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Autore: Nina Ninetta    03/12/2022    5 recensioni
Coffe shop!AU!
I ragazzi dell'Umbrella Accademy si ritrovano nel caffè dell'Accademia la vigilia di Natale e, come se fossero una vera famiglia, con tutti i disguidi che può comportare, Grace riuscirà a tenerli insieme...
Questa storia partecipa ai 72 prompt in attesa del Natale indetti da Mari e Sofifi sul forum "Ferisce la penna"
Questa storia partecipa al contest “To Be Writing Challenge 2022" indetto da BellaLuna sul forum "Ferisce la penna"
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto partecipa a ben due contest, indetti entrambi sul forum di “Ferisce la Penna”

Inizialmente è stata pensata per “72 prompt in attesa del Natale” di Mari e Sofifi. Il pacchetto da me scelto è il numero 3 e prevedeva i seguenti elementi:
promt: Biscotti;
citazione: “Credo di essere geloso. È così, sono geloso? Da She-Hulk;
AU: Coffee shop!AU

Poi, cade a pennello anche per la tematica del mese di dicembre – Family Bound – del contest di BellaLuna
 "To be writing Challenge, la quale non posso non ringraziare per questa bellissima challenge che mi ha tenuto compagnia per l’intero 2022!

Buona lettura,
Nina^^



 
Umbrella Academy’s Cafè
- Biscottini di Natale -
 
*
 
L’Umbrella Academy’s Cafè era il locale più frequentato dagli studenti dell’Accademia: una scuola per ragazzi speciali, geni con abilità fuori dal comune le cui doti venivano sottoposte e sviluppate sotto l’attento operato del rettore Sir Reginald.
Il cafè era nato quasi in contemporanea con l’istituto e ormai era diventato un luogo d’incontro e di svago dopo le lezioni, la sera, nei giorni festivi. Soprattutto per coloro che non riuscivano a tornare a casa per le feste natalizie.
 
Era infatti il 24 dicembre, fuori nevicava da diverse ore, tanto che la neve aveva creato uno strato soffice e bianco ovunque si posasse. All’interno del locale però l’atmosfera era calda e accogliente, grazie al tepore del camino acceso e alle decorazioni natalizie che riempivano l’ambiente.
La titolare Grace aveva piazzato gnomi e babbi natale praticamente ovunque con l’aiuto della nuova cameriera Lila (una ragazza mingherlina, con i capelli tagliati a caschetto di un biondo paglierino che stridevano con il suo incarnato olivastro) e Vanya. Quest’ultima, di origini russe, aveva frequentato l’Umbrella Academy per anni, poi un giorno Sir Reginald l’aveva convocata nel suo ufficio e senza troppi giri di parole le aveva comunicato che era espulsa: in tutto quel tempo non erano riusciti a trovare in lei abilità speciali, doni come li chiamavano lì, era una normale e comunissima ragazza della sua età. Vanya aveva raccolto i suoi pochi affetti in una scatola e si era rifugiata nel cafè. Qui Grace aveva subito notato il suo tormento e apprendendo il suo desiderio di non voler tornare in Russia, le aveva proposto di lavorare per lei. Vanya non se lo era fatta ripetere due volte.
Lo scacciapensieri sopra la porta tintinnò, annunciando l’ingresso di un cliente. Lila si voltò di scatto, sperando che fosse il suo grande amore Diego, invece era Luther: un ragazzone di quasi due metri, con un fisico da quaterback e il cervello di un bambino. Sir Reginald lo definiva il numero 1, ma nessuno aveva ancora compreso il perché.
«Un giorno quello là andrà sulla Luna, vedrete!» diceva a tutti gli altri, ma per adesso Luther aveva solo l’aria di essere un adolescente un po’ troppo cresciuto.
Il ragazzone si accomodò al banco, salendo goffamente sullo sgabello che parve scomparire sotto la sua stazza. Grace gli sorrise.
«È ancora vuoto, eh?!» Disse lui, ticchettando nervosamente le dita sulla superficie liscia. Sembrava sempre a disagio, fuori luogo ovunque fosse.
«Se intendi dire che è vuoto perché Allison non è ancora arrivata allora sì: è vuoto.» Lila era la solita impertinente. Vanya la fulminò con lo sguardo, mentre porgeva a Luther una tazza di caffè fumante.
«Non la pensare, Lila fa sempre così» aggiunse, dispiacendosi per quel ragazzone evidentemente innamorato. «Cosa ti porto?»
«Per adesso sto bene così, grazie» rispose lui, sorseggiando il caffè; poi Grace gli allungò un vassoio pieno di biscotti natalizi. Avevano un buon profumo di cannella.
«Li ho appena sfornati, li offre la casa» disse, allargando il suo sorriso confortante. Luther ne addentò uno e ricambiò il sorriso, pur sempre con il suo fare goffo e imbranato.
All’improvviso udirono una specie di imprecazione provenire dal fondo della sala e i presenti si voltarono in quella direzione. Al tavolo più nascosto di tutti c’era seduto Klaus: un giovane studente dell’accademia che tuttavia aveva l’abitudine di parlare da solo, sebbene lui sostenesse di vedere il fantasma di un certo Ben. Quest’ultimo, raccontava Klaus, era un giovane studente che non aveva retto la vita imposta dall’Accademia e si era suicidato.
«Quello è tutto matto!» Esclamò Lila, osservando il ragazzo discutere animatamente con nessuno.
Vanya gli si accostò, portando con sé un piatto di biscotti alla cannella.
«Klaus…»
«Vanya, grazie a dio! Vorrei un bicchiere di whisky, liscio, senza ghiaccio. Ma questo qui dice che devo smetterla di bere, che mi annebbia la mente.»
La giovane guardò la sedia vuota di fronte a lui e pensò che egli, chiunque fosse, avesse ragione.
«Forse è meglio se ti porto un caffè. Prendi un biscotto intanto.»
«Ti ci metti pure tu!» continuò Klaus, tenendo davanti agli occhi un biscotto a forma di renna. «Oh, che carino! Adesso quasi mi sento in colpa a mangiarlo» aggiunse, mordendo le corna friabili dell’animale. «Un whisky, cara, un whisky» concluse, ringraziandola quando Vanya si allontanò.
 
