. Fascia un fisico discretamente allenato. Il suo viso ha dei bei lineamenti, anche se qualcosa nella sua espressione disturba Shouto in un modo che non saprebbe spiegare. I capelli sembrano essere sistemati con cura, pettinati all’indietro, ma ha più l’aria di essere un’acconciatura da occasione anziché naturale.

Il corteggiamento, purtroppo per Shouto, non inizia nella discreta condivisione di uno spazio appartato o durante una passeggiata in giardino, per darsi modo di cominciare a conoscersi. Il primo approccio avviene davanti a tutti, con una presentazione ufficiale e una dichiarazione d’intenti abbastanza inutile, dal momento che persino i muri sono a conoscenza del perché questo ragazzo, Momo prima di lui e chiunque li abbia preceduti abbia attraversato questa sala. 

Shouto osserva davanti a sé e incrocia lo sguardo dell’ennesimo sconosciuto che il mondo si aspetta diventi, in un mese appena, la sua scelta per la vita. O il suo compromesso, se decidesse di arrendersi all’idea che il matrimonio per amore non può esistere.

È un contatto visivo veloce, il loro. Shouto si alza, si muove in modo meccanico verso di lui, scendendo i pochi gradini che li separano. Il giovane lo guarda e gli offre un sorriso cordiale. A Shouto non sembra che raggiunga i suoi occhi, e questo gli dice già più di quanto vorrebbe sapere. Allunga una mano verso di lui e non c’è esitazione nel gesto con cui l’altro gliela prende, con delicatezza, avvicinando il proprio viso finché la sua fronte non ne tocca il dorso. Una promessa di corteggiamento, espressa in una perfetta esecuzione.

«Principe Shouto,» pronuncia con tono pacato, una voce piacevole da ascoltare «mi chiamo Hitoshi. È un onore.» cosa?, si chiede Shouto fissandolo, corteggiarmi? Essere invitato?

Dubita gli ci vorrà meno di una settimana per scoprirlo. Alla fine la motivazione è la stessa quasi per tutti.

«Benvenuto.» Shouto si sforza di riservargli la stessa accoglienza cortese che ha avuto per tutti gli altri:  «Melin faegri cloyen.» lo accoglie, perché così vuole la tradizione. Puoi custodire la mia anima, è la risposta che si dà, la concessione del proprio cuore per il tempo di un corteggiamento. Diventano parole vuote, quando le si ripete senza crederci davvero a una persona dopo l’altra. 

Shouto ormai dubita di avere qualcosa da offrire con quella frase. Anche se la sala la accoglie con uno scroscio di applausi che gli fa venire la nausea. 

*

Alla fine della serata Shouto ha chiare solo due cose: la prima è che Hitoshi ha interesse a far sì che questo corteggiamento vada bene tanto quanto ne ha Shouto – ossia nullo. Per tutto il ricevimento non hanno fatto che scambiarsi poche parole di circostanza, tutte da manuale e nei momenti giusti, con qualche nobile o Fuyumi a portata d’orecchio. Al di fuori di quei momenti, però, non c’è stato altro oltre il silenzio tra loro.

L’altra cosa di cui è certo è che sarà un lungo mese.

*

«Ti aspetti che vada così male?» la voce di Midoriya lo riporta alla dura realtà dalla quale ha cercato di fuggire dopo una colazione non disastrosa, ma discutibile: silenzio completo se non per pochi, generici argomenti tirati fuori da suo padre in un atroce tentativo di suscitare un interesse reciproco che non c’è né in lui, né in Hitoshi. Persino Hawks, presente nella stanza da un certo punto in poi - sebbene non seduto a tavola con loro - ha fatto un cenno quasi impercettibile in direzione del re.

«Non siamo interessati, nessuno dei due.» liquida la questione con un’alzata di spalle «Né al corteggiamento, né a conoscerci. È diverso da Momo.» aggiunge. Quando sposta lo sguardo su Midoriya, lo trova a fissare un punto imprecisato della stanza; lo ha visto perso nelle sue elucubrazioni per troppi anni per non sapere quando è inutile parlargli. Lo lascia ai suoi pensieri, quindi, tenendosi occupato con altro nell’attesa. Un plico di fogli lasciati da Hawks, con in cima uno ad attirare la sua attenzione. Una volta preso tra le mani gli basta leggere poche righe per capire che si tratta di discutibili consigli di coppia, presi e riordinati in più punti, forse riassunti da qualche stupido volume sul corteggiamento tradizionale e con commenti non richiesti. 

Fa schioccare la lingua contro il palato in un verso stizzito, distratto da Izuku quando finalmente decide di parlare: «Dici che è probabile sia il figlio di qualche nobile meno conosciuto, ma ho la sensazione di averne già sentito parlare… forse dovete solo trovare qualcosa in comune.» gli fa notare, con un mezzo sorriso. Se ci riflette con razionalità, Shouto sa di dover almeno essere un buon padrone di casa, ma pretendono faccia molto di più e, anche se Hitoshi non è un diretto responsabile, Shouto vorrebbe che si rifiutasse di restare così da risparmiare a entrambi di fingere gli importi qualcosa. 

«Magari nemmeno lui ha potuto scegliere.» suggerisce Izuku.

Shouto gli fa un cenno del capo che significa tutto e niente; vorrebbe non dover essere lui quello da cui ci si aspetta conforto per gli altri.

*

La biblioteca è diventata presto il posto preferito di Shouto. La prima volta che ci è entrato stava iniziando diverse attività mai fatte prima - lezioni di spada, di storia, di geografia, di lingua, di ballo… troppe cose tra le quali è riuscito a interessarsi abbastanza a tutto senza entusiasmarsi per nessuna disciplina in particolare. Sua madre era già assente da buona parte della sua vita e Shouto aveva la dolcezza di Fuyumi, la forza di Natsuo e un padre da odiare e contraddire in qualsiasi modo possibile e alla portata di un ragazzino. Aveva bisogno di un sacco di cose, allora, soprattutto di un posto per nascondersi: entrò in biblioteca per puro caso.

