Videogiochi > The Arcana. A Mystic Romance
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Autore: PaolaBH2O    14/11/2022    0 recensioni
"La vita è noiosa come una storia che raccontata più volte infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato."
Vero. Se ogni evento è già stato narrato completamente, ma queste vicende non sono già scritte. Tutt'altro.
Qualsiasi storia può stravolgersi, se vista da un'altra prospettiva. E' un'occasione per cambiare ruolo, compiere altre scelte, fare nuove scoperte.
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Questa fanfiction è un crossover tra la route di Julian e la fanfction "Fortuna favet fortibus" tratta dal film "I Cavalieri dello Zodiaco - La Leggenda del Grande Tempio" (potrete trovarla nella sezione di Saint Seiya del sito). Può contenere spoiler sulle route degli altri personaggi e sulle scene alternative acquistabili con le monete.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: MC, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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4 – To Curtain Call



Non c’è dialogo con il nemico, ma mi hanno invitato per un interrogatorio (Cit. Aleksandar Baljak)



Mazelinka era una donna energica di natura, se disturbava il sonno altrui con i suoi modi irruenti non era per cattiveria, ma dall’oggi al domani le bocche da sfamare in casa si erano raddoppiate e così le faccende; imbracciato il suo cestino da spesa e uscita al levarsi del sole, si era chiusa la porta alle spalle con tale forza da aver risvegliato Kamya.
La maga credeva di essersi abituata al trafficare causato dall’insonnia di Asra ma, a quanto sembrava, Mazelinka aveva alzato l’asticella. Sperando di essere ancora abbastanza assonnata da ritrovare in fretta la via per i suoi sogni, si rigirò sull’altro fianco ma l’istinto le fece riaprire gli occhi: il viso di Julian era proprio davanti al suo, disteso da una pace che solo Morfeo era in grado di concedere. La memoria le riportò in mente il caldo tono del ragazzo e le parole della notte prima le risuonarono ancora fresche nelle orecchie.
Se solo avessimo più tempo… Oh, le cose che mi piacerebbe fare con te…”
Col cuore che batteva a mille e una scossa in tutti i nervi, Kamya balzò giù dal letto e, seppur barcollando, raggiunse il tavolo della cucina sul quale finì per accasciarsi.
Si sedette per riflettere ma gli ingranaggi dei suoi pensieri, solitamente ben oliati, vennero bloccati dalla ruggine della stanchezza; unico elemento a favore del suo risveglio, era la frizzante brezzolina che stava soffiando dalla finestra e che le correva sulla pelle lasciandole dei piacevoli brividi. Anche gli insetti sulle piante dovevano essere dello stesso avviso, visto il loro sostenuto ronzio.
Lanciò uno sguardo ai fiori del davanzale per capire se fossero api, bombi o vespe, ma non solo non ne vide, si accorse che il mormorio provenisse da dentro la casa; seguendolo si ritrovò inginocchiata alla botola segreta dentro la quale Élan stava dormendo come un ghiro o, meglio, come un colibrì: si era rannicchiata in un nido di coperte che la faceva sembrare ancora più piccolina e il suo ronfare aveva il suono di un debole fischio. A vedersi, era una vera delizia.
-N-no, ti prego… Mi dispiace… Mi dispiace così tanto…-
La dolcezza dell’attimo si spezzò ai lamenti che si levarono dalla stanza da letto.
Era la voce di Julian.
Il suo tono era stanco e avvilito, non aveva energie sufficienti per condurre qualunque battaglia stesse affrontando ma ne aveva un disperato bisogno.
Incerta se fosse il caso di svegliarlo, Kamya scattò in piedi e rimase in attesa di un altro segnale o un’altra supplica ma al tonfo sordo del medico che volava giù dal letto, capì che il caso avesse scelto per lei.
Si affrettò a spalancare la tenda e lo trovò aggrovigliato tra le lenzuola, il suo incarnato era più pallido del solito e i suoi movimenti frenetici ma inconcludenti. Quando si rese conto di essere osservato, si bloccò, si resse su un gomito e sfoderò un sorriso disinvolto.
-Ehi, Kamya! Già in piedi? Spero di non averti svegliato io!-
-No, figurati, ero già sveglia- si chinò per liberarlo e così vicina a lui poté sentire non solo la rigidità di ogni suo muscolo, ma addirittura contare le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte -Tu, invece? Stavi avendo un incubo?-
-Anche se fosse? Non era reale, perché preoccuparsi? In ogni caso, che ci facevi sveglia? Ehi! Ti ho mai raccontato di quando ho accidentalmente rapito un’elefantessa di guerra incinta?- il suo frettoloso sforzo di sviare il discorso aveva un tono biascicato e l’esplosione finale lo fece sembrare ancora più patetico, ma Kamya era determinata a non farsi distrarre.
-Non cambiare argomento, lo vedo che ti tremano le mani!-
-Sciocchezze, sono un medico: le mie mani sono ferme e sicure come la morte e le tasse!- sghignazzò spavaldo finché l’apprendista non gliele prese tra le proprie mettendolo davanti ai suoi inequivocabili brividi. La risata si spense poco per volta e il rosso ci provò un’ultima volta -Davvero… Non… Non è niente…-
Per lodevoli che fossero i suoi sforzi, il controllo gli sfuggì, i suoi occhi si posarono sull’espressione scettica della maga e Julian sentì le proprie difese venire annientate; improvvisamente stanco si sedette sul bordo del letto con i gomiti sulle ginocchia, la testa incassata tra le spalle e le mani che penzolavano nel vuoto. Aveva bisogno di prendere coraggio prima di confidarsi e svuotarsi i polmoni un’ultima volta sembrò la soluzione adatta a svuotargli anche la testa.
-Il fatto è che… Io… Tu… Tu credi nel perdono? Quanto brutte possono essere le azioni compiute prima di diventare imperdonabili?-
Kamya gli si sedette accanto e quando le loro spalle si toccarono, il medico, teso al pari di una molla, rischiò di balzare fino al soffitto.
-Non lo so, sono argomenti impegnativi da discutere… Credo nel perdono ma anche nel doverselo guadagnare, e soprattutto credo nel cambiamento che ne deve seguire. Chiedere di essere perdonati senza essere disposti a cambiare, è sono un’altra forma di manipolazione.-
-Hai le idee molto chiare a riguardo…-
Il silenzio calò tra di loro mentre Julian si richiudeva in se stesso. Kamya sapeva che avesse bisogno di riflettere con molta attenzione ma ogni momento che passava senza le sue sferzanti controbattute, sentiva crearsi un vuoto tra di loro, uno che non sapeva se sarebbe stata in grado di colmare. D’un tratto, lui riprese la parola.
-Vorrei solo sapere. È l’ignoranza a tenermi sveglio la notte.-
L’apprendista lo studiò con attenzione: la sua postura, la tensione dei suoi nervi, la supplica nella sua voce… Il Julian che conosceva era scomparso, rimpiazzato da una versione di se stesso riflessiva e impaurita.
A voler essere onesti, anche lei aveva il suo personale demone col quale aveva ingaggiato una sua personale lotta: reprimere il bruciante desiderio di conoscere le proprie origini era stata una sfida che se persa le avrebbe tolto il sonno, la ragione, forse anche la salute, tutto pur di ritrovare quel pezzo dei suoi ricordi che le mancava… Era per questo che aveva dovuto resisterle a ogni costo, ma sulla via della conoscenza, Julian non era rinunciatario o vigliacco come lei… Magari era un cammino che erano destinati a percorrere assieme.
-Siamo molto più simili sotto questo punto di vista di quanto immagini- ammise lei infine.
-Tu, insicura e con sensi di colpa? Non me la dai a bere!-
-Invece penso che ti stupiresti, non è che hai l’esclusiva o che so io!- lo punzecchiò con un colpetto della spalla che il medico ricambiò ben volentieri. Si scambiarono il primo sorriso dopo tanta inquietudine e, passato qualche altro lungo minuto di pace, Kamya decise che fosse giunto il momento buono per cedere alla curiosità -Dicevi, allora? Come avresti fatto accidentalmente a rapire un’elefantessa incinta?! Non è che uno lo faccia per sbaglio!-
Il volto di Julian risplendette di nuova luce. Le cinse le spalle con un braccio, si schiarì la gola e cominciò a raccontare; narrando di audaci avventure e affascinanti ladri, gesticolando con la mano libera e perdendosi nei ricordi, i suoi muscoli si distesero e la sua espressione tornò ad essere provocante; l’abisso che li aveva divisi sembrava essersi ridotto a una pozzanghera, ma non appena l’alba stiracchiò i suoi raggi, inondando la casa di una pallida luce rosata, l’apprendista si lasciò avvincere ancora dal sonno, e Julian le bisbigliò un ambiguo messaggio mentre la distendeva di nuovo a letto.
-Mi dispiace, Kamya… Ma è meglio così…-


Quando si risvegliò, a tenerle compagnia non c’erano nient’altro che lenzuola stropicciate, unico segno che Julian le avesse dormito accanto; allungò le dita per sentirne la temperatura, ma le trovò fredde e freddo diventò il suo sangue all’energico saluto di Élan.
-Buongiorno, principessa!- Kamya si girò sussultando e la trovò con una gallina paffuta tra le braccia che chiocciava ad ogni carezza -Dormito bene?-
-Dov’è… Dove sono gli altri?- biascicò, sperando di aver nascosto bene il “dov’è Julian?” col quale aveva cominciato.
Élan si strinse nelle spalle.
-E chi lo sa! Mi sono svegliata col verso dei pennuti e ho pensato “ehi, galline!” così sono corsa a inseguirle per una buona dose di coccole. Di’, non è un amore?- la guardò compassionevole -L’ho chiamata Gina!-
-È sempre bello vederti andare d’accordo con le tue simili.-
L’apprendista si alzò, scostò la tenda e vide Death Mask e Julian varcare la soglia di casa; li accolse con un sorridente “buongiorno” ma il Cavaliere le rispose con un cenno distratto del mento e il medico la sbirciò a malapena. Non un successo, in parole povere.
