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Autore: Ode To Joy    06/01/2023    1 recensioni
[DabiHawks]
[TodoBakuDeku]
La chiamavano magia delle feste e Hawks non era nessuno per giudicare l’entusiasmo che quel periodo dell’anno suscitava nella gente ma, in cuor suo, credeva fosse solo un grande evento commerciale, condito di buoni sentimenti.
L’Hero Number Two non odiava il Natale, quello no, solo che non lo toccava.

Due Natali dopo l’ultima battaglia…
Spoiler!!! [Soulmate] [Post-Mpreg] [Post-Canon]
Questa storia partecipa al Calendario dell’Avvento 2022 di Fanwriter.it
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Dabi, Hawks, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note Introduttive:

Ennesima storia nata dalle bozze di un’idea molto più ampia.

Ma, come dire, da qualche parte bisogna pur partire e Il Calendario dell’Avvento di Fanwriter.it mi ha offerto l’occasione giusta.

La storia è ambientata in un ipotetico (e assai ottimistico) post-Canon e, quindi, SPOILER, SPOILER, SPOILER fino all’arco ancora in corso. E prende in considerazione la Phoenix Theory per quel che riguarda il personaggio di Dabi. 

Per il resto, si presenterà da sola.

Buona lettura! 



 

Sometimes After The End Of The World 



 

I
Tenko

19 Agosto 

I'm out on the edge and I'm screaming my name

like a fool at the top of my lungs

sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright but it's never enough

cause my echo, echo

is the only voice coming back

my shadow, shadow

is the only friend that I have


Vi era una transizione assurda - per non dire ridicola - nella vita di Shimura Tenko: un momento era a passo dal provocare la fine del mondo, quello dopo era lì, nel reparto neonati del Toys Center, a guardare dei conigli peluche giganti, mentre Mirko - Rumi Usagiyama - era afflitta da un dubbio che scansava completamente secoli e secoli di patriarcato.

“Quale pensi sia meglio?” Chiese la sua opinione, come se lui dovesse averne una in merito. “Quello con il fiocco blu o quello con il fiocco rosa?”

“È un maschio,” rispose Tenko, secco, nascondendo le mani nelle grandi tasche della felpa nera, per combattere l’impulso di grattarsi il retro del collo. Dopo tutto quello che era successo, il suo corpo e il suo Quirk avevano smesso di farsi la guerra, ma il gesto era rimasto una sua risposta nervosa in situazioni in cui non sapeva davvero come sentirsi e cosa dire.

Da quando era uscito da Tartarus, si era reso conto che erano più di quelle che credeva.

Mirko alzò gli occhi al cielo.

“Non cominciare con la storia vecchia e barbosa dell’azzurro per i maschi e il rosa per le femmine!”

“È cultura. I figli maschi vengono visti come un dono divino, del cielo e da qui l’azzurro. Il rosa… Beh, dovrebbe star a simboleggiare il ciclo mestruale, ma in modo meno truce, se non ricordo male.”

Mirko lo guardò con un odio che non gli aveva mostrato neanche sul campo di battaglia - da quel che ricordava, almeno. 

“Dei tuoi trascorsi lo sappiamo tutti, ma che fossi anche un sostenitore del patriarcato-“

“Non sono un sostenitore del patriarcato.” 

Tenko non sapeva perché ci tenesse tanto a puntualizzarlo. Vista la sua posizione, non lo avrebbe certo scagionato, ma valeva anche il ragionamento contrario: bastava che gli scappasse detto che odiava i gattini e tutti, anche chi gli aveva dato una seconda possibilità, si sarebbero convinti che fosse definitivamente senza speranze. “Per questo bambino, il blu non è solo una questione di tradizione,” aggiunse.

Mirko arricciò il naso, pensandoci.

“In effetti…”

“Immagino non si siano fatti troppi problemi per il fiocco nascita d’appendere fuori dalla porta di casa.”

“Ah, quello è rosso e blu.”

Tenko la guardò.

“Che cosa hai detto?”

Mirko tirò fuori il cellulare a una velocità tale che al più giovane venne il dubbio che non aspettasse altro. La foto sul display mostrava una porta d’ingresso che doveva essere quella di casa Todoroki, il fiocco era rotondo e tanto voluminoso da coprire metà del nome di famiglia. Tenko la scritta non la vedeva proprio, esterrefatto dal modo in cui le balze rosse si alternavano a quelle blu scuro, creando una sorta di effetto esplosione, mentre riprendevano i colori distintivi della divisa da Hero di Endeavor - e, in parte, quella di Shouto.

