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Autore: Helen_Rose    14/12/2022    1 recensioni
Lo spirito da ficwriter ha preso il sopravvento, portandomi ad elaborare la serata al Giambellino per intero, dato che ero rimasta un po' con l'amaro in bocca dalla 7x48.
Ho trovato abbastanza ridicolo che quattro ragazze sole avessero messo in soggezione 'i nativi'; perlomeno, ho voluto calcare la mano sulla presenza decisiva di quattro MASCHI.
Penso altresì che Gloria avrebbe dovuto essere un po’ più severa con Stefania (supported by IlaSco).
Inoltre, trovo che la gestione dei #SanColombo, in particolare dello spettro emotivo di Stefania, sia stata talmente sbrigativa da appiattirli: ho posto rimedio a modo mio.
La sua maturazione dello scorso anno cozza parecchio con lo spirito fanciullesco con cui ha affrontato 'la gita al Giambellino', accettando passivamente (e inevitabilmente) le sfuriate di Marco: parte della sua irritazione credo scaturisse proprio da tale atteggiamento. Hanno risolto a tarallucci&vino, al solito.
Soprattutto, tenevo a mostrare una Stefania più aperta sentimentalmente parlando, nonché a rettificare la stima che Irene ha sempre dimostrato per Marco.
Non contenta, ho voluto tirare in ballo anche gli #IRocco, i #Barbegrino , Salvo e Sofia, Beatrice e i figli, i #Vittoresa : altrimenti, non sarebbe stata una VERA revenge fanfiction.
Spero sia di vostro gradimento! Enjoy!
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Se proprio non vuoi cambiare idea, siamo pronte al sacrificio.”
Roberta, mentalmente, inizia ad alternare possibili risposte all’indirizzo di Irene, tra: ‘È pazza, è pazza completa!’, ‘Parli per sé!’, e: ‘Roberta Pellegrino, hai proprio il coraggio di un coniglio!’
“Cioè, mi accompagnate?” ribatte Stefania, incredula.
“E certo, mica ti lasciamo in balia del pericolo!” sbotta Roberta, spontaneamente. È fatta: si è ufficialmente lasciata a coinvolgere dalla vera e propria associazione a delinquere in questione. Altro che i malviventi del Giambellino.
“Ragazze, ma io so cavarmela da sola!” protesta Stefania, senza riuscire a trattenere una risatina.
‘No, ma questa è da rinchiudere!’*1: stavolta, l’invettiva implicita è ai danni di quest’ultima.
 
“Non se ne parla nemmeno: andremo incontro alla fine tutte insieme.”
A fronte di un’affermazione tra il melodrammatico e il faceto, ma che alle orecchie di Roberta suona estremamente plausibile, si possono intraprendere due strade: immolarsi con sprezzo del pericolo, totalmente incuranti delle conseguenze; o agire secondo coscienza, fermando questa follia finché si è in tempo. Il cervello estremamente allenato di problem solver *2 di Roberta non tarda ad elaborare una terza opzione: unirsi alla spedizione, ma armati di buonsenso; il modo è uno soltanto.
“Ragazze, vado un attimo su, nell’appartamento di Marcello: penso di aver lasciato lì la mia giacca più pesante; inizia a fare freddissimo.”
“Va bene, però sbrigati; e non t’azzardare a fargli intendere qualcosa.” intima Irene.
Mentire va contro il codice morale di Roberta. E infatti: “Ma è ancora in caffetteria; lui e Salvo sforneranno dolci per tutta la notte.”
“Giusto. Ti aspettiamo qui.” replica Stefania, sorridendo. “E grazie.”
Roberta ricambia stentatamente il sorriso, chiudendo la porta di casa ragazze alle sue spalle.
Ma non si dirige verso destra, per imboccare la rampa di scale che la separa dall’altro appartamento.
 
Va invece a sinistra; si intrufola in casa Amato con la chiave di riserva che, immancabilmente, tengono sotto lo zerbino; chiude velocemente la porta dietro di sé e alza la cornetta del telefono.
Per un momento, esita; ma non esistono alternative percorribili che siano anche sensate.
Quando rifletteva sul non voler mentire a prescindere, intendeva a nessuna delle parti coinvolte.
Compone il numero che digiterebbe a memoria anche dopo una commozione cerebrale, e attende.
“Pronto?” Puntualmente, l’inconfondibile accento siciliano del socio e amico fraterno di Marcello.
“Ciao Salvo, sono Roberta; chiamo da casa tua, spero non ti dispiaccia.”
“Ma figurati!” la rassicura prontamente. “Mia madre è al cinema con Armando, vero?”
“Sì.” conferma. Una serie di fortunate coincidenze, è il caso di dire.
“Marcello è di là, in laboratorio; vuoi che te lo passi?”
“No, grazie, non serve; avrei bisogno di parlare con te, non ho molto tempo.”
“Guarda che non c’è bisogno di sussurrare, ah! Mica ci sente!” Forse, Marcello no; il problema risiede nei muri di cartapesta che la separano dall’appartamento delle ragazze.
“Ho capito, ci vuoi fare la seconda sorpresa!” sussurra, poiché LUI rischia di farsi sentire eccome.
Roberta sospira, per farsi coraggio. “Non esattamente. Per favore, ascoltami attentamente senza interrompere: sperando di aiutare Marco a ritrovare la passione per il giornalismo, ma innanzitutto il ragazzo in questione, Stefania ha in mente di andarlo a trovare al Giambellino, adesso, subito, con me e Irene.” La reazione all’ultima parte è un’esclamazione strozzata dall’altra parte della cornetta.
Tuttavia, lei non demorde: “Siccome tengo alla nostra incolumità, nonché a preservare le relazioni sentimentali delle mie amiche… Ho bisogno del tuo aiuto: dovresti avvisare Rocco, che dovrebbe aver appena finito l’allenamento; e Marco, perché non so il numero di Villa Guarnieri: Stefania ci ha detto che stasera sarà a casa.” Inspira ed espira, riprendendo fiato. Finora, è stato meno complicato del previsto. Certo, sempre che Salvo sopprima il suo proverbiale spirito polemico...
“Ma come… Ma siete impazzite? Certo che avviso subito Rocco e Marco, ma per impedirvelo!”
“Non fareste mai in tempo; appena chiuderò la telefonata, tornerò di là e prenderemo il tram. Considera che non dovrei neanche star parlando con te, ora come ora; mi sono inventata una scusa.”
“E quindi, fammi capire, che cosa ti aspetti che faccia?” domanda lui, tra il terrorizzato e lo stizzito.
“Che ci raggiungiate là… Per favore?” azzarda lei, stentatamente, dandogli velocemente l’indirizzo.
“Roberta, perdonami, eh; ma nel tuo piano diabolico, non hai considerato anche il TUO matrimonio? Io che ci dico?!” Salvatore si impegna per soffocare il grido; per quanto si affidi ai rumori di planetaria, forno e mattarello congiunti, affinché Marcello non abbia sentito nulla finora.
Naturalmente, Roberta è conscia dell’inevitabilità di affrontare questa minuzia, questa quisquilia.
“Salvo, non posso chiederti di tenerlo all’oscuro; sappi, però, che se lo informi, sarà a tuo, anzi, nostro rischio e pericolo.”
L’amico non sa bene come controbattere. “Roberta… Lo sai che è cambiato.”
Ma non sotto l’aspetto fondamentale della sua personalità, che rappresenta il suo miglior pregio e il suo peggior difetto: la protettività; e niente e nessuno garantisce che, qualora gli amici, le ragazze, o peggio Roberta, dovessero trovarsi in difficoltà, Marcello non sarebbe pronto a reagire.
Per cui, non trattandosi di un ‘contesto protetto’ - dove fu lui a iniziare la rissa - come quello che gli costò due anni di galera… Non è comunque detto che la situazione non possa degenerare.
“Sì, lo so.” conferma semplicemente: un intero mondo racchiuso in tre sillabe e il tono di voce.
“Dai, il tempo di organizzarci e ci incontriamo là; intanto, faccio subito le telefonate.”
Roberta sospira di sollievo. “Grazie mille, Salvo.”
“Grazie a te, per non avermi messo in difficoltà più del dovuto. A dopo, Robè… Ti voglio bene.”
Teneramente - ma comprensibilmente - presa alla sprovvista, sorride dolcemente dall’altra parte del telefono, benché non vista. “Anch’io; più di quanto tu creda.” Pone fine alla comunicazione.
Inspirando ed espirando profondamente, recupera le chiavi, si assicura di aver richiuso bene a doppia mandata la porta, e torna dalle due incoscienti che ha per amiche.
Nei pochi secondi richiesti per portare a compimento le suddette operazioni, ha il tempo di farsi attraversare la mente da un altro, inevitabile pensiero: ‘Ma chi caspita me l’ha fatto fare?!’
 
Perciò, appena rientra, accolta da un: ‘Quanto c’hai messo!’ di Stefania, e schivando l’inevitabile puntualizzazione di Irene sul cappotto mancante con un: ‘Non l’ho trovato, devo averlo lasciato a Bologna; userò un maglioncino in più’, le viene spontaneo puntualizzare, un attimo prima di uscire: “Spero che la potenziale lite furiosa con mio marito, nell’unica settimana che possiamo trascorrere insieme prima di Natale, sia da considerarsi come un’impagabile prova di amicizia.”
“Certo.” la rassicura prontamente Stefania, dandole un bacio sulla guancia in segno di gratitudine.
“Bando ai vittimismi e alle smancerie!” taglia corto Irene, pragmatica come sempre, per così dire.
Dopo essersi assicurate di non aver dimenticato nulla - ‘tranne di controllare che la testa sia rimasta al solito posto’*3, pensa Roberta-, Irene declama: “Ragazze, siete pronte? I bassifondi ci aspettano.”
 
-
 
Durante il tragitto in tram, oltre ad assicurarsi di non sbagliare né la direzione né i cambi, sarebbe opportuno elaborare una strategia; ma l’unica propensa a farlo è Irene, inframmezzando quelle macchinazioni con l’inevitabile: ‘Se Rocco non mi lascerà, non riesco a contemplare l’alternativa’.
Nessuno oserebbe dubitare della sua indipendenza, della determinazione che la contraddistingue…
Ma stanno oggettivamente commettendo un azzardo, di cui è pienamente consapevole.
 
Nella mente di Stefania continuano a riecheggiare e rimbombare, a intermittenza e alternandosi, le considerazioni lapidarie di Marco, sia riguardo sé stesso sia riguardo Giulio Amarelli, a oltranza:
‘E con quale autorità gli andremmo a parlare? Stefania, lui ha già fatto una scelta.’
‘E se sprecasse il suo talento, che cosa ci cambierebbe? Perché sa scrivere? Magari sa fare anche altro! E se ha preso questa decisione, se magari vuole abbandonare la sua passione?’
‘Ascoltami: tu devi dare la possibilità alle persone di scegliere che cosa fare per la propria vita.’
Concretamente, non sapeva se fosse più o meno sensato mettersi alla ricerca di qualcuno che, forse, non voleva neanche essere trovato; ma di una cosa era convinta: avrebbe combattuto con tutte le proprie forze, per aiutare chi non voleva essere aiutato. Un’impresa difficile, ma non impossibile.
E se non ne fosse valsa la pena per Giulio Amarelli, sarebbe comunque valsa per Marco. Sempre.
 
Roberta si ritrova inevitabilmente a pensare che, non fosse stato per quei lavori di manutenzione nella sede dei laboratori della facoltà d’Ingegneria a Bologna, comunicati il pomeriggio prima che iniziassero -com’era costume di un ateneo tanto ricco di competenza, quanto di disorganizzazione- , non avrebbe avuto la possibilità di trascorrere tre giorni in più con le persone che più ama al mondo, ma non si troverebbe neppure in questa situazione rocambolesca, inconsueta e forse pericolosa.
Solo ieri pomeriggio, ha accolto con gioia la notizia che le lezioni sarebbero ripartite direttamente lunedì; è corsa a casa, ha preparato la valigia in fretta e furia, ha telefonato a Salvo dalla cabina nei pressi della stazione per chiedergli di venirla a prendere in tarda serata, poco prima di fiondarsi sul primo treno disponibile per Milano, in modo da fare una sorpresa a Marcello. Non è neanche passata a salutare le ragazze; ha direttamente dormito con lui, la notte tra martedì e mercoledì. Tanto, Armando non faceva alcun tipo di obiezione neppure prima del matrimonio, figurarsi ora.
Roberta ricorda ancora con un certo imbarazzo quella volta in cui, durante una circostanza analoga, si presentò di prima mattina in spogliatoio dalle ragazze, con le brioches appena sfornate.
Tutte si erano bevute la storia che avesse preso un treno all’alba, per arrivare il prima possibile.
Tutte tranne Irene, s’intende. “In effetti, hai le occhiaie…” aveva osservato e insinuato al contempo, con un sorrisetto malizioso. “Manca ancora qualche minuto all’apertura, vieni che te le sistemo.” si era offerta, paventando già l’occhiataccia che Roberta le avrebbe rivolto, non vista dalle altre. *4
 
Se ripensa all’espressione di Marcello appena l’ha vista, sente ancora il cuore batterle all’impazzata e le guance imporporarsi. Probabilmente, non si abituerà mai ad essere sollevata in aria come se avesse il peso di una piuma, soprattutto se si considera il fatto che l’essere colta alla sprovvista non le consente esattamente di dimostrare molta leggiadria, checché ne dica Marcello; eppure, si tratta di una delle tante dimostrazioni di quanto la ami, la consideri speciale, importante, mai scontata.
 