-Vedo che la notte spesa in solitaria ti ha rimesso al mondo, peccato comunque che le tue battutine fiacche non facciano ridere nemmeno i polli!- replicò la fata.
-I polli forse no, ma con i piccioncini le risate si sprecano!-
Death Mask indicò la coppia dall’altra parte della stanza ma li trovò estranei al loro battibecco; nel piccolo, intimo, privato mondo che si stavano costruendo, entrambi erano alla frenetica ricerca di qualcosa: Julian, del fegato per parlarle di una questione spinosa, Kamya della sua incondizionata attenzione.
-Io…- tentennò il rosso.
Dobbiamo parlare” si ripeté mentalmente.
-Ecco...- al solito i suoi occhi saettavano e si soffermavano su qualsiasi particolare che non fosse il viso indagatore della ragazza.
Non è così difficile: dobbiamo parlare” deglutì.
-Noi…- aumentò il tono sperando che ciò aiutasse ma insieme alla sua voce si erano alzate anche delle aspettative nell’apprendista, le riusciva a leggere proprio lì, nell’attesa del suo viso -Dobbiamo… Assolutamente trovarvi qualcosa da mangiare e sbrigare delle commissioni per Mazelinka, ma non preoccupatevi, ho in mente anche altro per questa giornata!- corse a spalancare la porta d’ingresso e si protese in un deferente inchino.
Con una sorta di delusione sulle spalle, Kamya indossò la cintura, le scarpette e si avviò per prima, Élan le andò al seguito dopo aver lasciato planare Gina; Cancer invece, non mosse un muscolo: a braccia incrociate e con espressione severa, fissò il medico scuotendo la testa.
-Continua a menare il can per l’aia, Romeo, e finirà per morderti.-
Julian si raddrizzò in tutta fretta e schiacciato dal senso di colpa, confessò.
-Non ce la faccio, amico mio. Se si tratta di lei… Non riesco a controllarmi- un sospiro gli sfuggì dalle labbra ma non portò con sé le preoccupazioni -È una causa persa in partenza. Io sono una causa persa.-
-Risparmiati il melodramma, non sono mica io il generale di ferro a cui devi rifilare le tue patetiche giustificazioni- sulla base di quel rimprovero, il Cavaliere D’oro guadagnò l’uscita e le speranze infrante di Ilya circa il venire consolato.
Mentre si poneva alla guida del gruppetto per condurlo fuori dagli intricati sobborghi e verso la sua parte preferita della città, il rosso non riusciva a mettere un freno all’autocommiserazione. La sua parlantina sciolta l’aveva salvato da situazioni al limite del mortale, il suo carisma gli aveva fatto conquistare una certa reputazione, nonché la simpatia di molti, la sua ironia aveva risolto più guai di quelli provocati, ma quando Kamya era al centro della scena, tutto veniva a mancargli: il respiro, la razionalità, un battito del suo cuor di leone e ciò che lo rendeva tale.
Non serviva evitare di guardarla negli occhi o guardarla in generale, avrebbe potuto starle di fronte persino bendato ma finché aveva il suo spontaneo sorriso marchiato a fuoco nella mente, allora non ci sarebbe stato Arcano che gli avrebbe permesso di intavolare alcuna discussione. Pure questo contribuiva alla sua sofferenza: non doveva necessariamente parlare di tutto e subito, sarebbe bastato piantare il seme della faccenda ma non c’era riuscito comunque.
Fiducioso di essere contagiato dalla serenità di Élan, accorciò il passo per conversare con lei; ogni frivolezza che capitasse a tiro era perfetta per rallegrare i toni e la spensieratezza dei loro discorsi riuscì a sollevare il suo umore. Dietro di loro, invece, Death Mask e Kamya continuavano a fulminarsi l’un l’altro a intervalli regolari; quando i loro sguardi si incrociarono all’unisono, lei, che era così abituata a mantenere una pacatezza di facciata per i clienti ostici, sbottò tutto d’un colpo.
-Be’, che hai adesso?!-
-Io? Oh, niente di che- minimizzò l’uomo.
-Davvero? E allora perché mi fissi con tanto biasimo?-
-Biasimo? Io? Fidati, lentiggini- le diede qualche buffetto sulla spalla -Quando vedrai il mio sguardo di biasimo, lo riconoscerai. Al momento ti sto guardando con compassione perché, in tutta onestà, ti sei scelta l’idiota del villaggio.-
Il suo tono finto-pietoso-vero-condiscendente le fece ribollire il sangue nelle vene.
-Qui, l’unico vero idiota del villaggio che vedo sei…-
-Che lista della spesa sarebbe questa? Fremi-bacca sottaceto, carne abbrustolita di salamandra, verruca eloquente d’oca?!-
All’esplosione di stupore della fata, seguì un’esplosione di gente come si introdussero nel mercato secondario di Vesuvia; la strada era gremita e chiassosa, il viavai si disperdeva in mezzo a banchetti organizzati senza un preciso ordine: venditori di frutta e verdura erano affiancati a quelli di costumi esotici, esposti gomito a gomito c’erano libri, giocattoli, pentole e poco più distante un commerciante di gioielli pubblicizzava i suoi prodotti a gran voce.
-Che fine ha fatto la classica lista della spesa? Dove sono zucchero, latte, uova, un anti-tarme?! Quasi non riconosco le specie che hai elencato!- insistette Élan.
-Sono ingredienti per rimedi casalinghi, Mazelinka ci prepara la miglior zuppa energizzante che abbia mai assaggiato.-
Kamya raggiunse Julian e decifrò il resto dell’elenco che teneva tra le dita; sfortunatamente la sua calligrafia portava avanti la tradizione del pessimo stile dei dottori, ma riconobbe comunque gli ingredienti: ne avevano in gran quantità al negozio di magia ma non erano adatti a rimedi casarecci. Credeva nella buona fede del medico ma le venne lo stesso spontaneo aggrottare la fronte e indagare.
-Mazelinka pratica incantesimi, che tu sappia? Quest’elenco contiene un sacco di componenti magiche.-
-Sciocchezze, sono medicinali e molto efficaci aggiungerei- la sua espressione lasciava trasparire un leggero misto di diffidenza e offesa, come se l’idea che l’ex-piratessa fosse pratica di tale materia, lo mettesse a disagio -Non è magia: nessuno ha mai recitato insensatezze da un lussuoso ma losco tomo, non ci sono stati cerchi luminosi o strane rune…- il suo sorriso si tinse di sarcasmo -Nessuno ha sanguinato…-
Che Kamya fosse allibita era dire poco; Ilya si era costruito un’immagine non solo confusa della magia, ma anche ridicolmente complicata e se non l’avesse conosciuto abbastanza, avrebbe potuto affermare che…
-La magia ti infastidisce?-
A Julian cadde la mascella e si rese conto di aver straparlato. Docile come un agnellino, l’imbarazzo l’ebbe vinta sullo scherno.
-Io, eeehm, ovvio che no! È solo che non la capisco e mai l’ho fatto… Ma questi rimedi sono comprensibili. Li sminuzzi, li mescoli e funzionano, o forse no, allora provi qualcosa di diverso.-
-Potrebbe non essere lo stesso per tutti, ma per me la magia è così. Alcune cose funzionano, altre no, ma continui a provarci finché qualcosa non salta fuori. Si procede per tentativi.-
-Lo stesso vale per la tecnologia nel mio mondo. Il trucco è smanettare fino al successo, è così che ho sintonizzato il decoder di casa!- aggiunse Élan.
-Cos’è la “tecnologia”?- s’incuriosì Ilya.
-Diciamo scienza fin dove riesci a capirla, poi diventa un misto tra magia e fiducia- la risposta stringata di Death Mask non fece che sollevare altri interrogativi ma non fu questo a impressionare Julian.
Ne masticava parecchio di medicina, ma tutti loro conoscevano almeno un altro argomento in cui lui non era ferrato; ciò che sapeva, era soltanto che non sapesse e nemmeno quanto cruciale fosse la sua ignoranza, ma non era l’unico del gruppo… C’era qualcosa che Kamya aveva un’improcrastinabile urgenza di conoscere e nessun altro avrebbe svolto quel compito al posto suo.
-Siete davvero incredibili, ragazzi- si complimentò sincero col gruppo prima di afferrare Kamya per una mano -Per favore, andate a prendere da mangiare al banco di frutta, io…- gesticolò goffamente e si allontanò con la ragazza in mezzo alla strada; scansarono un’infinità di persone e una volta che furono lontani a sufficienza, le si pose di fronte e richiamò a sé tutto il coraggio di cui era capace -Ascolta, Kam, c’era una cosa che volevo dirti prima e…-
-Jules, vecchio segugio, sei davvero tu?! Non ti si vedeva in città da anni! Che fai qui?-
Il rifornitore di sanguisughe preferito da Julian lo riconobbe dall’altra parte della strada e la concentrazione duramente guadagnata, si disperse ancora.
-Tilde! È bello vederti. Come sta tua moglie? Ha ancora quelle emicranie?-
Il rosso si avvicinò alla bancarella dedicata e si perse in un chiacchiericcio di confidenze da parte del commerciante circa il trasferirsi a Prakra e iniziare lì un giro di affari; Kamya si ritrovò da sola ma non ci diede molto peso, non altrettanto a quello che diede alle parole di Julian: non si era creata delle false aspettative, c’era davvero qualcosa di cui le voleva parlare.
Un nodo le si formò in gola al pensiero dell’argomento in questione ma decise di non perdersi in fantasticherie e puntò, piuttosto, al banchetto di vestiario per acquistare dei veli con cui mascherarsi se avessero incrociato le guardie di Nadia.
Lì vicino Death Mask ed Élan stavano esaminando gli ortaggi esposti.