“Mentre si consumava questa tragedia, devono essere morte delle persone,” disse Tenko, cupo.

“Nessun morto,” disse Mirko. “Ma quello che vedi è il terzo fiocco che hanno appeso. I primi due hanno misteriosamente preso fuoco. Il buon vecchio Endeavor ha fatto bene i suoi calcoli e, alla fine, Touya deve aver desistito.”

Todoroki Touya e desistere non stavano bene nella stessa frase, ma Tenko immaginava che avere un figlio cambiasse l’ordine delle priorità di una persona.

“Quindi…” Mirko infilò il cellulare nella tasca dei jeans e allargò le braccia, indicando i peluche giganti incastrati nello scaffale. “Rosa o blu?”

Il ragionamento di Tenko non variava da quello dell’inizio. 

“È un maschio, blu.”

Mirko sbuffò.

“Quanto sei noioso.”

Alla fine, non fu più né una questione di senso né di tradizione e Mirko scelse uno dei conigli col fiocco rosa solo per non dargli ragione. E, tanto per sottolineare il concetto, accomodò il peluche sul sedile del passeggero - gli legò anche la cintura di sicurezza - costringendo Tenko sui sedili posteriori di un’auto sportiva in cui s’incastrò per puro miracolo, tenendo le ginocchia praticamente sotto il mento.

“Io non capisco perché devo venire anche io,” si lamentò Tenko, dopo essere sopravvissuto alla prima curva a gomito.

“Perché Touya ha detto a Deku d’invitarti ed è buona educazione accettare,” rispose Mirko, come se stesse parlando con un bambino di cinque anni. “E perché se vuoi reintegrarti nel mondo, beh… Nel mondo dovrai anche starci.”

Perché Todoroki Touya non si decidesse a dimenticarsi di lui e del resto dell’Unione dei Villain era un mistero su cui Tenko s’interrogava da qualche mese. Aveva passato un anno di guerra contro il mondo a rendere chiaro che non gliene importava nulla di nessuno e che l’Unione gli serviva solo per scopi personali ed ora Tenko non trovava il modo di toglierselo dalle palle. 

Era stato il primo a uscire da Tartarus, non perché fosse stato svelto a riabilitarsi ma perché era stato abbastanza furbo ma stipulare un accordo con quelli del governo, con Hawks come intermediario. Sotto sotto, Tenko pensava che la sua condizione di figlio di papà un poco di differenza l’avesse fatta. Quando il piromane se n’era andato - con un insulto beffardo e un dito medio nella sua direzione - Tenko era stato certo che sarebbe tornato in una camicia di forza o lo avrebbero informato della sua morte.

Todoroki Touya, invece, era tornato mesi dopo, in bianco e nero come lo aveva lasciato ma con quella pennellata di turchese negli occhi più vivace che mai.

“Esci di qui, Tenko,” gli aveva detto. “Fuori c’è il sole.”

Chissà se al tempo aveva già scoperto del bambino?

Tenko sapeva solo che grazie a quella gravidanza, il suo programma di riabilitazione aveva fatto un balzo in avanti e si era ritrovato a lavorare sul campo. Ironia della sorte, a un certo punto si era trovato anche da fare da guardia del corpo proprio a quel piromane del caz-

“Da quanto tempo non vedi Touya?” Domandò Mirko, prendendo un’altra curva a gomito.

Tenko si salvò aggrappandosi alle orecchie del coniglio, che ricadevano oltre il poggiatesta del sedile. 

“Ero lì, quando… Io c’ero quell’otto agosto,” rispose.

“Oh, hai assistito alla natività!”

Non proprio assistito ma, durante la prima parte del travaglio, Tenko aveva stretto la mano di Touya abbastanza da provare pena per lui.

E, ora, quello che era stato il Villain Dabi era genitore di un’altra creatura. L’umanità era arrivata a contare otto miliardi d’individui con quel meccanismo di riproduzione, eppure la mente di Tenko continuava a incepparsi nel passaggio in cui Touya dava alla luce un bambino. Una nuova storia, un nuovo inizio.