Un motivo ulteriore per cui le costa tanto arrecare una delusione al proprio marito - le sembra ancora strano usare quel termine nella propria mente, a maggior ragione pronunciarlo ad alta voce- .
La sé stessa di tre anni prima inorridirebbe, a fronte di un simile timore che ha potenzialmente rischiato di frenarla nel prendere la decisione di sostenere Stefania, e Irene di riflesso…
‘Roberta Pellegrino, preoccupata di NON compiacere un uomo? Che assurdità!’, le avrebbe detto.
Ma se si trattasse solo di questo, anche i dubbi che aveva un anno prima rispetto al concederglisi o meno, si sarebbero ridotti a una scarsissima considerazione di sé stessa in primis, e del genere femminile tutto; e se, nel giro di pochi mesi, aveva preso la decisione di farlo, non lo doveva certo al timore di venire scaricata, casomai avesse continuato a rifiutarsi fino al matrimonio.
Il punto, semmai, è che l’autodeterminazione e la determinazione personale di pensieri e azioni, devono necessariamente dialogare con l’equilibrio della coppia di cui si è parte integrante e attiva.
Quando si decide di stare con qualcuno, non si risponde più solamente a sé stessi; la maggioranza delle scelte da intraprendere, inevitabilmente, ricadono sull’altra persona anche solo di riflesso.
Ragion per cui si erano confrontati a lungo sull’argomento di cui sopra.
 
Ragion per cui essersi deliberatamente messa in una situazione di rischio concreto, costringendolo inevitabilmente a seguirla - pena un infarto fulminante ‘in diretta’, nel malaugurato caso in cui la situazione dovesse precipitare in sua assenza e a sua insaputa - , ne dà la misura.
Per non parlare, poi, di quando dovranno affrontare temi quali la carriera, la genitorialità…
Ambiti in cui Marcello sarà indubbiamente di supporto, come del resto è sempre stato; ma banalmente, la sé stessa di tre anni fa le avrebbe riso in faccia, dinanzi allo scrupolo di partire o meno per Bologna, mettendo sullo stesso piatto della bilancia una relazione a distanza con l’opportunità più prestigiosa che potesse capitare a una studentessa DONNA del suo ambito.
Il discrimine tra l’approfittarsi ‘in modo sano’ delle disponibilità e apertura mentale di Marcello, e il potenziale scavalcare ‘le zone non negoziabili’ da lui tracciate implicitamente - ma neanche troppo - , in questo specifico caso diventa sempre più sottile man mano che i minuti passano…
Ma l’alternativa sarebbe smettere di avere un cervello pensante, o lasciarlo; e, molto semplicemente, dalla sua prospettiva, nessuna delle due è vagamente contemplabile.
 
-
 
I ragazzi si sono arrischiati a ‘prendere in prestito’ il furgone del Paradiso, parcheggiandolo un po’ distante dalla zona interessata, in modo da evitare spiacevoli sorprese; al momento, nessuno dei tre possiede un’auto, e dovranno pur riaccompagnare a casa le fidanzate (e moglie), in qualche modo.
Marco è arrivato con la sua Triumph, parcheggiandola nei pressi del furgone, ma non vicina.
 
Naturalmente, sono comunque arrivati prima delle ragazze; ragion per cui, mantenendosi poco distanti dalla bisca in questione, stanno ingannando l’attesa fumando e stemperando la rabbia.
Rocco non ha mai imparato a fumare, ma in questo momento vorrebbe proprio aver preso il vizio.
Per tenergli compagnia, Salvo ha rinunciato ad accendere la propria sigaretta, mantenendosi in linea con le buone abitudini prese negli ultimi tempi, principalmente grazie a Sofia. ‘Fortuna che abita dall’altra parte di Milano, rispetto a quelle sciroccate!’ si ritrova a pensare; probabilmente per la prima volta, gli pesa di meno il pensiero del lungo percorso che deve fare per riaccompagnarla a casa, specialmente di sera, anche fosse solo per allungare la strada e fare una passeggiata insieme.
 
A un certo punto, si arrischia a commentare: “Vabbè che il tragitto è lungo, addirittura tre cambi di tram… Ma possibile che non siano ancora arrivate?”
“Visto il senso dell’orientamento preoccupante di Stefania, non mi stupirei se si fossero perse.” replica Marco; sono talmente travolgenti, l’irritazione mista a delusione, mista ad ammirazione prontamente soffocata da incredulità e preoccupazione, da rischiare di sopraffarlo completamente prima dell’arrivo della sua fidanzata, accompagnata da due guardie del corpo altrettanto temerarie.
“è improbabile: Roberta ritroverebbe la strada anche a New York, il primo giorno di arrivo in città.” puntualizza, invece, Marcello; forse più per il pensiero che abbia avuto la prontezza di avvisarli, che per la sconfinata ammirazione che nutre nei confronti dei suoi innumerevoli -almeno, per lui- pregi.
“Ma perché, tu ci sei stato?” ironizza Salvo, pentendosi immediatamente dopo, appena riceve in cambio uno sguardo fulminante: “E va bene... Ho capito, non è aria, ah?”
“Capace ca Irene ha visto la vetrina di un negozio ca ci piace e vuole capire quando apre domani.” chiosa Rocco; il suo stato d’animo è talmente alterato, che non si stempererebbe neppure se Irene, al termine di quest’insolita avventura, gli cucinasse caponata, sarde a beccafico e cassata. No, forse si tratta di una condizione un po’ azzardata; mettiamola così: al momento, è QUASI incorruttibile.
Il tono lapidario spontaneamente usato strappa un sorriso non solo a Salvo, ma anche agli altri due.
“Magari, ci hanno semplicemente ripensato…” ipotizza ancora Salvo, cercando di diffondere un po’ di ottimismo tra gli amici sfiduciati, imbufaliti e, soprattutto, poco lucidi.
“NO.” sentenziano gli altri tre in coro, pienamente consci della caparbietà delle rispettive donne.
“Allora, io mi sto zitto, ma sappiate che non so come farvi ragionare, mi dovete credere.”
 
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Per la fortuna di Salvo, nonché di ogni singola persona coinvolta nella vicenda, finalmente le ragazze arrivano. Scorgono ‘i rinforzi’ già a diversi metri di distanza: Irene fulmina Roberta con lo sguardo, più che altro per restare coerente, dato che quel quartiere malfamato, al buio, con le facce poco raccomandabili che inizia a notare, decisamente non la sta entusiasmando; Stefania sospira, quasi inespressiva, divisa tra il senso di gratitudine che non ammetterebbe mai in quella circostanza, e una preponderante frustrazione: l’universo sembra cospirare contro i suoi tentativi di rendersi utile. Fino a qualche settimana prima, era convinta di non poter ripagare tutto il supporto che Marco le aveva dato durante la stressante vicenda della madre, per l’avvio della sua carriera di giornalista...
Ora che, finalmente, ne aveva la possibilità, non solo probabilmente Marco si salverà in totale autonomia, bensì ciò avverrà perché, come al solito, qualcuno si è dimostrato più ragionevole di lei.
D’altronde, cosa ci si potrebbe mai aspettare da Stefania Colombo? La più giovane del gruppo lavorativo e di amiche; colei cui hanno nascosto la latitanza della madre per 15 anni, e per un anno intero ha praticamente vissuto insieme a Gloria senza conoscerne la reale identità; colei che il padre si è sentito in dovere di informare solo all’ultimo secondo, riguardo la sua relazione con una vedova con figlia al seguito, che si sarebbero trasferite a Milano, invadendo i suoi spazi, intralciando la sua possibilità di creare un legame più solido col padre, dopo una vita di continue e sofferte separazioni.
In parole povere: una ventenne che la sua famiglia si è divertita a trattare da bimbetta per una vita; un’amica inaffidabile, dato che spinge le due persone che considera come sorelle a mettersi in pericolo per starle dietro; una fidanzata continuamente bisognosa di un sostegno per non crollare.
Sarebbe inutile prendersela con Roberta: è solo l’ultima - per il momento - dell’infinita schiera di persone che decidono al posto suo, salvandola anche da sé stessa qualora lo ritengano opportuno… La differenza sostanziale, che la accomuna agli interventi di Marco, è che ha proprio ragione lei. Almeno, non si sente scavalcata dalle conoscenze e dalle doti persuasive di Adelaide; Matilde è infinitamente più disponibile, anche se, sotto sotto, invidia un po’ la confidenza che ha con Marco.
 
Roberta ha un evidente senso di colpa praticamente scolpito su tutto il viso; ma appena riesce a decifrare con chiarezza l’espressione dura di Marcello, che le sta già venendo incontro, scatta in automatico una sorta di istinto di sopravvivenza, rendendola impassibile e combattiva al contempo.
Faticando a guardarla in volto, un po’ per la rabbia e un po’ perché teme di tradire i propri reali sentimenti a fronte di quello sguardo che sa perfettamente come disarmarlo, Marcello esordisce puntualizzando: “Intanto, vediamo di risolvere la questione alla svelta… Ma a fine serata, pretendo una spiegazione valida ed esaustiva per questa follia, e temo non sarà una conversazione piacevole.”
Con somma sorpresa di sé stessa in primis, Roberta non fatica minimamente nel far prevalere la determinazione: “Ma con chi credi di parlare? Con una bambina? O peggio, con una donnicciola incapace di intendere e di volere? Continua con questo atteggiamento, e non chiariremo NULLA.”
Recepita l’antifona, e conoscendo a memoria la dinamica per cui, se Roberta si sente stuzzicata su un tema a lei caro, non ci vede più, mentre - in maniera direttamente proporzionale - si fomenta l’accanimento di Marcello su ciò che LUI ritiene invece prioritario, Salvo si fa avanti giocando d’anticipo: “Marcello, non penso di doverti ricordare che, se siamo qua, è per merito di Roberta…”
“Salvatore, te lo dico una volta per tutte: non intrometterti. Anche perché mi riesce molto difficile parlare di meriti, vista la situazione assurda in cui ci troviamo.” sentenzia Marcello, con enfasi ma cercando di controllarsi il più possibile, per evitare di esplodere gratuitamente contro l’amico.
“Ho chiamato Salvo perché ho ritenuto che Marco e Rocco volessero esserne informati; per fortuna, esistono persone più ragionevoli di te.” lo rimbecca Roberta, incapace di trattenersi. In quel momento, è come se tutte le sue elucubrazioni si fossero azzerate: non sopporta quando Marcello si sente in dovere di rimetterla al suo posto e tutelarla come se fosse una bambolina di porcellana.
“Che tu mi venga a parlare di ragionevolezza, è proprio il colmo, guarda!” ribatte lui, sarcastico.
 
“Ragazzi, vi prego, che poi va a finire come quella volta… Non costringetemi a mettermi sempre in mezzo.” supplica Salvo, ignorando totalmente l’ordine di poco prima. Marcello è incorreggibile: che si tratti di difendere la sorella dal mondo o da sé stessa, o di applicare lo stesso principio con la moglie, il risultato è esattamente identico: il sangue gli va alla testa, con estrema facilità arriva a dire cose che non pensa, nonché a compiere potenziali azioni inconsulte di piccola e media portata. Giammai se la prenderebbe con una donna; ma Salvo ricorda perfettamente quando afferrò per le spalle, con eccessiva decisione, una Roberta che si rifiutava di rivelargli dove fosse Angela. Difficilmente saprebbe descrivere il subbuglio di sentimenti contrastanti che lo pervasero in quel momento; eppure, per un attimo, temette davvero che l’amico fosse uscito completamente di senno.
È sempre mosso da un istinto di protezione nei confronti di Marcello, che occasionalmente si autosabota tramite eccessi di premura che sconfinano spesso e volentieri in impulsi autodistruttivi; ragion per cui non possono permettersi di perdere il centro dell’intero mondo di Marcello. *5
Secondariamente, l’istinto di cui sopra si estende nei confronti di Roberta stessa. Aveva già imparato a volerle bene al di là dell’essere fidanzato con la sua più cara amica, al punto da restare in buoni rapporti anche dopo la sofferta rottura; poi, avevano imparato a coesistere in armonia persino più di prima, soprattutto per non dare un dispiacere al socio, il loro affetto in comune. Col tempo, Salvo si è persino rassegnato al fatto che, né da un edificio in fiamme né in qualunque altro caso, Marcello si prodigherebbe per salvare lui per primo; ragion per cui, sparita ‘la scusa’ per cui Roberta era fidanzata col suo buon amico Federico, ha dovuto mettere da parte la propria ‘gelosia’ controbilanciando un intero anno di boicottaggio della coppia tramite consigli sbagliati e negatività.
 
Eppure, pian piano, hanno sviluppato un attaccamento reciproco spontaneo, indipendente da tutti i ‘doveri impliciti’ che sentono di essere chiamati a onorare fin da quando si sono conosciuti.
Benché la vera ‘scintilla’, e il vero collante, siano indubbiamente la gratitudine reciproca per come entrambi rispettivamente donano a Marcello il calore familiare inesauribile che gli era sempre mancato, e la cui assenza è stata acuita dalla partenza di Angela due anni e mezzo prima.
Perciò, se viene abbastanza spontaneo voler bene a chi vuole bene a coloro a cui tu vuoi bene *6, quando lo sforzo è annullato dalla straordinarietà delle persone in questione, è tutto di guadagnato.
 
