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Autore: Violet Sparks    02/01/2023    5 recensioni
Akaashi ama l'inverno, ma tra raffreddori e naso colante, il suo corpo sembra non condividere lo stesso amore.
Bokuto ama l'estate, fortuna che la sua temperatura corporea - molto vicina a quella dell'inferno- gli renda sopportabile il rigido clima di dicembre.
Un allenamento rimandato e una domenica mattina da soli in palestra daranno ai due ragazzi la scusa giusta per avvicinarsi...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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BELOW ZERO
 
Alla mia amica Bea,
che con la sua anima bella
rende il mondo
un po' più dolce
 
Akaashi amava l’inverno, era la sua stagione preferita.
Adorava l’aria frizzantina che gli accarezzava le guance, lo rasserenava la sensazione pungente della lana a contatto con la pelle, l’odore buono della cioccolata calda in una tazza colorata; lo faceva sentire al sicuro osservare la neve fuori dalla finestra, mentre lui se ne stava al caldo, magari leggendo un libro o guardando un film, avvolto in una pesante felpa oversize.
Era stato così fin da piccolino: mentre i suoi compagni di classe anelavano l’arrivo dell’estate e sbuffavano di fronte al grigiore del cielo di dicembre, lui sorrideva da sotto l’orlo del suo sciarpone tirato su fin sotto al naso, in trepidante attesa di uscire dal cancello di scuola e avvertire il gentile picchiettio della pioggia contro il suo ombrello oppure giocare a saltare a piedi uniti nelle pozzanghere sull’asfalto.
 
Sfortuna che, tra influenze e mani spaccate e naso perennemente intasato, il suo corpo non sembrasse apprezzare l’inverno tanto quanto lui.
 
Don't cry, snowman, not in front of me
Who'll catch your tears if you can't catch me, darling
If you can't catch me, darling
 
Bokuto odiava l’inverno, con ogni fibra del suo essere – e, beh, non per vantarsi, ma lui si portava piuttosto alto per i suoi diciotto anni!
Detestava tornare a casa zuppo come uno straccio perché puntualmente si dimenticava l’ombrello, lo avviliva ritrovarsi ingolfato in mezzo a giubbotti, sciarponi, paraorecchie e via dicendo, avrebbe volentieri dato fuoco a tutti quegli obbrobriosi maglioni che gli facevano prudere la pelle neanche avesse le pulci e, soprattutto, lo deprimeva da morire il pensiero di doversene restare segregato in casa, invece di allenarsi all’aperto, in caso di acquazzoni.
Era stato così fin da piccolino: insieme ai suoi compagni di classe, contava i giorni che lo dividevano dal mese di agosto, coi suoi vestiti leggeri, il mare, le belle giornate, le vacanze.
 
Fortuna che, con una temperatura corporea costantemente vicina a quella di Satana all’inferno – come gli recriminava sempre Tetsuro- almeno il freddo non era un problema.  
 
Don't cry, snowman, don't leave me this way
A puddle of water can't hold me close, baby
Can't hold me close, baby
 
