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Autore: Nao Yoshikawa    01/01/2023    4 recensioni
«Capisco. Ryuken, perché mi hai sposata?» domandò all’improvviso, le lacrime sulle guance. Allora Ryuken capì che Kanae piangeva per colpa sua, per qualcosa che non aveva fatto.
«Perché mi fai una domanda del genere proprio adesso?» domandò.
A sua moglie non aveva mai fatto mancare niente, no? Si era sempre comportato bene. Era perfino andato contro sua madre per sposarla.
«Perché ho bisogno di una risposta. Ho sempre avuto il timore che, in fondo, il tuo amore per Masaki non se ne sia mai andato, non del tutto. Ma ho fatto finta di niente perché era facile. Solo che oggi lei è arrivata e io ho visto come la guardavi. Lei brilla e ha illuminato anche te» disse addolorata.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurosaki Isshin, Kurosaki Masaki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L’amor che move il sole e l’altre stelle
 
 
A Masaki Kurosaki i giorni di pioggia non dispiacevano. Trovava qualcosa di affascinante, di dolce e un po’ malinconico, in quel cielo grigio, nell’aria gelida, nelle gocce fredde sulla pelle. Isshin le aveva chiesto sei sicura che non vuoi che venga con te?
Masaki aveva scosso la testa con energia.
«Io e Ryu-chan non ci vediamo da tanto, ma non devi preoccuparti. E poi le cose sono molto cambiate.»
Le cose erano cambiate e in modo tanto evidente. Lei e Isshin erano sposati, adesso. Avevano una casa loro, una vita loro, tanti momenti da condividere insieme. Ma tutto ciò non era stato niente in confronto alla felicità che avevano provato quando, qualche settimana prima, Masaki aveva scoperto di essere incinta. Era stata una gravidanza voluta, cercata. Sapere di aspettare un bambino l’aveva resa in un certo modo più forte, più determinata. Isshin di questo se n’era reso conto: Masaki, che da sempre brillava di una luce propria, adesso appariva addirittura tanto luminosa da accecare. L’amava e amava già il bambino che tra qualche mese sarebbe arrivato. Si era ripromesso di proteggerli entrambi. Allo stesso tempo, però, sentiva il bisogno di rispettare la sua privacy e di non intromettersi nel suo strano e drammatico rapporto con Ryuke Ishida. Il Quincy che di sicuro doveva detestarlo, e per più di un motivo.
L’unica cosa che Isshin le aveva chiesto era stata sei sicura che lui vorrà vederti?
Masaki non ne aveva idea, ma doveva quantomeno provare. Forse non era più quella di una volta, non lo sarebbe più stata. Ma Ryuken non le avrebbe chiuso la porta in faccia, soprattutto non ora che era indipendente, che viveva in una casa propria, con la propria vita. Non che avesse la certezza. Ma ci avrebbe comunque provato, così si sarebbe tolta quel peso di dosso.
Il giorno in cui era andata a casa sua, per l’appunto, pioveva. Non una tempesta, bensì una pioggerellina quasi invisibile.
 
Quando Kanae Katagiri si ritrovò Masaki Kurosaki davanti gli occhi, rimase per un attimo senza parole. Masaki, invece, le parole le aveva trovate immediatamente, dimostrandosi sin da subito calorosa e affettuosa.
«Non ci vediamo da tanto tempo! Come stai? Scusa se sono venuta senza avvisare. Per caso Ryuken è in casa?» domandò, con le guance accaldate. In mano teneva un ombrello, aveva le labbra rosse in modo delizioso e gli occhi che brillavano. L’irraggiungibile Masaki, la donna che in realtà Ryuken avrebbe dovuto sposare. Se solo le cose fossero andate in modo diverso.
«Signorina Masaki» sussurrò Kanae timidamente, dopo averla osservata. Masaki sgranò gli occhi e poi si mise a ridere.
