Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Ricorda la storia  |      
Autore: Kodama_    30/10/2022    4 recensioni
[bakudeku | 4000 parole | pro-heroes]
Katsuki piega i panni di Izuku e si domanda se possa sostituire la spazzatura che ha dentro con l’amore. Si domanda se le sue ossa affilate e arrugginite possano accogliere qualcosa di soffice come le carezze. Si domanda se qualcuno - qualcuno come Izuku - voglia essere accarezzato da qualcuno come lui.
No, si risponde. No.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Trovare diamanti dentro una scatola di scarpe



Only love is big enough to hold all the pain of this world.

(Sharon Salzberg)


Izuku prepara il tè. Katsuki gli fissa le mani.
Vorrebbe prenderle. Vorrebbe prenderle e stringerle e portarsele al petto, sulle guance. Vorrebbe che quelle mani lo tenessero insieme, lo ricompattassero come qualcosa che si è sfaldato, sbriciolato dal tempo. I giorni si sono susseguiti egualmente distanti e privi di significato, come se avesse vissuto in una stanza vuota senza uscire mai, mentre il senso di colpa non ha fatto altro che crescere e strapparlo da dentro. Katsuki guarda le mani di Izuku e pensa che vorrebbe essere ricucito, sì, ma soprattutto perdonato.
Poi guarda le sue, di mani. Le vede storte. Le vede rotte. Le vede imbrattate di sangue, carne e ossa spezzate. Le sue mani sono piene di buchi, e da quei fori sgorga tutto il male che ha fatto. A Izuku, ai suoi genitori, alle persone che non è riuscito a salvare.
Katsuki si guarda le mani e vede il peccato. Le sue dita sono incrostate dagli sbagli, dalla rabbia, dallo spettro di tutto quello che ha frantumato, a cominciare dalle farfalle che afferrava da piccolo e che faceva scoppiare. È così che ha capito di essere potente, quando ha sentito per la prima volta qualcosa morire intrappolata fra i suoi palmi.
Anche le mani di Izuku sono bucate. Ma dai suoi, di buchi, trapassa solo la luce. Anche le sue sono incrostate, però di smeraldi, di gioielli, di qualcosa che odora di casa, di salvezza. Salvezza, salvezza, salvezza. Quanto è immensa quella parola. Quanto è immenso Izuku, visto che se la porta dentro, che la regala agli altri da quando è nato.
Anche distruzione è una parola infinita. Infinitamente spaventosa. E allora pure Katsuki è immenso, immensamente spaventoso ed egoista, visto che  non fa altro che prendere e rompere, prendere e rompere, prendere e rompere.
“Kacchan?” domanda Izuku, porgendogli la tazza di tè. “Stai bene?”
Le sue mani. Sono vicinissime. Katsuki vorrebbe solo chinare la testa e poggiarci contro la fronte. Per favore, rimettimi a posto. Per favore, tienimi forte. Per favore, per favore, per favore, perdonami, Izuku.
Ma prende la tazza di tè, fa un sorso, e ingoia vetro.

*

Katsuki vede Izuku addormentato sul divano, e pensa: quanto cazzo sei lontano.
Poi aggiunge: bravo. È l’unico modo.
È l’unico modo. Perché così Katsuki, e le sue mani crudeli, non riusciranno a raggiungerlo e a danneggiarlo. Perché così Katsuki continuerà a ingoiare la distruzione e a ficcarsela dentro ai polmoni, e Izuku continuerà a fare luce sugli altri senza essere sporcato o ferito da lui.
Katsuki si avvicina al divano. Poi prende il plaid e lo copre.
Si sente un verme. Un parassita. È disgustato da se stesso, dal suo gesto. Perché lui non è altruista, non ha coperto Izuku perché fa freddo, l’ha coperto perché spera che il senso di colpa che pulsa e pulsa e pulsa al posto del suo cuore si quieti, anche solo per un secondo. Katsuki non è generoso. E semmai la gentilezza dovesse uscirgli dalle dita, allora non si tratterà mai di gentilezza vera e propria, ma sempre di codardia mascherata.
Izuku spalanca gli occhi. C’è luce.
“Kacchan,” gli dice. Strofina il naso contro il plaid, socchiude gli occhi come un gatto. Poi si mette seduto, porta le ginocchia al petto e con il tallone picchietta la metà di divano che ha lasciato libera. “Vieni?”
“No,” risponde Katsuki. E sparisce in camera sua. Si ficca nel suo bozzolo di coperte e spera, come ogni notte, che il marcio rimanga fuori. E come ogni notte, il marcio del suo scudo di coperte non se ne fa un accidente, perché è Katsuki a essere marcio, a essere marcio dentro, e non potrà mai liberarsi di se stesso.
“Kacchan,” dice Izuku, bussando alla porta. “Possiamo parlare?”
“No,” ringhia Katsuki. E serra le palpebre così forte che vede rosso. Lo stesso rosso che ha sulle mani. Sangue, sangue, sangue.