A tal proposito, la diretta interessata non sembrava affatto impressionata, durante quell’episodio.
In quel momento, Salvo iniziò a interiorizzare che, molto semplicemente, tra Roberta e Marcello era sempre esistita un’empatia naturale, impermeabile a qualunque tipo di screzio più o meno acceso.
Marcello non eccederebbe MAI in nessun senso; non solo Roberta ne è perfettamente consapevole, ma è inspiegabilmente in grado di intercettare l’istante che lo separa dal raggiungere il punto di non ritorno, facendo dunque LEI un passo indietro per evitare che la situazione degeneri. Giammai ciò comporterebbe una resa di lei, o un assecondare lui; bensì l’aver imparato a gestire alla perfezione il complicatissimo equilibrio delle dinamiche di coppia, per cui occorrono due funamboli in sintonia, benché capiti che -a seconda delle circostanze- un* dei due sia più presente a sé stesso dell’altr*. *7
 
Stavolta, inaspettatamente, quel qualcuno è proprio Marcello. Respira profondamente e torna ad abbassare lo sguardo sul viso contrariato e irremovibile della moglie. La stessa a cui ha promesso di restare accanto ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non li separi, amen.
L’angolo destro della bocca di lui si tende in un sorriso sarcastico. “Intelligente e testarda: una combinazione letale.” sentenzia, proprio come fece ai principi della loro conoscenza. Nel medesimo frangente, si ritrovò ad ammettere quanto somigliasse all’amatissima sorella: fiera, combattiva al punto da rasentare la sconsideratezza se si tratta di difendere un principio o, meglio ancora, chi ama.
Sarebbe ipocrita negare che quella specifica caratteristica, oltre al fatto che Angela e Roberta si somiglino sotto parecchi aspetti, è una delle innumerevoli ragioni per cui la risceglierebbe sempre; c’è chi ha il complesso edipico, ma a lui era toccato smarcarvisi in giovanissima età, per cui…  Inoltre, è un tratto in cui riconosce pienamente anche sé stesso; altrimenti, non sarebbe neppure lì.
Ragion per cui, come volevasi dimostrare, Roberta non dichiara tregua, tentando disperatamente di nascondere un sorrisetto tra il lusingato e l’esasperato, prima di replicare: “Senti chi parla.”
 
Nel frattempo, Rocco sta compiendo uno sforzo titanico per non guardare in direzione di Irene, poiché SA che l’occhio continuerebbe a cadergli sul mestolo che fuoriesce dalla borsetta, e tantomeno dritto in viso, dato che a quel punto, non riuscirebbe a trattenere una risata sfrenata.
Per non perdere ogni credibilità dinanzi alla fidanzata e agli amici, tenta di dirottare l’attenzione su Stefania… Peccato che il mattarello scelto da lei sia ben più ingombrante e, pertanto, esposto.
La schiena di Marcello. La soluzione è fissare la schiena di Marcello. Naturalmente, la traiettoria comprende anche Roberta, che ha preferito chiamarli all’uscire munita di utensili da cucina.
Irene, dal canto suo, sta facendo del proprio meglio per non incrociare lo sguardo di Rocco, presupponendo che lui stesso finga di ignorarla poiché troppo inferocito per discutere civilmente.
 
L’unico apparentemente non intenzionato ad alleggerire l’atmosfera è proprio Marco.
Va da sé che si senta responsabile per l’intera situazione; confuso rispetto a come si approccerà all’oggetto della trasferta ‘obbligata’, Giulio Amarelli; tra il preoccupato e l’irato e il grato nei confronti di Stefania; incerto tra il riaccompagnarla di peso a casa e l’onorare tutti gli sforzi che la, anzi LI hanno condotti fino a lì, estendendo il cataclisma che li ha travolti anche ai loro amici.
Quel che è certo, appunto, è che non ha intenzione di liquidare la faccenda in nessun senso.
La soluzione più immediata cui riesce a pensare è confrontarsi apertamente con Stefania.
Le si avvicina e, dando la priorità al terrore puro che gli ha gelato il sangue nelle vene appena ha ricevuto la telefonata di Salvo, sbotta con durezza: “Quando pensavi di dirmelo?”
Stefania è perfettamente conscia di essere nel torto dal punto di vista dell’assenza di comunicazione almeno quanto lo è del fatto che: “Se ti avessi avvisato, me l’avresti impedito.” Ferma, lapidaria.
“Ah, certo; a quel punto, piuttosto che soffermarti a riflettere sull’abissale differenza tra l’arginare un dittatore e il rischio di sentirti fortemente messa in discussione da un fidanzato le cui obiezioni sono PIÚ CHE RAGIONEVOLI!” Sente la necessità di fermarsi: alzare la voce non è da lui, perlomeno non con Stefania… L’unico ad avere il potere di mandarlo su tutte le furie è il fratello; ragion per cui, se un anno prima gli avessero prefigurato lo scatenarsi di una tale ira nei confronti di una ragazza innamorata che credeva di agire nel suo interesse, invece che del costante sabotaggio gratuito del fratello maggiore, si sarebbe fatto una grassa risata e si sarebbe versato del whiskey.
Ma le buone intenzioni di Stefania non possono e non devono oscurare la sua incoscienza.
Per quanto, al momento, sia più che altro impressionata dall’eloquenza di Marco anche da irritato.
E dal momento che, proprio in virtù dell’ostentata convinzione di aver agito per il meglio - che sottintende un’eguale dose di consapevolezza dei rischi che avrebbe potuto correre - , Stefania non sembra intenzionata a retrocedere di un millimetro, né fisicamente né tantomeno concettualmente…
È opportuno chiarirsi, ma con toni civili. Inspira. Espira. “Hai preferito omettere del tutto l’impresa che ti apprestavi a compiere, con l’aiuto di Irene e, grazie al cielo, del buonsenso di Roberta.”
Stefania sceglie di ignorare quest’ultima frecciatina, più che altro perché si sta rafforzando la consapevolezza doversi mostrare irremovibile, pena la perdita di credibilità in primis agli occhi di Marco, e in secundis di coloro che, volente o nolente, ha coinvolto nella folle missione notturna.
“Se è così che vuoi vederla, non sarò certo io ad impedirtelo.” replica dunque, con apparente distacco. “Ingenua io *8, che pensavo a come aiutarti concretamente.”
Marco è del tutto spiazzato, ma principalmente in senso negativo; ragion per cui, gli risulta piuttosto semplice evitare di cedere: “Aiutarmi come, Stefania? Mettendoti in pericolo, dicendomi bugie? Al Giambellino, di notte, da sola? Ma sei matta?” Il primo ‘insulto’ da quando stanno insieme. Ottimo.
Ma figurarsi se ‘la temibile Colombo’ potrebbe mai lasciarsi impressionare tanto facilmente da un’invettiva di minima portata come quella: “No, per quanto ti faccia comodo insinuarlo.”
“Comodo? Trovi che ci sia qualcosa di comodo, in questa situazione?” la rimbecca lui, incredulo.
Rispondere a tono richiederebbe evidenziare come preferisca impegnarsi nel demolire i suoi tentativi di scuoterlo, piuttosto che analizzare le ragioni per cui è necessario che venga fatto.
Per cui, lo ignora. “Semmai, per quanto sembri dispiacerti più che altro… Tengo a te. Solo questo.”
“Hai davvero intenzione di puntare sul mio senso di colpa?” Si guadagna un roteare gli occhi.
 
“Ma che cosa pensi di ottenere, così, Stefania? Pensi davvero che, se quel ragazzo vincerà il concorso, allora io mi appassionerò di nuovo al giornalismo? Solo perché apprezzo ciò che scrive?”
Quasi offesa, osserva: “La fai suonare come la più colossale sciocchezza che tu abbia mai sentito.”
“Stefania, LO È!” Non ha resistito alla tentazione di alzare nuovamente la voce per la disperazione.
Oltre a pentirsene per la seconda volta nel giro di pochi secondi, tutto ciò che ottiene è l’alzarsi del sopracciglio destro di Stefania e l’istintivo allungare la mano verso il mestolo da parte di Irene.
Roberta, che nel frattempo le si era riavvicinata, all’accorgersene bisbiglia: “Ma che stai facendo?”
“Avevo giurato che l’avrei rincorso con l’ombrello, se fosse stato necessario. A mali estremi…”
In base alla mimica facciale di Irene durante lo scambio con Roberta, la quale per tutta risposta sta scuotendo la testa con un misto di divertimento e rassegnazione, Rocco riesce a intuire a grandi linee il contenuto del dialogo e, per l’ennesima volta, si trattiene dallo scoppiare a ridere.
 
Marco si rende conto di dover dichiarare una tregua momentanea; con somma sorpresa di sé stesso in primis, riesce nuovamente a mostrarsi vulnerabile: “Senti, io lo so che tieni a me, al mio futuro e a tutto il resto… Ma io non posso permettere che tu ti metta in pericolo o a rischio per colpa mia.”
“In questo momento, la cosa peggiore che mi possa capitare è che tu rinunci al tuo talento e al tuo sogno, senza che io abbia provato con tutte le mie forze e tutti i miei mezzi a dissuaderti.”
Eppure, parevano così lontani i giorni in cui commise ripetutamente l’errore di sottovalutare la giovane idealista. Ma non è certo questo, il momento per intavolare una confessione cuore a cuore.
 
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Infatti, il caso vuole che, proprio in quel momento, si avvicini a loro un gruppetto di ragazzi.
Bastano pochi istanti per individuarne con chiarezza il capobranco: la statura non particolarmente elevata viene compensata dalla spavalderia, il viso anonimo improvvisamente si trasforma in un’espressione di sfida, e i bravi si schierano come le acque del mar Rosso al suo passaggio.
“Beh? Cos’è, una riunione di condominio?” sbeffeggia gli intrusi, tradendo immediatamente una marcatissima inflessione dialettale. Si sforzano tutti di restare impassibili; Marcello inarca il sopracciglio destro, pur rimanendo imperturbabile. Quasi piccato per non aver suscitato reazione alcuna, il gentiluomo del Giambellino decide comunque di proseguire nelle provocazioni: “No perché, in quel caso, mi sa che avete sbagliato indirizzo… Di parecchi chilometri.” Silenzio.
“Matteo, ma te li conosci?” azzarda uno degli scagnozzi, rivolgendo ai malcapitati il suo miglior tono di sfida… Che continua a non risultare granché; se ne renderebbe conto anche se i suoi fratelli maggiori non sentissero il bisogno di puntualizzarlo quotidianamente, tra un calcio e uno sputo.
“Eh no… Infatti, sono proprio curioso di sapere cosa ci fanno qua, in una zona così fuori mano.”
 
Solo qualche anno prima, Marcello sarebbe diviso tra l’impulso di scoppiare a ridergli in faccia per la difesa territoriale patetica in atto, e quello molto più istintivo, quasi animalesco, di intavolare una sfida coi controfiocchi, giusto per ristabilire la supremazia garantitagli dalla stazza e dalla furbizia.
Come ogni ragazzo cresciuto per strada essendo al contempo dotato di intelligenza, non era solito perdere tempo in maniera gratuita, ma neppure illudere i bulletti di averlo minimamente intimorito.
Ma il corso del tempo, l’esperienza in carcere e, in particolar modo, quella immediatamente successiva che stava perdurando nel tempo, avevano fatto di lui un uomo onesto, migliore in tutto…
Soprattutto, avevano cancellato con un colpo di spugna l’istinto primordiale di far credere di essere molto più superficiale di quanto, in realtà, non fosse; semplicemente, non ce n’era più la necessità.
Perciò, si sforza di ricordare a sé stesso di aver smesso i panni di (ri)educatore da un pezzo.
L’atteggiamento perfettamente disinvolto che aveva mantenuto prima ancora di parlare, aveva già persuaso gli amici e la moglie a lasciargli fare il lavoro sporco, mandandolo avanti insomma.
“Stiamo cercando Giulio Amarelli; se poteste dirci dove possiamo trovarlo…” replica, asciutto.
 
Intimorito se non altro dalla stazza dell’interlocutore, nonché dalla sicurezza che emana, intrisa di un nonsoché di familiare, Matteo fa un passo indietro sia metaforico che letterale, invitando implicitamente i bravi a fare altrettanto. Ha deciso di aver sventato abbastanza rogne, per una sola giornata; non gli va di complicarla ulteriormente… Certo, sempre ammesso e non concesso che la combriccola di perbenino che si è inaspettatamente palesata sia davvero innocua come sembra.
Esegue sbrigativamente: “Giulio! Ci sono dei signorini dei quartieri alti che ti cercano.”
Fatto il richiamo - con tale grazia da far rivalutare a Irene la propria trovata di soprannominare Rocco ‘Tarzan’ - , mentre si avvia all’interno del locale per assicurarsi che l’amico l’abbia sentito, si lascia scappare un misto tra un’imprecazione e un insulto, certissimo che nessuno l’abbia inteso.
In effetti, due siciliani, due piemontesi e due lombarde borghesi, oltre a predisporre lo scenario di una barzelletta interessante, non hanno propriamente l’aria di chi mastica il vocabolario della strada.
 
Non avendo realmente idea del passato del Barbieri, non ha neppure pensato di moderare la portata della provocazione. Una provocazione che Marcello finge volutamente di non cogliere, riservandosi di rivelare i propri trascorsi al momento opportuno; benché la contrazione di ogni suo muscolo -conosciuto e non - localizzabile dalla sommità del capo alla punta delle dita dei piedi, lo tradisca.
Ed è solo tale reazione, escludendo l’ovvietà dell’origine della deduzione in questione, a far intuire a Roberta che il marito sia l’unico ad aver captato il termine, per l’appunto. D’altronde, se - come le aveva confidato a suo tempo - in carcere veniva soprannominato ‘il damerino’, con altissima probabilità il motivo risiedeva nel fatto che, abitualmente, al massimo si concedeva di indirizzare a Salvo e Rocco qualche espressione bonariamente derisoria, giammai offensiva o volgare.
Ad ogni modo, per evitare ulteriori complicazioni, nessuno si azzarda a richiedere una traduzione simultanea: in questi casi, la cosiddetta ‘beata ignoranza’ può risultare salvifica.
 
