In quel
momento, in un bunker nascosto nei sotterranei della tenuta Desmond, si
stava
tenendo una battaglia all’ultimo colpo di grilletto. Nascosto
dietro ad una
scrivania rovesciata, Loid Forger, in arte Twilight, stava aspettando
il
momento giusto per contrattaccare: la pistola ancora fumante in mano e
il
sudore freddo che colava nel colletto della camicia, stava contando
mentalmente
quante pallottole gli rimanevano. Era esausto, ma si imponeva ad andare
avanti:
lo faceva perché gli altri non dovessero più
patire quello per cui aveva
sofferto da bambino.
Lo faceva
per proteggere la sua famiglia.
Stava
rivedendo il piano quando, la porta venne sfondata con un poderoso
calcio,
tanto da scagliarla qualche metro più avanti. Con il suo
scudo improvvisato, a
Loid era impossibile delineare il profilo della persona che aveva fatto
quell’entrata trionfale; sporgendosi leggermente, riusciva
solo a intravedere
il baluginio di lame dorate, sottili ed estremamente affilate, con le
quali la
misteriosa comparsa faceva fuori i sottoposti di Desmond Senior ad una
velocità
sovrumana.
Solo quando
l’ultimo respiro venne esalato ed all’interno della
stanza era calato un gelido
ed immobile silenzio, la spia dagli occhi azzurro cielo si disse che
era
arrivato il momento di affrontare chiunque si fosse ritrovato davanti.
Nonostante la fatica ed i muscoli doloranti, senz’altro
sarebbe stato più
semplice affrontare una singola persona che una trentina di mercenari.
Anche se
aveva come il presentimento che non il nuovo arrivato non gli era
nemico, si
alzò ponendosi in una posizione di difesa, le braccia stese
in avanti con la
pistola carica dell’ultimo colpo.
La prima
cosa che notò fu il sangue. Macchie di liquido rosso era
dappertutto: coprivano
le pareti dividendosi in schizzi, si distendevano sul pavimento come
tappeti
lussuosi, bagnavano i vestiti dei numerosi cadaveri disseminati per
l’ambiente.
Quella scena del delitto, eppure, fu la cosa che lo sconvolse meno;
ciò che lo
lasciò a bocca aperta fu vedere lo sguardo della persona che
indossava tutto
quel sangue sul volto come un trofeo.
Si era
portata le lame davanti a sé, anche lei posta in difesa.
Loid Forger conosceva
quegli occhi rossi come le sue tasche, d’altronde erano
sposati da un anno. Li
aveva sempre visti allegri, imbarazzati, affettuosi, spaventati, ma mai
così
determinati e con quella scintilla… omicida
nelle iridi rubinee.
Davanti a
lui si ergeva Yor Forger, la donna che aveva incontrato per caso in una
sartoria e che aveva imparato ad amare col tempo, il corpo modellato
nell’abito
che aveva indossato la sera della festa durante la quale si era
presentato come
suo marito. L’aveva sempre trovata bellissima, ma gli
sembrava di non
riconoscerla in quelle vesti.
Nel suo
cervello, tutti i pezzi di un puzzle che non pensava di aver mai aperto
si
stavano raggruppando fino a formare l’immagine che aveva
davanti a sé: il
perché fosse così forte ed agile, la sua proposta
di sposarsi e sui motivi che
la spingevano a farlo, le sue risposte variopinte la prima volta che
hanno
simulato il colloquio per la Eden Academy… la ragione per la
quale Anya la
voleva tanto come madre al primo incontro. Conosceva sua figlia, amava
l’intrattenimento più di chiunque altro.
Era
pietrificato. Si era reso conto che, per quanto conoscesse Yor, in
realtà non
la conosceva affatto. Ed il suo cuore si incrinò.
Vide lo
sguardo di sua moglie tornare ad essere quello che conosceva.