Il legno degli scaffali e dei due ampi tavoli centrali ha sempre catturato la luce del sole in un modo inaspettato. Mobili scuri tendono a dare l’impressione di essere in stanze piccole e buie ma, complici le grandi finestre e il pavimento in marmo chiaro, Shouto ha sempre trovato la biblioteca del palazzo un luogo accogliente, capace di prendere tutto il suo nervosismo e la sua rabbia e renderli insignificanti come granelli di polvere. 

I giorni di pioggia come oggi, però, li preferisce; certo, deve abbandonare l’idea del sole a filtrare dalle finestre, ma il suo posto preferito acquisisce tutto un altro senso, se possibile, in quelle condizioni. Fuyumi ama ricordargli di quella volta in cui, intorno ai dodici anni e dopo l’ennesimo litigio con Enji, aveva finito con lo sparire per ore mandando nel completo panico ogni singolo servitore lì a palazzo. Lo avevano ritrovato per puro caso, in biblioteca, accoccolato su una sedia contro la finestra. Nemmeno i tuoni lo avevano svegliato. 

Il cielo scuro e carico di nubi sembra quasi brontolare, illuminandosi di tanto in tanto per preannunciare tuoni che ancora si sentono solo in lontananza. La pioggia invece si abbatte contro i vetri delle finestre già da più di mezz’ora. Shouto è riuscito a liberarsi di Hawks - anche se, sospetta, Hawks deve avergli permesso di liberarsi di lui - per sgattaiolare in biblioteca, verso la sua oasi di pace. Da anni, ormai, a quella sedia ne è stata sostituita una più confortevole, è stato aggiunto un tavolino molto più piccolo dei due principali dove Shouto ha studiato giorno dopo giorno. Si trova ancora vicino a una delle finestre, ma a una di quelle laterali, così da essere più nascosto agli occhi di chiunque entri grazie agli scaffali.

Non sente Hitoshi arrivare. Lo vede riflesso nel vetro contro il quale Shouto ha appoggiato la fronte per bearsi del silenzio e della pioggia. Instaurano un contatto visivo e, per qualche istante, si guardano a quel modo senza dirsi nulla. Shouto vorrebbe chiudere gli occhi e illudersi non solo che basti a essere lasciato da solo e in pace, ma anche che non diventi il primo di una lunga serie di indizi per il rifiuto che Hitoshi è destinato a vedersi rivolgere da qui a quattro settimane. Per quanto la tentazione sia forte, non è sicuro di voler essere additato come qualcuno incapace di mostrarsi ospitale: soprattutto se la sua prima impressione sull’altro dovesse rivelarsi giusta. 

Si volta per poterlo guardare direttamente, ma Hitoshi parla prima che possa farlo lui: «È qui che si nasconde l’erede al trono, quindi.»

Non c’è un’accusa nelle sue parole, ma nemmeno comprensione o solidarietà. Shouto non è granché a cogliere le sfumature delle persone, specie quelle molto complesse o molto brave a fingere, come spesso gli ricorda Hawks - che è, ironicamente, il miglior esempio di entrambe le categorie. Shouto forse non saprà mai inquadrare le persone come lui o come Hitoshi, ma gli sembra abbastanza semplice notare un pizzico di provocazione in quella singola frase.

«Chiunque si nasconderebbe dal quarto corteggiamento in cinque mesi.» ribatte, sulla difensiva, del tutto conscio di come suoni quanto detto: scortese. E tutt’altro che ben disposto verso chi dovrebbe corteggiarlo per le prossime quattro settimane. Hitoshi curva le labbra in un sorrisetto lieve, ma divertito; l’espressione sul suo viso, sebbene non meno criptica di come sia stata finora, lascia intravedere una scintilla di interesse. Di sicuro non si sente offeso abbastanza, dal momento che anziché girarsi e andarsene sembra avere tutte le intenzioni di restare. Shouto lo vede guardarsi intorno e sparire dietro uno scaffale, solo per ricomparire poco dopo portando con sé una delle sedie utilizzate ai due tavoli principali della stanza. Lo segue con lo sguardo, senza dire nulla, finché Hitoshi non prende posto di fronte a lui. Gli abiti, più semplici rispetto a quelli della sera in cui sono stati presentati, gli danno un’aria vagamente più amichevole. Almeno finché rimane in silenzio. 

«Di solito in posti come questo non si è così sinceri riguardo al non volere qualcuno tra i piedi, o sbaglio?» lo interroga Hitoshi, guardando fuori dalla finestra.

La sua domanda suona a metà tra una battuta e una sincera curiosità. Shouto lo studia, cercando di capire da quale lato pensa di più l’ago della bilancia. Alla fin fine, però, non fa davvero tutta questa differenza per lui. 

«In posti come questo» ripete usando le sue stesse parole «lo dici come se tu fossi abituato a un altro tipo di luogo. Ma mio padre non sceglierebbe qualcuno di esterno alla nobiltà.» fa notare, a sottintendere di non provare neanche a mentire su questo. Gli dà del tu, saltando a piè pari la formalità avuta fin dall’inizio con Momo, mostrandole un rispetto diverso. Momo, però, non sembrava cercare qualcosa in lui da usare a proprio vantaggio; Hitoshi invece sembra non fare nulla per nascondere quell’intenzione.