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Nel giro di pochi minuti - presumibilmente in seguito a una breve consultazione tra compagni - , finalmente si palesa colui che ha tutta l’aria di essere il famigerato Giulio Amarelli.
Stefania si sarebbe aspettata un atteggiamento quantomeno scontroso; con sua grande sorpresa, invece, l’interlocutore deve aver inteso chi loro siano, poiché appare intimidito, quasi dimesso.
Il ragazzo emana semplicità da ogni poro: i capelli biondo chiarissimo, gli occhi azzurri che li scrutano con una vena di delicatezza, la statura imponente che quasi si curva al loro cospetto.
Il tono circospetto e fintamente indifferente con cui si rivolge a loro provoca in Roberta una specie di fitta istantanea allo stomaco: in un attimo, le si para davanti quel Marcello che, esattamente due anni prima, tentò di allontanarla con scuse fantascientifiche, nell’assurda speranza che se le bevesse.
La questione è semplicissima: Giulio teme di tradirsi, dimostrando che, in realtà, non attendeva altro che Stefania e Marco facessero esattamente ciò che stanno facendo: andarlo a cercare.
Ma un ragazzo venuto dal niente, che non ha niente e, soprattutto, crede di non valere e tantomeno meritare niente, mai ammetterebbe di avere un disperato bisogno che ci si prenda cura di lui.
Roberta lo sa meglio di chiunque altro; Stefania lo sta apprendendo ora, per certi versi.
 
Nel lasso di tempo necessario a far riscuotere la signora Barbieri dal dejà-vu, la futura signora Sant’Erasmo e consorte hanno già preso in mano la situazione, avviando le presentazioni.
“Signor Amarelli, Le chiediamo davvero solo pochi minuti; è importante.” insiste Stefania.
“Signorina, io La, anzi vi ringrazio davvero e mi dispiace tanto per l’incomodo, ma…”
“Ma quale incomodo! Per noi è un piacere, vero Marco?” ribatte l’indomita Colombo, ammiccando in direzione del fidanzato; il quale, dal canto suo, si costringe a inspirare ed espirare profondamente.
Tutto si può imputare a Marco di Sant’Erasmo, tranne l’ipocrisia; ragion per cui evita di rispondere, sforzandosi però di sorridere e domandare: “Ci sarebbe un posto dove possiamo parlare in privato?”
Quasi spazientito e sul punto di esaurire quelle poche norme di cortesia impartitegli in modo ferreo, Giulio replica per l’ennesima volta in un minuto: “Ma davvero, non ce n’è bisogno...”
A quel punto, la spazientita è Irene; con la consueta disinvoltura, scavalca Rocco, Salvo e Roberta, supera Marcello che stava appena dietro Marco e Stefania, e sbotta in direzione dell’Amarelli: “Giulio, non ci siamo affatto; e pensare che contavo proprio su di Lei, per saltare i convenevoli! Fortuna che alla mia amica, stasera, si è sciolta la lingua al punto da risultare sbrigativa.”
‘E non mi pare l’unica, ah!’ si ritrova a pensare Rocco. ‘Giulio, ma cu è ’sto Giulio, cu u canusce?’ 
Il suddetto Giulio, per l’appunto, tradisce la propria indole timida arrossendo lievemente; è abituato a rapportarsi con signorine anche spigliate, ma indubbiamente non della levatura di Irene Cipriani.
“Se davvero vuole sdebitarsi per il disturbo, sbrighiamoci con questo colloquio a domicilio, ché fa freddissimo e il mio fidanzato non mi darà mai la sua giacca per ripicca; lunga storia, lasci perdere.”
Resasi conto solo dopo aver richiuso la bocca di averlo involontariamente intimorito più del dovuto, in compenso ha diffuso sorrisetti tra gli amici, oltre a beccarsi l’ennesima occhiataccia dell’oggetto delle sue prese in giro; tocca sempre a lei sdrammatizzare, e mai che Rocco le dia soddisfazione!
Tra l’interdetto e l’incuriosito, Giulio si decide a farli entrare, facendo un cenno a Matteo per avvisarlo del fatto che si metteranno in una saletta appartata, nonché di non prendere iniziative: il principio di protezione incondizionata che anima i suoi compari può risultare più dannoso che altro.
 
Stefania prende la parola. “Come Le dicevo, Giulio, siamo venuti fin qui perché siamo stati contattati dal dottor Verde;” - Marco si sforza di non smentire il plurale, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo - “ci ha informati del Suo ritiro dal concorso, e ci è dispiaciuto moltissimo.”
Tra il diffidente e l’incredulo, l’Amarelli ribatte: “Come mai? Non mi conoscete neppure.”
“Beh, in un certo senso, un po’ sì…” Prima di essere cacciata dal locale, Stefania si affretta a spiegarsi meglio: “Abbiamo letto con grande coinvolgimento la Sua testimonianza; essendo basata sulla Sua esperienza, ovviamente, ci è sembrato di entrare nel Suo mondo, anche se per un istante. Deve credermi: è davvero raro riscontrare la Sua capacità comunicativa.”
Colpito e un po’ interdetto, Giulio replica: “Io la ringrazio davvero, signorina, ma…”
Lei lo interrompe, ormai inarrestabile: “Nell’articolo c’è passione, c’è sofferenza, c’è verità!”
Notando un principio d’insofferenza sul viso di Giulio, Marco presuppone che li ritenga dei ricconi annoiati, che il mercoledì sera non hanno di meglio da fare che girare per i bassifondi per sentirsi utili, per fare la figura dei benefattori che salveranno i casi umani come lui dal loro triste destino.
Naturalmente, non sa come eliminare quel pregiudizio dalla testa del loro interlocutore; ma ha tutta l’intenzione di provarci. Lo deve a Stefania, agli amici, a quel ragazzo, e in fondo anche a sé stesso.
“La mia fidanzata ha ragione. Lei stessa è una giornalista alle prime armi, quindi avrà sicuramente riconosciuto nella Sua scrittura la freschezza che contraddistingue i giovani talenti come voi.”
Fa una pausa, attendendo una reazione da parte di Giulio che, al momento, non arriva. In compenso, Stefania si sta rianimando tramite la doppia illusione che Marco la stia perdonando e che stia recuperando la motivazione. Quanto possa essere fondata, non lo sa neppure lui, attualmente.
Di certo, in un simile frangente, la necessità di fare squadra è assolutamente prioritaria.
“Io stesso non sono di certo decrepito, ma sono praticamente nato in mezzo alla carta stampata, perciò ho cominciato a leggere e a formarmi un’opinione a riguardo molto prima di scrivere.”
 
Ancora niente. Sarà meglio andare al sodo, prima che si addormenti davanti a loro.
“Per cui, posso dirLe con una certa sicurezza che ho trovato il Suo articolo davvero sorprendente e interessante; questo dimostra che ha un grande cuore, oltre ad una grande penna. è acerbo in alcuni punti; però lo stile è bello, è crudo, è appassionato, è vero… Molto semplice, ma davvero diretto.”
A questo punto, l’Amarelli si sente di puntualizzare, asciutto: “Ho scritto solo quello che pensavo.”
“Appunto.” Marco gli rivolge un sorriso incoraggiante. “Sa, è piuttosto raro trovare del materiale così tanto sincero. E mi viene spontaneo chiederLe… Come mai vuole abbandonare il concorso?”
“Perché sarebbe inutile.” risponde di getto l’interlocutore, desiderando solamente che quel supplizio termini il prima possibile, pena il rimettere totalmente in discussione la decisione presa, con conseguenti paranoie a non finire. “Da dove vengo io, nessuno diventa un giornalista. Non ha senso cercare di andare contro al proprio destino; e il mio, è quello di uno qualunque del Giambellino.”
Irene si tappa automaticamente la bocca, per evitare di sbottare: ‘Costui crede forse di vivere nel periodo precedente alla guerra? O peggio, in India, con quell’improponibile sistema delle caste?’
Naturalmente, avrebbe interpretato il pensiero di tutti; ma sarà meglio percorrere la via diplomatica.
“Non è detto che al Giambellino non possa nascere un giornalista…” replica infatti Marco, con grande difficoltà, accennando debolmente un sorriso. Nel mentre, la convinzione di non essere credibile nel proprio ruolo, nonché nel proprio mestiere, si fa sempre più strada; rafforzandosi nel giro di pochi istanti, tramite le affermazioni dell’Amarelli stesso, prive di disprezzo eppure intrise della cruda realtà: “È facile dirlo, per Lei: buona famiglia, bei vestiti; la migliore istruzione, immagino. Ha sempre potuto scegliere di fare quello che preferiva; per me è diverso.” chiosa.
Marco annaspa, aggrappandosi alla propria esperienza e, al contempo, evitando di menzionarla esplicitamente per non perdere ancor più di credibilità: “Beh, anche rinunciare è una scelta…”
 
Torna ad alzare lo sguardo e asserisce: “Solo che forse, nel Suo caso, sarebbe un peccato.”
“E perché?” ‘Perché avrei talento?’, si azzarda a pensare ma non a pronunciare ad alta voce.
“Perché ha talento, e perché noi non lo possiamo permettere che Lei lo sprechi.” interviene Stefania, leggendogli nel pensiero, e soprattutto temendo che accada l’irreparabile sia per Giulio che per loro.
“Mi creda: io sono LA PRIMA che non vuole immischiarsi nella vita della gente…”
Si sente quasi moralmente costretta a fare una pausa per deglutire, evitando volutamente lo sguardo di Marco, percependone tuttavia il peso in maniera netta e inequivocabile.
“Però, potrebbe proprio sfruttare questo concorso per cambiare la Sua vita.”
“Certo, se vincessi. Magari, non sono neanche così bravo.”
“Ma non lo saprà mai, se non ci prova! Mi dia retta… Io non so cosa sia giusto o sbagliato per Lei, però una cosa la so: abbandonare quello che si ama solo perché si ha paura, non ci rende felici.”
In quell’esatto istante, Marco è costretto ad ammettere a sé stesso che, qualora non dovesse riuscire a persuadere Giulio Amarelli, è praticamente certo che sia riuscita nell’impresa con lui.
La temibile Colombo sarebbe persino in grado di convincere sua zia Adelaide a mettersi ai fornelli.
Marcello è rimasto in rigoroso silenzio fino ad ora, osservando però con estrema attenzione Giulio.
Di certo, a livello di personalità non si somigliano; ma ha riconosciuto immediatamente in lui il meccanismo del mantenersi sulla difensiva, l’autostima sotto le suole, la sfiducia generalizzata.
Dato che sembra ancora lontano dal convincersi, sente di dover rincarare la dose a modo proprio.
“Scusami se mi permetto di darti del tu, ma che tu ci creda o no, le nostre esperienze sono simili.” esordisce quindi, afferrando una sedia, sedendosi a cavalcioni e rapportandosi direttamente con lui.
“Ti risparmio i dettagli deprimenti e superflui; ti basti sapere che, per anni, sono stato in balìa di una sorta di effetto domino dovuto a scelte sbagliate del passato che continuavano a perseguitarmi.”
Giulio, colpito e istintivamente portato a dar credito alle parole di Marcello, lo invita implicitamente a proseguire. “Ero assolutamente convinto di non poter uscire da quel circolo vizioso; giusto due anni fa, mi sono stati ripresentati i conti per l’ennesima volta.” Trattiene il respiro, evitando volutamente lo sguardo di Roberta; non riuscirà mai a perdonarsi di averla coinvolta finché avrà vita, ed è una delle varie ragioni concatenate tra loro per cui questa situazione lo rende tesissimo.
“Quindi… Come sei riuscito a…?” azzarda Giulio, oramai incuriosito.
“Nello stesso modo dell’anno prima: avendo fiducia in chi aveva dimostrato di tenere a me.” Roberta dovrebbe essere la prima della lista, per l’aiuto consapevole e non - soprattutto ‘non’ - datogli… Ma non può rischiare di sentirsi rispondere che lui, invece, non ha una fidanzata.
Perciò, cita gli amici, i datori di lavoro (la signora Anita, e in un certo senso anche il dottor Conti).
A quel punto, nomina anche la moglie, voltandosi leggermente verso di lei per strizzarle l’occhio. Avendo in animo più orgoglio di quanto avrebbe mai saputo esprimere, per tutta risposta gli sorride.
“E come hai fatto a non ricascarci?” incalza Giulio, arresosi all’inevitabile cedimento che seguirà.
“Inizialmente, non è stato facile; poi ho iniziato a fidarmi più della mia intraprendenza e dell’affetto di chi mi circondava, che dell’istinto di percorrere la via a cui credevo di essere predestinato.
È fondamentale prendere coscienza del fatto che la criminalità non è la tua sola via di uscita.”
Si gira nuovamente verso Roberta, troppo impegnata ad ascoltarlo per accorgersi del suo sguardo.
Marcello non esternerebbe mai davanti agli amici, tantomeno a estranei, ciò che sta pensando in questo momento; ragion per cui si sforza di trasmetterlo attraverso gli occhi: ‘Soprattutto, perché mia moglie mi dimostra ogni giorno di voler tener fede alla promessa fatta proprio due anni fa: di continuare a guardarmi con lo stesso amore, per rendermi un uomo migliore, l’uomo che merita.’
 
Appena dissoltosi ‘il momento di estraniamento nella loro bolla personale’ dei coniugi Barbieri, Marcello si rende conto di aver avuto il potere di far ammutolire tutti, Irene Cipriani compresa.
Marco e Stefania gli stanno sorridendo in segno di immensa gratitudine.
A questo punto, non resta che da sperare nel ripensamento di Giulio Amarelli; forse, il risultato combinato del lavaggio del cervello fattogli e della notte, porteranno finalmente consiglio.
Nel salutarlo, dopo aver assistito inerme e divertito al tentativo riuscito della fidanzata di strappare all’altra giovane promessa del giornalismo il buon proposito perlomeno di prendere in considerazione i loro consigli, Marco si sente di osare con un’ultima raccomandazione:
“Venga alla premiazione, domani sera… Dopotutto, Lei non ha nulla da perdere, no?”
 
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“Vi avverto: se dopo tutta la nostra mobilitazione, questo Giulio Amarelli non vince come minimo il Pulitzer, torno personalmente a cercarlo e lo porto di peso a pretendere il premio!” sentenzia Irene.
“Non ho alcun dubbio a riguardo.” replica Stefania, tra le risate generali, mentre s’incamminano.
“Tu, i fatti tuoi mai, ah.” la rimbecca Rocco. Impicciona in tutti i sensi… E maledettamente bella.
 