L’espressione si
fece scioccata, quando lei lo riconobbe: la vide portarsi le mani
sporche di
liquido sul volto, la vergogna dipinta sulle guance arrossate,
lasciando cadere
i lunghi aghi per terra in un tintinnio rimbombante. «Loid-san…»
sussurrò lei, come se avesse
timore ad infrangere quel silenzio che c’era tra loro.
Loid
alzò la mano, lo sguardo buio e
serio. «Ti prego, non dire niente, Yor.»
mormorò, lasciando cadere il braccio
lungo il fianco, improvvisamente spossato. Sentiva girare la testa, e
non
sapeva se era per l’anemia -aveva diverse ferite sparse per
il corpo- o se per
la nuova verità venuta a galla. «Torniamo a casa.
Ho bisogno di essere
medicato; solo allora potremo parlare.»
E fecero
così. Fortunatamente, Anya e
Bond si trovavano con Franky, quindi avevano casa tutta per loro.
Fecero in
modo di entrare senza farsi vedere, avrebbero insospettito i vicini, e
la prima
cose che Loid fece fu quella di gettarsi sul divano. Poco gli importava
della
sporcizia o del sangue che avrebbero macchiato il tessuto del mobile,
aveva
bisogno di una superficie comoda su cui adagiarsi e soffrire mentre Yor
lo
aiutava a disinfettare tagli e ferite più profonde.
Sua moglie lo
aiutò con le bende,
tutto in religioso silenzio. Il biondo riusciva a leggere nel viso di
Yor la
preoccupazione -per lui? O perché temeva che
l’avrebbe cacciata di casa?- e la
colpa, e Dio solo sapeva quanto desiderasse distendere quelle rughe che
le si
erano formate sulla fronte con una carezza. Non era arrabbiato con lei:
sarebbe
stato ipocrita da parte sua, visto che anche lui aveva nascosto di
essere una
spia. Come lei, anche lui aveva ingannato, tradito, ucciso; una persona
onesta
e gentile come Yor sicuramente aveva dei buoni motivi per fare quello
che
faceva, e l’agente Twilight voleva solo conoscerli.
Quando lei gli
sistemò i cuscini
dietro la schiena e si sedette al suo fianco, torturandosi le mani,
Loid gliene
afferrò una tra le sue e gliela strinse. «Penso
sia arrivato il momento di
tirare fuori tutto quanto.» sospirò, e quando
notò lo sguardo terrorizzato di
lei, si sbrigò a fare una specificazione. «E parlo
di entrambi. Non sei l’unica
a non aver detto tutto su di sé.»
«Che
cosa intendi dire con questo,
Loid-san?» la voce di Yor tremava.
«Che
se ero in quel bunker non era per
affari o una visita psichiatrica. Sono una spia di Westalis, Yor, lo
faccio
oramai da più di dieci anni.» gettò
fuori dalla bocca quelle parole come se
fossero un sacco della spazzatura puzzolente e marcia. Sentiva il peso
delle
sue bugie scivolargli lungo la schiena e schiantarsi sul pavimento in
molteplici scintille. «Lavoro per i servizi segreti.
L’operazione a cui sono
stato assegnato un anno fa si chiama Operazione Strix: dovevo
avvicinare
Donovan Desmond e controllarlo, e per farlo ho dovuto crearmi una
famiglia di
facciata. Il compito di Anya era quello di essere ammessa
all’Eden, dandomi il
pretesto per entrare nel suo girone, mentre tu…»
«Dovevo
essere una moglie
irreprensibile perché Anya venisse accettata. Questa parte
la conoscevo.» come
se il disagio l’avesse abbandonata, la curiosità
di Yor era riaffiorata,
donandogli un senso di pace. «Ma perché sei
diventato una spia?»