Akaashi si era arreso, ormai: quella non era la sua giornata!
Era giunto a tale conclusione intorno alle dieci e trenta di quella domenica mattina di dicembre, dopo che, in ordine cronologico:
  1. si era svegliato con un mal di testa fortissimo e la faccia congestionata per colpa di una brutta sinusite – e no, restarsene a letto era fuori discussione, dato che il Fukorodani aveva una partita di beneficenza;
  2. la metro verde era affollatissima in vista del Natale, per cui aveva perso ben due corse, per poi doversi mettere a correre per non arrivare in ritardo;
  3. era quasi scivolato di faccia sull’ultimo scalino ghiacciato, all’ingresso dell’istituto;
  4. una volta entrato nella palestra della scuola - per il rotto della cuffia ma, quantomeno, incolume - aveva appurato che… beh, non c’era proprio nessuno!
Sospirando, aveva rovistato convulsamente nelle tasche, fin quando non aveva realizzato che il suo cellulare era rimasto sepolto nello zaino, in modalità silenzioso, per tutto quel tempo, insieme a ben dodici chiamate perse e duecentotrentaquattro messaggi WhatsApp, tutti dei membri della squadra che esultavano perché, a quanto pareva, la partita di beneficenza era stata rimandata a data da destinarsi.
No, quella non era affatto la sua giornata!
Con un sospiro affranto, fece un giro su stesso, preparandosi psicologicamente ad affrontare il proprio viaggio di ritorno sulla metro sovraffollata di Tokyo, peccato però che non appena mosse un passo, si ritrovò a sbattere contro una specie di muro umano, caldo e duro.
“Ehilà! Akaashi! Menomale che almeno ci sei tu! Pensavo mi avessero lasciato da solo!” esclamò Bokuto, con fin troppa energia per uno che si era svegliato alle otto del mattino anche di domenica mattina.
Non c’era niente da fare: quel testone non era un essere umano, era una pila elettrica!
“Bokuto! Anche tu non hai ricevuto i messaggi, vero?” gli chiese comunque, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Dalla faccia perplessa che gli riservò il compagno di squadra, Akaashi intuì che pure lui doveva esser stato vittima di quel difetto di comunicazione, e infatti, il cellulare che cacciò dalla tasca del giubbotto era rigorosamente spento – anzi, con ogni probabilità doveva essere completamente scarico!
“Beh, non ha importanza! Dato che ormai siamo qui, ti andrebbe di farmi qualche alzata, eh Akaashi?” propose allora il giovane schiacciatore, senza perdersi d’animo, piuttosto reagendo all’increscioso contrattempo con una semplice alzata di spalle.
Akaashi roteò gli occhi al cielo, “Non esiste, Koutaro, voglio tornare a casa, non mi sento molto bene.” protestò con fermezza, dopodiché cercò di sorpassare quella specie di montagna umana. 
“Ti prego! Ormai siamo qui, abbiamo affrontato un lunghissimo viaggio! Così, almeno, non sarà stato tempo sprecato!” insistette però l’altro, cominciando a ostacolare la sua avanzata, parandoglisi davanti in ogni direzione, del tutto incurante dell’invasione dello spazio personale a discapito del povero dell’alzatore “Dai! Dai! Dai! Stiamo solo un’oretta! Poi ti offro il pranzo, eh? Che ne dici? Che ne dici?”
Akaashi sospirò affranto, fin troppo consapevole delle pochissime opzioni a sua disposizione: cedere a Bokuto Koutaro oppure sorbirsi le sue lamentale vita natural durante.
“D’accordo, ma soltanto una mezz’oretta, poi torniamo a casa!”
La risposta del compagno fu un ululato di gioia.
 
I want you to know that I'm never leaving
'Cause I'm Mrs. Snow, 'til death we'll be freezing
Yeah, you are my home, my home for all seasons
So come on, let's go
 
