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Autore: NyxTNeko    29/10/2022    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 140 - Armistizio di Cherasco -

27 aprile

I soldati francesi erano ben lieti di poter riposare comodamente, dopo intere giornate di battaglie, sangue e morte. La loro devozione nei confronti del comandante era sempre più forte, per gran parte di loro era quasi comprabile ad un dio della guerra. Non avevano mai avuto un capo così prima di allora: la maggior parte di costoro era analfabeta e non poteva sapere dei grandi uomini del passato a cui spesso Napoleone faceva riferimento.

Ma molti erano rimasti decisamente stupiti dal suo atteggiamento di rifiuto del saccheggio, non potevano davvero credere che quel giovane uomo potesse arrivare addirittura a fucilare dei soldati per qualche furtarello. Alcuni che avevano compiuto degli stupri alle donne del posto erano stati giustiziati alla stessa maniera. Sapeva premiare e punire nel modo giusto e senza esagerare; nonostante l'età dimostrava di essere estremamente maturo su come rapportarsi con loro. Ignari di ciò che gli ufficiali superiori e soprattutto Bonaparte avevano in mente per concretizzare quella vittoria, si godevano ciò che era stato permesso loro di recuperare in città.

Intanto al comandante era giunta la notizia che i plenipotenziari inviati dal Savoia erano quasi arrivati, il cuore di Napoleone prese a galoppare ancora più velocemente di quanto non battesse già in quei giorni. Era eccitato ed emozionato, aspettava questo momento da tanto tempo: poteva agire come desiderava. "Non avere quei direttori tra i piedi è una grande gioia per me" incapace di stare fermo si alzava in continuazione e gironzolava per la stanza in cui si sarebbe firmato l'armistizio. Nel mentre aspettava che la cena venisse preparata in una stanza apposita "Anche se non sono un maestro di galateo, desidero, anzi no, pretendo che gli ospiti siano ben trattati, con tutti i riguardi".

Ci teneva a fare una bella figura con quegli ospiti illustri, sapeva che la voce di quell'armistizio sarebbe girata non solo in Francia, ma anche tra i regni italiani. Esigeva che tutto fosse perfetto, dalla sala da pranzo ai corridoi "È questo che voglio, l'Italia è una terra prodigiosa, aiuterà sia la mia gloria, sia la ricchezza della Nazione" eppure era sicuro che un leggero richiamo delle origini c'era stato. Aveva scelto di diventare francese, però il sangue era quello italico, non si poteva negare.

Sorrise divertito nel pensare che gran parte delle persone che abitavano quelle zone e soprattutto i plenipotenziari avevano dei nomi più francesi del suo "L'ironia del destino" rifletté "Questo dimostra il legame forte della regione della Savoia alla Francia, se non dell'intero Piemonte, per questo la mia proposta di unirlo assieme a Nizza non è azzardata".

Era talmente eccitato da non riuscire a contenersi, era come assalito da un turbine interiore che non gli dava tregua, camminava inquieto, i suoi passi erano ormai abitudine agli orecchi dei suoi subordinati, quel rimbombo diventato familiare - Si vede che è un ragazzo alle prime esperienze da questo punto di vista - emise Massèna, godendosi il meritato riposo su una sedia comoda e morbida dell'ampio salone, che il comandante aveva generosamente concesso - Non lo possiamo biasimare, ha quasi 27 anni...ci farà l'abitudine...

- E poi eravamo partiti con nulla praticamente - aggiunse Augereau di rimando - Adesso siamo qui e chissà dove arriveremo... - ghignò divertito. Chi se lo sarebbe mai immaginato che quel ragazzino fosse talmente pazzo da riuscire a portare un branco di cenciosi scalmanati tra le fertili terre italiane, da vincitori - Di sicuro molto lontano

- Immagino la faccia di quei babbei a Parigi che si stanno rodendo il fegato al pensiero di aver perso tra le mani un'occasione simile - riprese Masséna sistemandosi alcune pieghe della divisa. Poi si alzò in piedi e camminò lungo il tavolino che era al centro della stanza e avanzò lungo l'armadio e ne toccò il ruvido legno.

