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Autore: Anonimadelirante    05/12/2022    0 recensioni
“Il primo colore che vede è il rosso. 
[...] Non è né romantico, né sexy, né imbarazzante, né buffamente intimo. È solo orribile.”
[Newmas soulmate!au | Scritta per #COWT8 @LdF + ‘Everything is CHALLENGED’ @Pinguina Mati]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Newt/Thomas, Thomas
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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N/A: ho scritto st’affare nel, boh, nel 2018? Per la terza settimana del #COWT8 (che ricordi, mammamia, tutto bellissimo <3)
+++++++++ sei milioni di anni dopo, crosspostata/editata per la challenge Everything has CHALLENGED (Taylor's Version), indetto sul forum Ferisce la penna @Pinguina Mati per il pacchetto Red. [Prompt: “Losing him was blue, like I'd never known / Missing him was dark gray, all alone / Forgetting him was like trying to know / Somebody you never met / But loving him was red”; trope: anime gemelle; situazione: ambientata in un mondo in cui se incontri l’anima gemella inizi a vedere i colori. Circa più o meno, ecco – in questo mondo non inizi a vedere i colori esattamente nel momento incontri il tuo soulmate, but still.]
— prima fic in un fandom che è stata la mia adolescenza, ho amato disperatamente e su cui ho scritto un sacco, senza mai pubblicare nulla (a parte ovviamente questa fic, quelli che mi sembrano eoni fa). Ma vbb. Chi non ha l’Eruzione si rivede <3
— titolo @Taylor Swift, Red, perché eh.

 

 

 

 

Loving him was red

Memorizing him was as easy as knowing all the words to your old favorite song, 
forgetting him was like trying to know somebody you never met

 

 