«Non c’ bisogno di essere così formali. Sono Masaki e basta. E poi, cosa vedono i miei occhi! Una fede al tuo dito. Dovrai raccontarmi tutto» disse entusiasta. In un primo momento era rimasta sorpresa quando aveva saputo che Ryuken avesse sposato Kanae Katagiri. Ma era stata contenta subito dopo.
Kanae arrossì, sfiorò la fede al suo dito. Da dove iniziare a raccontare la storia di quel matrimonio così strano? Da dove iniziare a raccontare la sua ammirazione mista a invidia verso quella ragazza un tempo così amata da Ryuken, che ora era tornata chissà perché, bella e felice come non mai?
«Io, veramente…» mormorò Kanae. Poi però non continuò la frase. Aveva sentito i passi di Ryuken e li aveva sentiti anche Masaki. La quale ora sorrideva.
«Ciao, Ryu-chan. Perdona la mia intrusione improvvisa. Ma sono davvero felice di vederti» gli disse, sincera. Ryuken era sempre lo stesso. Sempre serio. Ma i suoi occhi ora tradivano una certa emozione.
«Masaki» sussurrò il suo nome, cosa che non faceva oramai da qualche anno. Perdere Masaki era stato doloroso. Ma non essendo Ryuken uno che si piangeva addosso, era andato avanti con la sua vita, facendosi bastare il fatto che lei fosse felice. Adesso però lei era lì. Più luminosa di quando l’aveva vista l’ultima volta. Fremente di rivelargli qualcosa che in realtà aveva già intuito. Kanae era in mezzo a loro, tra suo marito e la sua ex promessa sposa, e mai si era sentita più fuori posto di così. Strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche e poi forzò un sorriso.
«Sarà meglio che vi lasci soli, avrete molte cose da dirvi.»
«Eh? No, aspetta. Rimani» disse Masaki. Kanae però insistette e Ryuken non fece niente per impedirle di starsene. Alla fine si ritrovarono da soli, Masaki con il suo ombrello umido in mano, Ryuken davanti a lei che la guardava. Che pensava al giusto modo di dire ciò che pensava senza lasciar trapelare le emozioni. Le domande.
Perché è dovuta andare così?
Dimmi, sei davvero felice con quello shinigami?
Ci pensi mai che questa sarebbe dovuta essere la nostra vita?
Fu Masaki la prima a rompere il silenzio.
«E così tu e Katagiri vi siete sposati. Dai, racconta. Com’è successo? Giuro che non me lo aspettavo.»
Ryuken si era aspettato quella domanda, perché era quella che gli ponevano in molti. Com’è che lui, che così tanto teneva alla purezza del sangue Quincy, aveva finito con lo sposare una Gemischt, una sangue misto?  E lui rispondeva ogni volta che l’amore non si sceglieva. Perché era la risposta più logica da dare, anche se le cose non stavano proprio così. A Masaki, però, mentire era difficile.
«Kanae è una persona con cui sto bene. Lei mi conosce, sa chi sono» si limitò a rispondere. Masaki si sorprese, ma nemmeno tanto. Non sarebbe stato da Ryuken raccontare dell’amore che provava.
«Oh, capisco. Sai, mi spiace che in questi anni ci siamo allontanati. Sarei tanto voluta venire prima, però… avevo paura. Paura che tu non volessi più parlare con me da quando quell’Hollow mi ha contaminata...» ammise Masaki, non senza timore. Era stato quell’evento a cambiare la sua vita. Ad allontanarla da Ryuken per legarla indissolubilmente a Isshin. Ryuken non si sorprese. Ma a Masaki non avrebbe mai detto no. Non ne era mai stato capace. Di dirle no o di frenarla.
«Non ti avrei voltato le spalle. Cosa ti ha convinta a venire qui?» domandò, immaginando già una risposta. Masaki sorrise, portandosi le mani sul ventre.
«Ecco, volevo che tu fossi il primo a saperlo. Sono incinta. Dovrebbe nascere a luglio. Io ne sono molto felice, quindi ci tenevo a condividerlo con te… in nome dei vecchi tempi.»