All'improvviso il passo del comandante si fermò e tutti si guardarono, aspettando che riprendesse la cadenza. Ma stavolta Napoleone si era fermato davanti la finestra e osservava la città, il respiro era frenetico, non doveva farsi trasportare troppo dal sentimento, doveva restare calmo. Quella vittoria non era che un piccolo tassello della strada che doveva compiere, ne era più che consapevole: il percorso era impervio. Per fortuna adorava le sfide e le imprese, specialmente dopo anni di quasi totale immobilità. Iniziava a nascere in lui la cognizione delle proprie capacità, tuttavia, nonostante le pupille dilatante e la soddisfazione, era soltanto l'inizio.

La sua ambizione non era del tutto appagata, anche se il desiderio viscerale di diventare un condottiero al pari di quelli del passato, si stava concretizzando. I grandi uomini sulle cui pagine aveva sognato e adorato restavano sempre guide ed esempi; più volte aveva ribadito ai suoi come fossero stati più bravi di Annibale, circuendo le Alpi, anziché attraversarle con gli elefanti.

Avevano superato già quel temibile cartaginese, il nemico più grande, tenace e spaventoso che i Romani avevano dovuto affrontare e sconfiggere, con grande sforzo e usando strategie vincenti. Nemmeno i barbari negli ultimi secoli dell'Impero Romano o altre popolazioni ostinate erano state tanto ostiche come Annibale Barca; nonostante la predilezione per i Romani, il cartaginese era stato oggetto di studi profondi e meticolosi. Era una fonte di orgoglio per lui aver già superato uno dei maestri, era pronto a farlo con altri che ebbero più fortuna e furono vittoriosi e gloriosi.

Il suo rammarico era di essere nato in quell'epoca, gli ultimi grandi uomini di guerra erano morti; non demordeva però, si sarebbe sempre impegnato al massimo per sconfiggere anche gli Austriaci, non fortissimi, ma che comunque erano un ostacolo per nulla indifferente. Il Piemonte non era sufficiente. Pensando a queste grandezze da realizzare il cielo si era fatto scuro, gli ultimi raggi di sole si erano dissolti e inghiottiti dal buio incombente della notte. Se il mondo si riposava, per lui la giornata iniziava, l'arrivo dei plenipotenziari era ormai prossimo. Il cuore riprese a battere con forza, mancava poco.

Una carrozza si fermò davanti l'entrata principale del palazzo, le guardie che sorvegliavano il palazzo corsero ad avvisare Bonaparte dell'arrivo degli illustri ospiti. Il giovane corso si preparò all'incontro, facendo preparare le ultime cose nella sala per l'armistizio.

All'ingresso, si trovò davanti un generale sabaudo, abbastanza maturo d'età, sulla quarantina, il marchese Joseph-Henri Costa de Beauregard, accompagnato da altri due, il barone Giuseppe Amedeo Sallier de La Tour, il più anziano dei tre e l'aristocratico Sommariva. I tre plenipotenziari si stupirono nel vedere un generale tanto giovane quanto trasandato: l'uniforme che indossava era decisamente logora e rovinata, per non parlare degli stivali e del cappello. I capelli erano poco e mal incipriati, con alcune ciocche che scendevano fino al collo, libere dal codino che si poggiava sulla schiena.

Tuttavia l'istinto suggeriva loro di non sottovalutarlo: avevano inteso fin da quando avevano avuto le prime difficoltà, sul campo di battaglia, che quell'ufficiale, dal nome poco francese, non era comune e soprattutto un individuo da prendere sottogamba. Eseguiti i saluti di circostanza, i delegati si complimentarono per la scelta del palazzo.

