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Autore: berettha    14/12/2022    1 recensioni
Era stato facile anche pensare che tutto questo sarebbe bastato: ma ad Hawkins non era sembrato importare. Non facile, ma stupido, pensare che le stesse persone che erano state pronte a spaccarti le ginocchia con un piede di porco senza né processo né condanna, fossero così inclini al perdono.
|| Scritta per la challenge #12daysofficmas del gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom ||
Genere: Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eddie Munson, Steve Harrington
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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𝐒𝐚𝐟𝐞 𝐩𝐥𝐚𝐜𝐞𝐬.
Per la challenge #12daysofficsmas ideata dal gruppo Non solo Sharlock - gruppo eventi multifandom.
𝐩𝐫𝐨𝐦𝐩𝐭 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐨: spazi.
𝐟𝐚𝐧𝐝𝐨𝐦: Stranger Things.
𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢: Steve Harrington, Eddie Munson.
𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐬𝐭𝐨: post s4, futuro alternativo dove El ha salvato tutti e la città non è stata distrutta. 
* • ○ ° ★

Ripulire la propria fedina penale con l’aiuto di Owens era stato facile. 
Fare una chiamata, prenotare un elicottero dell’esercito per portarlo verso l’ospedale più vicino e mostrare qualche distintivo, era stato facile. Almeno per gli altri, Eddie era stato troppo occupato a non morire di setticemia per notare quello che accadeva attorno a lui. 
Era stato facile anche pensare che tutto questo sarebbe bastato: ma ad Hawkins non era sembrato importare. Non facile, ma stupido, pensare che le stesse persone che erano state pronte a spaccarti le ginocchia con un piede di porco senza né processo né condanna, fossero così inclini al perdono. Hawkins pretendeva il proprio cattivo per dare un senso a tutte quelle morti, e uno stregone uscito da un gioco di ruolo non soddisfava le loro aspettative. 
Un metallaro con una setta satanica che vive in una roulotte, sì.
Le poche volte che era uscito con lo zio per andare ad una visita medica o a fare la spesa, lo aveva notato come lo guardavano. Come parlavano alle loro spalle. O come trattavano Wayne, in sala d’attesa o alla cassa: quello, specialmente, non riusciva a sopportarlo.
Passava quindi le giornate in casa, Eddie.
Letto, divano, bagno. Pausa per cercare di non urlare dal dolore quando la gamba, che gamba non era più, decideva di fare la pazza. Incredibile come il vuoto dove prima si trovavano la tibia e il perone potesse fare tanto male. Letto di nuovo. Bagno. Letto.
Momento per osservare i piatti sporchi che si stavano accumulando sul pavimento della sua camera, non avendo il cuore di portarli in cucina dove sapeva che non li avrebbe lavati, lasciando il carico a suo zio. 
Altra pausa, questa volta per guardarsi allo specchio del bagno, la pelle dell’addome orribilmente scavata, morsicata. Non si erano sbattuti troppo per ricucirlo in modo carino, in ospedale. Lo stesso macello, sulla parte destra del viso. Non aveva certo l’aspetto di un eroe, per forza in città gli lanciavano quelle occhiatacce. 
Pisolino riparatore. Pisciata a metà di esso, e si torna a dormire.
La sua routine era interrotta solamente da Henderson, che imperterrito continuava a bussare ogni giorno alla sua porta. Una volta aveva avuto anche il coraggio di portarsi appresso la mamma, perché aveva il presentimento che Eddie non si lavasse i capelli da settimane e che avesse bisogno d’aiuto per farlo: in effetti non era facile reggersi al lavandino, lavarsi la testa, e cercare di tenersi in equilibrio con le stampelle. 
Voleva bene al ragazzo, ma stava diventando troppo pesante sostenere la sua preoccupazione e gli sguardi pietosi che gli riservava, così aveva iniziato a lasciarlo sull’uscio. Si sentiva un Eddie degno del mostro che tutti immaginavano fosse, a comportarsi in questo modo, ma pensava che facendo così dopo un po’ Dustin si sarebbe stufato e avrebbe smesso di venire a compatirlo. 
Ma anche quel giorno, non sembrava disposto a cedere.
Prima un toc toc leggero. 
“Henderson tornatene a casa.” gli urlò dal divano Eddie.
Più insistente. 
“HENDERSON HO DETTO TORNATE A CASA.” 
Adesso sembrava che qualcuno stesse per buttare giù la porta a calci. 
“ARRIVO, CAZZO, ARRIVO.”
Si alzò a fatica, imprecando perché il divano era troppo basso e issarsi sulle stampelle diventava un’impresa. 
Alla porta, però non c’era Dustin.
“Oh, Harrington. Il re del liceo. Che bello. A cosa devo la sua visita, vostra maestà?”
“Munson, li accogli sempre così gli ospiti?”
“Qualche volta.”
“Posso entrare?” 
Eddie si chinò per quanto possibile, la brutta copia di quello che avrebbe voluto essere un inchino teatrale. 
“La mia dimora è a sua disposizione.” borbottò.