«Vostro padre,» replica Hitoshi con un’educazione impeccabile quanto artefatta «è rinomatamente un uomo incapace di accettare un “no” in risposta e il fatto che quel “no” arrivi da suo figlio, mese dopo mese, su una questione importante come il matrimonio del suo successore lo rende più incline alle sviste.» fa notare, puntando lo sguardo su di lui: «Non a caso, rispetto all’erede degli Yaoyorozu, io sono di un ceto molto diverso.»

Shouto rimane in silenzio, ma non perché non lo stia ascoltando, tutt’altro. Parte di lui è quasi colpita dal modo in cui il giovane parla del re in toni che nessuno oserebbe usare; dall'altra non capisce quante bugie e quante verità ci siano nelle sue parole. È vero che lui stesso non ricorda il nome di Hitoshi o di averlo mai incontrato prima in occasione di qualche ricevimento, però.

«Quindi?» domanda Shouto con cautela. Hitoshi sembra sorpreso nel sentirglielo chiedere - Shouto immagina si aspettasse altro da lui. Forse, riflette, è meno complicato di Hawks.

«Quindi penso vi stiate preoccupando per niente, principe.» lo sente rispondere. Nota la sua postura cambiare, farsi più rilassata; a modo suo Hitoshi sembra del tutto a suo agio, nonostante se ne stia lì, ospite da troppo poco per essersi già abituato. Nemmeno Shouto sente di avere quella naturalezza tra le mura di un posto che lo ha visto crescere. 

«Vedete,» pronuncia «non ho molto più desiderio di sposare qualcuno che non conosco di quanto ne abbiate voi. Ma, come ho detto, il re non è qualcuno di cui puoi rifiutare un invito che suona più come una concessione di immenso onore per essere stato scelto. Io sono in debito con una persona al punto da accettare di stare qui per un mese e corteggiare l’erede al trono, se necessario, pur di non crearle dei problemi.» spiega, come se fosse una seccatura ma qualcuno dovesse pur fare questo sporco lavoro e a lui costasse meno che ad altri: «Tanto più se il principe è famoso per rifiutare chiunque gli viene presentato, sempre e comunque.» aggiunge, un sorrisetto sghembo a piegargli le labbra.

Shouto sente di avere sentimenti contrastanti – in larga parte il sollievo di non dover fingere di essere interessato è un grande cambiamento e di certo più gradito di quanto lo stesso Hitoshi possa immaginare. È la prima volta, però, che Shouto ha davanti qualcuno il cui interesse principale è non essere scelto da lui.

Dà un’occhiata fuori dalla finestra: gli alberi hanno preso ad agitarsi di più, preannunciando finalmente l’effettivo scoppio del temporale che Shouto si aspettava da un po’. Si tira appena indietro con la sedia, così da alzarsi più agilmente. Percepisce lo sguardo di Hitoshi su di sé, ma non lo ricambia se non quando lo sente sbuffare divertito: «Potrebbe ordinarmi di congedarmi, sa?» gli fa presente. Shouto soppesa la cosa, non perché abbia l’idea di tornare seduto e di farlo, ma per decidere come rispondere, togliendosi di dosso la sensazione che qualunque cosa dica possa diventare un’arma per Hitoshi.

«Posso anche decidere di andarmene.» ribatte infine. 

Non si trattiene per vedere l’espressione dell’altro.

*

Il grande orologio a pendolo della stanza in cui, per anni, ha portato avanti i suoi studi - quando non passava il tempo nella biblioteca - continua a riempire l’aria di suoni sempre uguali. Tra questi ci sono anche il grattare della punta della penna contro il foglio e il picchiettare ritmico del piede di Fuyumi contro il pavimento, in uno dei punti liberi dal grande tappeto che funge da arredamento principale alla stanza. Shouto la guarda di sbieco quando è abbastanza sicuro di non essere colto in fallo, ben consapevole di cosa potrebbe significare incrociare gli occhi di sua sorella in questo specifico momento. Per sua sfortuna se c’è qualcosa che né lui né Natsuo sono mai stati capaci di fare, è spuntarla con Fuyumi. Potrebbero, certo, se volessero e se si trattasse di una prova di forza con la spada o di conoscenze specifiche di un’educazione maschile non ritenute necessarie per sua sorella. Purtroppo per entrambi Fuyumi li supera di gran lunga in due capacità in grado di rendere molto semplice la vite di corte, ma che in pochi sanno padroneggiare come lei: l’arte della pazienza e quella di superare entrambi in testardaggine quando qualcosa non rientra nella sua sfera di giustizia.

Al momento il modo in cui Shouto sta casualmente evitando Hitoshi deve aver attirato troppo l’attenzione; a sua discolpa, non l’ha proprio nascosto quindi non è da considerare un vero fallimento. 

«Shouto, non potrai evitare di alzare lo sguardo per sempre.» la sente dire, un sospiro mal celato ma nel quale riconosce con discreta precisione quanto lunga la battaglia potrebbe essere. Fuyumi non sembra nemmeno lontanamente vicina a stancarsi di avere a che fare con un muro. Una parte di lui è molto orgogliosa di questo aspetto di sua sorella, consapevole di quanto l’abbia aiutata a rimanere il perno di una famiglia quando era ancora troppo giovane perché ci si aspettasse sul serio che lo fosse. Dall’altra, se la cosa gli si ritorce contro come ora, crede che il suo orgoglio di fratello minore vacilli molto. 

«Non puoi saperlo,» mormora, certo di essere ascoltato «sono molti documenti.»  

Di fronte a lui, Fuyumi sbuffa in quel modo tipico con cui cerca di non farsi sfuggire una risatina per mantenere il cipiglio severo del momento. Per un istante Shouto pensa che potrebbe quasi scamparla.