Ed ecco spiegato il luccichio speciale nei suoi occhi. Non l’aveva mai vista bella come in quel giorno di pioggia. Eppure avvertiva anche un certo fastidio. Non poteva fare a meno di pensare che un figlio avrebbero dovuto farlo insieme, lui e lei. Com’era nei piani. La vera domanda però era: nel caso in cui si fossero sposati, sarebbero stati felici? Se l’era sempre domandato. Quel sorriso, Masaki a lui lo avrebbe riservato?
Sapere che non avrebbe mai trovato delle risposte lo faceva star male. Terribilmente.
«Congratulazioni. Quel tipo lì, quell’Isshin… ti tratta bene?»
«Oh, sì. Mi tratta molto bene. Sarebbe voluto venire, ma ho pensato che fosse meglio venire da sola. Ryu-chan, tu non ce l’hai con me perché ho scelto questa vita, vero?»
Ma l’hai veramente scelta, Masaki? Se tu e lui non vi foste mai incontrati, avresti comunque scelto un’altra strada, o avresti percorso la mia stessa?
Ryuken odiava Isshin Shiba per avergli portato via Masaki, ma gli era grato perché l’aveva salvata. L’odio, come l’amore, sapeva essere così complicato.
«Non ho motivo di provare rancore. Hai scelto la tua vita e io la mia. È giusto così. Era così che doveva andare» disse, cercando di convincere sé stesso. Masaki sorrise, malinconica.
«Io spero tanto che tu sia felice.»
Agli occhi degli altri non poteva non essere felice. Si era allontanato da tutto ciò che riguardava i Quincy per cercare di vivere una vita più normale possibile, aveva una carriera davanti a sé e una moglie che lo adorava. Quindi, perché non avrebbe dovuto essere felice? Eppure quel peso era sempre lì, non se ne andava.
«E spero che lo sia anche tu» le disse, senza darle una vera risposta. Masaki non gliela diede a sua volta, ma bastava guardarla per capire che era il ritratto della felicità.
La loro conversazione fu breve ma intensa. Quando Masaki lasciò casa sua, pioveva ancora e Kanae era in cucina a preparare del tè. Si era ustionata una mano con l’acqua bollente e adesso la teneva sotto il rubinetto. Piangeva e non capiva più se fosse per il dolore fisico o per il dolore del cuore. Quando Ryuken rientrò e la vide in quelle condizioni, si preoccupò.
«Ti sei ustionata? Avresti dovuto chiamarmi.»
«Non è niente, è solo una piccola scottatura. Ero disattenta» ammise. Era stata colta dalla gelosia e dalla tristezza più profonde. Ryuken l’aveva sposata, ma non le diceva spesso ti amo. In realtà quasi mai. Di certo non aveva nulla da recriminargli, era un marito attendo, fedele e presente. Ma l’aveva mai guardata nel modo in cui aveva invece guardato Masaki? Quell’amore che un tempo aveva nutrito per lei, era mai sparito del tutto? Ed era lei, quindi, solo una sostituta o no?
«Masaki è andata via?» domandò asciugandosi la mano con delicatezza.
«È andata via.»
Era chiaro che Ryuken non intendeva renderla partecipe della loro conversazione (sebbene avesse sentito tutto). Questo perché, tutto ciò che riguardava lui e Masaki, riguardava sempre e solo loro due. Un rapporto che, anche dopo anni, risultava essere esclusivo. Lei, che era la moglie, veniva comunque tagliata fuori.
«Capisco. Ryuken, perché mi hai sposata?» domandò all’improvviso, le lacrime sulle guance. Allora Ryuken capì che Kanae piangeva per colpa sua, per qualcosa che non aveva fatto.
«Perché mi fai una domanda del genere proprio adesso?» domandò.
A sua moglie non aveva mai fatto mancare niente, no? Si era sempre comportato bene. Era perfino andato contro sua madre per sposarla.
