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Autore: DDaniele    23/12/2022    0 recensioni
[Hades]
Dopo essere risalito nel mondo della superficie, Zagreus affronta la morte che lo reclama nell'Aldilà. Thanatos, incarnazione della Morte stessa, lo veglia negli ultimi istanti di vita.
Warning: Major Character Death
La storia partecipa alla challenge Advent Calendar indetta dal gruppo Facebook "Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - Gruppo nuovo". Il racconto sviluppa il prompt/parola chiave numero 169, "Numero di serie".
Genere: Fantasy, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   La gola riarsa, mi arrampicai lungo la ripida salita che conduceva all’uscita dell’Ade. Varcai la soglia, una massiccia apertura di forma rettangolare scavata nella roccia e affrescata con disegni e scritte in inchiostro rosso i quali intimavano i mortali di tenersi alla larga, e una dolce brezza marina mi accarezzò il viso. Espirai l’aria viziata che avevo respirato negli Inferi e inspirai a pieni polmoni quella, salubre e fresca, che si librava sulla superficie. In parte rinfrancato, mi incamminai per il sentiero che, grazie alla forza dell’abitudine, avevo imparato a conoscere. Salii quindi su per un pendio coperto di un’erba lussureggiante e, giunto a un dirupo che digradava sul mare, osservai il sole che si levava all’orizzonte sorridendo come se stessi salutando un vecchio amico. Presi una viuzza in terra battuta alla mia destra e raggiunsi infine un rustico cottage circondato da campi arati punteggiati da frutti e primizie.

   «Zagreus, anche stavolta sei riuscito a tornare. Come sono contenta di vederti.»

   La mamma, la dea Persefone, mi accolse distogliendo la sua attenzione da una tavola imbandita sulla quale stava sistemando piatti ricolmi di cibo e boccali pieni sino all’orlo di bevande.

   «Spero di non essermi fatto attendere.»

   «Certo che no, arrivi anzi con un ottimo tempismo. Ormai sono diventata brava a calcolare quanto tempo impieghi ad attraversare l’Ade, per cui ho pensato di prepararti un’abbondante colazione usando i prodotti del mio orto. Vedrai, ti piacerà.»

   Mentre pronunciava queste parole la mamma mi venne incontro e mi cinse in un caloroso abbraccio. Rimase stretta a me solamente pochi istanti (sapeva bene che il tempo a nostra disposizione era limitato) ma l’impressione che mi lasciò fu lo stesso profonda. Dunque mi prese la spada, insanguinata a seguito degli innumerevoli scontri che avevo sostenuto per giungere fino alla sua casa, e prendendomi per mano mi guidò al posto d’onore alla testa della tavola imbandita.

   «Sei molto affamato?» mi chiese con una genuinità rara tra le divinità del monte Olimpo.

  «Da morire» le risposi scoccandole un ampio sorriso. Lei ebbe un leggero sussulto, come scandalizzata dal mio macabro senso dell’umorismo, essendo io il figlio di Ade, re degli Inferi, e legato indissolubilmente alla sua corte di defunti. Trattenne a stento la necessità di riprendermi per aver detto una facezia di cattivo gusto, ma comunque sbuffò ilare con un cipiglio giovanile, quasi fanciullesco.

   Dopo aver riempito il piatto di ogni bontà immaginabile e avermi porto un calice colmo di cristallina acqua di fonte, la mamma si sedette alla tavola sul lato opposto a me. Conversai degli ultimi avvenimenti occorsi nell’Aldilà e, per tutto il tempo in cui parlai, lei non si servì né mangiò, ma piuttosto mi osservò con gli occhi ridenti, probabilmente intenta a imprimersi nella mente ogni dettaglio della mia persona.

   Gustando i suoi manicaretti venni colto nuovamente da un’arsura misteriosa, che non si placava malgrado vuotassi diversi bicchieri di acqua e altre bibite.

   «Potrei avere dell’altro da bere, per cortesia?»

   «Certamente» disse mamma alzandosi in fretta da tavola «prenderò anche un pasticcio di spinaci che ho in cottura. È un’autentica delizia» annunciò avviandosi verso la casa.

   Sparita che fu dietro un angolo dell’edificio, mi alzai e ripresi la spada che mamma aveva sistemato contro una gamba del tavolo. L’operazione, apparentemente semplice, mi costò in realtà uno sforzo immane, al punto che camminai poggiandomi alla spada come se fosse stata un bastone. Sebbene avessi cercato di nasconderlo a mamma, il mio legame con gli Inferi si stava manifestando di nuovo e il mio corpo stava morendo per poi ritornare, tramite lo Stige, nella mia casa natale, la corte di Ade. Mamma sapeva della mia maledizione, ma ciò nonostante volevo evitare di causarle dolore costringendola ad assistere alla mia dipartita, così mi allontanai dal cottage e mi addentrai all’interno di un bosco che cominciava sul limitare dei campi. I filari di alberi, speravo, mi avrebbero nascosto alla vista della mamma.

   Dopo circa trecento metri raggiunsi il centro di una radura. Un male atroce si faceva strada dentro di me come scavando dall’interno delle mie stesse viscere. Il fiato mi si mozzò e la gola mi si restrinse, assetata. Mi lasciai cadere a terra supino, il volto rivolto al sole nascosto dalle chiome degli alberi. Il tempo di sentire il respiro regolarizzarsi quando un’ombra si parò davanti a me.

   «Ben ritrovato, Zagreus» disse Thanatos, incarnazione della Morte e mio compagno.

   «Ehilà» risposi con un cipiglio allegro, nella flebile speranza di fargli credere di sentirmi meglio di quanto sembrasse. Ma, ovviamente, Thanatos non credé alla mia finzione. Sedette accanto al mio capo e lo sistemò sulle sue ginocchia, accogliendomi come il cuscino accoglie la testa del morente.

   «Prendi questa erba, allevierà il dolore» disse Thanatos parlando nel suo consueto tono asciutto. Da una tasca della tunica grigia estrasse un quadratino di erba sottilmente pressata e me lo mise in bocca. Lo inghiottii deglutendo. Come aveva promesso Thanatos, il medicinale fece presto effetto arrestando, almeno per il momento, la rapida avanzata del malessere indefinibile che mi invadeva. Inoltre, placò la mia sete.

   «Sei misericordioso, signor Morte. Non ti facevo capace di gesti così compassionevoli. Credevo che, essendo io condannato a rinascere e morire innumerevoli volte, tu tenessi un apposito registro nel quale riporti i miei decessi con un numero di serie.»

   «Non c’è nessun numero di serie per te.»

   «Mi lusinghi» ribattei ridacchiando. Thanatos non si poteva definire un uomo spensierato, ma in circostanze più piacevoli riuscivo a strappargli un sorriso, a volte perfino una risata che, lesto, celava portandosi una mano davanti alla bocca. Stavolta invece mi fissò impassibile, il viso cereo come una maschera mortuaria.

   «Zag, capisco perché vuoi nascondere a tua madre la sofferenza che provi: lei ti conosce poco e non vuoi lasciarle ricordi infelici. Non hai però bisogno di usare certi riguardi con me.»

   Restai stupefatto dalla sua affermazione. Sollevai la mano verso il suo viso e lo accarezzai.

   «Basta convenevoli dunque. Ci rivediamo a casa, va bene?» dissi smettendo di dissimulare. Il dolore, inarrestabile, era ripreso e reclamava la mia vita. Sarei rientrato presto negli Inferi.

   «Ti veglierò, come sempre» mi rassicurò Thanatos, quindi mi socchiuse le palpebre con gesto lieve.

   
 
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