La porta del caffè si spalancò di nuovo e una folata di vento gelido si scontrò con il tepore del camino. Allison rimase qualche secondo di troppo sullo zerbino, lasciando che alcuni fiocchi di neve si posassero sul tappeto. La bella studentessa si guardò intorno, sembrava cercare qualcuno.
«Ehi, Allison! Entri o esci, deciditi! Ma chiudi quella dannata porta!» Le urlò Lila da dietro il bancone, riempiendo un’altra tazza di caffè a Luther. Quest’ultimo non aveva che occhi per la ragazza che era appena arrivata. Lei lo notò e si affrettò a chiudersi la porta alle spalle per raggiungerlo.
«È libero?» Gli chiese, indicando lo sgabello vacante alla sua sinistra.
«S-sì, sì» balbettò Luther e Lila alzò gli occhi al cielo notando gli sguardi sdolcinati che i due si lanciavano di soppiatto.
«Patetici» disse, tornando alle sue faccende.
Vanya l’aveva osservata da lontano, insieme a Grace. Adesso sghignazzavano divertite, sapendo benissimo che il caratteraccio di Lila si sarebbe smussato solo quando il suo grande amore avrebbe varcato la soglia del locale.
Manco a dirlo, la porta del locale si aprì di nuovo e – finalmente – Diego comparve dal nulla. Lila lo chiamò a gran voce, correndogli incontro con le braccia spalancate. Il ragazzo, anche lui uno studente dell’Umbrella Academy, l’afferrò al volo e la baciò sulle labbra, in un bacio sempre più lungo e passionale.
Klaus, al terzo bicchiere di whisky, batté le mani e urlò per incitarli a non smettere:
«Amatevi, amici miei! L’amore è la soluzione a tutti i problemi del mondo!» Esclamò prima di rivolgersi alla sedia vuota dinnanzi a sé. «Hai visto, Ben? Magari, se anche tu avessi avuto una persona che ti amava non avresti fatto questa fine.»
Allison e Luther si scambiarono uno sguardo imbarazzato, senza sapere bene cosa dirsi. I loro sentimenti erano palesi a tutti, eppure sembrava esserci sempre qualcosa, un intoppo, che non permetteva loro di goderseli. La ragazza chinò il capo e i suoi riccioli castani le coprirono il viso, poi un piattino colmo di biscotti natalizi scivolò verso di lei. Allison sollevò lo sguardo e incontrò quello di Luther:
«Prendine uno, sono alla cannella» le sorrise buffo.
«Grazie» rispose lei.
Diego e Lila erano ancora intenti a sbaciucchiarsi, quando lo scacciapensieri tintinnò di nuovo sopra le loro teste.
«Accidenti ragazzi, prendetevi una stanza al motel!»
I due innamorati finalmente si allontanarono e lei indirizzò una linguaccia a Cinque: il ragazzo che era appena entrato.
Cinque era lo studente più giovane dell’Umbrella Academy, un vero genio della matematica, della fisica e di tutte le altre materie scientifiche super difficili. Nessuno conosceva il suo vero nome di battesimo, poiché Sir Reginald lo aveva presentato a tutti come numero 5. Quest’ultimo, con il suo andamento dinoccolato, si accomodò al tavolo più vicino al caminetto e Diego lo raggiunse, salutando ancora una volta la sua fidanzata con un bacio sulle labbra. Cinque la osservò allontanarsi, poi parlò:
«Il vostro è un rapporto malato, lo sai vero?»
«Stai zitto, sei solo geloso perché sei ancora un ragazzino e ragioni come un vecchio» lo punzecchiò Diego.
«Hai ragione» ammise Cinque. «Mi sento più vecchio di quello che sono e sono anche più intelligente di tutti voi messi insieme.»
«Ehi, rimangiati subito quello che hai detto, moccioso!» Diego lo afferrò per il colletto della divisa, sollevandolo appena dalla sedia, ma Cinque non si scompose, anzi continuò a fissarlo con un sorriso beffardo sulle labbra.
«Avanti ragazzi» Grace adagiò un vassoio di biscottini sul tavolo. «È la vigilia di Natale» disse lanciando un’occhiata all’orologio appeso alla parete. «Abbiate solo un altro po’ di pazienza» sorrise con dolcezza, soprattutto verso Diego che sapeva essere una testa calda. Il ragazzo lasciò finalmente andare Cinque, poi chiese:
«Perché, che succede fra un po’?»
«È Natale, no?!» Fu la risposta di Grace, la quale si allontanò canticchiando un motivetto natalizio.
Diego e Cinque si scambiarono uno sguardo interrogativo: a volte Grace ricordava un automa programmato alla gentilezza perenne.
 