-Che ha Julian? Mi sembra più strano del solito oggi- Élan si portò al volto un agrume maturo e il profumo frizzante le solleticò tanto i sensi da farle chiudere le palpebre.
-Diciamo che ha delle questioni da risolvere con la fattucchiera.-
-Roba spinosa?-
Il Cavaliere vide la diretta interessata avvicinarsi a loro e per una volta scelse di essere discreto.
-Te ne parlerò quando saremo di nuovo da soli, ti anticipo che quel coglione sta per far scoppiare un gran casino.-
-Oh, ma sei offensivo!- molto tempo avevano trascorso assieme ma Élan ancora non riusciva ad abituarsi all’indole prepotente del guerriero, e anche se il suo rimprovero cadeva possibilmente nel vuoto, non poteva non farsi sentire.
-Fidati, non sono offensivo, sono oggettivo. Stavolta.-
-Sarà…- dissentì la giovane. Troppo impegnata a guardarlo storto, non si accorse del banchetto di mele allestito dietro di lei e, specialmente, non si accorse di come i tarli avessero consumato il paletto che lo reggeva. Fu sufficiente una piccola botta per spezzarlo e far rotolare una cascata di frutta in mezzo alla bolgia.
La maga provò a scattare verso di loro per aiutarli ma un ragazzino tutto stracci e toppe la schivò all’ultimo minuto inseguendo il suo cane, e lei mantenne l’equilibrio per un soffio; stette per riprendere la sua corsa ma una mela le scivolò sotto il piede e la mise in una situazione da cui solo l’eccellente prontezza di riflessi di una certa persona la salvò.
Un profumo di pelle e muschio avvolse Kamya mentre cozzava contro il robusto petto di Julian e un gemito del rosso accoglieva la loro caduta a terra; con la schiena dolorante e le braccia strette attorno a lei, ribaltò la loro posizione per da farle scudo contro la valanga della restante frutta. Tornata la calma, preoccuparsi fu in cima alla sua lista di impegni.
-Kamya, stai bene? Non ti ha colpito niente? Sei ferita?- ansioso come una mamma chioccia, raccolse l’apprendista da terra e le spazzò via la polvere di dosso.
-Tranquillo, sto bene- Kamya lo costrinse a porre un limite alla frenesia prendendogli le mani e accarezzandogli il dorso con i pollici -E tu, sei tutto intero?-
Il cuore di Julian rallentò e anche il suo sorriso si tinse di serenità.
-Mai stato meglio- commentò prima di guardarsi attorno e incupirsi -Anche se, a quanto pare, dovremo darci alle spese folli, oggi.-
Laddove le botte sulla sua schiena stavano già cominciando a guarire, le sue finanze non avevano ancora cominciato a soffrirne, ma presto l’avrebbero fatto a giudicare dal costo di un intero carretto di frutta; Élan corse da loro a sperticarsi in mille scuse ma Ilya era impegnato a frugare nel suo mantello. Scovò un sacchetto di iuta tintinnante e raggiunse il venditore frastornato.
-Accettate dobloni di Galbradine o dracme di Hjallen?- il trio lo fissò affascinato mentre porgeva all’uomo una pila di monete di valuta estera. Era incredibile che dentro un così anonimo borsellino ci fosse una piccola fortuna, ma il fruttivendolo non ebbe da lamentarsi dopo il lauto risarcimento; il rosso nascose di nuovo il suo denaro e si rivolse alla folla con grida euforiche -Frutta gratis! Frutta gratis per tutti! Venite a prenderne più che potete!-
-Ma solo fino ad esaurimento scorte!- aggiunse Cancer, prima che la gente si approfittasse anche dei prodotti non ripagati.
I più affamati si gettarono sul bottino e la strada venne ripulita in una manciata di secondi; sbrigate la commissioni per Mazelinka, e pagato un garzone per consegnare il tutto, Julian prese Kamya per mano e si allontanò dal resto della bolgia seguito da Death Mask ed Élan.
-Mi dispiace per ciò che è successo oggi, avrei dovuto avvertirvi che la strada può diventare turbolenta ma mi farò perdonare: la prossima tappa vi farà sicuramente uscire di testa!-
Il medico sentiva di dover rimediare al trambusto che i suoi nuovi amici avevano passato, ma nessuno ne avvertiva davvero la necessità, soprattutto la maga: maggiore era la conoscenza che faceva di Ilya, maggiore era l’affetto che nutriva per lui.
Non pensava che potesse avere tante frecce nella sua faretra ma dopo solo un’altra manciata di ore, aveva visto di persona che fosse generoso, riflessivo, inaspettatamente timido e protettivo. In un quadro simile la sua irriverenza e la sua sfacciataggine non avevano più il sapore stomachevole che l’avevano disgustata all’inizio, assomigliavano di più al pizzico di paprika che dà carattere a una pietanza.
Dopo una gradevole passeggiata, il quartetto si fermò davanti a un alto e sottile palazzo; era privo di finestre e segnato dalle intemperie ma i suoi affreschi di scene romantiche andavano oltre le crepe e i colori sbiaditi, rendendo ancora giustizia al vecchio stile. Julian si illuminò a vederlo.
-È ancora in piedi, ci speravo ma non ne ero sicuro- passata l’ombra di una architrave, li condusse attraverso una pesante porta in ferro e lungo una tortuosa scala interrata con qualche rada lanterna a illuminarne il cammino -Ci venivo spesso a suo tempo, era un luogo irresistibile: tanta atmosfera, soffitti alti e piccole nicchie private dove poter avere una conversazione privata. Fa proprio al caso nostro perché… Parlare…- così concentrato sui suoi passi non aveva modo di farsi distrarre dall’immagine di Kamya, il momento non poteva essere più propizio -È quello che dovremo fare…- arrivati in fondo alla scalinata, le lasciò andare la mano e le sue dita si aprirono a fatica, segno che l’aveva stretta almeno per una buona mezz’ora e che l’ansia lo stava divorando vivo.
Il locale attorno a loro non era molto meglio illuminato e uno sproposito di curiosità impolverate era ammassato un po’ ovunque: su un lato c’erano scampoli di stoffa dai temi stravaganti, lance tirate a lustro e piume rattrappite, sull’altro, la pallida imitazione di un trono, un baule carico di monete di stagno e una fila di maschere appese al muro. Dalla fine del corridoio, al di là di un pesante tendaggio sbiadito, proveniva un brusio e un filo di luce abbastanza forte da scintillare sull’armatura di Death Mask.
Julian si guardò attorno confuso; il posto doveva essere andato sotto una nuova gestione e adesso era diventato una qualche specie di emporio.
-Non è esattamente come me lo ricordavo… Era una casa da tè, ne servivano una variante affumicata che non sono stato più in grado di trovare…- il suo animo era rammaricato, aveva promesso qualcosa che non poteva offrire e, più di ogni altra cosa, non poteva godere della privacy che tanto gli sarebbe servita.
-È comunque molto accogliente- Kamya gli pose una mano sul braccio e lui le rivolse uno dei suoi stuzzicanti sorrisi prima di pizzicarle la guancia.
Élan e Death Mask si avviarono lungo l’unica strada disponibile, ma qualcosa che aveva attirato la curiosità del medico fece fermare sia lui che l’apprendista.
-Cos’abbiamo qui? Non è veramente una medica, no?- sopra a uno specchio maculato, nella parete piena di maschere, ce n’era una nera col becco lungo che richiamava a quella gettata nell’acquedotto. La raccolse con un gesto frenetico e ne studiò ogni dettaglio con grande interesse, rigirandosela tra le dita, picchiettandola e sbirciando attraverso i ritagli degli occhi -Riempivamo il becco con erbe, canfora, anche rose, quando ne avevamo.-
-Penso che questa sia solo da esposizione. Voglio dire, le maschere da medico non dovevano coprire interamente la faccia come… -
-Come faceva la mia?- la bocca di Julian diventò una linea dritta e le sue labbra si assottigliarono in una smorfia -Voglio solo che tu sappia quanto mi mortifichi sapere che hai dovuto assistere a quella scena…-
Il rimorso e l’imbarazzo erano evidenti ma Kamya scosse la testa e si strinse nelle spalle.
-Tutti abbiamo dei momenti di dramma ed esagerazione, a volte i sentimenti sfuggono al nostro controllo. Non ti giudicherò per questo.-
La mascella di Julian cadde e le sue palpebre si spalancarono in un’espressione di stupore.
-Chi sei? Che ne hai fatto della donna che mi ha quasi scacciato dal suo negozio a colpi di scopa?-
-Ecco, quella è una scenata per la quale dovresti imbarazzarti!- ridacchiò lei, venendo seguita a ruota da lui -Aggiungo anche che sarei pronta a rifarlo, se se ne presentasse l’occasione, ma la verità è che ho semplicemente deciso di provare a darti comprensione e fiducia. Ti prego, non deludermi- il silenzio tra di loro diventò pesante man mano che il medico si rendeva conto di quanto impegnativo fosse il dono che gli era stato concesso, e quanto terribilmente avrebbe disatteso le aspettative -Be’, che aspetti? Provala!-
Julian si ridestò in fretta e si mascherò rapidamente così da nascondere quell’ombra di ripugnanza di sé che minacciava di far scoprire i suoi pensieri.
-Devo dire che non profuma come le erbe che utilizzavamo. Come mi sta?- alzò bene il mento e si rimirò nello specchio studiando il risultato da varie angolazioni -Non sarò entrato nei libri di medicina, ma nel campo della moda ho lasciato il segno!-
L’apprendista lo esaminò a lungo e decise che l’aria che gli donava fosse indecifrabile: la fluida linea del becco gli divideva il volto a metà, tracciando un’ombra sulla mascella e terminando sopra una vena bluastra del collo; il fascino del misterioso sconosciuto c’era tutto, ma le dimensioni di quella protuberanza in effetti…
-Vuoi la mia opinione sincera o la mia opinione brutalmente sincera?- si arrischiò.