*

Katsuki sta pulendo il bagno. Ci sono due spazzolini dentro il bicchiere, il suo e quello di Izuku.
Katsuki si immobilizza. All’improvviso sembra tutto gigantesco, e tutto sbagliato. Per quale cazzo di motivo Izuku è voluto venire lì, da lui? Per quale cazzo di motivo Katsuki non gli ha detto di no?
Katsuki scuote la testa e scrolla le spalle, in un disperato e vano tentativo di scrollarsi di dosso anche tutto quel peso che oramai rimane perennemente avvinghiato intorno al suo collo.
Il peso però è indelebile, così come l’odore di muffa, così come le ali delle farfalle sbriciolate ancora appiccicate alle sue dita.
Katsuki deve pulire lo specchio. Odia pulire lo specchio. Odia gli specchi in generale, perché è costretto a guardarsi negli occhi. E guardarsi negli occhi significa distinguere nettamente quella cosa tutta zanne e artigli che gli urla dentro le pupille.
Katsuki si guarda. Il suo viso è così…. affilato. Terrificante. Poi si guarda negli occhi e vede l’orrore. Pensa: Izuku vede questo mostro ogni volta che mi rivolge la parola.
Mostro, mostro, mostro, MOSTRO. Katsuki serra le palpebre. Vede rosso. Si porta le mani al viso, le sue mani che seminano solo cattiveria e che non sa mai dove mettere, né come usarle - perché come cazzo si muovono le mani senza graffiare, o rompere, o far esplodere?
Vorrebbe strapparsi via gli occhi. Strapparsi via la fronte e le guance e le labbra, vorrebbe ridursi a brandelli, vorrebbe solo riuscire a distruggere tutto lo schifo che è diventato, tutto lo schifo che ha fatto.
Poi altre mani si poggiano sopra le sue. Mani bucate da cui però sgorga la luce.  
Katsuki spalanca gli occhi.
“Izuku,” gracchia. La voce è storta, soffocata, graffia. C’è qualcosa dentro la sua gola che deve vomitare via.
Izuku non dice niente. Lo guarda e basta, gli occhi verdi e spalancati - salvezza, salvezza, salvezza - e gli stringe le mani.
Lascia andare, pensa Katsuki. Guarda che così ti fai male.
Ma Izuku continua a stringere dolcemente e ad accarezzargli i palmi e i polsi. Poi porta il corpo in avanti e lo abbraccia.
Katsuki smette di respirare. Prova a ricordare l’ultima volta che qualcuno - diverso da sua madre - l’abbia abbracciato così. Prova a ricordare l’ultima volta che abbia permesso a qualcuno - diverso da sua madre - di abbracciarlo così.
Fallisce. Non è mai successo.
Katsuki non ha le forze per scrollarselo via. La verità è che non vuole. Perciò rimane immobile, il corpo di Izuku tiepido contro il suo.
Katsuki solleva lo sguardo verso lo specchio. Vede nel riflesso Izuku che lo abbraccia. Vede il modo in cui Izuku lo abbraccia.
Qualcosa dentro lo stomaco si scioglie. Gli viene da piangere. Sinceramente, non se lo merita. Non merita di sentirsi così prezioso. Non se lo merita e basta. Però la verità è che si sente meno sporco, che dentro le pupille non c’è più nessun mostro, ma solo un essere umano.
La verità è che Katsuki ama Izuku tantissimo, ma sa di non averne il diritto.