Luther raggiunse i due ragazzi, sedendosi al tavolo con loro, quindi indicò Klaus alle sue spalle intento in uno dei suoi monologhi assurdi.
«Secondo me, un giorno lo troveremo spiaccicato al suolo, sotto la finestra della sua camera» Luther mimò con la mano destra qualcosa che cade dall’alto e finisce sull’asfalto. «Eh, che dite?!» sorrise divertito, ma Diego e Cinque lo fissavano contrariati e fu proprio il più giovane a parlare per primo:
«A volte mi chiedo se sei normale, sai Luther?!»
Il ragazzone sembrò offendersi:
«Perché?» chiese.
Cinque scosse il capo, mangiando un biscotto a forma di abete: almeno quelli erano buoni!
Diego si guardò attorno, il locale era vuoto, fatta ovviamente eccezione per loro poveri sfigati che non avevano una famiglia né una casa in cui tornare per Natale. Vanya e Lila erano in cucina a friggere qualcosa; Grace se ne stava immobile dietro la cassa, teneva gli occhi puntati sulla porta e intanto ticchettava con nervosismo un indice sul bordo della superficie del banco, come se stesse aspettando qualcuno e temesse che non arrivasse, Klaus aveva smesso di parlare da solo e ora guardava nel vuoto, rigirandosi fra le mani il bicchiere – ormai finito – di whisky, aveva l’aria triste. Allison, invece, era incollata al telefono del locale da diversi minuti. Diego la vide inserire un altro gettone e parlare fitto fitto digrignando i denti, non sembrava allegra, tutt’altro.
«Ehi, Luther» questo lo guardò, «con chi sta parlando Allison?» domandò poi.
«Non lo so» rispose l’amico facendo spallucce.
«E non sei curioso?» proseguì Diego, abbozzando un sorriso sghembo. «Cielo, se Lila telefonasse a qualcuno e io non sapessi chi fosse, uscirei pazzo!»
«Tu sei pazzo!» gli fece eco Cinque.
«È vero, ma di lei…» continuò il ragazzo, lanciando un bacio con le dita alla sua innamorata che gli sorrise dalla cucina. Cinque scosse il capo, nauseato.
«Credo di essere geloso» ammise d’un tratto Luther, fissando i biscotti davanti a sé, poi sollevò il capo e guardò gli altri due. «È così, sono geloso?» il suo tono era quasi una supplica.
«A me sembri patetico» fu il commento di Cinque; Diego invece si sporse in avanti e adagiò una mano sull’avambraccio muscoloso di Luther.
«Essere gelosi non è una vergogna, vuol dire che tieni a qualcuno e ti preoccupi che possano portartela via. Devi dichiararti, ragazzone!»
«Sì, hai ragione, lo farò!» Una nuova luce scintillò nei suoi occhi.
«Che cos’è che farai?» Allison si accomodò sull’ultima sedia libera del tavolo e i tre ragazzi la osservarono a bocca aperta.
«Ni-niente» balbettò Luther, tutto rosso in volto per l’evidente imbarazzo, sperando che gli altri non dicessero nulla.
«Crescere» intervenne Cinque. «Maturare. Ecco cosa farà.»
Luther lo fulminò con un sguardo.
 