«Perché ho bisogno di una risposta. Ho sempre avuto il timore che, in fondo, il tuo amore per Masaki non se ne sia mai andato, non del tutto. Ma ho fatto finta di niente perché era facile. Solo che oggi lei è arrivata e io ho visto come la guardavi. Lei brilla e ha illuminato anche te» disse addolorata. Era la prima volta che esprimeva ad alta voce ciò che in fondo aveva sempre pensato. Cos’era lei in confronto alla brillante, bellissima e amabile Masaki? Cos’era lei, se non una seconda scelta?
Ryuken non seppe cosa dire, lì per lì. Conosceva Kanae sin da bambino, per tanti anni erano sempre stati padrone e domestica. Poi si erano ritrovati sposati, ma Kanae aveva mantenuto quel suo atteggiamento  timido e silenzioso. Ma non ora. Ora lei piangeva e pretendeva spiegazioni.
«Mi pare ovvio, ti ho sposata perché ti amo» disse. E non stava mentendo. Non è che non amasse sua moglie. Non è che non la rispettasse. Ma amava anche Masaki, una parte di sé l’avrebbe amata sempre. Questo Kanae lo sapeva. Ed era doloroso, sapere che mai sarebbe stata l’unica e sola.
«Non quanto io amo te. E non quanto tu ami lei» gemette. Ryuken distolse lo sguardo. Non voleva continuare a parlarne.
«Questa è una sciocchezza. Io ho sposato te, no? Ci sarà un motivo.»
«Perché non avevi altra scelta. Perché Masaki era destinata a te e le cose sono andate diversamente. Io o un’altra Gemischt, che differenza avrebbe fatto? È così, Ryuken. Ti sono sempre stata fedele e ho promesso che l’avrei fatto per tutta la vita. Ma puoi dire, col cuore, di essermi a tua volta fedele?»
Kanae si era avvicinata a lui. Era una bellezza diversa da quella di Masaki. Kanae era più simile alla luna. Aveva un’anima diversa, ma ugualmente incantevole e che non meritava alcun male.
«Io…»
«Io voglio un figlio, Ryuken.»
Lo disse determinata come mai più lo sarebbe stata in vita sua. Voleva un figlio da lui, qualcosa che sarebbe stato solo loro. Un bambino che illuminasse le loro vite, la loro casa. Ryuken a tal proposito aveva dei dubbi. Dubitava che sarebbe stato un buon padre (visto soprattutto il rapporto che aveva con il suo). Dubitava che con un figlio le cose tra di loro sarebbero migliorate del tutto, che il suo amore per Masaki si sarebbe dissolto del tutto. O forse sì, e questo lo spaventava perché avrebbe significato perderla un’altra volta. Ma non voleva fare ancora male a sua moglie. Quindi le accarezzò il viso e poi la baciò.
 
«Ah, eccoti tornata. Allora, com’è andata?»
Infine Isshin aveva riposto in Masaki tutta la sua fiducia. Le si avvicinò per toglierle l’ombrello dalle mani, per asciugarla ed evitarle un raffreddore.
«È andata bene, direi. So che le cose sono un po’ strane, ma non è scritto da nessuna parte che io, lui, tu… che noi, non possiamo avere un rapporto civile, no?»
Masaki era sempre positiva. E se generalmente lo era anche Isshin, in quel caso non riuscì ad esserlo.
Non potremmo essere di quegli amici che si frequentano e condividono esperienze. Perché io l’ho visto nel modo in cui ti guarda. Ryuken ti ha così tanto amato e deve aver sofferto tanto da essere arrivato a odiarmi. Non ti sei mai accorta del modo in cui ti guardava o hai forse pensato di essertelo sempre immaginata?
Era stato tante volte sul punto di dirglielo, ma poi non lo aveva mai fatto. Quale sarebbe stata l’utilità? Avrebbe portato senso di colpa e dolore in Masaki, cosa che non voleva fare. Non in un momento così felice della loro vita. Isshin era sicuro che Masaki fosse nata per essere una madre, perché era già dolce, ma protettiva.