Il primo colore che vede è il rosso.
Potrebbe essere romantico. Potrebbe vedere il sorriso della sua dolce metà illuminare da solo una stanza. Potrebbe essere sexy. Potrebbe intuire l’alone di rossetto contro il vetro di un bicchiere da cocktail e poi alzare gli occhi e trovare uno sguardo ammiccante, le labbra appena incurvate di una ragazza con gli occhi da gatta.
Avrebbe potuto vedere la bocca di Teresa, la testa rovesciata all’indietro, una risata squillante in risposta a una sua battuta stupida – questo prima, chiaramente, e non lo ricorda, ma lo immagina, riesce a immaginarselo perfettamente, con una chiarezza inaspettata, Teresa che ride e scuote la testa e i suoi capelli color ebano che si colorano come una macchia di caffè. Non è andata così.
Un po’, Thomas ci aveva sperato (o almeno crede – non può ricordarlo, ma immagina di averlo fatto, perché quando l’ha vista, svenuta, alla Radura, una scossa di inspiegabile deja-vu lo ha fatto fremere): di svegliarsi un giorno e scoprire che il bianco della pelle di Teresa non era più bianco, ma un rosa pallido, delicatissimo, adorabile. Sarebbe stato più semplice. Certo, non l’amava – non nel modo in cui Rachel amava Aris, ma sarebbe stato okay. Teresa gli voleva bene, si capivano – parlare con lei senza davvero parlare, solo grazie agli impianti nel loro cervello non era disturbante come lo era stato quanto avevano fatto quell’esperimento collegandolo ad Aris: anzi. Era rilassante – un flusso continuo di pensieri che si traducevano in parole, discorsi, intuizioni. Era divertente, persino, stare insieme a Teresa. Sarebbe stato normale, in qualche modo giusto, sbattere le palpebre e ritrovarsi davanti i suoi occhi azzurrissimi e poi alzare lo sguardo e vedere il cielo (anche se a quei tempi non avrebbe potuto vederlo davvero, il cielo, perché la sede della C.A.T.T.I.V.O. non aveva che soffitti e corridoi e stanze senza finestre – ma avrebbe potuto cercare il cielo artificiale del labirinto nei monitor e sarebbe stato come guardare dritto nello sguardo amico di Teresa). Non sarebbe stato emozionante, magari. Ma sarebbe stato confortevole.
E invece: il primo colore che vede è il rosso. E avrebbe potuto vedere il papavero che Sonya si appunterà nella treccia quando saranno al sicuro (cioè, mai: ma può immaginarsi come sarebbe se lui potesse essere ancora vivo) o il succo di melograno colare dal mento di Harriet un giorno a colazione prima di scappare a Denver. E invece non va così.
Il primo colore che vede è il rosso e non è né romantico, né sexy, né tanto meno tranquillizzante – è terribile e disperato e il suo cuore si fa pesante come un macigno (o forse lo era già. Non è importante) ed ogni respiro si fa più doloroso del precedente.
Non piange. Non servirebbe e non ne ha la forza e comunque ha un’ultima cosa da fare e non può crollare adesso, non può, non può. Stringe i denti, strizza gli occhi, batte le palpebre una, due volte e poi deglutisce il groppo che ha in gola, si scompiglia i capelli e sale sul furgone – e abbassa lo sguardo. Lungo il tragitto per arrivare dall’Uomo Ratto tutto ciò che riesce a fare non è pensare Ommiodio morirò, non è neanche Farà male oppure È l’unico modo, io sono l’unico modo, posso salvarli, sto facendo la cosa giusta. Tutto quello che riesce a fare, mentre gli scossoni dovuti alla strada dissestata gli impediscono di assopirsi completamente come invece lo invita a fare il borbottio distante del motore, è fissare le proprie mani, il loro colore, con un crescente senso di nausea.
Potrebbe essere un caso: potrebbe andare a sbattere contro qualcuno, in un mondo tranquillo, senza C.A.T.T.I.V.O. ed Eruzione, e scoprirsi a fissare la propria felpa rossa – così, improvvisamente. Alzare lo sguardo e balbettare Scusa e trovarsi davanti lo sguardo verde e scioccato di un ragazzo sconosciuto. O, ancora, più realisticamente, potrebbe voltarsi, esasperato e divertito, e intravedere con la coda dell’occhio prima ancora di finire di girarsi verso l’amico la mela che Minho sta addentando nel soffocare in gola una risata per una sua stessa battuta e scoprirla d'un rosso brillante, nel sole artificiale del Labirinto. Persino questo – persino Minho – sarebbe meglio. Non sarebbero una coppia, ma d'altra parte quante persone stanno davvero con la propria anima gemella? La maggior parte l'ha intravista una volta, di sfuggita, non sa neanche il suo nome, non ricorda nemmeno la sua faccia (magari una schiena, questo sì, o le dita di qualcuno che obliterano un biglietto o capelli scompigliati dal vento – e nient’altro. Non è neanche importante parlarci).
Neppure. La maggioranza non incontra mai la propria anima gemella. Minho andrebbe più che bene. È una delle sue persone preferite al mondo. Rimarrebbero buoni amici. Bene così.
E invece.
Non è né romantico, né sexy, né imbarazzante, né buffamente intimo. È solo orribile. Ed è rosso – potrebbe essere qualsiasi altro colore, davvero, l’azzurro degli occhi di Teresa o il grigio sporco delle pareti del labirinto su cui ha nascosto Alby, non sarebbe importante. Vedere i colori, incontrare la propria anima gemella. A Thomas non è mai importato particolarmente perché non ha ricordi del suo passato e quel poco che sa è che è stato occupato – e quel che invece ricorda sono prati e corridoi strettissimi e Il sorriso divertito di Newt, le guance morbide di Chuck, lo sguardo furioso di Gally, quello accusatorio di Alby, quello spezzato di Ben, le mani di Minho che gli stringono una spalla, con cameratismo, le dita di Newt che sfiorano le sue mentre gli porge da bere e poi i Dolenti e il terrore che gli serra strettissimo lo stomaco e gli occhi di Chuck perdere luce e tutto quello che ne è seguito.
Luce e non colore perché ai tempi non poteva sapere che i suoi occhi fossero marroni e adesso, adesso, che nella sua mente i colori si stanno accedendo pian piano come macchie d’acquarello su vetro, chiarissime, una sorta di patina trasparente sopra le vere immagini che gli si affastellano nella mente – adesso, non ha più importanza.
Da qualche parte nella sua mente sapeva che sarebbe potuto accadere: non è una cosa scientifica (lo è, ma ci sono studi più urgenti da portare a termine e a quanto pare questo è solo un’altra cosa di cui la C.A.T.T.I.V.O. è assolutamente convinta) – non è detto che incontrando la propria anima gemella lo si capisca subito, non è detto che la propria mente cominci a processare i colori immediatamente. A volte passa solo qualche istante, a volte mesi, altre anni, ma sempre sempre sempre, il primo colore che lo si vede quando si è con lei. O lui. Non è questo il punto. Non è neanche sempre il punto di amare qualcuno – non nel senso romantico del termine, almeno. A volte è solo così. Anime gemelle. Affinità elettiva.
Fosse questo il caso, forse Thomas non si sentirebbe così male.
Il primo colore che vede è il rosso e il fiato gli si mozza in gola, le gambe si fanno meno sicure. Prende un respiro lunghissimo dolorante e pensa, pensa- non pensa. Non può farlo, non ora, non è il momento, deve fare un’ultima cosa.
Così apre le dita serrate e chiude gli occhi per non vedere – e riesce a ricordarsi Newt, Newt com’era prima, con tutte le caspio di rotelle al posto giusto o quasi – sorridere con le palpebre calate a mezz’asta, i capelli biondissimi brillare di rosso nel riflesso del fuoco (d’un rosso così diverso, così quieto e dolce).
Il primo colore che vede è il rosso. Potrebbe essere romantico o stupido o sexy o soltanto un’altra abitudine. Invece non è neanche lontanamente paragonabile ad incubo.
Il primo colore che vede è il rosso e se davvero era scritto da qualche parte, che sarebbe dovuto essere il sangue di Newt, che sarebbe dovuta andare così, che lo avrebbe ucciso, Thomas avrebbe fatto volentieri a meno di vedere i colori per il resto della sua vita.
Per tutto il viaggio fino alla sede della C.A.T.T.I.V.O. non riesce a far altro che ascoltare il tonfo della pistola che cade sull’asfalto rimbombargli nella mente (il rumore che ha fatto la testa di Newt). Non gli interessa sapere se i colori che gli scoppiano nella mente mescolandogli i ricordi siano anche solo minimamente paragonabili, per lucentezza ed intensità, a quelli reali (se davvero i capelli di Newt erano tanto biondi o la Radura tanto verde, la maglia della divisa da Attendete Velocista così azzurra): tutto quello che importa, adesso – tutto quello su cui non deve concentrarsi e da cui non riesce a distogliere lo sguardo – è il rosso. Il rosso sangue di Newt. (Il cervello di Newt.) Il gusto del sangue fa schifo. L’odore gli rivolta lo stomaco. Potrebbe dormire, potrebbe godersi il viaggio, potrebbe guardare la città sfrecciare da oltre il finestrino – ora o mai più – ma non riesce a smettere di guardare quelle stupide macchie sulle sue mani.

 

 

 

 

Losing him was blue, like I'd never known 
Missing him was dark gray, all alone 
Forgetting him was like trying to know 
Somebody you never met 
But loving him was red

 
  
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