*

Katsuki piega i panni di Izuku e si domanda se possa sostituire la spazzatura che ha dentro con l’amore. Si domanda se le sue ossa affilate e arrugginite possano accogliere qualcosa di soffice come le carezze. Si domanda se qualcuno - qualcuno come Izuku - voglia essere accarezzato da qualcuno come lui.
No, si risponde. No.
Qualcosa - Izuku, quel maledetto stronzo - gli sfiora il collo. Katsuki salta e per lo spavento fa scoppiare lo stendino dei panni. Tutti i loro vestiti si riducono in briciole affumicate.
“TESTA DI MERDA!” grida Katsuki, e corre a prendere l’estintore. Estingue le fiamme, poi apre la finestra, e tossendo disgustato a causa della puzza di fumo e plastica bruciata, si volta verso Izuku per mandarlo a cagare.
Izuku è riverso a terra. Katsuki si raggela.
L’ho ferito, pensa. L’ho ucciso.
Ma Izuku è riverso a terra per le risate. Si tiene lo stomaco e sussulta perché non ha abbastanza aria, con le lacrime che gli scorrono lungo le guance.
Il sollievo è così profondo e violento che le ginocchia tremolano e infine cedono. Katsuki si ritrova in ginocchio sul pavimento. Comincia a piangere, ma non per le risate.
Izuku impiega meno di un istante per accorgersi che le sue, di lacrime, sono disperate. Smette immediatamente di ridere e si avvicina, gli occhi sgranati per la preoccupazione.
Katsuki si odia. Si odia perché ancora, e ancora, e ancora, gli ha causato dolore. Katsuki non fa altro che causare dolore. E non riesce, porca di quella puttana, a smettere di piangere.
Izuku lo abbraccia. Di nuovo.
Salvezza, pensa Katsuki, mentre Izuku tiene insieme tutti i suoi pezzi. Katsuki respira il suo odore. Salvezza, salvezza, salvezza.
Poi pensa: non voglio la sua pietà. Non voglio la sua misericordia. Non voglio il suo aiuto, non voglio che lui mi salvi ancora.
“Ssh,” mormora Izuku. “Va tutto bene, Kacchan. Sono qui. Sto bene.”
È qui. Sta bene.
Katsuki lo stringe. È  terrorizzato.


*


Katsuki si guarda intorno. La felpa di Izuku poggiata sulla poltrona, il suo cappotto appeso accanto a quello di Katsuki, i suoi appunti incomprensibili infilati sotto i magnetini del frigorifero, il poster gigante di All might appiccicato all’ingresso, il suo ombrello giallo. Il suo odore, soprattutto. L’eco della sua voce.
Tutto diventa troppo. C’è così tanto amore che scaturisce dalle sue ossa, che sgorga a fiotti e riempie la stanza. C’è così tanto amore dentro di lui, intorno a lui, che Katsuki si perde, si perde dentro la sua stessa casa.
“Kacchan!”
Katsuki si volta. Izuku è tornato - è vivo, sta bene, è qui. Si sfila le scarpe e le poggia accanto alle sue. Katsuki lo fissa e pensa: voglio che non se ne vada più via.
Poi si domanda se Izuku lo percepisca, tutto quell’amore. Quell’amore così denso che Katsuki è paralizzato.
Izuku però è leggero come sempre. Gli sorride e scivola verso di lui come una piuma, come la luce.
“Tieni,” gli dice, porgendogli qualcosa. “L’ho trovato a una bancarella. È tipo, uguale a te. Dovevo prendertelo.”
Katsuki sbatte le palpebre. È un cactus. Uno stupidissimo cactus a forma di palla dentro un vaso arancione. Katsuki sposta i suoi occhi dentro quelli di Izuku.
“Lo faccio esplodere,” dice.
Izuku si riprende il cactus e se lo porta al petto come se fosse un gattino. “Non lo faresti mai.”
Certo che lo farei, pensa Katsuki. Lo sai, mentre eri in America ho ucciso un uomo.
Apre la bocca. Sta per dirglielo. Sta per vomitarlo fuori. Ma poi la voce gli si strozza in gola, perché Katsuki non vuole che Izuku veda, Katsuki non vuole che Izuku veda quanto le sue mani siano imbrattate di sangue. Omicidio, pensa. Omicidio. Un’altra bella parola che Katsuki si è inciso sui polsi. Izuku non deve sapere. Perché se sapesse, allora se ne andrebbe via. E Katsuki può sopportare tutto, ma non Izuku lontano, non il suo disprezzo.
Perciò prende il cactus, senza farlo esplodere.
“Dovresti dargli un nome,” gli suggerisce Izuku.
“Caccatus,” risponde Katsuki, senza battere ciglio.
Izuku ride. E ogni volta che Izuku ride, a Katsuki sembra un miracolo.
“Dove lo metto?”
“Dove vuoi,” risponde Izuku. “Insomma, è casa tua. Basta che sia un posto illuminato bene, perché ha bisogno del sole.”
Katsuki fissa il cactus. Izuku ha ragione: è proprio come lui. Sempre a cercare la luce.