Julian si portò un pugno al cuore e una mano alla fronte rivolgendole un’espressione affranta.
-Non se rischierà di ledere la mia autostima!- piagnucolò con tono melodrammatico. La sua performance scucì il riverbero di una risata leggera a Kamya il che, per quanto poco fosse, era comunque un traguardo.
-Ti immagini che disastro provare a recitare con due di queste addosso?-
-Ah! Immagina che disastro provare a baciarsi con due di queste addosso!- il medico si morse la lingua consapevole del suo scivolone un momento troppo tardi per rimediare; sentì la testa fluttuargli nello stesso vuoto in cui erano sospesi il suo cuore e il giudizio della sua nuova amica ma il tono di Kamya rimase leggero e incurante quasi non lo avesse sentito. Furono le azioni che ne seguirono a parlare per lei…
-Della mia misura non ne vedo quindi non posso offrirti il brivido di questa esperienza, ma… Se ti andasse bene solo una maschera, magari…-
Quando gli si appoggiò alle spalle, si alzò sulle punte e si avvicinò al viso di Julian con gli occhi socchiusi, il medico sentì di nuovo la sua coscienza lanciata nell’etere.
La situazione correva troppo perché potesse rimettere assieme i pezzi ma il suo istinto lo guidò a meraviglia: lasciò scivolare le mani sui fianchi della ragazza, inclinò la testa e imitò i suoi movimenti andandole contro.
Letteralmente contro.
Con un colpo secco, Kamya si staccò da lui gemendo, le mani erano corse a premerle la guancia dove il becco l’aveva urtata poco sotto l’occhio.
-Mi dispiace! Ti sei fatta male?- si affrettò Julian a scusarsi, apprensivo tanto quanto lo era stato al mercato -Non avrei dovuto permettere che una cosa tanto sgradevole si mettesse tra di noi!- arrivò a dire, ma la maga, nonostante l’espressione di dolore, nascondeva l’ombra di un sorriso nello sguardo.
-Il rischio era calcolato, ma, dannazione, sono pessima in matematica!- con tutta la contabilità che c’era da gestire al negozio, era lampante che ci sapesse fare coi numeri, ma la battuta bastò a rasserenare il rosso -Forse, se togliessimo uno all’equazione…-
-Aspetta, vuoi dire che saresti disposta a riprovarci?- sussultò Ilya.
Sorridendogli, Kamya portò le dita sotto al suo becco e iniziò a sfilargli la maschera con estenuante lentezza; ogni centimetro di meno erano un’infinità di aspettative che si libravano in volo mentre il petto del ragazzo batteva furiosamente e mentre si domandava se sarebbe arrivato a fine giornata incolume.
Il taglio dei suoi occhi non era ancora stato liberato da quell’impiccio, che Élan giunse da loro di corsa e parlando in modo incomprensibilmente veloce.
-Scusatescusatescusatescusate, non voglio interrompere il vostro momento ma dobbiamo proprio andarcene! Julian!- la maga la fissò a bocca spalancata, combattuta su quanto essere contrariata dall’interruzione, Julian invece si fece rigido a sentire il proprio nome -Fidati, questa davvero non vorresti vederla.-
A buon intenditore, poche parole e al rosso non servì di più per riallacciarsi meglio la maschera e andare incontro al prossimo scandalo che reclamava le sue attenzioni; inseguito da Kamya e dalle proteste di Élan, notò che il locale oltre le tende, con i suoi boa di piume e le bottiglie di vetro abbandonate qui e lì, non era poi molto diverso dal corridoio. Le sole eccezioni erano la foresta di cavi che pioveva dal soffitto, la luce rossa che gettava ombre inquietanti tutto attorno e il lamento che si levava dal sipario di velluto aperto a filo. Death Mask lì accanto sbirciava la scena con aria schifata: chiunque stesse piagnucolando, infondeva nelle sue proteste un’esagerazione tale da smorzarne tutto il dramma.
Julian evitò i mucchietti di funi raccattati a terra, si accostò al Cavaliere e si portò un dito alle labbra rivolto alle ragazze. Quando tutti furono in grado di spiare la scena sul palco, l’avvertimento di Élan prese una forma, un nome e un caratterino viziato niente male: accasciato pietosamente su un letto mal tenuto, in vestaglia di raso scarlatto e con indosso una mezza maschera di porcellana rigata di mascara, un uomo biondo proseguiva il suo struggente monologo.
-Aspettare nelle mie stanze? Il giorno del MIO compleanno?! Cosa si aspettano che faccia qui tutta la sera? Che cammini avanti e indietro? Che implori il garzone per qualche avanzo? Se non posso disgustare gli altri facendolo, allora niente ha senso!-
Era il Conte Lucio.
Tale e quale ai ricordi di Ilya.
Oh, il medico avrebbe dovuto decisamente dare di matto! Il ritorno di Lucio dal mondo dei morti solo per lamentarsi di quanto miserabile fosse stata la sua vita era esattamente il genere di scenario che l’avrebbe fatto fuggire rapido come una lepre… Ma tra l’espressione insofferente del Cavaliere, le assurdità sputate dal Conte e la vasta folla che colmava la sala fin quasi al soffitto, Julian aveva intuito si trattasse di una rievocazione teatrale. In quella zona della città compiangere la dipartita di Lucio non era tanto in voga quanto sfotterlo.
Gli unici che non ne stavano traendo giovamento erano Death Mask e quel povero diavolo di attore, senz’altro notevole, ma a cui era toccata una parte alquanto avvilente.
All’ennesimo verso di scoraggiamento, Cancer prese a maledire sottovoce tutti gli eventi della sua vita che l’avevano trascinato fino a un così scadente spettacolo e Julian soffocò una risata.
-Cazzo ridi a fare? È un metaforico calcio nei coglioni!- gli bisbigliò rabbioso il Cavaliere.
-Esattamente come me lo ricordavo!- fu in grado di biascicare Ilya tra una risata e l’altra - Sono contento di vedere le arti fiorire! Dev’essere cominciato un rinascimento da quando me ne sono andato- ma proprio come il Conte Lucio, nemmeno il divertimento di Julian era destinato ad avere vita lunga; se il riparo del tendone lo faceva sentire al sicuro, la metabolizzazione della parola “compleanno” lo gettò in pasto a una terribile consapevolezza -Un momento… Ma se questa è la notte in cui è morto allora…-
Tutto ciò che poteva accadere in una frazione di secondo, accadde.
In un nuvola di polvere un sacco di sabbia piombò in mezzo al gruppo, dividendone i membri con un sobbalzo, una corda cui il medico si era avvicinato gli si strinse alla caviglia e lo sollevò in aria; le sue urla vennero soffocate dalle fragorose risate del pubblico, ignaro che pochi metri sopra la sua testa e quella del Lucio fittizio, si trovasse il Julian autentico.
Con la maschera che stava cominciando a sfilarsi dal suo viso poco per volta, Ilya non aveva il tempo per restare a contorcersi come un verme all’amo: doveva fare qualcosa. Si piegò verso il piede libero e lavorando con le dita nello spazio tra la gamba e lo stivale, riuscì a recuperare il suo coltello; il sangue si stava accumulando in punti strani del corpo, la testa gli girava ma la vecchia lama segò abbastanza in fretta la corda e il medico precipitò nel grembo setoso della sua ben nota vittima.
Al ritrovarsi il medico in braccio, “Lucio” scattò a sedere e lo accolse calorosamente.
-Dottor Devorak! Eccola qui per curare la mia noia!-
La platea esplose in un boato di risate e applausi mentre Julian deglutiva a fatica.
Élan, risvegliatasi per prima dalla trance in cui l’aveva gettata la scia degli eventi, si voltò dalla parte opposta con la faccia nascosta tra le mani.
-Oddio, non ce la possa fare…- mormorò più in imbarazzo dello stesso rosso.
-Vedi di farcela, invece, è un supplizio per tutti!- fu l’ordine del Cavaliere.
-Io vado a tirarlo via da lì!- Kamya tentò di accorrere in aiuto ma un braccio di Death Mask le impedì di proseguire.
-Ferma! Guardalo bene: è mascherato, nessuno ha capito si tratti del vero Julian. Se intervieni adesso, scatenerai il panico.-
-Quindi che devo fare? Lasciarlo in pasto alla folla?!- la maga fece un nuovo tentativo ma senza successo.
-Purtroppo è un impiccio dal quale si deve cavare da solo.-
Non ci volle molto a Julian prima che capisse di dover raccogliere la sfida; raddrizzò la maschera, balzò in piedi per torreggiare sul disgraziato governante, e scoppiò in una risata roca.
-Buonasera, mio povero paziente! L’orologio rintocca tredici volte per te stanotte!- quando tirò indietro un guanto e lo lasciò andare con uno schiocco, il finto Lucio si accasciò con un sospiro -Sono giunto a porre fine alle tue sofferenze! Goditi quel respiro, perché sarà l’ultimo!-
-Cosa farai? Mi stritolerai tra le tue cosce?- domandò il conte, tremante come un foglia.
-Per la centesima volta, no!-
Stavolta toccò a Death Mask soffrire per l’imbarazzo di seconda mano; si lasciò cadere le braccia sui fianchi sperando di essere inghiottito dal pavimento, mentre Kamya, ipnotizzata dall’assurdità della discussione, non trattenne una risata abbastanza rumorosa da essere udita dal medico. Era un suono così incantevole che Julian perse la concentrazione.
Una cuscinata del conte lo riportò alla realtà e allora iniziò una baruffa in cui volarono piume e finti ceffoni da tutte le parti; il pubblico era deliziato ma dopo qualche tirata reciproca di capelli, Lucio si sfilò da sotto le gambe del suo opponente, estrasse una spada ondeggiante da dietro la testata del letto e assunse una posizione da combattimento.