- Sì l'ho scelto proprio perché ha rappresentato per secoli un luogo di pace e trattative - spiegò Napoleone fissando il marchese, tutto imbellettato e curato, con la parrucca incipriata nonostante il viaggio e la campagna da poco conclusa e l'uniforme impeccabile - Nonostante il mio ruolo di generale della rivoluzione sono un uomo che desidera rispettare le tradizioni e i luoghi del posto

- Questo è davvero onorevole da parte vostra generale - rispose sollevato il collega accanto al marchese, il barone La Tour, che aveva più o meno sessantaquattro anni - Non è da tutti dimostrare questa sensibilità - aggiunse cercando di non tradirsi troppo. Non persero tempo e subito si accomodarono ai loro posti, posando sul tavolo cartelle, borse e fogli di ogni tipo. Le trattative cominciarono subito: Bonaparte non era il solo a voler concludere in fretta il tutto.

Ai Piemontesi non piaceva girare troppo il dito nella piaga, quella sconfitta era stata qualcosa di talmente rapido e inaspettato che li aveva lasciati storditi. Il re era stato chiaro con loro: cercare di limitare i danni e le richieste più dure. Speravano di poterci riuscire in qualche modo con quel ragazzo. Le loro illusioni si infransero non appena ascoltarono le condizioni a cui dovevano sottostare per accontentare gli Oltralpe: Tortona, Alessandria, Coni e Ceva sarebbero passate ai francesi, così come tutto il territorio che si estendeva tra Coni e tre fiumi, ovvero lo Stura, il Tanaro e il Po. A questi poi si aggiungevano la città di Nizza, che aveva ormai influenza francese e la regione della Savoia, da cui la famiglia regnante proveniva appunto.

In questo modo, con una sola mossa, Bonaparte avrebbe liberato la via tra Piemonte e Francia, garantendo un passaggio più rapido delle truppe, azzerando le problematiche di logistica che vi erano stati fino ad ora. I tre si guardarono e ingoiarono la saliva, quelle condizioni era ancora più umilianti e dure di quel che potevano immaginare. Bonaparte sapeva il fatto suo e sarebbe stato quasi impossibile fargliele alleggerire, anche di poco "Però dobbiamo provarci" pensò Sommariva, mentre guardava dritto negli occhi grigi, grandi e freddi del comandante francese.

Nell'incrociare quello sguardo si sentì quasi oppresso da qualcosa che non sapeva spiegare, una paura s'insinuò nel cuore e l'ansia gli fece quasi perdere il respiro. Era come se si sentisse violato nel profondo del suo cuore, come se quel giovane volesse scoprire le intenzioni, leggendo il pensiero.
Ma doveva provare, non cedere, per il buon nome della diplomazia sabauda ed ebbe il coraggio di dire, con molto garbo e finezza, che forse sarebbe stato meglio rinunciare a qualche fortezza, quelle più superflue.

Napoleone sorrise leggermente, avendo capito perfettamente la strategia che volevano usare e proferì, con quel voluto e malcelato sarcasmo che gli appartenevano - La repubblica, affidandomi il comando di un esercito, mi ha dato credito di possedere abbastanza discernimento su quello di cui ha bisogno l'esercito da non dover ricorrere al consiglio del mio nemico

L'affermazione era inequivocabile: quel giovane comandante non si sarebbe fermato. Ma come avrebbero potuto accettare richieste simili? Dai francesi? Sarebbe stato un disonore e il re avrebbe perso la faccia. Già non era particolarmente amato come sovrano. Dovevano guadagnare del tempo, era l'ultima soluzione che potevano adoperare per farlo desistere su alcune richieste: in particolare quella che riguardavano le piazzaforti di Tortona e Alessandria. E così iniziarono a discutere animatamente, come a voler riflettere sulla portata su una simile richesta.