“Ragazze, grazie di tutto, e scusatemi.” Stefania abbraccia Irene e Stefania insieme, affrettandosi poi a estendere la propria gratitudine a degli offesissimi uomini con un sorriso e un cenno di saluto, prima di avviarsi con Marco verso la Triumph: sarà un lungo, lungo tragitto, ma non vede l’ora.
A quel punto, Roberta sente l’esigenza di liberare la tensione accumulata, cercando rifugio nell’abbraccio di Marcello; lui, a propria volta, la stringe a sé, affondando il viso nel suo collo.
“Vabbè, fate con comodo…” ironizza Salvo, accennando al furgone, seguito da Rocco e Irene.
 
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Marco non ha ancora detto una parola, da quando sono entrati in auto e ripartiti.
Mai ossimoro fu più azzeccato di ‘silenzio assordante’, specie in questo frangente. E Stefania odia il silenzio. Non è più la ragazzina che parlava per riempire i vuoti: ha ormai imparato a distinguere i contesti forieri di disagio, in cui l’esigenza di rompere il ghiaccio si fa prepotentemente strada, da quelli in cui l’intimità creatasi con l’altra persona consente di godere della reciproca compagnia senza dover necessariamente ricorrere all’inquinamento acustico, com’è solito definirlo Marco.
Ma ora si tratta del tipo di silenzio peggiore, dal suo punto di vista: quello derivante dall’incertezza.
Perciò, dato che - com’è naturale che sia - è portata a pensare al peggio, equivocando le ragioni del mutismo di Marco, avendo resistito per cinque minuti buoni, di colpo sbotta: “Ti ho deluso, lo so.”
Lui, per tutta risposta, sospira e scuote la testa, mantenendo la concentrazione sulla guida.
“Non sono fatta di cristallo, eh; mi sembra ti facessi meno scrupoli, quando non stavamo insieme.”
A questo punto, quasi gli scappa da ridere, nel ricordare le discussioni poco edificanti di quei tempi.
Come se gli stesse leggendo nel pensiero, Stefania prosegue: “Ammetto che, a differenza di altre volte, qui avresti anche la tua parte di ragione;” - ‘Ah, usa il condizionale’ pensa Marco, limitandosi tuttavia ad un’espressione eloquente: è troppo curioso di capire fin dove si spingerà col monologo -
“ragion per cui mi aspetto che ne discutiamo da persone civili… O hai esaurito le argomentazioni mentre mi sbraitavi addosso davanti a tutti? No, te lo chiedo in modo da organizzarmi, sai com’è.”
Ha obiettivamente ragione lei, persino nel picco insolitamente acido che ha assunto la sua voce.
Crescere orfano e all’ombra di un fratello troppo occupato e riservato per costruire un dialogo sano, quasi inevitabilmente implica lo sviluppare l’abitudine di rinchiudersi in mutismi riflessivi, qualora insorgano conflitti, incomprensioni, turbamenti di vario genere; ma al di là dell’eventuale e banale correlazione con le personalità individuali, non si tratta comunque di una giustificazione per creare disagi a chi, invece, è abituato a modalità comunicative - volte alla risoluzione - di tutt’altro genere.
Naturalmente, non sarebbe giusto che nessuno dei due cambiasse; piuttosto, è necessario giungere a dei compromessi. Ma capita talmente di rado che discutano tra loro, a dispetto delle rispettive diversità di carattere, che è impossibile far abituare Stefania così rapidamente alle sue reazioni.
 
Le strade sono praticamente deserte, ma sarà meglio accostare, per dialogare in tranquillità.
“Ti chiedo scusa per come mi sono comportato prima, ma ero sopraffatto dalla preoccupazione.”
“Lo capisco; scusami, so che avrei dovuto coinvolgerti, ma ho temuto che mi avresti fermata.”
“Probabilmente sì… Ecco perché sono felice che sia andata così.” Si volta verso di lei e le sorride.
Completamente spiazzata, l’unica replica che possa racchiudere la reale presa di consapevolezza di Stefania riguardo l’intera vicenda, insieme al suo slancio, risulta essere: “C’è da considerare che non abbiamo ancora la certezza del ripensamento di Giulio; certo, Marcello ci ha messo del suo…”
“Ma non importa, Stefania! Pensavi davvero che tentassi di dissuaderti solo per il timore che non avresti ottenuto il risultato sperato?” ribatte Marco, spingendola a guardarlo dritto negli occhi.
“Beh, in totale onestà, mi hai fatta sentire un’illusa… Anzi, mi hai direttamente riportata indietro di un anno, quando ero l’aspirante giornalista cui ti fu imposto di fare da mentore, tuo malgradissimo.”
Tra l’imbarazzato da quel riferimento e il divertito dal superlativo assoluto volutamente errato, si impegna alquanto per spazzare via quel broncio ingiustamente comparso sul volto della sua amata: “Sono stato intrattabile, ultimamente; me ne rendo conto. Il momento difficile che sto attraversando non è una valida scusa per sfogarmi su di te, che stai solo cercando di supportarmi… A modo tuo.”
Raccogliendo la distensione degli animi, e in particolar modo l’ammiccamento che accompagna le ultime parole, dapprima Stefania ironizza: “Era ora!” accarezzandogli la mano, per poi aggiungere: “So di averti fatto impazzire con la mia invadenza, e che non ne puoi più di chi decide al posto tuo. Però, mettiti nei miei panni: da un lato ero - e sono tuttora - convinta del fatto che la tua sia una crisi momentanea; dall’altro, non sapevo come interpretare le tue reazioni, soprattutto le tue intenzioni… Non ti avevo mai visto tanto sconvolto, e ho iniziato ad improvvisare secondo il mio istinto. Scusa.”
“Non devi scusarti; la tua buonafede non è mai stata in discussione, e lo sai.” la rassicura Marco.
“Mi sono sentito messo con le spalle al muro da te, da Matilde, da mia zia… Razionalmente, sapevo che volevate aiutarmi, ma l’unica soluzione mi è sembrata mostrarmi risoluto, a qualunque costo.”
“Quando invece…” azzarda Stefania, accarezzandogli il braccio in segno d’incoraggiamento.
“Non sono sicuro di niente, e ho paura di non trovare mai più uno scopo che mi soddisfi davvero.”
Prima che Stefania possa intervenire, aggiunge: “Poi guardo te, e mi chiedo come tu faccia.”
Lei inarca un sopracciglio, incuriosita. “Cioè, tu andresti fino in capo al mondo per ciò in cui credi.”
Lusingata, sorride: “Ammetto di essere piuttosto brava ad autoconvincermi di star agendo per il meglio, quando si tratta di perseguire le cause che sposo… Solo così, riesco ad evitare di farmi frenare dal giudizio altrui, pur mettendo in conto l’eventuale delusione che potrebbe conseguirne.”
Marco alza gli occhi al cielo. “Stefania, non sono deluso! Magari arrabbiato, ma ora non più.”
Lei accenna il primo, vero sorriso. “Meno male… Hai mai sentito parlare del principio secondo cui l’aver provocato la delusione di chi ami risulterebbe la punizione peggiore in assoluto?”
“Vagamente.” conferma lui, intenerito… Soprattutto, da un sé stesso bambino che, più di ogni altra manifestazione di collera, non digeriva i silenzi punitivi inflittigli dal padre e dal fratello maggiore.
“Ecco, con mio padre era così: mi sono sentita dire una sola volta in tutta la vita di averlo deluso, ed è uno dei peggiori traumi d’infanzia… Escludendo l’essere cresciuta senza una madre, s’intende.”
Le scappa una risatina, autorizzando Marco a seguirla a ruota: ogni tanto, occorre sdrammatizzare.
Anche in questo caso, la differenza di contesti e ceti sociali che li hanno visti crescere risulta avere un peso nullo nella somiglianza delle loro ferite. “Sentiamo, cos’avrai mai fatto, oltre ad assordarlo come di consueto?” la stuzzica lui, incuriosito: Stefania Colombo che delude qualcuno? Eresia pura.
“Alle elementari, la maestra aveva stabilito che sarei stata la compagna di banco degli alunni che erano più in difficoltà, siccome ero molto brava.” ‘Non avevo alcun dubbio’ pensa lui, intenerito.
“In questo modo, però, non riuscivo quasi mai a sedermi accanto alle mie amiche, e ci restavo male. Così, mi feci coraggio e - molto rispettosamente, s’intende - le chiesi di cambiare la disposizione.”
Marco sgrana gli occhi: quale bambina si sarebbe fatta avanti a quel modo, scavalcando gli adulti che avrebbero concordato con la maestra a prescindere, negli anni ’50 ? Solo la temibile Colombo.
“E lei non solo mi diede ragione, ma lo ribadì anche a mio padre, quando andò poi a colloquio. Inutile precisarti che la sua reazione fu molto diversa: tornò a casa e, serissimo, mi spiegò che ‘non ci si tira mai indietro dalle responsabilità che ci vengono affidate, specie dall’aiutare i bisognosi’!”
Marco scoppia a ridere: Stefania che scimmiotta Ezio è più esilarante dello scenario in sé.
“Aggiungendo che era molto deluso dalla mia mancanza di senso civico, naturalmente.”
 
“Capisco; insomma, questa è un’opera buona nata da un senso di colpa vecchio di quindici anni!” la provoca, guadagnandosi irrevocabilmente - nonché meritatamente - una pacca sul braccio.
“Sei proprio sciocco! Come osi!” fintamente indignata, per poi scoppiare a ridere appresso a lui.
“Guarda che queste vicende segnano profondamente gli animi sensibili come il mio!” sottolinea.
“Ah, certo;” commenta sarcastico, deciso a farle scontare ogni minuto di agitazione causatogli.
“Almeno, un giorno potrai ringraziarmi per aver infuso in te un pizzico del mio cinismo.”
“Per carità, è fastidiosa la verità, eh...” osserva invece Stefania, seguendo un loro vecchio gioco.
“Quale verità?” ribatte lui, per una volta totalmente ignaro di dove andrà a parare.
“Che è andata all’opposto, invece: sono stata io a trascinarti nell’idealismo, letteralmente.”
Preso in contropiede, Marco riprende le redini della situazione: “Ah. Grazie mille, quindi?”
“Prego.” Lui sogghigna: come volevasi dimostrare, farle da mentore gli si è anche rivoltato contro.
“Terrei comunque a precisare che non era di certo lo snobismo la ragione del mio rifiuto di assecondarti.” In tali circostanze, chiamarsi Sant’Erasmo di cognome ha un peso non indifferente.
“Ma lo so.” conferma lei, col più caldo dei suoi sorrisi. “Reputo l’averti repentinamente estraniato dal motto del club degli indolenti proprio la medaglia che più fieramente mi appunto al petto.”
‘Se non ce ne si può occupare, non vale la pena preoccuparsene.’ si ripete mentalmente Marco.
 
È sempre più affascinato dalla complessità della sua personalità. “Sai, tu sembri così piccola…” esordisce, schivando abilmente l’occhiataccia della temibile Colombo: ‘Ma allora è vizio!’, pensa.
“E fragile…” prosegue, non riscontrando obiezioni: è stata lei a insegnargli a non vergognarsene.
Una vera e propria ventata d’aria fresca, rispetto al mondo ricolmo di ipocrisie in cui è cresciuto.
“Ma in fondo, sei molto più forte di me.” *9 conclude, guadagnandosi un immenso sorriso di riconoscenza e una carezza sulla nuca. La gratitudine va anche a sé stessa, per aver imparato a dominare l’impulsività, così da consentirgli di completare quella splendida dichiarazione.
“Non sono così forte, né così altruista come potresti essere portato a credere, in realtà.”
Abbassa lo sguardo, per poi rialzarlo e incontrare i suoi occhi verdi, ormai rassicuranti e familiari.
“Una parte di me si è sentita persa, all’idea di non condividere più la stessa passione lavorativa.” Prima che possa interromperla, lo frena: “So benissimo che avresti continuato a supportarmi in ogni caso, che di certo il giornalismo non è l’unica cosa che ci accomuna… Ma sarebbe stato diverso. Marco…” Prende coraggio: l’affermazione che sta per fare rientra tra quelle per cui scegliere il momento e i termini adatti risulta decisivo. “Amo preservare la mia individualità nella scrittura; specie ultimamente, però, mi sono resa conto che alcuni dei miei articoli migliori si rivelano essere quelli che scriviamo a quattro mani, frutto di confronti illuminanti e di tanto tempo speso insieme.”
Lui le sorride, sorpreso e compiaciuto della riconferma al contempo. “Lo stesso vale per me.”
A questo punto, lei si butta imponendosi di non verificare se il paracadute sia o meno funzionante:
“Scrivere insieme è un po’ come fare l’amore, e non chiedo altro che di continuare a farlo con te.”
Interdetto, euforico, ammutolito, emozionato… Le sensazioni e gli stati d’animo che pervadono la mente e il cuore di Marco formano un subbuglio apparentemente indecifrabile, di certo sconosciuto.
L’unica reazione a lui congeniale, in casi come questo, si rivela il prenderla spudoratamente in giro:
“Ah… Peccato.” sentenzia, senza pietà, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo.
Stefania sbianca. Deglutisce, per poi tentennare: “Ma che… Come… In che senso: ‘peccato’?”
“Ora che so fin nel profondo quanto tu tenga al nostro legame professionale - nonché affettivo, mi sembra doveroso precisare - , sarebbe veramente insensibile, da parte mia, tirarmi indietro così… Quindi, peccato, perché speravo potessi apprezzare questa nuova versione di me; sai, stavo davvero iniziando ad accarezzare l’idea di fondare un gruppo musicale chiamato I Ramarri.” *10
 