Se qualcuno avesse chiesto ad Akaashi, due anni prima, se gli piacesse la pallavolo, la risposta sarebbe stata composta da due parole: sì, abbastanza.
Non era mai stato un tipo sportivo. Conosceva e riconosceva i benefici della attività fisica sull’organismo e preferiva mantenersi attivo piuttosto che poltrire sul divano, tuttavia non amava sudare, non amava la fatica e non provava particolare trasporto verso nessuno degli sport più celebri, tipo calcio, basket, tennis, atletica…
Aveva cominciato pallavolo alle scuole medie più per caso che per un reale desiderio – il club di giornalismo era stato soppresso l’anno precedente per mancanza di iscrizioni- e al liceo aveva continuato praticamente per inerzia: a quanto pareva, se la cavava bene come alzatore, e poi erano abbastanza simpatiche l’atmosfera della squadra e la dinamica stessa del gioco, per cui, perché affannarsi a cercare una vocazione diversa?
Le cose erano cambiate radicalmente quando aveva conosciuto Bokuto Koutaro.
C’era qualcosa di magico nel modo in cui Bokuto giocava a pallavolo, qualcosa di speciale e di inspiegabile che rendeva ogni sua azione in campo brillante, ipnotica, incantevole.
Il fatto era che Bokuto metteva talmente tanto cuore in quello che faceva, che la risonanza dei suoi battiti finiva per svegliare anche il cuore di chi gli stava intorno; era impossibile guardarlo senza provare nulla, era come una scia travolgente, un fiume senza argini che invadeva il terreno circostante per fomentarlo, nutrirlo.
Akaashi lo aveva pensato la prima volta che lo aveva visto librarsi nell’aria, inseguendo la palla che aveva alzato per lui accanto alla rete e continuava a pensarlo ancora adesso, mentre lo osservava spiccare il volo quasi non avesse peso, per poi colpire la palla col palmo della mano destra e schiacciarla a terra, in un tonfo che riverberò per tutta la palestra vuota.
A quel punto, Bokuto atterrò di nuovo sul pavimento lucido, esibendo una espressione di trionfo – il petto ampio che si alza e abbassava ansimante, gli occhi scintillanti come due frammenti di oro zecchino.
Era in momento come quello che una vocina dentro di lui – irrazionale, sconosciuta- prendeva a sussurrare nella sua testa un pensiero davvero molto, molto stupido: quanto è bello… quanto è bello…
“Ancora una! Ancora una, Akaashi!” esclamò il ragazzo, rimettendosi in posizione.
Akaashi si ridestò dai suoi pensieri, scuotendo piano la testa, dopodiché recuperò un altro pallone dalla cesta, aggrottando la fronte, con aria sofferente.
Per quanto potesse essere esaltante allenarsi con Bokuto, si stava letteralmente congelando!
Non capiva perché, ma da quando erano arrivati non era riuscito a prendere calore, nonostante il riscaldamento, le numerose alzate effettuate e perfino la felpa e la sciarpa che non aveva trovato il coraggio di togliersi. Se non avesse ostacolato i suoi movimenti, si sarebbe rimesso addosso anche il giubino, tanto era il freddo che sentiva! Faceva fatica a muovere gli arti e, a tratti, gli veniva da tremare, da battere i denti.
Lanciò un’occhiata a Bokuto, il quale stava saltellando, bello pimpante, a bordo campo.
Come era possibile che lui fosse a proprio agio con solo quella maglietta sottile e quel pantalone indosso? Aveva addirittura la fronte imperlata di sudore e il viso paonazzo… che venisse da un altro ecosistema?
Cercando di dissimulare gli spasmi che scuotevano il suo corpo, Akaashi batté la palla sul pavimento un paio di volte, nel tentativo di allentare almeno la tensione data dal gelo a livello delle braccia, quindi “Pronto?” chiese al compagno di squadra, mettendosi in posizione.
“Certo che sì!” fu la risposta pronta di Bokuto.
Akaashi allora lanciò il pallone in aria, sopra la propria testa, come aveva fatto migliaia e migliaia di volte.
Tuttavia, nell’istante in cui provò a piegare le dita per accogliere la palla che tornava giù, un dolore lancinante lo colse a livello delle giunture, costringendolo ad arretrare, sibilando.
Aveva le ossa così intorpidite dal gelo che non riusciva neanche a muoverle!
“Akaashi! Che succede?! Ti sei fatto male?! Stai bene?!” domandò Bokuto a raffica, precipitandosi accanto a lui alla velocità della luce.
“Tranquillo, non è successo niente, è solo colpa del freddo.” gli spiegò brevemente Akaashi, mentre cercava di piegare e stendere le mani per recuperarne la mobilità. Era una operazione dannatamente difficile; i tremori avevano triplicato la propria intensità e ormai batteva i denti incontrollatamente.
“Oh, ma tu senti freddo! In effetti, i riscaldamenti sono rotti, è per questo che la partita è stata rimandata stamattina!” gli fece presente l’altro ragazzo, scendendo dalle nuvole, prima di saltare sulla difensiva di fronte alla spaventosa occhiataccia che Akaashi gli riservò: insomma, come aveva potuto omettere una informazione del genere? Non avrebbe mai accettato di allenarsi con lui, se avesse saputo che sarebbero morti di freddo in quella enorme palestra!
“Oddio, Akaashi! Scusa! Scusa!” esclamò ancora Bokuto, tutto preoccupato “Ma le tue mani fanno spavento!”