«Immagino di sì.» dice all’inizio, illudendolo di sentirla alzarsi per lasciare la stanza. In un certo senso lo fa – si alza, muove diversi passi ma anziché verso la porta lo fa verso il tavolo in legno dietro il quale si trova lui. Shouto alza lo sguardo proprio quando le mani di Fuyumi si poggiano sulla superficie lignea, non con violenza ma con fermezza. Si ritrova a instaurare un contatto visivo con lei d’istinto, prima di rendersene davvero conto. È troppo tardi per evitarla, ormai.

Fuyumi lo fissa in silenzio, cercando sul suo viso qualcosa che Shouto non sa nemmeno se sia davvero lì, nonostante lei sembri sempre trovarla: un segno, un accenno di espressione, un pensiero non nascosto a dovere. Alla fine sospira, piano, e i suoi lineamenti si ammorbidiscono spazzando via la severità e lasciando lo spazio alla comprensione: «Quel ragazzo continua ad andare in biblioteca e a rimanerci da solo da tre giorni. Tu sono tre giorni che rimani chiuso qui per fare cose a cui di norma ti dedichi in biblioteca. Non fingiamo tutti e due, non si tratta di una coincidenza. È davvero così terribile?»

Shouto aggrotta le sopracciglia, mostrando involontariamente un accenno di broncio; quello sembra sufficiente per Fuyumi, al pari di una risposta. 

«Non mi piace.»
«Nessun pretendente ti è mai piaciuto abbastanza finora, Shouto…» suggerisce con più gentilezza possibile Fuyumi. Forse lei percepisce prima di lui quanto la presa di coscienza e l’incapacità di ribattere qualcosa di sensato e razionale lo innervosisca, perché una delle mani si sposta per andare a posarsi in parte sulla sua. Ci vuole poco a Fuyumi per sfiorargli il dorso con la punta dell’indice, disegnando piccoli cerchi, nello stesso modo con cui lo aiutava a distrarsi dal ricordo di brutti sogni così da farlo riaddormentare più velocemente quando era bambino e gli mancava sua madre. Agli occhi di Fuyumi deve sembrare ancora lo stesso.

«Ascolta, Shouto,» riprende lei con fare confortante «prova a parlare con lui. Non devi avere paura che possa piacerti. Potreste sempre essere amici, com’è successo con Momo, e nessuno ti giudicherà se alla fine di questo mese di corteggiamento avrai un amico in più e un pretendente in meno.» gli assicura, cercando di nuovo un contatto visivo con lui per rivolgergli un sorriso incoraggiante ed essere sicura di essere vista. Lui non glielo nega, ma non può tenersi per sé un amareggiato: «Nessuno tranne il re e più di metà del regno, aristocratici compresi. Tutti quelli che si aspettano io smetta di fare il bambino.»

Fuyumi lo guarda con attenzione e un lampo di consapevolezza nel suo sguardo viene nascosto con prontezza; Shouto sa quanto sua sorella possa essere impietosa di fronte a chi minaccia in qualsiasi modo i membri della sua famiglia e quanto cerchi di non mostrarlo né a lui né a Natsu, così da risparmiargli qualcosa di cui preoccuparsi. 

«Lascia che parlino, allora.» dice con un rinnovato sorriso «Sarai re, Shouto, presto o tardi. Con o senza qualcuno a regnare al tuo fianco. Sarai un re giusto, perché hai un animo gentile, e nessuno potrà dirti cosa sarebbe meglio tu facessi. Soprattutto, nessuno potrà giudicare come deciderai di vivere e non oseranno farlo nemmeno adesso. Presto anche nostro padre lo capirà.» gli assicura.

Shouto non crede nella capacità empatica di Enji, ma vuole credere nelle promesse di sua sorella. Ciecamente.

*

Quando sente bussare alla porta Shouto non ha bisogno né di alzare lo sguardo né di provare a indovinare di chi si tratti: da quando ha mandato uno dei servitori a portare un messaggio a Hitoshi - un invito, per essere precisi - non ha fatto che fissare la porta in attesa. Si è ripetuto che questo sarebbe stato l’unico tentativo da parte sua: un singolo invito, una sola possibilità offerta. In caso di rifiuto, non sarà più un suo problema per il resto del mese di corteggiamento. Potrà dire a Fuyumi di averci provato e non sentirsi in difetto; poi evitare Hitoshi per il resto del tempo sarà la logica conseguenza e non dovrà sentirsi in dovere verso nessuno.

La porta si apre e il servitore rimane sulla soglia. Gli rivolge un inchino e pronuncia un: «Hitoshi-sama vi attende al piano inferiore.»

*

Hitoshi lo aspetta in fondo alle scale e Shouto non riesce a indovinare dalla sua espressione se l’invito sia stato accettato per costrizione o per reale, seppur minimo, interesse. Nemmeno quando Hitoshi lo nota arrivare e si volta completamente verso di lui. Lo vede almeno sforzarsi di accoglierlo con un mezzo sorriso e, si dice tenendo a mente le parole di Fuyumi, deve fare la sua parte. Così scende gli ultimi gradini e lo affianca; Hitoshi non perde tempo in convenevoli a cui, a questo punto, non crederebbe nessuno di loro due.

«Deve preoccuparmi questo invito? Dove mi portate, principe?» lo sente domandare. Shouto lo guarda di sottecchi, prima di fare un gesto verso lo stesso servitore a cui aveva affidato il suo messaggio, congedandolo: «Nella sala torture.» replica però, per non restare in silenzio e risultare scortese, invitando Hitoshi a seguirlo con un cenno della mano prima di incamminarsi. L’altro lo studia per qualche attimo, prima di iniziare a seguirlo, e Shouto lo sente dire «L’aspetto inquietante è che non riesco a capire quanto seria sia l’affermazione.»