*

A Katsuki la pioggia non è mai piaciuta. Non gli piace l’odore dell’umidità che sembra pieno di vermi, non gli piace la sensazione persistente del bagnato che s’intrufola dappertutto. La pioggia è come un batterio: ristagna, infetta, deteriora, e fa marcire dentro.
Katsuki sogna. Sogna la morte. La sua, ancora e ancora. Poi sogna quella di Izuku. Sogna di non riuscire a salvarlo, lo vede morire con la gola tagliata da un villain a venticinque anni e poi suicida a quattordici. La colpa è sempre sua. Sempre, sempre, sempre sua. Izuku è stato maledetto dalle sue mani piene di sangue.
Katsuki si sveglia boccheggiando. Si mette a sedere, le guance bagnate di sudore e lacrime. Si asciuga gli occhi con rabbia. Da quando lui e Izuku convivono, le notti sono peggiorate. Katsuki soffre. Il terrore di perderlo non fa altro che crescere, come se volesse divorarlo.
Prova a respirare più lentamente, a calmarsi, ma la pioggia urla, sbatte sulla finestra come se volesse spaccarla.
Dopo qualche istante, Katsuki realizza che non è solo la pioggia. Qualcuno sta bussando alla sua porta.
“Kacchan?” lo chiama Izuku, a voce abbastanza alta da superare il boato del temporale. “Kacchan, stai bene?”
“Sì,” grugnisce in risposta. “Sto bene. Vattene.”
Ma Izuku, prevedibilmente, entra comunque. Katsuki vede i suoi occhi sgranati fare capolino dalla porta e porca puttana proprio non se ne capacita, di come riescano a brillare tanto persino al buio.
Izuku si siede sul bordo del suo letto. Katsuki ringhia.
“Ti ho detto che sto bene. Va’ via.”
“Non voglio,” risponde Izuku, senza esitare.
Katsuki bestemmia. Cristo, sono le tre del mattino. È troppo presto per mettersi a combattere contro la sua testardaggine.
“Sto bene,” ripete. Ha intenzione di ripeterlo fino a sfinirlo. “Non mi devi salvare. Non mi devi aiutare.”
“Non voglio salvarti,” risponde Izuku. Katsuki sbuffa.
“No, davvero,” insiste Izuku. “Lo vuoi sapere un segreto?”
Katsuki sospira. Va’ avanti, gli dice con gli occhi.
“Tu pensi sempre che io voglia salvarti. Ma la verità è che ogni volta che ti tocco, o che ti parlo, lo faccio per salvare me.
“Che vuoi dire?”
“Che forse non sono così altruista. Non quando ci sei tu di mezzo. Perché finché si tratta degli altri, allora voglio solo che si salvino. E non importa che sia io a farlo, o qualcun altro. L’importante è salvare. Ma quando ci sei tu è diverso. Voglio essere io a prenderti la mano. E c’è solo egoismo in questo, perché lo faccio per me.”
Katsuki ride senza ridere davvero. “Izuku, se tu sei egoista allora il resto dell’umanità meriterebbe solo di bruciare.”
Izuku lo fissa. Non sbatte neanche le palpebre.
“Voglio restare.”
“No.”
È pericoloso, pensa. Io sono pericoloso.
“Per favore,” dice. E qui Katsuki capta qualcosa, una specie inflessione storta, graffiante, come se Izuku all’improvviso facesse fatica a parlare, come se la sua voce fosse rimasta impigliata da qualche parte.
“È solo che- è solo che odio la pioggia. Per favore.”
Katsuki ammutolisce, la sua resistenza evapora. La voce di Izuku è disperata.
“Okay,” risponde. “Okay. Resta.”