La porta poi si spalancò ancora e Sir Reginald comparve sulla soglia, restando perfettamente immobile mentre studiava uno per uno i presenti, scrutandoli attraverso il suo monocolo.
«Eccoti qui!» Esclamò Grace battendo le mani come una bimba felice dinnanzi a un negozio di caramelle. Girò intorno al bancone per raggiungere l’uomo, il quale se ne stava ancora fermo sullo zerbino, con il suo classico cipiglio fra gli occhi che gli donava un’espressione perennemente arrabbiata. La bella Grace gli porse un biscotto:
«Prendilo, è alla cannella, come piacciono a te.»
L’uomo lo fece, prese il dolce a forma di fiocco di neve e lo addentò, lasciandosi poi accompagnare all’interno del locale. Il silenzio che si era venuto a creare fra i pochi clienti fu interrotto dal click metallico della serratura che la stessa Grace aveva chiuso. Gli altri la guardarono sbigottiti, comprese le due cameriere che erano tornate in sala per capire cosa stesse succedendo.
«Adesso che ci siamo tutti possiamo cominciare» annunciò la titolare del caffè, cominciando a unire due tavoli.
«Cominciare cosa?» domandò Sir Reginald sollevando un sopracciglio.
«La cena di Natale, no? Come una vera famiglia!»
Diego e Lila si lanciarono un’occhiata felice: avrebbero trascorso la serata insieme, al caldo, in compagnia degli altri. Furono perciò i primi ad aiutare Grace con i tavoli, seguiti a ruota da Luther e Vanya.
«Io mi sento prigioniera» sbottò Allison, ferendo il ragazzone che sembrò rabbuiarsi all’improvviso. Vanya gli disse di non pensarci.
«Posso andarmene?» chiese Cinque sarcastico.
«No, non si può!» Grace gli passò davanti, offrendogli l’ennesimo biscotto natalizio.
«Ma quanti ne hai fatti, Grace?» continuò il giovane, mangiandone comunque un altro.
«So che vi piacciono» rispose la donna sorridendogli con garbo.
Dopo un po’ la tavolata era pronta e apparecchiata. Ognuno prese posto, anche Klaus, il quale fu l’ultimo a sedersi fra Vanya e Cinque.
«Ehi, Klaus!» Lo chiamò Luther. «Il tuo amico non mangia con noi?» Il ragazzone rise troppo forte, cercando il consenso degli altri che tuttavia non arrivò.
«I morti non mangiano, idiota!» Ribatté Klaus, scuotendo il capo come se l’altro avesse parlato seriamente.
«Klaus…» questa volta era stata Grace a richiamare la sua attenzione. «Il tuo amico è per caso un ragazzo di origini asiatiche?»
Lui sollevò la testa dalla sua cena e sorrise:
«Sì, sì! Ben è coreano!»
Grace fece un cenno d’assenso con il capo, tutti la guardavano con gli occhi spalancati, in attesa. Solo Sir Reginald teneva il capo chino e continuava a mangiare dal suo piatto.
«Era un bravo ragazzo» aggiunse la donna, rivolgendosi poi all’uomo seduto alla sua destra. «Te lo ricordi, Reginald?»
«Il migliore» rispose quest’ultimo con il suo tono glaciale, alzando finalmente la testa per osservare gli altri commensali.
«Già, il migliore» ripeté Grace. «Me lo saluti, appena lo vedi» aggiunse, rivolta ancora una volta a Klaus, il quale spostò lo sguardo alle spalle della donna e sorrise con tenerezza.
«Non ce n’è bisogno. Ben è già qui.»
Gli altri si voltarono nel punto preciso in cui Klaus teneva fisso gli occhi, spaventati e incuriositi insieme, ma ovviamente non videro niente e nessuno.
«Non è per nulla inquietante» sibilò Lila e Diego le strinse una mano con la sua per rassicurarla.
 