Fortemente indecisa tra il farlo amaramente pentire di essere venuto al mondo, e l’esultare perché pare stia dando un segnale di apertura, Stefania opta per comunicargli il primo stato d’animo con uno sguardo eloquente - guadagnandosi un sogghigno in risposta - , preferendo concentrarsi sul secondo aspetto: “Quindi, mi stai dicendo che… Sarò ripagata per la terapia psicologica gratis?”
Marco scoppia a ridere, fallendo miseramente nel proposito di tenerla sulle spine ancora un po’. “Ebbene sì, signorina Colombo; confermo che i Suoi sforzi hanno decisamente dato i loro frutti.”
Stefania gli si scaraventa addosso, totalmente incurante di freno a mano, cambio, e aggeggi vari. Constatando, tuttavia, l’inutile scomodità di quella posizione, opta per aprire la portiera, fare il giro - il tutto sotto lo sguardo sempre più interdetto e divertito di Marco, che forse avrà pensato che avesse intenzione di improvvisare un balletto notturno per strada, al gelo invernale - e raggiungerlo dal lato del conducente, incontrando l’approvazione senza riserve del beneficiario di tanto calore.
Sottraendosi poi - non senza fatica, né dispiacere - all’ennesimo bacio di giubilo, tiene a precisare: “Però, ascolta: io ho cambiato idea soltanto sul concorso; non significa che tornerò a scrivere.”
L’inarrestabile, nonché in-scoraggiabile Colombo, ribatte prontamente: “Questo però non è detto; perché, magari, proprio quest’esperienza ti farà fare pace con il giornalismo.” - guadagnandosi uno sbuffo rassegnato del fidanzato - “E io ho anche tanti altri modi per convincerti.” aggiunge.
Il tono volutamente ambiguo di Stefania porta Marco a scrutarla con più interesse del consentito.
Ad ogni modo, opta per il mantenere un basso profilo: “O forse, potresti semplicemente accettare le mie scelte. Io mi chiedo come ho fatto a innamorarmi di una ragazza così tanto testarda…”
“Ah, non lo sai…” lo stuzzica lei, chiarificando il concetto prima con la seduzione fisica e poi verbale: “Allora devo ricordare proprio male, perché mi pare che quei discorsi un po’ sconnessi sulle ragazze intelligenti, emancipate, indipendenti… Si siano rivelati inesatti riguardo il punto ‘inafferrabilità’… Ah, non eri tu, quello? Devo essermi confusa!” conclude in un gridolino, visto che i baci di Marco, sul collo, sul viso, sulla bocca, si sono impegnati parecchio per azzittirla. Naturalmente, si tratta dell’unico mezzo cui Stefania Colombo consente e legittima tanto ardire. Così come in ogni coppia di giornalisti che si rispetti, per Marco di Sant’Erasmo vale altrettanto.
-
Rocco entra in casa ragazze al seguito di Irene, richiudendo la porta dietro di sé.
Hanno pensato di approfittare dell’assenza di Stefania per confrontarsi con calma; fa troppo freddo per restare fuori, e non hanno neppure intenzione di svegliare tutto il condominio e/o il vicinato.
Salvo si è avviato a casa, nella speranza che Agnese sia già addormentata, così da evitare domande.
 
Tolti i cappotti e appoggiatili alle sedie, Irene si sfila con immensa soddisfazione i tacchi che ha indossato praticamente senza sosta per tutta la giornata, sedendosi con un tonfo sul divano.
Vista l’ora e le emozioni turbolente della serata, non ha alcuna intenzione di essere cerimoniosa.
Dal canto suo, Rocco preferisce posizionare una sedia in modo da fronteggiarla direttamente.
Si accomoda a propria volta, sospirando; trascorsi diversi attimi - che sembrano eterni -, si decide ad alzare lo sguardo sulla compagna. Da quando sono fidanzati, non ricorda di essere stato costretto ad affrontare una conversazione tanto ardua; soprattutto, Irene non gli era parsa tanto indecifrabile neppure quando si trattò di stabilire se fosse effettivamente interessata a stare con lui oppure no.
Cosa che, in realtà, potrebbe benissimo osservare anche lei: l’espressione di lui è impenetrabile.
Eppure, si dice che il segreto per preservare una relazione sia proprio la comunicazione.
Loro due hanno decisamente un modo tutto loro di portarla avanti, fatto di sottintesi e perspicacia, al pari di confronti schietti - condotti da ambo le parti secondo le proprie modalità, ormai perfettamente sincronizzate - che lasciano ben poco spazio a fraintendimenti di qualunque sorta.
Ma in questo caso, non sanno veramente come o chi far esordire, né quanto esporsi.
 
Pensa Irene a rompere gli indugi, nella modalità che le è propria: attaccando preventivamente.
“Era già tutto sotto controllo, comunque.” asserisce, fissando il pavimento con innaturale insistenza.
Spiazzato, ma determinato a non darlo a vedere, Rocco ribatte, atono: “A mia nun mi pari proprio.”
“Lo sapevo!” coglie la palla al balzo lei, con tono di sfida: “Il tuo, era un atteggiamento passivo - aggressivo; eppure, sai perfettamente che non lo tollero! Se hai qualcosa da dire, dilla chiaramente.”
Lui risponde alla provocazione con espressione neutra: “Tu e quel genio dell’amica tua ve ne siete uscite da sole, di notte, co’ gli attrezzi da cucina, e pensavate che bastava così? Veramente, ah? Pensa tu che scimunito: potevo portare la pasta, che mia zia in ‘sto periodo si lamenta sempre ca non c’ha tempo di stenderla; così, le facevamo un favore e ci tenevamo pure impegnati, che dici?”
Il fatto che non si sia preso gioco di lei servendosi del suo tipico tono volto a scimmiottarla, la destabilizza molto più del previsto. Tuttavia, è determinata a spuntarla anche in questo caso.
“La scimunita sono io,” - Rocco si sforza di non concentrarsi su quanto lo inorgoglisca che Irene, senza avere l’intento di fargli il verso, utilizzi spontaneamente termini propri del suo vocabolario -
“che avrei voluto rivendicare di avere un uomo evoluto al mio fianco, anzi, il più evoluto di tutti! In barba all’irreprensibile Sant’Erasmo, nonché a Marcello il paladino dell’autodeterminazione!”
Proprio come al Giambellino, ora l’interlocutore deve sforzarsi di non ridere, ripensando a quando scherzarono come due autentici scimuniti, per l’appunto, durante le prove della recita di Carnevale: “Ero tanto fiera del mio sposo lombardo, e invece cosa scopro? Che è meridionale!” si lamentò quella fodde della sua bella Cecca; che personalmente, non avrebbe cambiato con nessun’altra.
Ma che le tocchi restare, anzi, diventare sua moglie, è ancora tutto da dimostrare, secondo lei.
“Semplicemente, non mi va di discutere davanti a tutti; e poi, erano già abbastanza agitati loro.” puntualizza invece, con tono assertivo, determinato a ‘disvelare’ pian piano le proprie peculiarità.
Irene non può certo dargli torto: uno dei pochissimi tratti che li accomuna è proprio la riservatezza.
 
“Beh, ora siamo solo io e te, quindi possiamo giocare a carte scoperte.” lo provoca nuovamente.
“Bene, accuminciamu ‘sta partita.” risponde a tono, deciso e cocciuto, com’è abituata a vederlo.
“Ma tu ti pensi che stare con un altro cristiano significa ca fai comunque quello che ti pare a tia?”
Sogghignando beffarda, replica: “Perché, avrei dovuto chiederti il permesso?”, pentendosene immediatamente dopo: com’era prevedibile, e a ragione, Rocco la sta fissando indignato e deluso.
“Ovviamente, ho pensato a come avresti potuto reagire;” - tenta di recuperare - “semplicemente, bisognava agire in fretta e non potevo permettermi di soffermarmici troppo: tutto qui, davvero.”
“Nca ciertu, picchì per essere considerati bisogna prenotarsi nell’agenda!” sbotta lui, spazientito.
“Ma chi vi credevate di essere, gli agenti segreti? Poi si stupisce se sto arraggiato, ovviamente.”
“Veramente non l’ho ancora capito, in effetti.” Sta volutamente tirando la corda, per spingerlo ad aprirsi prima che sia costretta a farlo lei; onestamente, non saprebbe neppure da dove cominciare.
La fissa incredulo, combattuto tra la tentazione di urlarle contro tutta l’esasperazione che lo sta pervadendo, tornare a rinchiudersi nel mutismo punitivo, o andarsene sbattendosi la porta alle spalle, opta per una via di mezzo: “Prima di tutto, era una cosa pericolosissima, da pazze furiose; secondo di tutto, mi stai costringendo a stare alzato fino a quest’ora, e sto crollando dal sonno;” - stavolta, tocca a Irene sforzarsi di non ridere - “come se non bastasse, ti conosco troppo bene.”
A questo punto, si ferma per sondare la reazione della fidanzata: sembra più che altro impreparata.
 
È sempre stato lui, il più sentimentale dei due; ragion per cui, si prende la briga di esternare la preoccupazione che l’ha divorato vivo finché non sono rientrati, la stessa che lo pervade in misura più o meno ingente ogni qualvolta avverte il sentore che la valvola della follia di Irene sia in azione.
“Tu faresti qualunque cosa per le persone a cui tieni; perciò, se ci fosse stato bisogno di difendere Stefania e Roberta, non ti saresti fatta problemi a reagire pure con decisione, e questo mi spaventa.”
Curiosamente, la prima riflessione che la colpisce è come, ancora una volta, in determinate circostanze cariche di tensione, la proprietà di linguaggio di Rocco sembri addirittura migliorare.
Lui stesso ne resta meravigliato, così come dall’averlo indirettamente reso un uomo che analizza consapevolmente i propri sentimenti, riuscendo poi ad esternarli con maggior cognizione di causa.
Anni prima, l’essere restio nell’esporsi era semplicemente dovuto all’assenza di chiarezza.
Immediatamente dopo, lei si lascia pervadere dalla tenerezza per l’esternazione di quella forma di protezione di cui a livello teorico è pienamente consapevole, ma raramente a livello pratico.
“Picchì tu sotto sotto sei pure paurosa, quindi ti butti nelle cose così non ci devi pensare più. Peccato che poi tocca a noialtri poveri cristiani, tirarti fuori dai casini che ti organizzi tu da sola.”
Quest’aggiunta categorica, ammorbidita da un mezzo sorriso che, a questo punto, gli è scappato, induce la destinataria di tale considerazione a riflettere su come il seguente principio si riconfermi:
Rocco dimostra ogni giorno di più di avere la rara capacità di rappresentarla esattamente per come si vede allo specchio, trovando anche parole che lei non saprebbe usare per descriversi appieno.
 
“E sotto sotto, pure perché stasera sembravi proprio tranquilla e sicura, sono pure un po’ invidioso; sì, picchì io non sono come te, Irè: se penso che una cosa non si deve fare, non la faccio e basta.”
Lei scuote la testa, constatando per l’ennesima volta l’incredibile prontezza di lui nello sminuirsi:
“E allora, perché ti sei accodato agli altri? Perché mi hai coperta, quando dormivo in magazzino?”
Colpito nel vivo, Rocco balbetta e tergiversa: “Che c’entra, non c’erano alternative…”
“Veramente no, soprattutto nel secondo caso.” ribatte Irene, convintamente. “Tu parti restio, ma una volta che ti convinci, proteggi e aiuti chi ne ha bisogno senza riserve, e di certo non per ‘dovere’.”
Non si era mai considerato un ragazzo temerario; figurarsi un sovvertitore dell’ordine precostituito qualora una causa lo convincesse particolarmente. In realtà, aveva imparato ad agire secondo la propria coscienza, e non quella guidata dai precetti inculcatigli, senza neppure rendersene conto.
“Mentre io, come hai detto tu, mi do la spinta perché so che, se mi fermassi a pensare, rinuncerei.”
Questa puntualizzazione inaspettata lo spinge automaticamente a rassicurarla a propria volta: “Irè, ma chi non c’ha paura di niente è incosciente, non coraggioso. Però, l’importante è fare comunque la cosa che ti sembra giusta, e tu lo fai. È per questo che ci sto io, no? Così ci completiamo.”
Irene lo fissa, stupita: non aveva mai usato quel termine in riferimento a loro due, prima d’ora. *12
 
A fronte del sorriso caldo che si dipinge sul volto di lei, Rocco si sente autorizzato a raggiungerla sul divano, invitandola a sedersi sulle proprie ginocchia e circondandole la vita con le braccia.
Lei si accoccola contro di lui, scegliendo con cura la posizione a lei più congeniale e aprendo la coperta in modo da coprire entrambi. E mentre si dà da fare per creare una situazione confortevole, le viene spontaneo esternare una riflessione che la tormenta ormai da giorni, così, a bruciapelo.
“Comunque, sono diventata più generosa di quanto pensassi.” Mantiene lo sguardo basso.
“Che intendi?” le domanda Rocco, già pregustando la replica fantasiosa che potrebbe ricevere.
“Non credere che sia tanto ingenua; conosco la volubilità dei nobili.” declama, per tutta risposta.
Quasi gli scappa da ridere: Irene sa essere tanto loquace quando le conviene, quanto criptica nei casi in cui non ha voglia di aprirsi, ma al contempo spera che l’altra persona riesca a cogliere i segnali. Cosa che Rocco, puntualmente, fa. Ma siccome non ha ancora sviluppato il potere di leggerle nel pensiero, procede per ipotesi: “Pensi ca Marco cambierà ancora idea, nonostante tuttu stu macello?”
Lei scuote la testa. “No, non intendevo questo, anche perché penso non sappia neppure lui che fare; e in ogni caso, non è come gli altri.” Facendo questa riflessione, sorride: Stefania è stata fortunata.
“Mi riferivo al fratello: quello di Marco di Sant’Erasmo è già un nome, nell’ambito giornalistico; suppongo non ci metterebbe granché a farsi valere in un’altra redazione, qualora volesse continuare. Così, Tancredi potrebbe pentirsi e richiamarlo addirittura nel giornale di famiglia… Cioè a Torino.” spiega infine, calcando inequivocabilmente le ultime parole e accompagnandole con un sospiro.
Insospettito, ma già sulla buona strada per arrivare a connettere i punti mancanti, il fidanzato azzarda: “E quindi? Sarebbe una bella cosa per lui, per la loro famiglia e pure per Stefania, no?”
“Come no; riallacciare i rapporti con un fratello che si mostra disponibile solo a convenienza.”
Rocco la fissa: conosce bene tanto la schietta intelligenza della fidanzata, quanto il fascino che il mondo sbrilluccicante fatto di occasioni sociali e privilegi cui appartiene Marco esercita su di lei.
 