In effetti, Akaashi non poteva dargli torto, le sue mani erano diventate quasi violacee, la sua pelle appariva secca e spaccata in più punti, addirittura sulle nocche alcuni graffietti che già teneva, si erano aperti definitivamente, rivelando piccoli rivoli di sangue.
“Fa tanto male?” incalzò Bokuto, con gli occhi lucidi nemmeno fosse lui quello che stava tremando o provando dolore “Non avrei dovuto chiederti di restare con me! Non voglio che tu ti prenda un raffreddore! O peggio, che le tue mani si danneggino a causa mia!”
“Bokuto, va tutto bene, adesso torno al caldo e passa tutto.”
“Oddio! Che posso fare? Vuoi la mia felpa? Vuoi il mio giubbino?”
“No, va bene così, devo solo riprendere un po' di calore e…”
Le parole gli morirono in gola.
Bokuto aveva appena preso le sue mani in mezzo alle proprie e aveva cominciato a sfregarle e alitarci sopra in modo concitato. Il tepore immediato del fiato dell’altro che si infrangeva contro la sua pelle rotta, insieme ai suoi palmi lisci, pigiati sulle sue nocche, regalarono ad Akaashi una sensazione di sollievo liquida, setosa, come un pezzo di metallo che si liquefaceva al centro esatto del suo petto.
“Non ce n’è bisogno, Bokuto…” mormorò, senza alcuna convinzione, il sangue che all’improvviso aveva cominciato a scorrergli nelle vene un po' più velocemente di prima.
“Hai smesso di battere i denti, però! Vuol dire che sta funzionando!” rispose il ragazzo, trionfante.
Akaashi non riuscì a rispondere: di punto in bianco, il suo cervello sembrava aver subito un brusco rallentamento, tuttavia non era in grado di dire se la causa dell’evento fosse stato ancora il freddo oppure quell’inspiegabile languore che avvertiva sotto la cute.
“Stai tremando ancora, però… aspetta adesso dovresti avere più caldo!” disse Bokuto e così, senza dargli il tempo di processare ciò che stava avvenendo, gli afferrò di nuovo le mani, ma questa volta se le portò sotto la sua maglietta, a diretto contatto con i suoi addominali solidi, nudi.
Akaashi avvampò all’istante.
Tentò di ritrarsi, ma Bokuto se lo tirò ancora più vicino, circondandole con le braccia.
“No, no, stai qui! Io sono bollente! Vedrai che ti sentirai meglio in un batter d’occhio!” proruppe il testone nel suo padiglione auricolare, non rendendosi assolutamente conto di quanto imbarazzante e sconveniente fosse la propria azione.
“Bokuto, davvero, io…”
“Stai qui con me, Akaashi.”
A quel punto, Akaashi smise di combattere.
Il bollore del corpo di Bokuto era bellissimo, avvolgente, dolce. La pelle del suo stomaco sprigionava calore come un camino acceso, i suoi muscoli scattanti serpeggiavano, placidi, sotto i suoi polpastrelli, a ritmo col respiro un po' affannato del ragazzo, mentre la leggera peluria che gli attorniava l’ombelico era morbida – morbidissima- quasi gli faceva il solletico.
Quando trovò il coraggio di sollevare lo sguardo su di lui, constatò che anche l’altro lo stava guardando con un’espressione che non aveva mai avuto, allora rimasero lì, immobili, immersi l’uno negli occhi dell’altro, bloccati in mezzo a quella bizzarra elettricità che saturava il silenzio intorno a loro.
“Quanto è bello… quanto è bello…” ricominciò la vocina sconosciuta nella testa di Akaashi, tuttavia “Quanto vorrei baciarlo… quanto vorrei baciarlo…” aggiunse pure, in loop, simile al ritornello di una canzone.
Fu un attimo.
Socchiuse le palpebre solo per un momento e si ritrovò le labbra di Bokuto, asciutte e soffici, premute sulle proprie – un contatto brevissimo, caldo, il cui schiocco vibrò sonoramente tra le pareti della palestra scolastica.
Poi, all’improvviso, “Ehi! Voi due! Che diavolo state facendo? L’allenamento è stato rimandato! Non potete stare qui!” strillò il custode della scuola, inveendo nella loro direzione, impugnando la scopa con aria minacciosa.
Lui e Bokuto si allontanarono di scatto, tanto per l’imbarazzo quanto per lo spavento.
Mentre raccattavano le proprie cose in fretta e furia, non si rivolsero più la parola, evitando accuratamente qualsiasi forma di contatto, eppure non poterono fare a meno di rivolgersi uno sguardo fugace, carico di confusione e di domande, e un abbozzo di sorriso, pieno di promesse.
 
Let's go below zero and hide from the sun
I love you forever where we'll have some fun
Yes, let's hit the North Pole and live happily
Please don't cry no tears now, it's Christmas, baby
 
Fu solo quando uscì dalla palestra, nell’aria frizzante di dicembre, che Akaashi si accorse di avere il corpo caldo.
E il cuore disciolto, come neve al sole.  
 
 
NOTE AUTORE
Oddio non posso credere di esserci riuscita!
Carissima Bea, ovviamente sono in ritardo con il Natale, il Capodanno e il tuo compleanno, ma spero comunque di riuscire a strapparti un sorriso con questa totale baggianate che, quantomeno, ha visto la luce entro il 6 gennaio! ^^’
Anche perché – ho omesso questo piccolo particolare durante le nostre conversazioni- ma io sono davvero pessima come narratrice! Un audiolibro di questa OS, fatto da me, sarebbe stato per te più un supplizio che un regalo, credimi!

Ps. La canzone che accompagna la storia è Snowman di Sia!
 
Tantissimi auguri tesoro! 
Un abbraccio grandissimo!
 
Violet Sparks

 
 
 
   
 
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