-Dammi un vero scontro, da uomo a uomo! Vedremo chi sarà l’ultimo a ridere!-
Senza un accessorio di scena, Julian non poteva portare avanti per molto quella pantomima e, probabilmente, un aiuto dal retroscena se lo sarebbe meritato; Cancer si guardò attorno e individuò nella penombra una botte infilzata da spade di stagno, ne sfilò una e si precipitò oltre il sipario. A vederlo, Julian riprese parola.
-Se è un combattimento quello che vuoi, un combattimento è…-
Un sonoro strappo attirò l’attenzione di tutti verso il Cavaliere D’oro che non solo aveva trascurato i calcoli relativi all’ingombro della sua armatura, ma si era anche incastrato con uno spallaccio nel sipario; il velluto si squarciò fino all’asta cui era attaccato, poi prese a fare resistenza finché il Cavaliere non si sbilanciò tanto da cadere di schiena ma sempre con la spada ben alzata per il prode dottore.
In perfetta sincronia, Julian balzò a recuperare l’arma ed Élan corse a trascinare Death Mask nel dietro le quinte; la fortuna che Lucio si fosse distratto e l’oro sul velluto sbrindellato scivolasse a meraviglia, gioco a favore di tutti.
-Dicevo… Ehm, se è un combattimento quello che vuoi, è un combattimento quello che avrai! En garde!- gonfiò il petto il medico.
Il clangore delle spade risuonò fino ai soppalchi e l’audience andò in delirio; non si riusciva più a distinguere l’improvvisazione dall’imprevisto, ma godersi il divertimento portato dall'estemporaneità, era diventato legge. Intanto, da qualche nel teatro, un Julian posticcio, il regista e lo sceneggiatore, stavano imprecando in lingue che neanche conoscevano per il lavoro andato in fumo.
Assieme agli spettatori anche Élan e Kamya si stavano piegando dalle risate e ciò non poté sfuggire al rosso che, tra un fendente e l’altro, non aveva mai assistito a uno scenario così soave: accasciata contro la fata, Kamya stava ridendo tanto da avere gli occhi lucidi, le guance avvampate e da tenersi la pancia per lo sforzo. E quasi tutto per merito suo.
Lo spettacolo che lui le aveva offerto l’aveva fatta impazzire dal divertimento, ma la visione che lei gli stava donando avrebbe potuto fare molto di più: se solo Julian avesse concesso ad entrambi di stare l’uno a fianco dell’altra, il sorriso dell’apprendista avrebbe potuto fargli superare i suoi vecchi traumi, guarire il suo cuore spezzato, distruggere i frammenti di dubbio che avvelenavano la parte più profonda e intima del suo essere… Ma non poteva.
Quelle stesse schegge di ansia che di fronte a ogni cosa bella gli suggerivano che non se la meritasse, lo stavano convincendo anche adesso: accanto a lui le risate sarebbero diventate lacrime, la gioia risentimento e quella raggiante espressione si sarebbe spenta… D’altronde non era forse vero che non fosse capace d’altro che portare sofferenza a coloro che gli mostravano affetto? Non era un irresponsabile, un fuggiasco e un codardo? Stargli accanto aveva un costo troppo alto da pagare e Kamya… La sua adorata… Non si meritava forse qualcuno che non fosse un buono a nulla?
Julian assestò un fendente più deciso degli altri, la spada di Lucio gli sfuggì di mano e lui collassò sul letto con uno stivale del medico piantato nello stomaco.
-Non male! Potrei darti l’opportunità di sceglierti le tue ultime parole, ma fallo con attenzione, Lucio- nel tono del rosso c’era la triste rivalsa di chi sapeva che nonostante la verosimiglianza, rimanesse comunque tutto un gioco.
-Siamo amici, no? Cos’è che vuoi, dottore? Soldi? Ricchezza? Sai che sono generoso e che mi sei sempre piaciuto! Prendi ciò che vuoi, quello che è mio è tuo!- la supplica dell’attore era penosa e il suo respiro corto, nel fondo dei suoi occhi aveva la preoccupazione di chi non era certo si stesse ancora recitando.
-Potrebbe stupirti ma alcuni non uccidono per avidità!- Julian puntò la spada alla gola del conte che d’istinto inclinò la testa -Alcuni di noi uccidono per rimediare all’errore di non averlo già fatto prima!-
Come si erano incrociate le loro lame, altrettanto stavano facendo adesso i loro sguardi, quel nodo di rabbia nel cuore di Ilya iniziò a sciogliersi e la sua spada a calare; poggiò la punta sopra il cuore di Lucio e dopo una convulsione e un gorgoglio, l’attore si afflosciò.
La commedia terminava lì.
Nel silenzio della sala si sarebbe potuto sentir cadere uno spillo, nessuno rideva o osava emettere un suono ma appena il primo accenno di applauso si fu insinuato timidamente, venne seguito da una cascata. Il teatro stava venendo giù, fischi di approvazione e complimenti volavano verso il medico ma lui non aveva attenzioni che per la sua Kamya: nel blu del nuovo faretto, oltre il sipario ridotto a stracci, riusciva a distinguere chiaramente la sua apprensione e il suo coinvolgimento, specie quando delle guardie si radunarono dall’altra parte del palco.
-Che farò adesso? Non potrò rimanere impunito, dovrò pagare…- la gente aveva ripreso a bisbigliare elogi verso quella rivelazione d’attore, ma l’apprendista sapeva che ciò non fosse una battuta teatrale quanto una supplica di chi, nel dubbio di aver compiuto o meno un gesto efferato, implorava lo stesso una condanna.
-Guardie, impiccatelo!- urlò un finto capo dell’esercito.
-Ma magari non oggi!- sputò Julian quando il capannello di soldati fece il proprio ingresso.
Il medico lanciò a casaccio la sua spada e si avvolse nel mantello con un gesto drammatico prima di affrettarsi al suo gruppo.
-Avevi ragione, Élan. Ce ne saremmo dovuti andare- si voltò amaramente a sorriderle prima di togliersi la maschera e lanciarla su un sacco ancora indisturbato.
Afferrò la sua bella per mano e si lanciò in una rocambolesca fuga attraverso il corridoio carico di oggetti di scena, seguito dal più provvidenziale cavaliere del teatro e dalla sua fidata assistente. Non si fermarono finché non ebbero raggiunto la cima delle scale e, una volta fuori, si accasciarono ognuno in modi diversi, chi contro il muro, chi sulle proprie ginocchia e chi addirittura seduto per terra.
A colmare il silenzio c’era soltanto l’aria che usciva in sbuffi affannosi e tutti i confusi pensieri che nessuno si sentiva di condividere; il primo a farlo fu la star della serata.
-Che esperienza, mi sento con un piede ancora sul palco- a guardarlo aveva un’espressione stranita come se non avesse del tutto ripreso contatto col mondo reale -Ma sono contento che nessuno abbia notato fossi veramente io.-
-Li hai davvero stesi- gli sorrise Élan e Julian ricambiò con un inchino -Who-hoo! Vogliamo il bis!-
La fata prese ad applaudire e il medico cercò di ricordarsi almeno una o due battute quando il volto di Kamya entrò nel suo campo visivo; le sue guance erano arrossate per la fuga e il respiro corto per la scalata nel buio, ma ciò che fece capire a Julian di non poter cazzeggiare oltre, era la sua espressione pensierosa.
Per quel poco che ne sapeva e quel tanto che aveva visto, l’apprendista aveva cominciato a macinare delle teorie che continuavano a vorticarle nella mente, soprattutto da che l’aveva visto improvvisare: Ilya aveva giurato di non ricordare di aver ucciso Lucio e anche sul palco aveva accennato al rimediare all’occasione mancata se gliene si fosse presentata una seconda. Con le tempistiche teatrali da rispettare e così poco tempo per mentire, era davvero possibile che avesse messo a nudo la verità? Quando il diretto interessato la prese per le mani, la raccolse da terra e le parlò con tono desolato ma sincero, il quesito si perse nel nulla.
-Niente di tutto quello che avevo programmato oggi è andato come speravo, ma permettimi di riprovarci e farmi perdonare: vorrei andare al Corvo Chiassoso per mangiare un boccone. Se fossi così gentile da unirti a me, offrirei io.-
-Evvai, cibo gratis!- esultò Élan, ma il medico la corresse.
-Veramente vorrei avere un momento da solo con Kamya e portarla a fare un giro per i moli dopo cena.-
-Oh, d’accordo, allora noi si torna da Mazelinka- la fata indicò la strada dietro di loro rendendosi conto solo dopo di non sapere quale imboccare.
-Certo, come no, un monolocale da dividere in cinque! Molto invitante!- Death Mask suonava più burbero del solito dopo la figuraccia a teatro, ma aveva tirato fuori un valido argomento.
-A quello posso porre rimedio io- Kamya si allontanò lungo il vicolo ma si fermò per rispondere all’offerta del rosso -E, Julian, la tua proposta sembra deliziosa: sia cena che passeggiata, le apprezzerei.-
Il ragazzo non nascose un sospiro trasognante sentendola fare il suo nome con tanta cortesia ma il comportamento di Kamya alla fine della stradina, lo lasciò perplesso: camminava su e giù, batteva i palmi tra di loro e parlottava sbuffando di tanto in tanto. A un certo punto si bloccò, sollevò la testa e una bolla si gonfiò dalle sue labbra appena soffiò con più forza. Raccolse la sua creazione tra i palmi e continuò a muovere la bocca finché un pesciolino con iridescenze blu e viola si fu formato del tutto; solo allora si staccò dalla sfera e tornò dai suoi amici. Consegnò la magia ad Élan, che la fissava incantata come una bambina, e li istruì sul suo uso.
-Questo pesciolino contiene un messaggio per la Contessa di Vesuvia ed esploderà in presenza di lei soltanto. Dovete solo fare attenzione a non farlo cadere o rotolare via, d’accordo?-
-La terrò d’occhio io- rassicurò Death Mask.