28 aprile

Napoleone aveva ripreso a camminare senza sosta per la stanza, nel mentre i minuti, le ore passavano e l'accordo sembra non esserci, la velocità iniziale si era arrestata del tutto e se c'era una cosa che non sopportava proprio, era la perdita di tempo. Stranamente, però, non era nervoso, anzi, era incredibilmente calmo: aveva la situazione sotto controllo, seppur rallentata. Raramente gli capitava di sentirsi così tranquillo, almeno apparentemente, l'anima e la mente erano sempre inquieti, eccitati.

La mezzanotte era già scoccata da quasi un'ora ormai e il generale corso, per quanto inspiegabilmente paziente, aveva capito che i rappresentanti piemontesi facevano orecchie da mercante e che tergiversavano sulle sue richieste più dure e intransigenti. Bisognava arrivare alla conclusione il prima possibile, non aveva tempo da perdere, il vantaggio ottenuto doveva essere sfruttato al massimo. Gli venne in mente un'idea che avrebbe risolto la questione una volta per tutte "Anche se non ci sarà nessun attacco, è meglio farli spaventare un pochino".

Poggiato al muro, allungò la mano sottile verso l'orologio tascabile che aveva con sé, lo afferrò, vide l'ora ed enunciò, con estrema ed invidiabile disinvoltura - Signori - si schiarì un po' la voce asciutta e riprese, sempre controllato e in maniera teatrale - Vi annuncio che per le due è ordinato un attacco generale - posò gli occhi sugli interlocutori, in modo che fosse certo della loro attenzione - E se non ho assicurazioni che la fortezza di Coni mi sarà consegnata entro la fine della giornata, questo attacco non verrà ritardato di un secondo - riuscì a trattenere un sogghigno divertito. Non doveva tradirsi per nessun motivo.

I plenipotenziari sussultarono quasi terrorizzati, sudarono freddo, si guardavano l'un l'altro, ingoiarono la saliva rumorosamente e al volo intuirono che era meglio non provocarlo di più - Rassegnamoci o sarà peggio - sussurrò de Beauregard - Abbiamo ben compreso di cosa sia capace con le sue truppe, non riusciremo a resistere ad altro attacco e perderemmo ancora più possedimenti e territori, addirittura Torino e sarebbe la fine

- Avete ragione - rispose il barone La Tour, Sommariva annuì, vinti dall'abilità strategica e dall'intelligenza del nemico. Era balenata l'ipotesi che fosse un trucco per invogliarli a firmare, però non era saggio provocare una belva come quella francese. Per il momento era necessario tenerla buona e farle posare gli occhi sui loro, ormai, ex alleati: gli austriaci.

Non aspettarono un solo minuto e firmarono ogni singola condizione, persino una clausola segreta, con il quale avrebbe potuto utilizzare il ponte sul Po di Valenza. "So che non rimarrà segreta a lungo, ma è proprio ciò che desidero, una volta trapleta la notizia, Beaulieu manderà le truppe a proteggere il ponte, ne sono più che sicuro, anche perché farò in modo che compia proprio questa azione, mentre io potrò attraversare tranquillamente il fiume nei pressi di Piacenza, senza averli come ostacolo e progettare l'attacco contro di loro".

- Posso immaginare che siate affamati dopo una nottata del genere - emise poi cortesemente il generale corso, indicando la stanza che aveva fatto allestire appositamente. Era gentile di natura, tuttavia aveva dovuto attuare una tattica con loro, per testare le loro intenzioni ed ottenere ciò che voleva, ma adesso poteva gettare la maschera e rilassarsi un po' - Prego, sperando che la sobria cena sia di vostro gradimento - rivolse loro un breve inchino e si accomodò al suo posto, capotavola. Voleva ribadire la sua posizione di vincitore.

Per primi vennero serviti i plenipotenziari con del brodo chiaro, due piatti di carne grossolana, del pane militare, ossia nero, poco raffinato e lavorato. Il generale, nonostante non fosse nella sua natura, si sforzò nel mangiare in modo educato, rallentando il suo ritmo. Sempre perché voleva dare buona impressione e dimostrare di essere un militare di altro genere e spessore.