«Spero tanto che sia come dici tu» si limitò a dire. Masaki sorrise in modo un po’ malizioso e poi lo baciò, nel silenzio della loro casa, mentre fuori smetteva di piovere.
 
 
Avevano deciso di chiamarlo Ichigo. Masaki ne era già innamorata in modo folle. Ichigo era un bimbo adorabile, paffuto, con i capelli chiarissimi. Isshin le aveva detto sono sicuro che avrà i capelli rossi, se non addirittura arancioni. E Masaki si era arrabbiata, dicendo che era ancora troppo presto per capirlo e che a prescindere, con qualsiasi colore di capelli, Ichigo sarebbe stato bellissimo. Proprio Isshin teneva in braccio quel bambino goffamente e con un po’ di timore.
«È mio figlio. Ti rendi conto che l’ho fatto io?» domandò incredulo, fissando suo figlio, che dormiva beatamente. Masaki, ancora stanca per il parto, ma circondata da una nuova aurea che la maternità le aveva regalato, sospirò.
«Ma se ho fatto io tutto il lavoro. E dire che non mi somiglia nemmeno un po’.»
«E invece sì» disse Isshin. Perché aveva amato Ichigo da subito proprio come aveva amato lei. Un colpo di fulmine in piena regola. Adesso che la loro famiglia si era allargata, il futuro sembrava ancora più luminoso.
 
Era un freddo giorno di novembre quando Kanae Katagiri diede alla luce il suo unico figlio. Era stata la sua più grande vittoria, quella di riuscire a mettere al mondo un bambino perfettamente sano e bello, dopo una gravidanza tutt’altro che facile. Uryu era a dir poco perfetto, piccolo, con pochi capelli neri e, soprattutto, non voleva staccarsi da lei nemmeno un attimo. Kanae lo teneva in braccio, rimirandolo stupita. Quel bambino l’amava e si sentiva legato a lei a prescindere da tutto. E anche lei lo avrebbe amato per tutta la vita con la stessa intensità. Ryuken guardava sua moglie e suo figlio, sentendosi quasi un estraneo in quello che sembrava un momento solo loro. Non poteva dire di essere un marito perfetto. E sapeva anche che non sarebbe stato un padre perfetto. Anzi, non sapeva proprio da dove partire. In quei mesi ci aveva pensato spesso. Lui, che sembrava il più forte della coppia, si ritrovava sperduto. Mentre Kanae, all’apparenza fragile, non aveva paure né dubbi.
«Ryuken, non vorresti tenerlo in braccio?» domandò Kanae. Aveva appena finito di allattare Uryu, il quale ora si stava lasciando andare a gorgoglii e versetti.
«Non so come si fa» ammise. E poi aveva la sensazione che a suo figlio non sarebbe piaciuto. Uryu adorava sua madre.
«Su, è facile» lo incoraggiò dolcemente. Ryuken decise di arrendersi, dopotutto prima o poi avrebbe dovuto farlo. Prese in braccio Uryu, sorprendendosi di quanto fosse leggero e morbido. Il bimbo fece delle smorfie, ma non pianse. Anzi, aprì di poco gli occhi, come per guardarlo, anche se in realtà non poteva ancora vedere niente. Quel bambino lo avevano fatto loro due, insieme. Era a dir poco straordinario quello che due persone potevano fare se si univano. Kanae sorrise stanca nel vederli così.
«Ti amo» sussurrò a suo marito. Era sempre lei a dirglielo per prima. Oramai si era rassegnata all’idea che Ryuken l’amasse, ma non di quegli amori convenzionali, spassionati e che ti portano a fare follie. Era quell’amore del tipo insieme stiamo bene, costruiamo qualcosa. Le sarebbe mai bastato? Non lo sapeva, ma quando faceva troppo male si ricordava che doveva esserci un motivo importante se Ryuken aveva scelto lei.
«Sì, anche io» rispose Ryuken.