-Se Nadia saprà che siete dei miei amici vi farà di certo rimanere al castello per il tempo che vi serve e il problema dello spazio sarà risolto. Per arrivarci vi basterà seguire la direzione in cui nuota il pesce, se sbaglierete strada ve lo farà sapere.-
-Al farvi entrare e presentare, posso pensarci io.-
Julian strappò uno di quegli stramaledetti manifesti da ricercato ed estrasse una piuma incantata dalla tasca; checché se ne dicesse, o ne pensasse lui personalmente sulla magia, quella penna che non finiva mai l’inchiostro era davvero funzionale. Chissà che reazione avrebbe avuto se avesse saputo che nel mondo di Élan o Death Mask si chiamavano “biro” ed erano disponibili anche con inchiostro al profumo di lamponi e more!
Stilò il suo messaggio con una calligrafia indecifrabile e richiamò Malak con un fischio; gli indicò a chi consegnare il foglio arrotolato, glielo affidò e lo lasciò librarsi in volo. Con tutte le dovute questioni sistemate e con i necessari saluti fatti, le coppie si separarono: Julian e Kamya verso il Corvo Chiassoso, nonché verso una difficile conversazione, Death ed Élan verso il Castello di Vesuvia e un ancor più surreale nottata.


Death Mask ricordava perfettamente la strada per la loro nuova sistemazione ma Élan si affidò quasi del tutto alla creatura della maga, ogni tanto imboccando apposta una strada alternativa solo per il divertimento di vederla rigirarsi su se stessa e guizzare nella direzione corretta. Giunsero alla meta durante l’ora d’oro, quando il sole non stava ancora tramontando ma era già abbastanza basso da immergere la città nei suoi caldi raggi dorati, incluso il palazzo; la fata alzò lo sguardo solo quando il Cavaliere le diede un colpetto col gomito, ma a quel punto gli occhi le si riempirono di meraviglia e il pesciolino passò in secondo piano.
-Hai mai visto una reggia più stupefacente di questa?- non si era sentita così incantata dal suo arrivo al Grande Tempio e ora stava rivivendo tutte quelle emozioni come se fosse la prima volta in vita sua.
-Ogni giorno quando torno a casa- scrollò le spalle lui.
Era scontato che non sarebbe rimasto colpito, ma tutto il sarcasmo del creato non avrebbe potuto smorzare il momento, né scenografia o descrizione eguagliarlo: il castello era stato ricavato da blocchi di alabastro immacolato e la sua architettura barocca, con le luccicanti guglie dorate e le cinta di mura dalle forme morbide, era arricchita da longilinee ma solide torri che svettavano verso il cielo, l’una più alta della precedente; alla base di quella centrale spiccava un rosone con un cuore carminio su uno sfondo di petali rosati e turchesi, probabilmente le stanze private di Nadia. A incorniciare il tutto vi erano un rigoglioso parco alle spalle della struttura e due limpide cascate laterali che si gettavano nel fossato.
Élan sentì Death Mask toglierle la bolla di Kamya dalle mani e lo prese come un permesso al lasciarsi andare; corse al cancello d’argento scuro e infilò il viso tra le sbarre. I suoi occhi brillanti si posarono su ogni dettaglio visibile a quella distanza, su ogni balcone e su ogni finestra illuminata ma vennero catturati sul ponte quando una macchia di capelli rossi ondeggianti si avvicinò di corsa; li raggiunse con un fiatone da record, segno che si fosse precipitata lì da molto lontano, ma riuscì lo stesso ad accoglierli come si conveniva.
-Buonasera! Mi avevano avvisata che sareste arrivati! Voi dovete essere uhm…- Portia srotolò la lettera di Julian e si sforzò di decifrare la sua calligrafia più accuratamente; aveva capito di dover accogliere qualcuno, ma non i loro nomi -I nuovi amici di Kamya! Io sono Portia. Prego, da questa parte.-
La fata si allontanò per permettere a una coppia di guardie di aprire i cancelli con fare solenne, poi lanciò a Cancer l’espressione di chi stava per mettere piede dentro una favola; lui le sorrise condiscendente e le fece gesto di incamminarsi alzando il mento.
Nel condurli attraverso i corridoi, Portia li istruì sulla figura della Contessa, sui nomi dei cortigiani, sui loro ruoli e sul comportamento da tenere in loro presenza, anche se quando arrivarono al salotto trovarono Nadia intenta a fare altrettanto con Valerius.
-Ve lo ripeto per l’ultima volta: non potete, anzi, non dovete umiliare i miei ospiti versandogli addosso del vino. È uno spreco del lavoro dei contadini, della benevolenza dei miei invitati ma, soprattutto, della mia tolleranza.-
-Cara Contessa, vi assicuro che si è trattato soltanto di uno sgradevole incidente.-
-Vi avverto, Console: ogni scusa che avanzate è un insulto alla mia intelligenza. Vi suggerisco di riconsiderare il vostro approccio.-
La falsità nel tono dell’uomo si era percepita anche da oltre la porta chiusa e tanto era bastato per far salire l’acido di stomaco collettivo, ma Nadia non era semplice da abbindolare, e per fortuna sarebbe stato da aggiungere! Ogni qualvolta che doveva avere a che fare con Valerius, Portia era costretta a ingoiare il suo rospo quotidiano, ma vedendoselo risparmiato per quella sera, tirò un sospiro di sollievo, sorrise trionfante e bussò alla porta.
Ricevuto il permesso, fece accomodare i nuovi arrivati.
All’interno c’era la cerchia più fidata di Nadia al gran completo: Volta, Vlastomil, Vulgora, Valdemar e l’irreprensibile Valerius; oltre alla solita degustazione di una caraffa di vino, si stavano dedicando a un gioco simile alla dama ma la reazione di Volta alla vista di Death Mask, decretò la fine della partita. Considerata la sua maniacale ossessione per il cibo, era marginale che fosse un bell’uomo, che avesse un carattere virile o una voce imponente, tanto più che non l’aveva ancora sentito pronunciare mezza parola, ma non era in alcun modo trascurabile la sua appetitosa, baluginante armatura-carapace, specie se notata la somiglianza con quella che Volta teneva nella propria villa, nascosta in mezzo ai tesori cui mostrare venerazione.
Incurante della sua forza e a discapito della piccola statura, la foga del suo scattare in piedi gettò il tavolo in avanti e tutte le pedine a terra, rendendo inconclusa e inconcludente la partita.
Tutti i cortigiani la incenerirono con gli occhi, soprattutto Vulgora, ma presto la loro attenzione venne catturata da altro: trovandosi in presenza di Nadia, il pesce di Kamya si era messo a fremere ed era esploso in una marea di scintille, riempiendo la stanza con la voce della maga.
-Egregia Contessa, questi sono i miei nuovi amici: il Cavaliere D’oro Death Mask e la sua compagna Élan. Non c’è una lunga conoscenza ad accomunarci, ma posso garantire sulla loro affidabilità. Non hanno un posto dove stare quindi vorrei, col vostro permesso, avanzare la proposta di ospitarli al castello; se ciò non fosse possibile, chiederei a Portia di indicare loro la strada più veloce per il mio negozio e mi scuserei per la mia mancanza di rispetto. Vi ringrazio per la vostra eventuale disponibilità e vi auguro una gradevole serata.-
Cessato il messaggio, l’armonia tornò tra i cortigiani e Nadia rise sommessamente: anche a chissà quale distanza, l’apprendista eccelleva nel deliziarli con un sistema di comunicazione tanto affascinante, ma non riusciva comunque ad abbandonare quel tono rigido. Magari i suoi nuovi invitati avrebbero adottato un atteggiamento diverso.
-Naturalmente vi ospiterò, gli amici di Kamya sono anche i miei- il sorriso di Nadia era accogliente e caloroso come quello di una vera diplomatica.
-Non saprei esprimere la nostra gratitudine, Vostra Altezza- nella mente di Élan si erano marchiate a fuoco le parole “Contessa di Vesuvia e Principessa di Prakra” perciò optare per un inchino le parve il minimo.
-Potreste iniziare rilassandovi e chiamandomi “Nadia”.-
-Ehilà, Noddy!- esultò Death Mask, per il puro gusto di strafare.
Lo sgomento fu generale: mentre i cortigiani si perdevano in commenti, il calice di vino che Nadia teneva in mano le scivolò dalle dita, si infranse in mille pezzi e andò a macchiare un tappeto nuovo. Se Valerius fosse stato un uomo diverso avrebbe colto l’occasione per metterla in ridicolo alla luce delle recenti prediche. Buon per lui che fosse abbastanza furbo da sapere di doversi mordersi la lingua…
-Ma sei scemo?! Non puoi chiamarla così, è una principessa!- protestò Élan.
-Ha detto di rilassarci!-
-Appunto, rilassarci, non allargarti troppo, non sei a casa tua!-
-Disse quella che aveva mostrato zero rispetto per un Cavaliere D’oro!-
L’allusione al loro primo incontro scatenò un litigio tanto animato che Vulgora li incitò a passare alle mani, Portia si mise tra loro per tentare inutilmente di calmare gli spiriti e Valerius cominciò a borbottare su quanto la buona reputazione del palazzo sarebbe colata a picco se si fosse continuato ad accettare soggetti di quella levatura tra gli ospiti; alle sue critiche si unì Vlastomil che non apprezzava le pessime maniere di nessuno dei due, e Volta che cercava di placare Vulgora affinché non succedesse niente di male al suo nuovo amico “granchietto”.
Valdemar era l’unica a non partecipare: preferiva starsene in disparte fissando la scena con un ghigno deliziato.
La stanza si era riempita di un’assordante cacofonia ma Nadia si era isolata nelle sue riflessioni: quel sorriso, quell’atteggiamento, persino quel modo di parlare e i suoi occhi… Ma soprattutto quel dannato soprannome! Lui era stato l’unico che l’avesse chiamata “Noddy” a suo tempo, e ora il Cavaliere aveva fatto la stessa identica cosa in maniera del tutto spontanea.