Avvolto in una cesta vi era anche un alimento molto particolare, simile agli attuali tramezzini, che suscitò curiosità e interesse, erano gustosi e nutrienti - Avete un po' di spazio nello stomaco? Perché ora arriva il pezzo forte della serata - e fecero la loro comparsa dei vassoi colmi di meravigliose ciambelle - Un dolce dono da parte delle suore, per dimostrare la loro benevolenza nei nostri confronti - e infatti quel convento non venne toccato dai francesi, assieme alle altre chiese.

Il tutto era accompagnato da un ottimo spumante d'Asti, era stato decantato e, seppur Napoleone non fosse un esperto, ne tantomeno amate dei vini e degli alcolici, assaggiò un po', constatando la veridicità di quanto aveva letto e sentito. Naturalmente i plenipotenziari erano a bocca aperta nel sentire ciò, quel ragazzo sapeva praticamente tutto di tutti.

Nel frattempo, come se fossero degli amici di vecchia data, confessava alcuni avvenimenti accaduti in quei giorni e, soprattutto, alcuni errori che aveva commesso - Ecco al castello di Cosseria, durante la battaglia di Millesimo, avrei potuto evitare molte perdite, se non fossi stato così testardo ed impaziente nel voler dividere i due eserciti - ammetteva con la mano sul cuore. Ed era sincero, si sentiva in colpa per la morte di tutti quei soldati - Anche quando fui un semplice ufficiale d'artiglieria, ed ero, ironia della sorte, presso Dego, ebbi la stessa idea, solo che allora non me la fecero mettere in pratica - ridacchiò - Probabilmente avevano capito che era una follia... - Però aggiunse che aveva in mente di calare in Italia fin dal 1794, aveva semplice attuato questo suo piano.

A cena finita e a pancia piena Bonaparte riferì che aveva fatto giustiziare, la notte prima, un suo soldato per stupro - Sono cose che non ammetto nel mio esercito, non giudico e critico il voler passare una notte, specie dopo una tremenda battaglia, con una bella donna, tuttavia non tollero simili barbarie - poi disse fra sé "Ci si trasforma in bestie dopo aver perso il controllo, ne sono consapevole, ma mi piacerebbe che la ragione trionfasse e diventassimo migliori". Cambiò immediatamente discorso - Devo congratularmi con voi per le vostre azioni, le vostre ritirate del 17 e del 21 aprile mi hanno colto di sorpresa - anche se era un complimento studiato, si scorgeva il suo rispetto - Siete riusciti a sfuggirmi per ben due volte, complimenti!

- Sapere di avervi messo un po' in difficoltà ci fa sorridere, generale - rise divertito il marchese di Beauregard "E ben sperare in futuro" aggiunse tra sé "Pur essendo un nemico formidabile ha voluto dirci di aver avuto una debolezza, non vorrei che sia tutta una strategia per depistarci, meglio stare in guardia..."

Poi Bonaparte lo fissò intensamente, il piemontese non poteva evitare una simile occhiata. Senza proferire parola quello strano comandante lo stava invitando ad una conversazione privata, soltanto loro due - Volete parlare solo con me, generale? - domandò per evitare fraintendimenti.

- Sì, se per voi non è un problema - rispose il corso, alzandosi in piedi. Gli altri due plenipotenziari uscirono e tornarono nella sala, Napoleone sorrise e lo invitò con il braccio sinistro - Seguitemi cittadino marchese, voglio mostrarvi il mio baule...

- Il vostro baule? Come mai? - Domandò leggermente spiazzato. Si grattò la parrucca incipriata - Avete qualche oggetto di valore per caso?