«Ho
perso i miei genitori durante la
guerra. Ero poco più grande di Anya quando
successe.» ricordi spiacevoli e
dolorosi che, nonostante fossero vaghi, si avvilupparono attorno al suo
cuore
in una morsa di ferro. «Il giorno prima, vivevo in una bella
casa con i miei
genitori, con cui giocavo, scherzavo, mi arrabbiavo; il giorno dopo,
non
c’erano più. Il senso di abbandono e di
disperazione che mi pervasero erano -e
sono- indelebili, piansi non so per quanto; so soltanto che,
perché
nessun’altro debba sopportare qualcosa del genere, mi decisi
che avrei fatto
qualsiasi cosa per preservare la pace, anche a costo di macchiare la
mia anima.
Se sono una spia, lo faccio per questo.»
Le dita
più sottili ed affusolate di
sua moglie si strinsero attorno alla sua mano, e lacrime calde cadevano
su
quell’intreccio. Le spalle di lei si alzavano e si
abbassavano in un ritmo
dettato solamente dai suoi singhiozzi, e, morso dalla tenerezza di
quella
figura, Loid la avvolse fra le sue braccia. Le costole gli chiesero
pietà, ma
lui le ignorò. «Tu perché eri
lì, Yor?» le domandò
all’orecchio, la voce
attutita contro la sua fronte. Lui si era messo a nudo per lei, ora
voleva
sapere la sua verità.
«Sono
un sicario, Loid.» affermò Yor,
finalmente eliminando l’onorifico. «Lo faccio sin
da quando ero adolescente. Da
bambina i miei genitori addestravano me e Yuri con tecniche di
combattimento;
quando sono venuti a mancare, l’unica mia abilità
era quella di uccidere. Mi
hanno assunta per uccidere chiunque mi avessero posto come
obbiettivo.» alzò la
testa per guardarlo dritto negli occhi. «Mi occupo
principalmente di quelli che
costituiscono un problema per la patria, traditori e cospiratori; lo
faccio
perché anche io come te voglio proteggere. Prima lo facevo
per racimolare soldi
per poter dare da mangiare a mio fratello, ora lo faccio per proteggere
la mia
casa, la mia bambina e te.»
Yor disse con
voce spezzata le ultime
parole, aggrappandosi a quello che rimaneva della camicia di Loid.
«Io… non
voglio perdervi, Loid. Farei di tutto perché tu, Anya e Bond
siate al sicuro
per sempre. Se non ho rivelato niente e ti ho mentito, ti chiedo scusa;
ma non
mi pento di averlo fatto, perché vi amo così
tanto da proteggervi da questo
lato brutto della mia vita. Pensavo che meno sapeste, più
eravate al sicuro.»
La mano
dell’uomo si posò sulla nuca
di lei, e con una carezza sui capelli, le fece alzare il volto verso il
suo.
«Guarda che lo capisco, Yor. Sono della stessa idea, ma ora
non serve più
mentire; dovremo solo nasconderlo ad Anya per il momento, è
ancora troppo
piccola e potrebbero mirare a lei per fare un toto a noi.»
appoggiò la fronte
contro la sua, e le sussurrò sulle labbra un:
«Anche io vi amo, tanto da
proteggervi da questo lato brutto della mia vita.»
Si sorrisero
complici. Oramai non c’era più nessuno
verità nascoste, niente più bugie che
creavano quel muro invisibile ma invalicabile fra loro; si sentivano
più uniti,
ed il bacio che seguì parlava di un amore che era nato nel
letame ma che era
sbocciato in un splendido fiore.
Di quello
che accadde dopo, né Loid né Yor avrebbero avuto
il cuore di raccontare anche
solo le sensazioni che aveva procurato loro. I baci, i sospiri, i
gemiti, il
loro sfiorarsi in carezze seducenti alternate a quelle di amore ed
affetto,
gesti che gridavano un silenzioso “ti amo”
più delle stesse parole pronunciate
con la bocca, tutto ciò lo avevano relegato nel loro cuore e
-purtroppo per
Anya e per la sua purezza- nella loro mente.