Le teorie e i timori vorticavano, prendevano il volo a una velocità spaventosa e per quanto confortante fosse il pensiero che si trattasse di tutta una grande coincidenza, la principessa sapeva molto bene che il caso non esistesse. Bastò un rapido scatto nell’alzarsi in piedi a convergere tutte le attenzioni dei presenti verso di lei e a far calare un silenzio di tomba. Le prime parole che lo spezzarono, furono per i cortigiani.
-Vogliate scusarmi, signori, ma sembra che il dovere mi chiami. Portia, conduci Élan alla stanza di fronte a quella di Kamya, e voi, Cavaliere…- si rivolse a Death Mask con sguardo vitreo -Vogliate farmi la cortesia di seguirmi.-
Nadia scortò il trio fuori dal salotto e si avviò lungo la strada per le stanze degli ospiti; l’andatura spedita del suo passo trasudava la sicurezza di chi sapeva in che modo agire, ma il tremolio dei suoi pugni rischiava di tradirla. Élan, di quando in quando, si voltava verso Death Mask per mormorargli un piccato “te l’avevo detto” ma non riceveva altro che gesti di noncuranza in risposta.
Giunsero all’ala designata in pochi minuti e la contessa imboccò la scalinata per le stanze di Lucio; Mercedes e Melchior, beati nella loro pennichella pomeridiana, sollevarono a malapena un orecchio nel sentirla passare, ma sollevarono il muso increduli alla vista di Cancer. L’uomo ebbe un momento di esitazione alla loro sorpresa, ma continuò a seguire Nadia quando lei lo fissò con un’espressione tutt’altro che amichevole.


Élan non aveva potuto seguirli direttamente, ma aveva capito stesse accadendo molto più di quanto la logica potesse spiegare: di qualunque argomento avessero avuto intenzione di discutere, doveva esserci anche lei.
Accompagnò Portia per un altro paio di metri, girato l’angolo sfruttò tutta la furtività che le riusciva e ritornò svelta sui suoi passi per seguire quelli della principessa.
All’inizio del corridoio che precedeva la camera di Lucio, venne investita dalla stessa sensazione che aveva oppresso Kamya, ma più che il disagio poté la brama di sapere: sapere cosa fosse accaduto a quell’area del castello, perché Nadia avesse scelto un tugurio simile per una chiacchierata e cosa avesse suscitato in lei una reazione tanto imperscrutabile.
Quei pochi raggi di sole che riuscivano a farsi strada attraverso l’opacità dei vetri sporchi furono più che sufficienti a guidarla e, anche se fuori dalla porta le voci suonavano attutite, le bastò socchiuderla per cogliere il fondamentale.
-Ditemi, Cavaliere- lo incalzò la contessa -Voi non siete di queste parti, dico bene?-
-Io e la piccoletta? Assolutamente no.-
-Ma dico bene quando affermo che siete nato nel nord. Il clima doveva essere di difficile gestione da quelle parti.-
-Difficile sì, ma nord no. Era il sud.-
I tentativi di Nadia nel mantenere ferma la voce e bassi i toni erano encomiabili, ma ad ogni evasiva risposta di Death Mask, la convinzione veniva sempre meno.
-La vostra famiglia si trova ancora lì?-
-Mai conosciuta.-
-Non ne avete nemmeno qualche ricordo?-
-Tutti rimossi…-
Più che di una conversazione, si sarebbe potuto parlare di un interrogatorio, o uno scambio di battute che rasentavano il monosillabico; l’illuminazione era scarsa anche in quel caso, ma pure osservando così poco e da così lontano, Élan poté benissimo scorgere la reciproca diffidenza e le posture rigide: Death Mask con le braccia conserte e Nadia con le dita intrecciate strette tra di loro.
Con passo felpato la donna prese a girare attorno all’uomo per soppesarne l’apparenza; le sue gonne raccoglievano tutta la polvere che trovavano sul pavimento ma la sporcizia era irrilevante rispetto al raggiungimento del suo obbiettivo.
-Trovate l’arredo di vostro gradimento?- domandò sciogliendo le dita per indicare ciò che stava loro attorno.
Death Mask studiò i suppellettili e non trovò una sola lancia da spezzare a loro favore: nessun mobile era stato spolverato negli ultimi tre anni, lo stile era antiquato e, anche se non poteva saperlo, l’uomo carbonizzato lì dentro non era mai stato rimosso; non che il forte odore della morte lo disturbasse, ma l’aria era talmente carica di cenere che ogni colpo di tosse trattenuto, gli costava uno sforzo. I dipinti del biondino, poi, erano pacchiani e in sovrannumero…
Non avrebbe voluto mentire così spudoratamente, ma l’ultima volta che aveva espresso il suo parere senza fronzoli, aveva provocato un disastro… Forse era il caso di puntare sull’approccio che Aphrodite avrebbe definito “fake it ‘till you make it”, “fingi finché non lo ottieni”.
-Come no! Tutto molto incantevole! Magari con una passata di aspirapolvere…- strusciò un dito sulla superficie più vicina e ne rimase sopra un tale quantitativo di grigio che più che un gattino di polvere, gli sarebbe venuto da definirlo un gatto così vecchio che l’indomani sarebbe andato a ritirare la pensione -Qualche cuscino colorato… Ma soprattutto punterei sui dipinti di guerra del tizio ossigenato, quelli sì che danno un tocco di classe!- esclamò in un eccesso di veemenza.
Nadia poteva definirsi molte cose, ma non una sciocca, e dall’alto del suo fine orecchio musicale aveva colto ogni nota di ironia; poteva trattarsi di una verità non pura, una teoria fantasiosa o un abbaglio, ma troppi erano gli ingranaggi che stavano combaciando e l’aggiunta di un’altra molla avrebbe reso lo scatto del meccanismo distante solo un ticchettio.
-Vedo che li apprezzate, ma mi trovo a non condividere i vostri medesimi gusti artistici- con un gesto rapido ma aggraziato, afferrò il candelabro dello scrittoio e girandone il collo, sbloccò un incastro che lo divise in due parti: i bracci per le candele in una mano, e la base da cui ora spuntava una corta lama nell’altra. Si accostò al quadro più vicino e ce la pose sopra -D’altro canto, mi trovo nel mio palazzo: se volessi sfregiare questo ritratto, per esempio, voi non potreste avere nulla da ridire in proposito…-
-No, non farlo! È uno dei miei preferiti, Noddy!- la pregò fintamente lui serrando le distanze. Con uno guizzo del polso, Nadia puntò la lama alla gola di Death Mask, fermandolo a meno di un braccio di distanza -Vedo che non ami i soprannomi… E nemmeno i miei dipinti preferiti…- la punzecchiò lui sorpreso, ma non intimidito.
La tensione si sarebbe potuta tagliare proprio come l’uomo che le era di fronte, e per l’ansia che lo stava caricando, il cuore della contessa impazzì di battiti. Amava i giochi di logica e le sfide mentali, ma altrettanto amava non perderli e proprio in quel momento si sentiva con un piede sul baratro della sconfitta.
-Ma insomma, voi chi diavolo siete?- sibilò.
Élan non ci vide più. Aveva retto la pressione man mano che saliva, ma era diventata troppa: spalancò la porta con una spallata e corse a mettersi tra i due.
-Contessa, fermatevi! Che state facendo?!-
Nadia, per evitare di ferirla, piegò il gomito ma mantenne la sua posizione d’attacco.
-Solo mio marito usava chiamarmi in quel modo e il vostro “cavaliere” me lo ricorda fin troppo: stesso sguardo, stesso modo di parlare, anche lui veniva dal sud e non godeva di ottimi rapporti con la propria famiglia. Cosa dovrebbe farmi pensare che non siano la stessa persona?-
Ad Élan bastò sollevare lo sguardo per esaminare il conte di cui non si faceva altro che vociferare: Lucio e Death Mask avevano entrambi gli occhi chiari, era vero, l’oro era parte condivisa del loro look, ma c’era un’altra caratteristica che li avvicinava e li divideva allo stesso tempo.
-M-ma sono coetanei! In quel dipinto è rappresentato un uomo piuttosto giovane. Se non è un ritratto vecchio, come avrebbe potuto essersi reincarnato in una persona della sua stessa età?- la logica era ferrea, ma Nadia non si sentiva del tutto persuasa -Ci sarebbe un’altra cosa, ma non so se sarebbe credibile ai vostri occhi…-
-Fate un tentativo.-
-Quando Death dice che non siamo di queste parti, non intende dire che non siamo di questa città: noi non siamo proprio di questa dimensione!- la lama si abbassò ancora -Veniamo da un posto chiamato “Grande Tempio” e non è a nord, sud, sotto, sopra, o raggiungibile con una carrozza: ci si arriva solo attraverso un portale che pochi sanno aprire. Credo in molte cose ma non sono certa che reincarnarsi nel corpo di un coetaneo, per giunta di un’altra dimensione, sia possibile…- la difesa era inattaccabile e Nadia venne disarmata con gran delicatezza mentre Élan tentava di sfilarle via il portacandele -Per cui, che ne dite di seppellire l’ascia di guerra e consegnarmi il… Candelabro? Però, che bella arma!-
La contessa rinfoderò la spada, fece scattare il meccanismo e risistemò l’oggetto al suo posto sulla scrivania.
-Mio marito negli ultimi mesi della sua vita era convinto che qualcosa di terribile lo stesso perseguitando. Era diventato paranoico per cui aveva fatto disseminare molte armi nascoste nel castello. Armi come questa.-
-Inquietante. Fico ma inquietante…- asserì la fata.