L’ex Villain si passò una mano tra i capelli neri: erano ancora corti perché non appena aveva visto le radici ricrescere del suo colore naturale, aveva tagliato via gli ultimi segni di Shigaraki Tomura. 

Guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore, Mirko si accorse che era assorto. 

“A che cosa stai pensando?”

“Qualcuno ha strappato una pagina,” disse Tenko, sapendo che non aveva alcun senso.

La Hero inarcò le sopracciglia.

“Che cosa vuol dire?”

Che non c’era alcuna continuità tra quello che Touya e Tenko erano con quello che Dabi e Tomura erano stati, ma quello non era un ragionamento che poteva fare con lei.

“Non ci voglio andare alla festa,” si lamentò Tenko, come se cinque anni li avesse davvero.

“Oh, avanti, ci sono tutte persone che conosci!” Cercò di rallegrarlo Mirko.

“Appunto…” Borbottò il più giovane, ricambiando l’occhiata del pupazzo seduto sul sedile del passeggero.

Appoggiato a terra, il coniglio di peluche era alto quasi quanto lui - considerate le orecchie. Se sorretto, lo avrebbe eclissato completamente alla vista dei presenti. Nessuno si sarebbe accorto di lui, nessuno avrebbe tentato di avvicinarlo e trattarlo da essere umano. Tenko sarebbe stato un tutt’uno con il coniglio e il coniglio sarebbe stato un tutt’uno con lui. Aveva fatto giochi di fusione ben peggiori, poteva sopportare. Alla fine della festa, avrebbe lasciato a terra l’ingombrante dono e se ne sarebbe sgattaiolato dietro a Mirko, come se fosse la sua ombra. 

L’attenzione di tutti, in fondo, sarebbe stata per il moccioso Todoroki. Tutto a suo favore.

Tenko sarebbe andato a quella festa e sarebbe stato l’ospite invisibile, nulla poteva andare storto. 




 

“Tenko, rilassati,” disse Touya, manovrandolo affinché tenesse il neonato nel modo corretto, mentre gli occhi di almeno tre generazioni di Hero lo trafiggevano da parte a parte, manco avesse chiesto lui di finire in quella posizione. 

Il neonato non faceva nulla per migliorare la situazione. Lo fissava, esternando una sicurezza che Tenko gli invidiava sinceramente.

“Non è una bomba” aggiunse Touya, indietreggiando.

Strano, pensò Tenko, perché ho voglia di lanciarlo.

Era seduto su uno dei due divani dell’ufficio di Endeavor e, come detto da Mirko, conosceva tutti i presenti alla piccola festicciola, tranne due donne - una matura e un’altra sulla ventina - e un giovane molto alto che, per associazioni di colori ed età, pensò fossero la madre e il fratello e la sorella di Touya e Shouto.

Per la cronaca, il coniglio gigante era stato accantonato da una parte non appena aveva varcato la porta della stanza e Izuku si era offerto subito di portargli qualcosa da bere - “smettila subito di fargli da madre!” Gli aveva urlato dietro Dynamight.

Tenko non lo aveva mai visto tornare, Touya lo aveva intercettato prima, armato del suo fagottino di gioia.

“Lo vuoi tenere?”

“No.”

Ed eccoli lì, i Villain che avevano fatto tremare la società degli Hero, a fare quella scenetta ridicola in cui Touya sembrava totalmente a suo agio, mentre Tenko chiedeva solo una pala con cui scavarsi una fossa. 

Posto al centro di tutto, il bambino non sembrava subire minimamente la pressione.

Lo guardava. Punto.

E Tenko, trovandolo un’alternativa migliore al grugno minaccioso di Endeavor e Dynamight, guardò lui.

Assomigliava a Touya, senza possibilità di appello. Anche se indossava i lineamenti rotondi di tutti i neonati, Tenko riconobbe immediatamente l’espressione annoiata e giudicante sul viso paffuto. I capelli rossi sulla testolina erano il tratto distintivo dei Todoroki e anche gli occhi, seppur cerchiati di nero, sembravano virare verso il turchese, piuttosto che il dorato.

Non aveva le ali, quindi era presumibile che il quirk di fuoco avesse vinto.

Forse era per questo che era tanto caldo.