Questo, Shouto lo ammette almeno a se stesso, lo soddisfa abbastanza da migliorare un po’ il suo umore. Il tragitto non è particolarmente lungo né complesso e Shouto lo ha percorso così tante volte da non aver bisogno di guardare dove stia andando. Nonostante questo, non intrattiene l’ospite con racconti di macabri aneddoti né niente di simile. Si limita a guidarlo per i corridoi stretti e arredati poco e nulla, rispetto all’area principale del palazzo; non si raccomanda di fare attenzione ai gradini quando ne incontrano alcuni, visto che l’illuminazione è buona e gli scalini davvero pochi e ben lontani dall’allungarsi verso improbabili celle sotterranee. Non incrociano anima viva, però, e Shouto si ferma a pochi passi da un pesante portone in legno massiccio. Nulla a che vedere con quello d’ingresso al palazzo naturalmente, né per dimensioni né per difficoltà nell’aprirlo da soli, ma nel complesso l’effetto non è accogliente. Solo allora rivolge uno sguardo aperto a Hitoshi, di fianco a lui, quasi a sincerarsi del suo essere pronto. 

L’espressione di Hitoshi non tradisce alcuna emozione, ma Shouto si fa bastare la rigidità della sua postura. Poggia una mano sulla porta e spinge, sentendola muoversi molto più facilmente di quanto ci si potrebbe aspettare, senza fare eccessivo rumore. Shouto non sa se Hitoshi stia provando a celare la sorpresa e quanta, ma gli fa piacere notare che non ci stia riuscendo del tutto. D’altronde immagina che nessuno si figurerebbe mai una cucina al posto della sala torture promessa. All’interno diversi servitori indaffarati si voltano in loro direzione e, nel notare di chi si tratta, Shouto li vede fermarsi uno dopo l’altro e aprirsi in ampi sorrisi come in un curioso effetto domino. Shouto avverte il proprio corpo rilassarsi, una rara occasione per lui, e per una volta non gli interessa che qualcuno – Hitoshi in questo caso – lo possa vedere. A tutto il resto del mondo potrà suonare assurdo o improbabile, ma le cucine sono e sempre saranno il suo posto preferito insieme alla biblioteca. 

«Principe Shouto» la voce allegra di una delle cameriere più grandi lo accoglie come farebbe qualcuno di famiglia che rivede dopo fin troppo tempo il nipote preferito «siete in fuga? Dobbiamo sbarrare le porte delle cucine? O lasciamo tutto il castello a digiuno?» domanda senza nemmeno celare l’entusiasmo e la complicità di chi non faceva che proporre le stesse cose quando lui era solo un bambino, e andava davvero in cerca di un rifugio. Tra le altre cameriere e le aiuto cuoca si scatenano risolini divertiti, mentre il capo della servitù – Haneda-san, già adulta nei ricordi d’infanzia di Shouto e dei suoi fratelli – dà un colpetto di ammonimento sulla spalla dell’altra. 

«Ci sono ospiti.» la redarguisce, accennando a Hitoshi. Gli altri sembrano registrare la sua presenza solo in quel momento, lanciandogli occhiate curiose. Shouto lo lascia in loro balia per qualche secondo, per poi decidere di essere una brava persona e risparmiargli scomode domande: «È il corteggiatore di questo mese.» lo presenta infine. Dal fondo della cucina, un punto poco precisato, arriva un «Lo avveleniamo?» sul quale Shouto finge di riflettere, lo sguardo su Hitoshi. Cerca anche di rivolgergli un sorrisetto come ne sono stati rivolti a lui, per essere più credibile – ma sa di essere tremendo in queste cose e abbandona l’intento quasi subito: «Per ora no.» concede. Contro (quasi) ogni previsione lo sente sbuffare divertito ma quando lo guarda trova la traccia di qualcosa di genuino nella sua espressione, anziché l’ostentata arroganza vista finora.

«Come ho detto» pronuncia Hitoshi guardandolo apertamente «non sono affatto sicuro di quanto voi stiate scherzando e quanto, invece, siate serio.»

Shouto decide di lasciargli il dubbio ancora per un po’, mentre si muove tra i tavoli da lavoro con una familiarità che non dovrebbe avere e invece ha. Sente Hitoshi muoversi dietro di lui fino a un tavolo più sgombro e addossato al muro per un lato; Shouto si siede sull’unica panca disponibile e lo invita a fare lo stesso. Quando sono entrambi accomodati, i servitori riprendono a muoversi come una macchina ben collaudata alla quale è stata ripristinata l’energia. Per quanto lo riguarda, potrebbero restare lì in silenzio per un tempo indefinito e Shouto si sentirebbe molto più soddisfatto che dopo una conversazione forzata.

Quando sbircia lateralmente per osservare Hitoshi con quanta più discrezione possibile, si stupisce nel trovarlo intento a osservare con vivo interesse la servitù. Non c’è nulla del modo in cui un aristocratico studia il loro lavoro per calcolarne il valore, ma c’è qualcosa nel suo sguardo che somiglia alla nostalgia. È un barlume sfuggente e si perde sotto strati di chissà cosa quando Hitoshi si accorge di essere osservato e rivolge a lui la sua attenzione. 

«Devo ammettere» pronuncia «che è la prima volta che l’oggetto del mio corteggiamento mi porta nelle cucine. Strano romanticismo.»

Mentre lo ascolta, intorno a loro tutti si muovono senza che la loro presenza li intralci. Da che ha memoria di piccole fughe in cucina, Shouto non ricorda una sola occasione in cui Haneda-san e gli altri abbiano visto in lui un impedimento. Il modo in cui ognuno di loro, anche adesso, fa avanti e indietro cosciente di averlo lì con Hitoshi senza mostrare il pensiero fisso di uno scomodo il principe è qui è e sempre sarà una delle cose preferite di Shouto. Anche come del semplice pane e formaggio viene offerto a lui e Hitoshi, quasi fossero due bambini venuti a reclamare la merenda di nascosto. 