Izuku si infila nel suo letto. Katsuki gli fa spazio e si volta verso il muro, le guance bollenti. Quel cazzo di letto è troppo piccolo. Le ginocchia di Izuku gli sfiorano le cosce. L’intimità gli rovina addosso come una valanga.
Va’ via. Ti farò del male. Ti prego, va’ via.
“Che cosa stavi sognando?”
Katsuki non risponde. Izuku non insiste.
In quel momento, Katsuki si accorge che Izuku sta tremando.
“Ehi,” dice, voltantosi verso di lui. “Ehi. Izuku.”
Izuku non dice niente. Avvicina il corpo al suo, gli strofina il muso contro il petto. Katsuki vede rosso. Si muove tutto.
Non è mai stato così tanto vicino a qualcuno. Le labbra di Izuku sono premute sotto il suo collo, quelle di Katsuki sulla sua fronte. Annusa l’odore dolce del suo shampoo. Il respiro di Izuku gli rimbalza contro la pelle, caldo e gentile.
Forse il segreto è lì. Forse la cura ai suoi incubi si trova dentro il corpo dell’altro, vivo, che gli respira addosso.
È tutto troppo. È tutto così troppo, che Katsuki non riesce a spiccicare neanche mezza parola anche se è sicuro che dovrebbe dire qualcosa. La stanza si mette a cantare. Sgorga una fontana di sollievo, di gratitudine, perché Izuku è lì e sta bene.
La verità è che Katsuki si sente felice per la prima volta da anni. La verità è che crede di non averne il diritto. La verità è che lo vuole baciare, e che lo ama da morire. Vorrebbe che Izuku rimpicciolisse per poi entrargli dentro i palmi, così Katsuki riuscirebbe a proteggerlo per sempre. Vorrebbe che Izuku si facesse scudo con il suo scheletro, perché l’unico modo che Katsuki conosce per fare ammenda a tutti i suoi errori è il sacrificio.
Ma Izuku non vuole essere protetto. Izuku vuole proteggerlo con la stessa viscerale disperazione con cui Katsuki vuole proteggere lui.
È il primo a muoversi. Gli cerca le mani, e Katsuki lascia che le trovi, che le stringa, che se le porti sulle guance morbide. Katsuki chiude gli occhi e trattiene il fiato, i polpastrelli premuti sul suo viso. Le dita iniziano a muoversi. Katsuki gli accarezza gli zigomi, le orecchie, le tempie, le ciglia, le labbra. Si sente uno schifo. Si sente indegno. Però il viso di Izuku è così morbido e tiepido. Quanta magia c’è, in quel momento? Quanto è bello stringere, ed essere stretti?
Katsuki lo tocca, e Izuku non gli lascia le mani, tenendo le dita ancorate ai suoi polsi. Come fa a esserci egoismo, in tutto questo?
Katsuki apre gli occhi e allontana il viso. Izuku solleva il suo e lo fissa. Ha gli occhi enormi. È come se riuscissero a ingoiare il buio, lo scroscio della pioggia, ogni sua paura, e a riflettere il sole.
Poi Izuku lo bacia. È un istante che risplende brevemente, gli poggia le labbra sull’angolo della bocca e poi torna a nascondersi nella curva del suo collo.
Non si dicono nulla. Izuku rimane lì, aggrappato a lui come un koala, e Katsuki pensa a come sia incredibile che due corpi - i loro corpi - possano incastrarsi così bene. È incredibile come i corpi - i loro corpi - sembrino intagliati precisamente per accogliersi, abbracciarsi e stringersi a vicenda.
Katsuki si sforza con tutto se stesso di non pensare alle sue mani affilate. Rimane fermo, a tremare addosso a Izuku.
Gli incubi non tornano.