Così come conosce il delicato discrimine tra lo stuzzicarla affinché ammetta apertamente qualcosa che le risulta scomodo, e l’approfittare della loro confidenza rischiando di metterla in difficoltà.
Ragion per cui, si assume la responsabilità di evidenziare in prima persona l’elefante nella stanza: “E tu c’hai paura che magari si trasferisce di nuovo a Torino, e Stefania lo segue… è giusto?”
Irene solleva lo sguardo e accenna un sorriso dolceamaro nella sua direzione: “Ma come fai?”
Lui le sorride di rimando, rispondendole senza alcuna intenzione di scherzare: “Io ti sacciu.”
Riesce a strapparle una risatina rassegnata. “è vero.” conferma, sedendoglisi in braccio.
“Ovviamente, penso sia consapevole anche lei del fatto che la parentesi milanese di Marco non durerà in eterno, specie se ha intenzione di rimettersi in gioco proprio col giornalismo d’inchiesta… Un conto è partire per qualche giorno, un conto sarebbe risiedere stabilmente in un’altra città…”
“A quel punto, si sposerebbero, la tua amica si trasferirebbe con lui e tu ti sentiresti sola.” completa facilmente il quadro lui, con una sorprendente padronanza del modo condizionale, tempo presente.
“Che delicatezza… Comunque, sì.” conferma lei, inaspettatamente - ma forse no - divertita.
“Sai che Stefania è la mia famiglia…” Calca volutamente quella pausa, pregustando l’espressione indignata di Rocco, che non tarda a manifestarsi, per poi aggiungere: “Insieme a te, ovviamente.”
“Ah, ecco.” precisa lui, riempiendole il collo di baci a lungo proprio perché sa che non gradisce.
 
“E comunque, vi potreste sempre vedere ogni tanto: Torino non è poi così lontana; lo so io che rischiai di farmela a piedi da lì, quando venni a Milano.” sdrammatizza, ottenendo l’effetto sperato.
“Lo so che non è u stissu, però vi scrivereste, vi telefonereste e sareste giustificate a farlo per ore…”
“E le pagheresti, tu le bollette, dato che non abbiamo neppure un telefono?” lo provoca Irene.
“Sì.” conferma Rocco, inaspettatamente, con un’aria seria, compresa e solenne.
Irene lo scruta per bene, alla ricerca del benché minimo segnale di cedimento che, conoscendolo, non tarderà ad arrivare. Eppure, parrebbe che lei abbia commesso un errore di valutazione.
“Sicuro?” incalza, giusto per sicurezza, inarcando un sopracciglio.
“Sicuro.” ripete lui, rinunciando al suo motto ricorrente: Sicura, la morte.
Dev’esserle chiaramente sfuggito qualcosa… “Anche se dovesse trasferirsi in capo al mondo?”
“Anche allora, sì.” Benché la tentazione di smentirsi sia forte, solo per suscitarne le risa, non cede.
Visto e considerato che, se possibile, Rocco è persino più tirchio di suo cugino Salvo…
Due sono le cose: o è improvvisamente impazzito, o deve amarla davvero moltissimo.
E a giudicare dal bacio quasi cannibale intercorso, nonché dalla morsa rassicurante dell’abbraccio in cui si lascia cullare senza la benché minima obiezione, Irene propende decisamente per la seconda.
 
-
 
Marcello e Roberta fanno del proprio meglio per non svegliare Armando, rientrando dalla folle serata. È mezzanotte passata, ma sarà rientrato da poco lui stesso, perciò è altamente probabile che non sia ancora entrato nella fase di sonno imperturbabile.
Essendo conscia in egual misura della necessità di intavolare una discussione a tu per tu e di rinfrescarsi, Roberta opta per quest’ultima, avviandosi in bagno per prima; è doveroso precisare che non fanno i turni tanto per una questione di privacy, quanto di dimensioni ridotte dello spazio.
In questo modo, Marcello ha modo di iniziare ad elaborare in solitudine gli avvenimenti delle ultime tre ore; paradossalmente, si sente quasi sopraffatto dalla quantità di tematiche da affrontare.
Al ritorno di Roberta, ‘la placca’ metaforicamente parlando, per evitare di continuare a rimuginare e ruminare *12  al tempo stesso in modo controproducente, rendendo la propria testa un frullatore.
 
Convinta di dover esordire per prima, Roberta rompe il ghiaccio con l’espressione più prevedibile, se vogliamo, eppure mai come in questo caso intrisa di un profondo significato: “Mi dispiace.”
Tentando di stemperare l’atmosfera, e specialmente non volendo addossarle uno schiacciante senso di colpa, Marcello replica con tono scherzoso: “Mi pare il minimo, con lo spavento che ho preso.”
“Non tanto di quello, in realtà…” replica stentatamente lei, non sapendo come spiegarsi senza ingigantire le proporzioni dell’incidente diplomatico, nonché urtare la sua sensibilità più del dovuto.
“Di male in peggio!” ironizza ancora lui. “Avanti, rivelami i tuoi ragionamenti contorti, bimba.”
“Di averti messo in questa situazione. Di averti costretto ad affrontare i fantasmi del passato ancora una volta, proprio ora che speravi di averli definitivamente sconfitti, soppressi da mente e cuore.”
Marcello deglutisce: poche frasi che descrivono alla perfezione i suoi sentimenti contrastanti.
“Soprattutto, di aver pensato prima a come avresti reagito nei miei confronti, che al tuo malessere. Non è così che dovrebbe comportarsi una moglie, e credo di aver realizzato la vera portata del tuo conflitto interiore solo nel momento in cui ti sei aperto senza riserve con quel ragazzo sconosciuto.”
Sta esternando le proprie emozioni con una rapidità superiore al normale, per non autocensurarsi.
Suo marito è sempre più colpito dall’evoluzione incredibile di Roberta stessa, per amor suo.
“Di questo, mi scuso davvero. Ma per quanto riguarda il resto, non posso far altro che dispiacermi; scusarmi sarebbe indice di pentimento, e non mi pentirò mai di aver aiutato Stefania. Mi capisci?”
Marcello si concentra in particolar modo sull’ultimo concetto espresso. Due parole, quattro sillabe, nove lettere che racchiudono una rivoluzione nel modo di agire, di pensare, di approcciarsi di lei: ‘non trovo giusto, pertanto non sono disposta a cambiare la mia mentalità nelle sue intrinseche fondamenta, per facilitarti la vita; riesci ad accettarlo, siamo sulla stessa lunghezza d’onda? Altrimenti, sarà necessario trovare un compromesso, perché non è pensabile che questo ci divida.’
 
“Roberta…” esordisce lui, prendendo le sue mani tra le proprie e portandola ad alzare nuovamente lo sguardo, proprio come ha fatto mentre pronunciava: ‘Mi capisci?’, per poi riabbassarlo.
“Un marito non dovrebbe mai anteporre le proprie necessità a quelle della moglie.”
“Dipende dalle circostanze.” lo interrompe immediatamente Roberta, che non riesce a capacitarsi, dopo tre anni, di come l’assoluta abnegazione di Marcello sia talmente incorreggibile da superare qualunque impulso premuroso e altruista lei abbia mai avuto nei suoi ventitrè anni di vita. La principale differenza tra loro risiede nel fatto che lei tende a ricordarsi anche di sé stessa e, laddove questo non avvenga, se ne occupa lui; mentre il signor Barbieri non solo prende consapevolezza di avere delle necessità solo se costretto, ma si preoccupa anche di minimizzarle, puntualmente.
“Non dire stupidaggini. Certo che era importante aiutare Stefania, ne prendo atto e lo rispetto; ma non significa che tu non fossi seriamente in pericolo, ed era la mia priorità, com’è ovvio che sia.”
“Quindi, possiamo almeno ammettere che eri più preoccupato tu di me, sotto questo aspetto?”
“Naturalmente.” Roberta accenna un sorriso, speranzosa; eppure, Marcello si affretta a spegnerlo.
“Così come sei molto più in ansia tu di me, rispetto ai miei sentimenti riguardo il mio passato.”
Esasperata, sbotta: “Chissà se mai ammetterai, una buona volta, che esiste una parte del tuo spettro emotivo connessa a quest’ambito; stiamo solo parlando di più di vent’anni di vita, niente di serio.”
Come da copione, la prende in contropiede: “Sicura di non star studiando psicologia all’università?”
La tentazione di rassegnarsi è forte; ma quella di non arrendersi, se si tratta di lui, è superiore.
“Senti, sai perfettamente che non ho mai voluto forzarti a parlare dell’argomento, né trasformarti in qualcuno che non sei e mai sarai: nella fattispecie, uno che incolpa gli altri delle proprie magagne.”
Annuisce debolmente in segno di assenso; ormai, sa intuire quando non sarà più possibile svicolare.
“Sono anche la persona meno indicata per insegnarti l’alfabeto emotivo; pur essendo cresciuta in una famiglia come tante altre, direi che ci siamo resi conto con una certa inequivocabilità di quanto riesca ad essere disfunzionale nel gestire situazioni complesse, diciamo all’infuori dell’ordinario.” Ognuno di noi convive con sensi di colpa che difficilmente riuscirà a scacciare: per Roberta, uno dei principali riguarda il trattamento riservato a Marcello prima che, finalmente, si fidanzassero.
Ciò non potrebbe mai implicare un atteggiamento forzatamente corretto da parte sua, è evidente; tuttavia, sarebbe ipocrita negare una certa tendenza alla compensazione che ormai è innata.
“Ma non posso neppure accettare che passi continuamente sopra ai tuoi sentimenti, come se non contassero nulla: l’ho già fatto una volta di troppo, e non lo meritavi né allora né oggi. E lo sai.”
 
Una delle migliori qualità di Marcello risulta spesso essere anche un invalidante difetto: la facilità con cui elimina dalla sua mente i torti subiti da chi ama profondamente, quasi delegittimandoli.
Va da sé che, trascorsi due anni e mezzo da quei momenti che detesta ricordare per ovvie ragioni, qualunque risentimento provasse ai tempi nei confronti della situazione, nonché - in minima parte, da ultimo - per come Roberta la stava gestendo, non solo fu spazzato via nell’istante in cui Salvo - grazie alla soffiata di Rocco - pronunciò le fatidiche parole: ‘Federico e Roberta si sono lasciati’, ma venne anche classificato come ‘inesistente indipendentemente dalle menzioni di lei a riguardo’.
Ragion per cui non può tollerare gli occhi lucidi della moglie, il suo tormento riguardo una circostanza che, per quel che concerne la sua visione, è davvero sepolta nella preistoria.
“Il tempo passa, ma tu continui ad essere la più implacabile giudice di sé stessa.” è la risposta che inevitabilmente ne consegue, e che in un certo senso, l’interlocutrice aveva ragione di aspettarsi.
“Ripeto: la cosa peggiore che possa capitarmi è che ti accada qualcosa di male; mi immolerei senza pensarci due volte, piuttosto. Se non è egoistico questo, allora non so proprio che cosa lo sia.”
Accennando un mezzo sorriso, Roberta replica: “Insomma, è fuori discussione che tu ammetta di esserti sentito spaesato, o di qualunque cosa si tratti? Anche escludendo le mie responsabilità.”
Marcello è a dir poco incredulo. “Intelligente e testarda: una combinazione letale.” ripete per la seconda volta in una sera, scuotendo la testa in segno di sconfitta. “Penso di non aver mai conosciuto nessuno così impaziente all’idea di essere accusato di qualcosa, e specialmente di sorbirsi la lacrimevole storia del povero Marcello Barbieri, l’orfano e galeotto recidivo.”
Sospiro. Inspira. Espira. “Vedi, mi dà fastidio anche come ti sminuisci. Non riusciamo a uscirne.”
 
Lui le sorride, torna a prenderle le mani. “Magari ammettendo che, sotto sotto, in fondo in fondo, non eri poi così tranquilla all’idea che mi ritrovassi in un contesto tanto… Simbolico, ecco?”
Pienamente colta in flagrante, Roberta replica: “Mi consola che tu abbia rilevato almeno questo.”
“Ma non me la sono presa: chiunque, al tuo posto, l’avrebbe pensato.” Ecco che torna a spiazzarla.
“Vuoi che getti la spugna? In tal caso, permettimi di informarti del fatto che non accadrà mai.”
Lapidaria, piccata, cocciuta, irremovibile, determinata: è in piena modalità ‘ingegner Pellegrino’.
“Temo tu mi abbia frainteso.” Roberta inarca un sopracciglio, sempre più esausta e confusa.
“Nonostante fossi comprensibilmente restia all’idea di coinvolgermi, l’hai fatto comunque. Avresti potuto assecondare le tue amiche, o trovare un modo fantasioso per tenermi all’oscuro di tutto… Eppure, hai scelto di non farlo. È la miglior dimostrazione di fiducia che potessi darmi. Ora lo so.”
Paradossalmente, a fronte di quest’affermazione, Roberta sa prontamente fornire una replica: “Dovevo pur ripagare la tua, risalente a due anni fa, in una situazione ben più rischiosa.”
Marcello s’illumina: è sempre più evidente come entrambi stiano aggirando i reciproci limiti.
“In effetti… Felice di aver fatto sentire importante quel Matteo, anche se per un giorno soltanto.”
Roberta si copre istintivamente la bocca per attutire la risata che si sprigiona. “Ora ti riconosco!”
Il solletico, con aumento del rischio di svegliare Armando annesso, sembra la giusta punizione.
 