«Mia sorella.» dice, neanche fosse la risposta a una muta domanda che Hitoshi non ha mai posto. Lui però non chiede chiarimenti, aspetta e basta, finché Shouto non parla di nuovo. Mantiene lo sguardo davanti a sé, su persone che lo chiamano “principe” come se fosse un nomignolo affettuoso anziché un titolo che lo fa sentire in gabbia.

«Fuyumi dice che forse anche tu qui ti senti costretto e potremmo essere amici. E, in ogni caso, che il primo passo dovrebbe essere il mio.»
«Per questo mi hai portato in cucina?» domanda Hitoshi ma, stavolta, a Shouto non sembra cogliere sarcasmo nella sua voce. Nota solo che anche l’altro ha abbandonato la formalità, dandogli semplicemente del tu.

«Ti ho portato in uno dei miei posti preferiti dove non porto nessuno tranne Fuyumi e Natsuo.» lo corregge Shouto. Rimangono in silenzio per un tempo molto lungo, circondati solo dai rumori della cucina e dal vociare di chi la occupa. Quando Hitoshi parla di nuovo, pane e formaggio tra le mani, non dice nulla di quello che Shouto si aspetta.

«Tua sorella sembra una brava persona.» lo sente pronunciare con tono morbido. Shouto non gli risponde, lasciandolo mangiare in pace, ma si concede un sospiro leggero.

*

Shouto osserva il messaggio tra le sue mani e riconosce senza problemi la scrittura di Midoriya, per lui familiare quanto quella di Natsuo o Fuyumi. In genere loro non si scrivono, specie considerato che le visite del suo amico d’infanzia sono permesse per tutto l’anno e senza invito dal re in persona; nel tempo e con l’aumentare di impegni e responsabilità per Shouto, però, hanno concordato un punto specifico della stanza in cui di solito passano il tempo insieme per lasciarsi brevi messaggi, nel caso in cui la permanenza di Midoriya sia breve e non coincida con un momento in cui Shouto può liberarsi dagli altri colloqui per lui. 

Sono poche righe, quelle lasciate da Izuku, in un vago accenno all’aver parlato con Fuyumi e mi ha detto che negli ultimi giorni va meglio con il tuo ospite, insieme a qualche altro accenno a questioni di poco conto. Shouto fissa quelle parole e può quasi immaginare sua sorella fare un piccolo resoconto a Izuku – Shouto sa che è mossa dalle migliori intenzioni, felice di vederlo evitare di chiudersi completamente. Mentirebbe se dicesse di aver sbagliato a seguire il consiglio di Fuyumi o che non abbia portato a dei risultati.

Ormai Hitoshi è loro ospite da quasi due settimane e, sebbene siano ancora lontani dal potersi considerare qualcosa di simile all’essere amici, Shouto ha notato che dalla loro breve fuga nelle cucine qualcosa in Hitoshi sembra essersi ammorbidita, anche se solo un po’. Anche se appena sufficiente ad avere conversazioni banali e niente di più. 

È difficile per lui capire il giusto senso della distanza con un ragazzo; con Momo l’etichetta e quanto considerato appropriato e rispettoso nei confronti di una giovane donna non impegnata hanno segnato confini ben precisi e spianato la strada per lui. Ma Hitoshi è un uomo e gli unici uomini a cui Shouto è vicino sono suo fratello - il quale dunque non fa testo essendo sangue del suo sangue - e Izuku, al suo fianco da troppi anni e suo amico da un’età in cui è tutto molto più semplice. Shouto ha ammesso a se stesso di aver iniziato a pensare che Hitoshi potrebbe essere un’amicizia interessante.

Il modo giusto per passare da “conoscenti che in teoria dovrebbero corteggiarsi” ad “amici” è tutt’altra questione, però.

*

«Facciamo una pausa, principe.» dichiara il suo istruttore e Shouto si limita ad annuire. Abbassa la spada per poi rinfoderarla, sistemando distrattamente la manica della camicia leggera della sua tenuta da allenamento. Lo sguardo si sposta verso sinistra, mentre nel suo campo visivo rientrano sia Hitoshi sia il servitore intento ad avvicinarsi per offrirgli un panno con cui asciugarsi il sudore. Shouto non si definirebbe distratto dal fatto che per buona parte del suo allenamento Hitoshi abbia più che altro chiacchierato con un servitore, ma parte di lui non può fare a meno di domandarsi il motivo o l’argomento di conversazione. D’altra parte lo sguardo del giovane servitore - quattro o cinque anni meno di lui, a occhio e croce - non tradisce altro che ammirazione nel posarsi su Shouto. 

«Shouto-sama» lo chiama questo, offrendogli il panno pulito tenuto tra le mani finora «è vero che siete il più forte tra i nobili della vostra età?» domanda, pendendo dalle sue labbra. Shouto sente ridere il suo istruttore, un uomo con sulle spalle l’esperienza di troppi combattimenti per contarli, un po’ come le cicatrici su tutto il corpo. 

«Sua altezza sarebbe un soldato perfetto se gli scontri all’ultimo sangue lo motivassero un terzo di quanto motivano un giovane medio della sua età. Ma il nostro principe è come una diga, il che lo rende un potenziale ottimo regnante e un pessimo soldato.» fa notare, schietto come solo un uomo che lo ha cresciuto più di quanto abbia mai fatto suo padre potrebbe permettersi di essere. Shouto abbozza persino un sorriso, consapevole delle buone intenzioni dietro quelle parole e offrendo in risposta un: «Per questo è mio fratello Natsuo a essere nella Guardia Reale e non io.» al quale l’istruttore commenta con qualche aneddoto per lui già sentito e che lascia si perda nel nulla, più interessante per l’ospite di quanto possa essere per lui. Occupa il proprio tempo tamponando il sudore sulla fronte e sul collo, liberando la pelle dai capelli umidi che vi si sono appiccicati poco prima. 