-Eccoti! Temevo ti fossi volatilizzata!- Portia fece capolino all’ingresso di nuovo col fiatone; aveva cercato Élan in lungo e largo e alla fine l’aveva trovata proprio con il suo cavaliere, esattamente come le aveva suggerito l'istinto… Peccato avesse finito per trovare anche un’atmosfera piuttosto pesante -Ehm, va tutto bene?-
-Alla grande! Noddy ci stava parlando del suo matrimonio basato su reciproco amore e fiducia!- se ne uscì Death Mask visto che i loro rapporti non sarebbero potuti comunque peggiorare.
La contessa gli rivolse un’ultima espressione di biasimo e si avviò verso l’uscita.
-Ti chiedo scusa per aver interrotto il tuo lavoro, Portia. Procedi pure. Vi attenderò a cena, siate puntuali- si raccomandò con i suoi ospiti prima di varcare la soglia assieme alla sua cameriera.
Trascorso il tempo necessario a non sentirne più i passi, Élan tirò una gomitata sul braccio di Cancer abbastanza forte da assicurargli almeno un piccolo livido.
-Datti una controllata, capo! Ci stanno facendo un gran favore!-
-Eeeeh! Come la fai lunga! È una donna adulta: saprà reggere un piccolo botta e risposta!-
-Be’, quella donna adulta ci sta trattando con i guanti di velluto, quindi vedi di rigare dritto prima che ti ci faccia rigare io! E un’altra cosa: i ponti vorrei usarli per farci le ferie, non per viverci sotto!-
Mentre le proteste della fata si perdevano nel corridoio, Death Mask scosse la testa con una risata: era tanto carina quando metteva la sua sagacia al servizio della sua rabbia, lo faceva sentire come se non fosse davvero nei guai.
Nel momento in cui s’incamminò per raggiungere le due ragazze, un brivido lungo la schiena lo bloccò sul posto; nonostante l’aria fosse diventata bollente d’improvviso, un’immagine ai bordi della sua mente gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. La persistente sensazione di essere spiato lo portò a voltarsi di scatto ma nessuno nella stanza si era mosso se non i brandelli delle tende agitate dal vento. Sarebbe stato pronto a giurare ci fosse qualcosa dietro a una delle colonne del letto e soprattutto sarebbe stato pronto a indagare più a fondo ma un altro richiamo di Élan scombinò le sue priorità.
-Death Mask! Muovi ‘sto granitico culo prima che faccia notte!-
Non era certo di quale mistero si stesse celando ai suoi occhi, ma promise a se stesso e al conto in sospeso di non lasciarlo tale troppo a lungo.


Portia conosceva a menadito ogni angolo del castello, ogni stanza, ogni ripostiglio o cantuccio, persino i passaggi segreti non nascondevano sorprese per lei; era proprio questa conoscenza a donarle l’imparzialità con cui affermare che la stanza dedicata a Death Mask ed Élan fosse una delle più belle dell’intero palazzo. Specie a quell’ora della giornata, non perdeva occasione per metterci piede dentro e bearsi di uno stupore che stavolta impressionò persino il Cavaliere D’oro.
La porta si spalancava alla destra di un maestoso letto con baldacchino di seta indaco, sulla parete opposta i bordi di un ampio specchio erano sommersi da una cascata di cristalli scintillanti, ma nessuno dei due era il pezzo forte: dal balcone si poteva godere del miglior panorama che la città avesse da offrire e, soprattutto, del tramonto che si stagliava all’orizzonte. Questo magnifico scenario era stato ricreato sulle porte del terrazzo cosicché, quando il sole cominciava a tuffarsi tra le onde marine, la sua luce investiva le tessere di vetro e immergeva la stanza in un tripudio di vivaci colori; di quella stessa luce godevano anche le costellazioni argentate sulle pareti blu notte e sulla volta del soffitto. Il resto del mobilio erano un semplice armadio e uno scrittoio entrambi d’avorio con angoli e giunture argentati.
Élan non perse tempo e corse a gettarsi sulle lenzuola più soffici che avesse mai provato, mentre Cancer se ne stava con le braccia larghe in segno di trionfo e col naso all’aria per trovare il proprio gruppo di stelle; compiuta la missione indicò le ragazze con un gesto elettrizzato ed esultò a gran voce.
-Questo sì che si chiama salire di categoria!-
-Lenzuola soffici, lenzuola soffici, lenzuola soffici…- mormorò la fata con la faccia affondata in un cuscino bordato di frange.
-Verrò a chiamarvi per la cena, dovrebbe venire servita tra poco. Mettetevi a vostro agio ma, vi supplico, non offendete altri membri dell’alta nobiltà di Vesuvia- lasciati con una malferma raccomandazione e seguita nel corridoio da altre esclamazioni di gioia, Portia si beò della loro reazione come se fosse stata lei ad arredare e dipingere la stanza, ma specialmente si rasserenò all’idea che quelli fossero i nuovi amici di suo fratello.
Intanto, l’entusiasmo per la nuova sistemazione aveva rasserenato i toni tra Death Mask ed Élan.
-Finalmente un letto confortevole- sospirò lei respirando a fondo il profumo del raso fresco.
-Abbiamo la nostra privacy- aggiunse l’uomo con tono allusivo.
-Niente faccende di casa…-
-L’ho già detto che abbiamo la nostra privacy? E tempo prima di cena…- le si avvicinò predatorio ma a vederla scostare il baldacchino dal fondo del letto, gli tornò in mente quello stracciato nella camera del conte.
Realizzò in un lampo che non c’era tendaggio o arredo fastoso che potesse seppellire le orribili sensazioni che l’avevano seguito dalla stanza di Lucio, né colore che gli facesse dimenticare il grigio spento della cenere… Quello che era davvero in suo potere, era sentire il loro alito bollente sul collo, un invito a tornare per dedicare loro la sua incondizionata attenzione.
-Mi stai dicendo che vuoi testare le molle?- Élan si girò sulla pancia e, reggendosi coi gomiti, si prese il mento in una mano e con l’altra accarezzò languida il materasso. Vedendo il suo compagno distratto, aumentò la posta in gioco accarezzando il labbro inferiore col mignolo e stringendo il seno tra le braccia per farlo apparire più abbondante: con quella posa da “ho un gran bel paio di tette” non poteva resisterle.
Eppure lo fece.
-Sì, sì, magari un’altra volta…- la liquidò Cancer, scartando verso la porta e praticamente sbattendosela alle spalle.
Dire che la giovane rimase spiazzata, fu un eufemismo. Si raddrizzò e tentò di analizzare la situazione per vedere cosa le fosse sfuggito: Death Mask era forte, giovane, con la libido di un toro, in tre giorni le era saltato addosso in ogni luogo e in ogni lago, l’aveva tentata tutte le sere e non aveva perso occasione per metterle le mani addosso!
L’unica cosa a fermarlo, oltre ai loro vestiti, era stata quell’occhio di falco di Mazelinka, che Élan aveva mentalmente rinominato “KGB levati”; per carità, era stato piacevole sbrigare faccende casalinghe che non comportassero rischi o pericoli, si era divertita a veder scorrere la vita della parte bucolica e rilassata della città ma il suo ritornello faceva rima con quello di Death Mask e avrebbe ceduto più volte di quante non gliene fossero state proposte… Ma allora perché adesso che l’unico impiccio era la tempistica, lui girava i tacchi per andarsene? Cos’è che lo stava distraendo tanto?
Nemmeno il diretto interessato poteva darle risposta, ma sembrava che un compiaciuto duo di cani fosse giunto per portarlo dove ne avrebbe trovate. Il Cavaliere se li ritrovò di fronte uscito dalla camera: appena lo videro, Mercedes si raddrizzò sulle zampe, gli saltò al petto e prese ad annusargli il mento, Melchior gli trotterellò attorno scodinzolando come un matto e con la lingua penzoloni.
-Okay, okay, grazie per l’entusiasmo!- Death Mask gettò le mani in aria e la testa all’indietro per evitare le coccole umidicce.
Non se ne intendeva molto di animali ma era strano che dei levrieri mai visti prima lo accogliessero con lo stesso affetto di un padrone che non vedevano da tempo… Ancor più strano era che tutta quella confidenza venisse proprio dai due esemplari famosi per la loro diffidenza. Ma la cosa più strana di tutte furono le testatine che Melchior prese a dargli alle gambe quando la sorella si incamminò per il corridoio.
L’uomo gettò uno sguardo interrogativo al cane ma la scontata risposta fu un abbaio e altre capocciate; tentò di placarlo con qualche carezza, magari quello che voleva erano solo delle coccole, ma la sua mano venne abilmente schivata. Dopo un lungo, silenzioso scambio di sguardi, fece qualche passo nella direzione seguita da Mercedes e Melchior lo seguì prontamente. Ci riprovò un altro paio di volte e lo scenario fu lo stesso; se seguiva la direzione intrapresa dalla levriera, filava tutto liscio, ma se osava anche solo tentare di seguire la via opposta, il fratello lo placcava e protestava sonoramente.
A Death Mask bastò poco per realizzare che se avesse indossato stoffa piuttosto che un’armatura, l’avrebbero trascinato fino a destinazione, e che la sua unica scelta era accontentarli.
Si voltò indietro a guardare la porta della sua nuova camera e tirò uno sbuffo colmo di rimpianti: era troppo tardi per tornare da Campanellino e sbattersela contro la superficie più solida della stanza come aveva anelato dal loro primo incontro, vero?
Mentre si decideva una volta per tutte a soddisfare i morbidi levrieri, afferrò che, purtroppo per lui, era tardi anche per seguire il suo buon senso ma d’altro canto, era in gioco, quindi gli conveniva giocare…










N.d.A
Ogni volta è una sfida trovare il giusto mezzo tra lo stile di NixHydra (senza cadere nella copia parola per parola) e lo stile che si addice più a me, ma ogni capitolo che metto su carta diventa sempre più facile. La trama sta cominciando a infittirsi e per il prossimo capitolo prometto un bel po’ di brividi. Stay tuned!
   
 
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