Allo scoccare della mezzanotte la metà di loro era sprofondata in un dolcissimo dormiveglia, mentre il fuoco nel caminetto continuava a sfrigolare allegro. Luther si svegliò di soprassalto quando Klaus gli crollò con la testa sopra una spalla. Il ragazzone se lo scrollò di dosso con uno spintone e l’altro ricadde con il capo sulla spalla di Cinque, il quale non si svegliò. Ancora intontito, Luther si guardò attorno con ansia crescente: Allison non c’era.
«È uscita a fumare» gli disse Vanya e lui ringraziò imbarazzato.
Raggiunse allora la ragazza fuori dal locale, la osservò in silenzio per qualche secondo, provando una fitta al cuore quando si portò la sigaretta alle labbra, inspirando l’ultimo tiro prima di buttarla via e calpestandola con la punta degli stivali di cuoio, poi si portò una mano sulla fronte e si massaggiò le tempie, socchiudendo le palpebre, pareva stanchissima.
«Allison»
«Luther» presa alla sprovvista sobbalzò.
«Stai bene?»
La studentessa lo studiò a fondo, a volte le faceva una tenerezza infinita, così grosso e così ingenuo. Con le braccia incrociate sotto al seno si strinse al meglio nel cappotto e si adagiò con la schiena contro la vetrina del caffè.
«Ho telefonato a mia figlia Clare, prima» cominciò e Luther rimase in assoluto silenzio, di sasso, sentiva la bocca secca. «Volevo salutarla e augurarle buon Natale. Spiegarle che non sarei stata lì con lei perché la mamma era impegnata con lo studio e con l’Accademia. Ma il mio ex si è rifiutato di passarmela e ha chiuso la conversazione, dicendomi che se fossi una buona madre avrei preso il primo volo per raggiungerla, invece di restarmene qui con degli estranei.»
«Mi dispiace Allison, non sapevo avessi una figlia» riuscì a dire Luther.
«Tranquillo, nessuno lo sa» gli sorrise mestamente.
D’un tratto, dall’interno del locale si udì una canzone pop a tutto volume: qualcuno – sicuramente Grace – aveva ben pensato di animare la serata. Attraverso la vetrata dell’Umbrella Academy’s cafè si vedevano Cinque, Vanya e Klaus ballare in cerchio, con le braccia alzate al cielo e gli occhi chiusi, lasciandosi trasportare dalla musica; Diego e Lila invece si stringevano con la fronte adagiata l’uno all’altra come se ballassero un lento che sentivano solo loro due. Grace e Reginald erano accomodati al proprio posto, ma la donna batteva le mani e muoveva il capo a ritmo di musica.
«Sembra si stiano divertendo un sacco lì dentro» disse Allison.
«Andiamo anche noi allora!» Luther la prese per un polso e fece per trascinarla con sé.
«Luther…» lo chiamò e lui si voltò indietro per guardarla. Allison indicò qualcosa sopra le loro teste: un mazzolino di muschio e bacche rosse, probabilmente appeso alla porta d’ingresso da Grace come decorazione.
Il ragazzone rimase imbambolato, mentre Allison si alzava sulle punte degli stivali per lasciargli un lungo e delicato bacio sulla guancia.
«Buon Natale» sussurrò a una spanna dalle sue labbra.
«Buon Natale» ripeté Luther con la testa leggera e il cuore in subbuglio, poi raggiusero gli altri e ballarono tutti insieme per l’intera nottata, come una vera, grande famiglia.

 
fine
  
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