Adesso, nota, l’attenzione di Hitoshi è su di lui. L’espressione altrui è rilassata, forse appena incuriosita, ma indovinare da cosa è fin troppo complicato e Shouto non pensa di voler nemmeno provare. Non quando può semplicemente chiedere.

«Ti interessa l’allenamento con la spada?»
«Non mi ci sono applicato più del minimo necessario.» confessa Hitoshi con una vaga alzata di spalle, quasi la questione non lo riguardasse. Shouto ricorda come l’altro abbia menzionato di venire da un contesto tutt’altro che aristocratico, o comunque dove è probabile l’istruzione non includa così tante attività quante quelle a cui si è prestato Shouto fin dall’infanzia, quindi non insiste oltre. Almeno finché non lo sente ammettere candidamente un «Io sono più un uomo di pensiero,» al quale non dà un significato preciso fin quando Hitoshi non fa un cenno del capo verso il servitore poco distante, ora, aggiungendo un più eloquente «e sono bravo ad ascoltare la servitù. Di solito rivelano di una persona più di quanto la persona stessa potrebbe mai dire.»

Shouto non può evitarsi di alzare un sopracciglio, perplesso, e anzi forse nemmeno si rende conto di farlo: «Perché impegnarsi ad arrivare alla servitù quando puoi chiedere direttamente a me?» domanda, ma al contrario di quanto avvenuto nelle cucine stavolta Hitoshi è bravo a mascherare qualunque reazione le sue parole possano avergli scatenato. Non offre nulla a Shouto perché lui capisca il suo pensiero in merito – Shouto non si ritiene stupido: sa bene quanto le persone possano mentire, tanto più alta è la loro posizione sociale e quanto più forte è il loro desiderio di renderla inattaccabile. Ma, erroneamente, ha pensato che condividere lo spazio di una cucina tra la servitù avesse detto già abbastanza di sé. Nel suo caso i gesti valgono molto più di parole con cui ha difficoltà a destreggiarsi, se non strettamente necessario in una situazione diplomatica.

Forse Hitoshi deve essere trattato come un nemico da portare dalla propria parte. Shouto lo guarda, ancora in attesa di sentire la sua risposta, e si chiede se non sia lui l’ingenuo inesperto a non aver capito fino a questo momento cosa aveva davanti sotto la maschera di un corteggiatore suo ospite. 

«Solo perché sembri migliore di altri, principe, chi mi dà la certezza che tu non menta?»
«Potresti mentire anche tu.» rimbrotta Shouto, abbastanza deciso a non prestarsi a questo giochetto mentale. Hitoshi sbuffa divertito, alzandosi dalla sedia che è stata predisposta per lui perché potesse osservare con comodità gli allenamenti del principe. 

«C’è qualcuno che non lo fa?» gli fa eco «Per lo status, per nascondere dei segreti, per vergogna. Esistono molte più ragioni per dire bugie rispetto a quelle per dire la verità.» 

Shouto rimane in silenzio e lascia che quelle parole lo colpiscano in pieno, gli trapassino la carne come una lama e gli si piazzino al centro del petto. È un processo quasi ossessivo quello che da bambino ha imparato ad avere per le parole, per capire quanto potessero ferirlo e quanto invece potessero essere ignorate: a un certo punto aveva dovuto trovare il punto esatto in cui farsi colpire, così da limitare i danni al minimo, ed era stato un continuo tentativo per prendere le giuste misure. Cercava con l’immaginazione di creare una situazione che potesse fungere da filtro per un’analisi che un bambino non dovrebbe poter fare in modo razionale, ed era come avere un pugnale che affondava lentamente nella carne e Shouto aspettava. Se gli sembrava che la ferita cominciasse a sanguinare prima che la lama si fermasse, allora quelle erano parole da cui tenersi lontano e da evitare in tutti i modi. Ma se la ferita era a posto, se rimaneva fine a se stessa, se lui non sanguinava affatto allora significava che dopo il dolore immediato non ci sarebbero state ripercussioni ingestibili. Allora non valeva la pena gestire la causa. 

«E i reali hanno così tanti segreti che, alla fine, trapelano anche quando non vogliono o non ne parlano, giusto?» sente aggiungere a Hitoshi, prima di avere una risposta su quanto le sue parole precedenti abbiano colpito un punto scoperto. E nessuna bestia offre il fianco abbastanza da farsi ferire due volte nello stesso punto senza attaccare a sua volta. Shouto si volta, muovendo qualche passo lateralmente verso dove vengono tenute le armi in legno che ormai utilizza pochissimo ma quasi abusate all’inizio, quando si doveva imparare senza rischiare inutilmente. Recupera due spade di legno, lanciandone una ai piedi di Hitoshi. 

«Vediamo quanti ne hai imparati, allora. Ti piace osservare, giusto? Avrai appreso qualcosa di sicuro.» commenta, freddo, dandogli le spalle per tornare verso lo spazio aperto usato per l’allenamento fino a poco prima. Non lo degna di uno sguardo né controlla se il suo invito sia stato effettivamente accettato - ma sente, a un certo punto, i passi sull’erba dietro di lui. 

Riconosce anche l’occhiata del suo istruttore, un misto di curiosità, divertimento e ammonimento. Lo ignora, limitandosi a fermare i propri passi e voltarsi; Hitoshi è, prevedibilmente, a poca distanza da lui con la spada di legno raccolta a terra in mano. Shouto si mette in guardia e aspetta: la postura di Hitoshi, sebbene tradisca l’aver appreso almeno le nozioni base del duello, è più indolente della sua. Shouto non sa se sia una tattica o il massimo che l’altro possa offrire, ma decide di non fare l’errore di sottovalutarlo. Un breve inchino da parte di entrambi, l’incrocio di lame di legno e poi tutti e due fanno un passo indietro in un’evidente scelta dello stesso approccio: una prudente osservazione dell’avversario. A questo punto Shouto nemmeno se ne stupisce più.