Dopotutto quella era la vita che aveva paventato per sé stesso. Cambiava solo la persona con cui aveva immaginato tutto ciò.
 
 
Quando Masaki e Ryuken si incontrarono di nuovo, era passato qualche mese dalla nascita dei rispettivi figli. Fu per caso, mentre passeggiavano in quella fredda giornata invernale. Masaki se ne stava stretta a Isshin, spingeva il passeggino, ma il bambino preferiva di gran lunga stare in braccio. A sette mesi era già vispo e curioso e Isshin se lo portava in braccio tutto fiero, scattando foto a destra e a sinistra.  Quando Ryuken la vide comparire davanti a sé, dall’altro lato, ebbe la stessa reazione che aveva sempre: una grande sorpresa. Masaki era cambiata ancora, portava i capelli più lunghi e sembrava cresciuta, più adulta. Kanae, accanto a lui, si irrigidì. Ogni volta che Masaki compariva, si sentiva minacciata e piccola. Anche ora che portava un anello al dito, anche ora che aveva avuto un figlio da Ryuken, c’era qualcosa che la faceva sentire minacciata.
«Ryu-chan! Katagiri! Ciaoo! Oh, è vostro figlio? Posso vederlo?» Masaki si avvicinò, chinandosi sul passeggino. Trovò quel neonato delizioso, imbronciato come spesso lo era Ichigo, e trovò che somigliasse a Ryuken, ma che avesse i colori di Katagiri.
«Com’è carinooo. Come si chiama?»
«Uryu» disse subito Kanae. Guardò Masaki, guardò Isshin e guardò il loro bambino. Vide che Isshin guardava Masaki come lei avrebbe voluto essere guardata da Ryuken. Si vedeva lontano un miglio che il loro amore fosse di quelli appassionati e luminosi, ciò a cui lei segretamente ambiva senza poterlo mai ottenere. Anche Ryuken si era accorto di ciò: fissava Isshin senza dire una parola, quasi a fingere che non esistesse e stesse fissando un punto vuoto. Poi guardò il bambino che stava in braccio a Isshin. Ichigo si mise a ridere e protese le manine nella sua direzione. Somigliava a suo padre, ma aveva il sorriso di sua madre.
«Oh, Ryu-chan. Tu gli piaci. Guarda, Ichigo. C’è un bimbo qui. I nostri figli potrebbero crescere insieme, non sarebbe bello?» domandò Masaki. Lei si immaginava già una vita dove loro quattro potevano essere amici, una vita in cui Uryu e Ichigo sarebbero cresciuti insieme e divenuti migliori amici o qualsiasi altra cosa avessero voluto. Ma si rendeva anche conto di quanto fosse utopico. Kanae fece un sorriso di circostanza. Non sapeva se sarebbe riuscita a vivere lunghi giorni all’ombra di Masaki Kurosaki. La sua luce era già presente così, anche a distanza.
«Sì, sarebbe bello» disse Ryuken. Non era da lui essere sentimentale, ma si sentì allo stesso tempo diffidente e attratto da Ichigo. Perché era il figlio di quell’uomo, quello shinigami, ma era anche il figlio di Masaki e quindi era difficile non volergli bene. Si chiese come sarebbe stato un figlio tra lui e Masaki. A chi sarebbe somigliato? Ma in Ichigo e Uryu c’era la prova che non era Masaki la donna per lui. Che poteva solo essere Isshin l’uomo per lei. E quando prese tale consapevolezza, sentì di odiarlo meno e si sentì un po’ più in pace con sé stesso. Si scambiarono diversi convenevoli, solo lui e Masaki. Poi si separarono, con la promessa di rivedersi presto, anche se poi non sarebbe mai successo. Kanae appariva un po’ turbata. Ryuken la prese per mano e la guardò negli occhi.
«Andiamo a casa, si sta facendo tardi.»