- Al contrario - emise Bonaparte, lo aprì e gli mostrò i pochi oggetti personali che portava con sé: i libri, gli strumenti da lavoro, il quadretto della moglie - Quando ero un semplice ufficiale d'artiglieria avevo molte più cose superflue di ora che sono comandante in capo...

Il marchese intuì il messaggio che si celava dietro quelle parole e rimase affascinato dalla sua maturità, ora capiva come aveva fatto a conquistare i cuori dei suoi soldati e sottoposti "Non ostenta, non si pavoneggia, ma con sobrietà e con i fatti ha dimostrato di essere superiore". La conversazione durò un'ora, quel piccolo e giovane comandante era un fiume di sapienza infinita, ne era sconvolto. Neppure lui era a conoscenza di certi aneddoti e curiosità sul suo paese, dove le aveva trovate e lette? "Cos'ha al posto del cervello? La perduta biblioteca d'Alessandria forse? Come può uno di ventisei anni possedere una così vasta conoscenza? Ed una profonda consapevolezza del passato e del presente? Possibile che nessuno nei piani alti del potere francese si sia mai accorto di costui per tutto questo tempo?"

Si accorse di tremare, rendendosi conto di trovarsi davanti ad un uomo singolare, da stimare, ma specialmente da temere. Quel generale aveva ragione nel dire che rappresentava il cambiamento, la nuova parola d'ordine che stava arrivando dalla Francia, non era stato superbo o arrogante, anzi, fu fin troppo umile e sincero.

Napoleone, intanto, poggiandosi sul davanzale, osservava il sole nascere ancora una volta dall'orizzonte, riprese a parlare, sempre con lo stesso entusiasmo e la stessa enfasi, che lo facevano quasi brillare, al pari di quell'astro che donava calore e vita. L'impressione che dava al marchese era esattamente opposta: lo percepiva come un uomo freddo, calcolatore, a cui non mancava di certo la nobile fierezza dell'animale di cui portava, in parte, il nome, al contrario della grazia e della piacevolezza, dei quali era totalmente sprovvisto.

- Il mio movimento in battaglia è paragonabile al modo di combattere del più giovane degli Orazi, che aveva distanziato i suoi tre nemici in modo da depotenziarli e ucciderli in successione - sorrise divertito - Anche se non sono di certo il più giovane dei generali francesi, come in tanti sembrano quasi voler risaltare - continuò sarcastico - Però la giovinezza ha i suoi vantaggi, è quasi indispensabile per comandare - si mise a braccia conserte e tornò a guardare il marchese - Perché per un compito tanto impegnativo ci vogliono buonumore, ardimento e fierezza

- Apprezzo la vostra schiettezza generale - riuscì soltanto a dire il marchese, rapito da quel giovanotto così inusuale, tuttavia la spossatezza di quella lunga notte di contrattazioni e chiacchiere cominciava a farsi sentire. A differenza di Bonaparte non era giovane e prestante come un tempo - Posso confessarvi della mia stanchezza dunque, generale, inoltre ho gli occhi rossi

- Bene, allora non vi trattengo oltre - fu la pronta risposta di Napoleone - Siete stato davvero un ottimo ascoltatore, oltre che una persona pragmatica, prima di farvi congedare però, voglio darvi un dono - e controllando tra le carte che aveva con sé, trovo quelle che gli servivano: erano la copia del suo proclama del giorno prima. Raggiunti gli altri due, all'ingresso, allungò la mano verso di loro - È stato un piacere conoscervi, nobili signori, spero di avere l'onore di incontrarvi di nuovo

I piemontesi fecero lo stesso dopodiché il marchese proferì - Generale, quanto è triste che non siate adorato da qualcuno anche se non può fare a meno di ammirarvi e stimarvi... - furono accompagnati alla carrozza e tornarono alla corte sabauda, inconsapevoli, almeno in parte, della portata di quell'incontro e di quell'uomo che sarebbe stato l'incubo dell'Europa e il sogno della Francia per circa vent'anni.





 

 

   
 
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