Sì, non pesava nulla, ma era caldo.

E Tenko aveva paura di muovere un muscolo, mentre lo aveva tra le braccia.

Perché era vero, ero vivo. L’ultima volta che aveva visto Touya, quel bambino stava scalpitando per venire al mondo e ora, eccolo, un essere umano completo, pronto a crearsi il suo posto nel mondo. 

Tenko sentiva di essersi perso un passaggio da qualche parte, non sapeva dove.

Sia lui che Touya avevano spinto i rispettivi corpi oltre limiti che oltrepassavano l’umana comprensione e Tenko perdeva la ragione perché l’uomo che era stato Dabi aveva partorito un bambino. Ridicolo.

Poco dopo, il moccioso iniziò a lamentarsi e il genitore non mancò di rispondere alla sua chiamata.

“Lo so, lo so, non sei molto socievole tu,” disse Touya, sedendosi sul divano a sua volta, a poco meno di un metro da Tenko.

L’aria sembrò distendersi di colpo. 

Non ci voleva un genio per capire il perché. 

Touya poteva essere stato Dabi, ma non aveva incenerito la sua famiglia per sbaglio - aveva tentato di farlo volontariamente col padre e il fratello, ma quella era un’altra storia - e il piccino non correva alcun pericolo tra le sue braccia. Nonostante la buona volontà di tutti, Tenko veniva ancora percepito come il Villain che trasformava in polvere tutto ciò che toccava. Non aveva avuto il tempo di dimostrarsi altro.

Un bicchiere di bibita finì tra le sue dita per gentile concessione di Izuku, ma Tenko continuò a studiare Touya, come se nascondesse le risposte nascoste alle domande che lo tormentavano. 

Finì solo per guadagnare altri dubbi.

Tenko cercava, cercava, ma non c’era alcuna traccia di Dabi nel modo in cui Todoroki Touya sorrideva a suo figlio.

A un certo punto, Touya distese il bambino lungo il braccio, armeggiando con la zip della felpa, fino a che non riuscì ad abbassarla. Prima che Tenko riuscisse a capire quello che stava facendo, Hawks prese posto sul divano tra di loro, schermando compagno e figlio con le grandi ali rosse. Un gesto che poteva essere casuale, ma Tenko era troppo attento ai dettagli per cascarci.

“Sapevi che i rapaci sono territoriali?” Domandò Mirko, prendendo posto nell'unico angolo del divano ancora libero. “E sono tra le poche specie monogame in natura, questo li rende un po’ possessivi,” disse l’ultima parola in un sussurro.

“Ti ho sentito,” l’avvertì Hawks, lanciandole una breve occhiata da sopra la spalla.

In tutta onestà, Tenko credeva che il Number Two fosse tra gli Hero più razionali e a sangue freddo coinvolti nel suo caso, ma era anche d’accordo nel dire che una lunga esposizione a Todoroki Touya facesse male alla salute mentale di chiunque. A Tenko era bastata mezza battuta per non sopportarlo ma, in qualche modo, si erano trascinati come uomini morti che camminano, fino alla fine del mondo.

“Lo sta allattando, non è vero?” Tenko non aveva bisogno di una risposta.

In uno scorcio tra l’ala e la testa di Hawks, Tenko poteva vedere Touya rivolgere il suo sguardo verso il basso, dove il bambino era verosimilmente attaccato al suo petto. 

Realisticamente, Tenko sapeva che non era possibile cancellare Dabi, come sapeva che lui non sarebbe mai riuscito a vivere come se Tomura non fosse mai esistito. Bloccato su quel pensiero, il giovane uomo che sarebbe dovuto diventare l’erede di All For One vedeva negli occhi turchesi di Touya, che era la persona più simile a lui in quella stanza, qualcosa che non comprendeva. 

Sì, vi era una transizione assurda - per non dire beffarda - nella vita di Shimura Tenko: un momento era un mostro pronto distruggere il mondo, quello dopo era un essere umano rotto, che vedeva quello stesso mondo riflesso negli occhi di un genitore che guarda il proprio bambino.


Hello, hello

anybody out there?

[“Echo” - Alan Walker]



 

II
Hawks

7 Dicembre


I need you to know I would never be this strong without you 

You've seen how I've grown, 

you took all my doubts, 

'cause you were home


”… E ora parliamo del mondo degli Hero. Hai sentito i nuovi rumors che hanno Hawks come protagonista?”