Voleva stare con sua moglie e suo figlio. Lo voleva davvero. Dare il meglio che riusciva a dare. Questo Kanae lo capì e sorrise, rasserenata. Come al solito, a pervadere il suo animo era una sensazione dolceamara. Che le faceva venire voglia di ridere e piangere allo stesso tempo.
 
Il diciassette giugno di qualche anno dopo, come se il sole non potesse esistere senza la luna, Masaki e Kanae morirono. Era stato un vero peccato che non avessero trovato il modo di essere amiche, di far crescere i loro figli insieme. In circostanze diverse sarebbero andate molto d’accordo.
Isshin Kurosaki aveva adesso tre figli da crescere, un dolore straziante nel cuore ma la consapevolezza di aver vissuto quell’amore con Masaki a trecentosessanta gradi.  Ryuken Ishida invece aveva un figlio da crescere e la consapevolezza che avrebbe potuto fare molto di più, straziato dalla perdita della moglie e di colei che un tempo aveva tanto amato. Un giorno, dopo che erano passate settimane dalla morte di Masaki, Isshin andò a trovarla approfittando del fatto che i suoi figli fossero a scuola. Preferiva soffrire in silenzio e di nascosto e non pesare ulteriormente su Ichigo, Yuzu e Karin. A quell’ora non doveva esserci nessuno, per questo fu molto sorpreso di trovare invece Ryuken, vestito da lavoro con il suo camice bianco. Si fermò con le mani infilate nelle tasche, chiedendosi cosa fosse più giusto fare. Fu Ryuken ad accorgersi di non essere da solo. Aveva portato dei fiori sulla tomba di sua moglie e non aveva potuto evitare di passare anche da quella di Masaki.
«Me ne stavo andando» disse soltanto. Isshin fece spallucce.
«Non devi per forza andare. Mi… mi spiace per quello che è successo a… entrambi» disse con un certo imbarazzo. Ryuken dovette rendersi conto per la prima volta di quanto fossero simili. E strinse i pugni, addolorato.
«È stato bello?» domandò.
«Cosa?»
«Vivere la tua vita con lei.»
Isshin non ci pensò due volte prima di rispondere.
«Lo è stato. E rifarei tutto da capo. Anche se mi rendo conto che mi vedi come quello che ha rovinato tutto.»
Ryuken sorrise, con amarezza.
«Ti prego, con te o senza di te tra i piedi, io e Masaki non saremmo stati destinati l’uno all’altro. Aveva bisogno di qualcuno che brillasse tanto quanto lei.»
Ryuken abbassò lo sguardo e lo rialzò subito dopo. Capì che tutto sommato Ryuken doveva averlo almeno in parte perdonato.
«Tua moglie… non la conoscevo, ma mi sembrava una brava donna. Ci teneva molto a te.»
«Mi ha amato più di quanto meritassi» ammise per la prima volta. Isshin annuì e lo guardò negli occhi.
«Masaki era come il sole. Perdonava tutto, illuminava tutto.»
Ryuken annuì.
«Kanae era come la luna. Illuminava tutto con discrezione anche nelle notti più buie.»
Ryuken aveva avuto per tanti anni dentro di sé il dilemma di amare due persone in contemporanea, anche se in modo diverso. Isshin lo capì e non s’azzardò a giudicarlo. Capì anche che di sicuro non sarebbero stati amici solo perché uniti dallo stesso tragico destino. Ma magari un giorno, chissà, si sarebbero ritrovati per qualche altro motivo. Ryuken si ricompose e andò al lavoro, salutandolo prima con un cenno del capo. Isshin, rimasto solo guardò verso il sole. Finalmente non pioveva più. Non fuori, almeno.

Nota dell'autrice
Ho scomodato Dante per il titolo perchè mi pareva molto azzeccato. Sono felice che questa sia la prima storia che pubblico nel 2023, scriverla mi è piaciuta tanto. Io ho sempre pensato che Ryuken abbia amato davvero sua moglie, ma che sia stato anche un amore travagliato perché una parte di lui sarà sempre legata a Masaki.
Spero vi sia piaciuta,
Nao
   
 
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