Persino Hitoshi deve essere consapevole del fatto che non possono girarsi intorno in eterno. Così, proprio come Shouto prova un paio di affondi calcolati, così fa Hitoshi; a tratti è quasi come duellare con se stessi.

«Quello che fatico a capire di te, principe» parla Hitoshi, al quale evidentemente un duello di allenamento sembra un momento più adatto alla conversazione di quanto potrà mai esserlo una tazza di tè nel pomeriggio «è perché, ogni volta che l’argomento non ti piace, finisci a trincerarti dietro silenzi e proposte brusche, se ti reputi tanto diretto e sincero.» gli fa notare con un sorrisetto sghembo. Tenta un nuovo affondo, ma nella facilità con cui riesce a evitarlo Shouto riconosce una quasi totale assenza di vere intenzioni di colpirlo. Non si stupisce, quindi, di sentirlo parlare di nuovo: «Forse, alla fine, sei come tutti gli altri nobili o proprio come la famiglia reale viene descritta nei sussurri tra i corridoi.»

«Verrebbe da chiedersi perché tu sia venuto fino a qui, a corteggiare qualcuno di cui hai una bassa considerazione.» replica Shouto, tentando un colpo senza troppa convinzione, più interessato a come l’altro lo schiva «Ah, già. Perché il tuo fastidio verso il re non supera la paura di dirgli di no.»

Sente Hitoshi sbuffare divertito e, per una frazione di secondo appena, Shouto cerca il suo viso: «Wow. Era sarcasmo, quello?» chiede l’altro, retorico, compiendo un paio di passi laterali per provare a sbilanciare la guardia di Shouto e colpire. Quel semplice movimento chiarisce a Shouto una provenienza umile da parte dell’altro e la probabilità di un modo di combattere ben lontano dall’etichetta di un duello nobiliare - se riconosce tutto questo lo deve alle origini dell’uomo che l’ha addestrato e il cui stile di combattimento somiglia molto più a quello di un mercenario che a quello di un cavaliere.

«Non sfido un re perché sarebbe stupido e questo re, nello specifico, è famoso per molte cose ma non certo–» continua Hitoshi, interrompendosi per evitare un colpo di Shouto. Lo fa con un saltello laterale ed è una scelta talmente inusuale anche al di fuori degli standard di alcuni mercenari che Shouto reagisce con un secondo di ritardo, sentendo la spada altrui sfiorargli la coscia sinistra: «ma non certo» riprende Hitoshi, un’espressione soddisfatta «per il perdono. Non è di questo che sussurrano i servitori di tutte le casate nobiliari? Del re senza regina, il cui primogenito che ha osato sfidarlo è sparito chissà dove, tanto che sarà il più piccolo a ereditare il trono anche se nella linea dinastica non dovrebbe? Basterebbe ascoltare un’opinione diversa dalla propria per sapere che il regno pensa abbia terrorizzato anche i suoi fig–»

Shouto sa bene quali sono le voci che girano sulla famiglia reale: nessuna confermata, ma nemmeno smentita, suo padre non è mai stato in grado di scovare chi continuasse a far circolare i pettegolezzi né a fermarli. Forse nessuno sarebbe mai stato in grado di farlo. Tra le parole (le provocazioni) di Hitoshi ci sono più verità che menzogne e, in ogni caso, Shouto non ha mai avuto interesse nel cancellare la macchia sulla reputazione di suo padre semplicemente perché ha smesso di tenerci ormai troppo tempo fa. Quella ferita ha sanguinato, e sanguinato, e sanguinato mentre lui cercava di capire come fermare il dolore. Finché quella parte di lui non è morta dissanguata, come un qualsiasi soldato in guerra. Da allora la rabbia ha preso il posto del dolore e suo padre ha smesso di essere qualcosa per cui combattere.

Per questo quello che gli monta dentro in parte spaventa anche lui: perché è rabbia, ma è anche un dolore lancinante - è l’impotenza di Natsuo, la resilienza di Fuyumi pagata a caro prezzo, l’assenza di un fratello che ormai non riesce più a ricordare. Ma, più di tutto, è la mancanza di sua madre. Toccare questo è come affondare una lama nel suo cuore, come uccidere chi ama e aspettarsi che lui rimanga fermo a guardare. È il tipo di odio che pensa provi suo padre e la sola idea di essere come lui–

«Principe! Principe Shouto!»

Fa in tempo a registrare il viso di Hitoshi, paonazzo, e la propria spada di legno premuta contro la gola altrui a mozzare il respiro, prima di sentirsi tirare via di peso dal suo istruttore. Lentamente registra le voci concitate dei pochi servitori presenti, l’uomo che lo trattiene ordinare di scortare Hitoshi nelle sue stanza e chiamare Hawks. 

Ciò che vede Shouto, però, è Hitoshi massaggiarsi la gola offesa, tossire mentre l’aria torna a fluirgli nei polmoni. Questa è la rabbia che a volte sembra consumarlo come il fuoco con la legna, è la stessa ira che ricorda sul volto di suo padre fin dall’infanzia. Questo è quello che sta diventando.

«Principe…?»
«Mandatelo via.» pronuncia, secco, quasi trattenendo il respiro. Anche quando Hitoshi è in piedi e lo sente muovere dei passi verso di lui, forse per accusarlo o schernirlo o - peggio ancora - dirgli che sta bene, nonostante tutto: «Mandatelo via!» ordina, affondando il viso tra le mani.

Questo è ciò che non sarebbe voluto diventare mai.

 
   
 
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