“Beh che succede?” 
“Che succede cosa?” 
Eddie si era immediatamente stravaccato sul divano, aprendo una busta di patatine che stava sul tavolo. Steve aveva gironzolato per il salotto, imbarazzato, prima di rivolgergli la parola.
“Dustin ha detto che vivi nel tuo stesso schifo. E che puzzi. E che venerdì scorso hai saltato la campagna di Dungeon and Dragons, gravissimo crimine a detta di quel nerd.” 
A Eddie scappò una risata. “Ha sempre una parola gentile per tutti, il bimbo.”
“Ha ragione però. Che succede?”
Eddie si strinse le spalle, senza rispondere.
“Mi ha mandato perché pensava potessi avere un’influenza positiva su di te, Munson, ma se neanche mi parli non vedo come io possa aiutarti.”
“Non ho bisogno di aiuto. Ho solo bisogno bisogno dei miei spazi. Sto bene.”
“I tuoi spazi? Quelli ricoperti di vestiti sporchi e buste di cibo surgelato?”
“Già.”
Steve lo guardò di sottecchi, in piedi davanti a lui, prima di tirarsi su le maniche della giacca. “Allora tanto vale metterli a posto, questi spazi.” 
Prima che Eddie avesse anche solo il tempo di ribattere, Steve si era già fiondato in camera, impilando i piatti sparsi per la stanza. Seguirono i vestiti, che gettò alla rinfusa in un sacco nero, con l’intenzione di portarli in lavanderia nelle ore a seguire, magari durante la pausa da Family Video. 
Anche Eddie sembrava aver bisogno di un lavaggio a secco, ma a quello ci avrebbe pensato più in là. Una cosa per volta. 
“Non devi farlo. Non so cosa ti abbia detto Dustin di preciso, ma tutto questo non è necessario.”
“Sì che lo è, non sei sopravvissuto a Vecna per morire da accumulatore seriale.”
Un momento di silenzio.
“Beh, grazie, allora.”
“Prego.”
Continuò a rassettare a destra e a manca, e questa volta fu il turno di Eddie di rimanere in piedi a guardarlo, imbarazzato.
Non si era reso conto di quanto terribile fosse il suo casino, finché non avevano iniziato a vedere nuovamente il pavimento della stanza. 
“Comunque sei bravo, a mettere a posto.”
“I miei non ci sono mai, ho imparato da piccolo a sistemare. Com’era il detto? Casa pulita, mente ordinata? Dovresti imparare anche tu comunque, ormai l’età ce l’hai.”
“Non mi trasformerai in una massaia, Harrington.”
“Peggio per te.” 

Ci volle un’ora e mezza, prima che la camera da letto potesse essere definita nuovamente vivibile. 
Si sedettero vicini sul divano, uno soddisfatto, l’altro mediamente imbarazzato, con una lattina di sprite davanti.
“Niente birra, ragazzone, mi dispiace. Mio zio non le compra più perché ha paura che mischiate agli antidolorifici mi facciano un brutto effetto.”
“All’unico Munson intelligente allora.” rispose Steve, alzando la lattina come per tenere un brindisi. 
Bevvero la sprite in silenzio, per qualche istante. 
“È che sono stati mesi difficili. Lo sono ancora. La caccia allo strambo non è mai finita, per me. Stanno tutti aspettando che faccia una mossa falsa per avere una scusa per mettermi dentro, capisci? Qui invece sto bene. È uno spazio sicuro, uguale a prima. Come se non fosse successo niente. Certo, il fatto di essere orribilmente sfigurato e il non avere più un arto sono un promemoria piuttosto importante di quello che è successo, ma ci si può passare sopra facilmente una volta che ti sei abituato a guardarti allo specchio la mattina.”
“Lo capisco. Ci sono passato anche io. I russi e tutto il resto, sai? Quella piccola parentesi della mia vita.” Steve posò la mano sulla coscia di Eddie, battendola piano. “Ma non lasciarti andare in questo modo. Dustin ci tiene. Se non vuoi farlo per te, almeno pensa al ragazzino e a tutto quello che ha passato per tirarti fuori dal Sottosopra. Domani torno, ci tagliamo quel nido di rondini che hai al posto dei capelli e facciamo lo sforzo di andare a trovarlo a casa sua, che ne dici? Claudia ci prepara i muffin alle mele.” 
Eddie rovesciò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi.
“Merda. Merda. Va bene. Ma i capelli non me lo tocchi.” 
“Vedremo.”
   
 
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