*

Dovrebbero parlarne. O meglio, Katsuki dovrebbe parlargli, ma non ci riesce, non sa neanche da dove cominciare. E mentre cerca le parole, e il coraggio per sputarle fuori, Izuku aspetta, come sempre.
Quella mattina tocca a Izuku preparare la colazione. Gli porge due toast anneriti agli angoli e un bicchiere di spremuta d’arancia. Katsuki gli fissa le mani. Le vuole prendere. Stringere. Chiedere loro scusa.
Invece assaggia un pezzo di toast e storce le labbra.
“Izuku,” gli dice. “Hai bruciato tutto.”
Poi ci ripensa, e aggiunge: “Mentre eri in America, ho ucciso qualcuno.”
È fatta, pensa. Adesso Izuku lo odierà per tutta la vita. E lui si scucirà definitivamente sotto la pioggia. E va bene così, è quello che si merita. Anche se è crudele che dire la verità faccia sempre così male.
Izuku lo fissa, poi incurva le labbra in un sorriso triste. Non impietosito. Solo, triste.
“So dell’incidente,” risponde. Poi si siede di fronte a lui e addenta il suo toast.
“È vero,” dice, sgranando gli occhi. “Ho bruciato proprio tutto.”
Katsuki lo fissa stordito. Il mondo gira.
“Lo sai… da quanto?”
Izuku poggia il toast nel piatto. “L’ho saputo appena è successo.”
“Ma non è possibile. Avevano detto che non te ne avrebbero parlato. Me lo avevano giurato.”
Izuku scrolla le spalle. Katsuki è sconvolto.
“Ma se l’hai sempre saputo… Izuku, perché cazzo sei qui?”
“Che intendi dire?”
“Perché non mi odi?”
Izuku lo fissa con fermezza. “Perchè dovrei odiarti? È stato un incidente. Era un villain che andava fermato.”
“Non l’ho fermato. L’ho ucciso.”
“Avrebbe ucciso persone innocenti, Kacchan.”
“Ma non doveva morire. Non doveva morire.”
E c’è il suo sangue, sulle mie mani. E c’è il sangue di ogni persona che ho ferito. C’è anche il tuo, Izuku. Sono un assassino.
“Tu sei un eroe, Kacchan.”
Katsuki non sa più dove guardare. Perciò chiude gli occhi, e spera di sprofondare nel buio dietro le sue palpebre, spera di impedire alle lacrime di uscire - non vuole piangere, non vuole piangere, non se lo può permettere.  
“Ho ucciso qualcuno anche io.”
Katsuki spalanca gli occhi. Si rigira quelle parole nella testa finché è costretto ad accettare il loro significato.
“È esploso un edificio. Non sono riuscito a metterli tutti in salvo. Una persona… una ragazza, è rimasta spiaccicata sotto le macerie. Aveva diciannove anni. Si chiamava Shiori.”
Katsuki gli fissa gli occhi. Hanno perso la luce.
“Credi che io sia un assassino?”
“No,” risponde subito Katsuki. Si allunga verso di lui, gli afferra la mano. “No, certo che no. È stato un incidente.”
Izuku fa un mezzo sorriso, come per dire: hai visto?
Però quel sorriso di divertito non ha niente. Lui non se la merita, quell’espressione sulla faccia. Lui non se lo merita, tutto quel senso di colpa. Ha salvato il mondo intero, porca puttana.
“Kacchan,” gli dice Izuku, stringendogli forte la mano. “La verità è che non possiamo salvare tutti. La verità è che non riusciamo a perdonare noi stessi. La verità è che vorremmo strapparci la pelle di dosso con le nostre stesse mani, ma non basterebbe tutta la sofferenza dell’universo per espiare quelle che crediamo siano le nostre colpe. Ma la vera verità è che tu sei la persona più eroica che io conosca. La vera verità è che, se tu dovessi morire, io smetterei di respirare per riflesso. La vera verità è che porti un peso addosso che non è mai, mai stato tuo. E se non riesci a perdonarti per quello che hai fatto, allora ti perdonerò io ogni notte e ogni giorno. E se non riesci a essere gentile con te stesso, allora lo sarò io con te ogni notte e ogni giorno. Ti abbraccerò e ti dirò che sei meraviglioso. Perché è quello che veramente sei, anche se tu non lo vedi, anche se ti odi. Ma io non ti odio, Kacchan. Io ti amo. E ti amano così tante persone, là fuori."                                            
Katsuki ascolta. Ingoia quelle parole come se fossero salvezza - lo sono.  Vorrebbe dire tante cose. Vorrebbe dirgli grazie. Vorrebbe dirgli che anche lui, se Izuku morisse, smetterebbe di respirare per riflesso. Vorrebbe dirgli che lo ama tantissimo.
Poi però gli dice: “La ragazza. Shiori. Non è colpa tua.”
Izuku annuisce. Comincia a piangere.
“Izuku,” lo chiama Katsuki. Si tengono ancora per mano. “Devi starmi a sentire. Devi credermi, perché io non ti direi mai e poi mai una bugia. Non è colpa tua. Izuku? Non è colpa tua.”
Izuku lo fissa con gli occhi sgranati.
“Davvero?”
È un mormorio miserabile. A Katsuki si spezza il cuore.
“Davvero. Te lo giuro. Non è colpa tua. Non è colpa tua. Non è colpa tua.”
Izuku annuisce, i lacrimoni inzuppano il tost bruciacchiato nel piatto.
Katsuki si alza, e lo abbraccia stretto.