-
 
“Allora, questi delinquenti del Giambellino sono davvero temibili come si dice?” domanda Sofia. L’impazienza, dovuta all’insaziabile curiosità che ha catalizzato ogni suo neurone funzionante, viene alimentata dalle aspettative su quello che considera il fulcro della vicenda: il ruolo di Salvo. Realisticamente, fatica alquanto a immaginarlo coinvolto in eroici combattimenti all’ultimo sangue; eppure, la fantasia sta già galoppando incessantemente… Peccato che non possa trovare riscontro.
Ad ogni modo, non perde la speranza, dato che manca ancora qualche minuto all’apertura.
“Sono sicura che Irene li avrà smarriti a dovere!” commenta Dora con piglio acido, guadagnandosi la linguaccia della destinataria della frecciatina, mentre Roberta e Stefania alzano gli occhi al cielo.
“Veramente, è filato tutto liscio; c’erano alcuni galletti intenzionati a far scena, ma sono stati messi prontamente in riga da Marcello.” puntualizza Stefania, facendo l’occhiolino alla moglie ‘dell’eroe’.
“A onor del vero, sospetto che, se non fossimo state accompagnate da quattro ragazzi, le cose sarebbero potute andare diversamente…” osserva Roberta con un tono più che eloquente, volgendo lo sguardo in direzione di Irene, dal momento che non ha ancora ammesso la provvidenzialità della telefonata ai ragazzi. Recepita l’antifona, l’amica ribatte: “Già, vero!” con tanto di sbuffo teatrale. Verrà un giorno in cui riconoscerà a Roberta Pellegrino i suoi meriti; ma quel giorno non sarà oggi.
“Ad ogni modo, a Bologna c’è un quartiere chiamato Pilastro, la cui pessima reputazione è dovuta ai pregiudizi contro gli immigrati che ci abitano... Se ci pensate, forse è peggio.” La bolognese d’adozione proprio non riesce a capacitarsi di una simile ingiustizia, neanche dopo due anni.
“Intendi dire che, quando le voci sono fondate, almeno sai cosa aspettarti?” teorizza Stefania.
Roberta annuisce. “Ragion per cui spero davvero che questa sia l’ultima delle avventure… Almeno per un po’!” scherza, perfettamente conscia di aver scelto due spiriti liberi come migliori amiche. Gli impulsi temerari di Irene si stanno trasferendo sempre più su Stefania, e talvolta non è un bene.
 
“Bene, vi lascio. Marcello mi aspetta per aiutarlo in caffetteria… Glielo devo.” ammette, ridendo.
“No, dai, ancora un attimo, Roby: raccontateci qualcosa di più!” supplica Sofia con tono infantile.
“Se lo fai aspettare altri cinque minuti, va in fallimento? Come fa, quando non ci sei per tutta la settimana?” la provoca Irene, guadagnandosi un’occhiataccia e la minaccia di non offrirle il pranzo.
Un contrattempo che si rivela inaspettatamente provvidenziale: in quel momento, Gloria varca la soglia dello spogliatoio, infuriata come mai prima d’ora; si dirige immediatamente verso Roberta e, con tono accorato, le chiede se può abbracciarla. La ex Venere, interdetta, non fa neppure in tempo a confermare che si ritrova stretta nella morsa di una madre grata, preoccupata e arrabbiata insieme.
Attonita, nonché segretamente gelosa, Irene non può fare a meno di bisbigliare a Sofia e Stefania: ‘Conosco una sola persona in grado di diventare la cocca persino della capocommessa per cui non ha lavorato neppure mezza giornata, e quella risponderà sempre al nome di Roberta Pellegrino.’
Sofia ridacchia, cercando di soffocare l’impulso con scarsi risultati; Stefania, per tutta risposta, le rivolge un’occhiata che è un misto tra: ‘è pur sempre mia madre’ e ‘c’è posto anche per te, sciocca’.
A quel punto, Gloria scioglie dall’abbraccio una Roberta sempre più confusa e divertita che, non senza un certo imbarazzo, azzarda: “Grazie… A cosa devo questo slancio, signora Colombo?”
“Per Lei, da oggi sono Gloria.” Sofia cerca lo sguardo di Irene: forse, un po’ di ragione ce l’ha.
“è stata l’unica a dimostrare un po’ di buonsenso ieri sera, e volevo davvero ringraziarLa.”
Irene e Stefania si guardano, sbigottite: speravano di avere ancora un po’ di tempo davanti; ma il rimprovero non tarda ad arrivare: “Voi due, siete delle incoscienti!” Il tono è furente, eppure fermo.
“Hai ragione, mamma, mi dispiace; lascia che ti spieghi…” tenta Stefania, quasi impressionata.
“So già tutto! Per fortuna, ho involontariamente sentito Marco e Matilde parlare, in galleria.”
‘Questa me la paga’, è l’inevitabile pensiero sotto forma di minaccia che ne consegue.
“Ma vi rendete conto del pericolo che avete corso? Il Giambellino equivale all’Ariane di Nizza!”
‘Com’è possibile che ognuno, prontamente, faccia riferimento alla propria città?’ pensa Irene. *13
“Promettetemi che non farete mai più una cosa del genere; tantomeno, senza avvisarmi!”
“Promesso. Scusaci. Possiamo averlo anche noi un abbraccio, adesso?” La figlia la corrompe col suo miglior sguardo tenerello, ottenendo ‘la grazia’ insieme a Irene, ma non senza borbotti annessi: “Pensa tu, se una deve sfidare il carcere e la morte, per poi rischiare l’infarto in pochi secondi.”
 
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“E così, le nostre prodi guerriere sono riuscite a promuovere la cultura nei contesti disagiati, senza rimanerci secche: un vero traguardo!” commenta Vittorio, divertito come poche volte gli è capitato.
“Esattamente. E fossi in Lei, mi assicurerei di sottolineare che se la sarebbero potuta cavare benissimo anche da sole… In particolar modo, davanti alla signorina Cipriani.” conferma Matilde, altrettanto compiaciuta, nonché piacevolmente colpita - ancora una volta - da tanta intraprendenza.
Le Veneri del Paradiso delle Signore conquistano i bassifondi: già me lo vedo.” rincara Roberto.
“Sssì… Ora, sarà meglio metterci al lavoro; dobbiamo ancora trovare un’idea efficace per la copertina del prossimo numero, e mi aspetto dei progressi entro venerdì, miei illustri collaboratori. Però, grazie davvero per la ventata di novità, signora Frigerio.” concede Vittorio, sorridendole.
“Grazie a voi per la piacevole chiacchierata… Prima dell’immersione totale.” conferma Matilde.
“Raggiungo Marco di là; vediamo se riusciamo a farci venire in mente degli spunti interessanti, prima che torni ad abbandonarmi, e stavolta perché ha accettato una prestigiosa offerta di lavoro.”
“Suvvia, signor Landi, non sia melodrammatico: Le ricordo che, a suo modo, anche Lei è stato parte del piano affinché Marco non rinunciasse al giornalismo.” lo punzecchia la cognata dell’oggetto della conversazione, mentre si apprestano a lasciare l’ufficio del dottor Conti, come da richiesta.
“Sì, ma non immaginavo di dover fare a meno di lui così presto!” protesta Roberto, affranto.
“Ti ricordo che la fidanzata del disertore sarebbe ben felice di dare un contributo!” gli urla dietro Vittorio, per assicurarsi che l’osservazione non muoia insieme al tonfo della porta dietro l’amico.
 
“Questa situazione mi ricorda vagamente un giovane uomo che, per aiutare la donna che amava nonché il fratello, prima si beccò un pestaggio, poi rischiò di peggiorare la situazione vendicandosi con i responsabili… Fortuna che fu fermato proprio da lei.” osserva Vittorio, fissando nel vuoto.
“Questo perché la saggezza di noi donne è provvidenziale. E anche stavolta, è stato riconfermato.” Pubblicato il manifesto della supremazia femminile, Teresa si avvicina per abbracciarlo da dietro.
“Permettimi di dissentire: le ragazze mi sono sembrate molto più impulsive, che sagge!” commenta ironicamente suo marito, accarezzandole le mani, per poi staccarsi e risedersi alla scrivania.
“Ma hanno agito così perché tenevano a mente il quadro generale: quindi…” lo provoca la moglie.
“E va bene, mi arrendo. Comunque: per la copertina, pensavo di sfruttare l’intuizione di Matilde.”
Teresa scuote la testa: è incredibile ripensare a come un tempo, per distrarlo dagli spudorati tentativi di corteggiarla, fosse lei a riportare l’attenzione sul lavoro, per stemperare il proprio imbarazzo.
“Proporci di collaborare con quella ditta di bigiotteria è stata un’idea geniale; lo confermo.”
“Professionalmente, si rivela sempre più brillante; è sul lato umano che nutro ancora delle riserve.”
La moglie inarca un sopracciglio in onore dell’incorreggibile diffidenza di Vittorio ai danni della Frigerio. “Essere parente della Contessa non significa essere uguale a lei; e lo sai anche tu.”
“Veramente, avrei preferito non dovermelo domandare affatto.” replica lui, irremovibile.
“A Riccardo e Marco è toccata in sorte una famiglia discutibile, indubbiamente; ma sono diversi.”
“Appunto, Teresa; ho avuto modo di imparare a fidarmi del cognato di Matilde, non di lei.”
“Secondo me, è una donna intelligente e preparata; inoltre, mi pare troppo distratta dalle diatribe col marito, per lasciarsi coinvolgere dai giochetti di Adelaide di Sant’Erasmo, non credi?” ritenta lei.
“Beh, se non fosse per la zia acquisita non si troverebbe qui, tanto per cominciare.” obietta Vittorio.
Teresa sospira, quasi sconfitta. “Sei sempre il solito: è tanto difficile perdere la tua fiducia, quanto conquistarla; l’hanno imparato persino i tuoi figli, rispettivamente di cinque e tre anni.” sentenzia.
“Non è di certo colpa mia, se si ostinano ad allearsi con una cugina poco affidabile.” rincara lui.
“E questo senza considerare il fatto che il cugino maggiore, ovvero il più imprevedibile di tutti, è anche il più assente.” puntualizza la zia, riferendosi simpaticamente a Serena e Pietro.
“E siccome l’assenza si sente parecchio, volevo ringraziarti ancora una volta perché sei così vicina a Beatrice.” Vittorio si alza e cinge Teresa per la vita, mentre lei circonda il suo collo con le braccia.
“Sai che per me è un piacere. È una risorsa preziosa per il Paradiso, ed è un’amica presente e leale.”
“A tal proposito: prendi esempio da lei, più che dalle Veneri presenti e passate, che so che adori.”
“E tu frequenta meno Marcello!” sentenzia la moglie, avviandosi a salutare le suddette commesse.
‘L’importante è non dover fare a meno del TUO appoggio a 360 gradi…’ riflette lui, sorridendo.
 
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Note:
*1 Mi riferisco alla fanfiction in capitoli ‘Be a lady and a freak’ di IRoccoPerSempre / @irocco.canon , in cui Roberta pronuncia questa battuta, riferendosi però alla matrigna di Irene.
*2 Mi sono avvalsa del prestito linguistico in quanto narratrice onnisciente, perfettamente conscia del fatto che nessuno dei personaggi -eccezion fatta per Flora- conosca questo termine, nel 1963.
*3 Citazione dal film: ‘Totò, Peppino e la Malafemmina’.
*4 Mi riferisco alla fanfiction in capitoli ‘Be a lady and a freak’ di IRoccoPerSempre / @irocco.canon , secondo la quale Roberta ha perso la verginità con Marcello, ignorando il costrutto sociale del preservarla fino al matrimonio, e l’unica ad esserne a conoscenza è proprio Irene.
*5 Fatico spesso ad esprimere concetti romantici senza risultare cheesy; nel dubbio, ho riproposto la battuta di una serie tv Netflix recentemente vista e che ho apprezzato moltissimo: ‘From Scratch’.
*6 Devo a una mia amica l’inconsapevole ispirazione riguardo questo concetto.
*7 Ho preso ispirazione dalla fanfiction in capitoli ‘Be a lady and a freak’ di IRoccoPerSempre / @irocco.canon , che esprime egregiamente il concetto di ‘stare costantemente in bilico su un filo sottile che separa l’assolutamente arricchente dall’assolutamente tossico. ’
*8 Citare esplicitamente ‘Testarda io’ di Iva Zanicchi sarebbe stato comunque calzante, ma forse sarebbe risultato un po’ forzato.
*9 ‘Piccola e fragile’ è del 1974, ma trovo che descriva alla perfezione l’essenza dei SanColombo.
*10 Se avete gradito questa inaspettata replica di Marco, il merito è di @vsproductionedit che mi ha suggerito di inventarmi una battuta spiazzante, invece delle solite melense per simili circostanze.
*11 “Lui conobbe lei e sé stesso, perché in verità non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e sé stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.” – Il barone rampante, Italo Calvino
*12 Contrariamente rispetto all’accezione che siamo abituati a conferire al termine rimuginare, in realtà significa prefigurare scenari futuri, generalmente in una chiave pessimista; ruminare, invece, significa focalizzarsi sui propri stati d’animo / vivisezionare avvenimenti immutabili poiché passati.
*13 Mi sono divertita a cercare riferimenti alle città di provenienza dei vari personaggi, o in cui vivono/hanno vissuto; devo la citazione dell’Ariane a @ilariaseditz / IlaSco .
   
 
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