*

La paura resta. Ma arriva tanto altro.
Katsuki scopre che la felicità si trova nel cuore di Izuku che batte. Perciò quando dormono insieme, Katsuki gli poggia l’orecchio sul petto e ascolta. Izuku gli accarezza i capelli e si addormentano così - e gli incubi non arrivano, e quando arrivano, vengono soffiati via.
Katsuki scopre che bacerebbe Izuku per ore, e che non c’è niente di più morbido delle sue guance, o delle mani strette alle sue.
Katsuki scopre di amare Izuku da fare schifo. È imbarazzante, la gioia che gorgoglia nello stomaco quando vede i loro spazzolini vicini e sa che rimarranno così, o quando Izuku si aggrappa alla sua schiena come un koala e gli strofina il naso dietro al collo, o quando cucinano insieme, mangiano insieme, dormono insieme, si svegliano insieme. Katsuki ha cominciato persino a portargli dei fiori. E Caccatus, miracolosamente, non è ancora appassito. Sembra troppo bello per essere vero. Però è vero.
Katsuki scopre che Izuku può, effettivamente, rimetterlo a posto. Si sente più leggero da quando convivono. Non credeva che avrebbe smesso di vedere un mostro allo specchio, non credeva che le sue mani, mentre accarezzano Izuku, gli sarebbero parse gentili, buone. Katsuki comincia a perdonarsi. O forse comincia a capire che non porta il peso del mondo sulle spalle. O forse è Izuku che lo salva, che l’ha sempre salvato, che ingoia via tutto il dolore del mondo con i suoi occhi verdi e le canzoni stonate sotto la doccia e la luce che sprigiona e il modo in cui lo guarda e lo abbraccia e gli parla - semplicemente, il modo in cui lo ama.
Non piove più.



Note d’autore
I bakudeku sono IMMENSI. Mai visto un rapporto viscerale e disperato e tragico e bellissimo e gentile e luminoso come il loro.
GRAZIE MILLE PER AVER LETTO QUESTA COSINA!!! <3 <3 <3 <3 <3
See ya! ♥
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: Kodama_