“Come si fa a rimanere all’oscuro? Ne parlano tutti dalla fine dell’estate, quando è stato visto passeggiare per la prima volta con quel neonato.”

“Penso che possiamo smettere di fingere di non sapere che quel quel bambino sia il fagottino di gioia dell’Hero alato!”

“E chi dice che sia solo del Number Two? Forse Hawks non ha fatto annunci ufficiali sull’inizio di una relazione o sull’imminente arrivo di un figlio, ma è evidente dagli scatti degli ultimi mesi che i Todoroki sono coinvolti nel lieto evento.”

“Oh, sei fan di quella teoria che vuole Endeavor e Hawks legati da qualcosa al di fuori del lavoro?”

Hawks lasciò andare un un sospiro che era un po’ uno sbuffo, mentre allungava la mano verso il display al centro del cofano dell’auto. Diede un colpo secco alla doppia freccia verso destra e cambiò stazione. Non ebbe molta fortuna.

”… Voglio dire, sono passati poco più di due anni da quando i due Hero in cima alla Billboard Chart sono stati al centro di uno scandalo che riguardava le loro famiglie. Sono tragedie che possono legare due persone che, di lì a poco, sono entrambe diventate eroi di guerra.”

“Sì, ma è doveroso ricordare che Endeavor ha una moglie con cui ha avuto ben quattro figli.”

“Dopo che il Villain Dabi, il primogenito, ha fatto saltare fuori tutta la verità su quella famiglia, sappiamo che il Number One e consorte non vivono insieme da più di un decennio. Tra l’altro, abitano in case diverse dalla fine del conflitto. Non possiamo escludere che si siano separati lontano dai riflettori.”

Hawks fissò i numeri bianchi sullo schermo, imbronciato. Ascoltare due giornalisti scandalistici, o quel che erano, fare congetture sullo stato attuale del matrimonio tra Endeavor e Rei era ancora peggio di sentirli spettegolare su di lui. Questa volta premette le doppie frecce due volte e quando udì le note di una canzone che conosceva, chiuse gli occhi per un istante e rilassò le spalle contro lo schienale del sedile, sollevato. All’inizio del secondo ritornello, Hawks si sporse dietro per controllare che il piccolo passeggero nell’ovetto stesse ancora dormendo: il ciuccio era scivolato dalle piccole labbra a cuore e il berretto di lana era sceso a coprirgli gli occhi. La tentazione di allungare il braccio e toccarlo fu forte - lo era sempre - ma se il principino non avesse goduto pienamente del pisolino, sarebbe stato un grosso guaio per tutti. Hawks si distrasse guardando fuori dal finestrino: la neve aveva concesso loro una pausa, ma ogni cosa era ricoperta di bianco da giorni, offrendo una cornice suggestiva anche alla modernità del centro città. Era il periodo giusto per la caccia al regalo perfetto e c’era un gran via vai di persone su quel marciapiede, tutte con una busta regalo tra le mani. 

La chiamavano magia delle feste e Hawks non era nessuno per giudicare l’entusiasmo che quel periodo dell’anno suscitava nella gente ma, in cuor suo, credeva fosse solo un grande evento commerciale, condito di buoni sentimenti. 

L’Hero Number Two non odiava il Natale, quello no, solo che non lo toccava. Ciò nonostante, era grato per tutta quella frenesia, se serviva a tenere la gente di tutto il paese lontano dai gossip. 

Hawks era sempre stato popolare. Sempre, suo malgrado. La vita - e l’addestramento - gli aveva insegnato che più basso è il profilo, maggiore è la libertà di manovra. Entrare nella Top Ten della Billboard Chart appena debuttante, a diciotto anni, lo aveva confermato. Non aveva mai avuto il privilegio dell’anonimato, ma l’astro splendente di AllMight gli aveva concesso una comoda zona d’ombra per diverso tempo - la stessa di cui Endeavor aveva sofferto per trent’anni della sua carriera.

Dalla nascita di suo figlio, però, i media stavano raggiungendo tutto un altro tipo di livello. Hawks non ricordava tutto quell’accanimento sulla sua persona nemmeno quando la storia di Takami Keigo e delle sue origini era divenuta di dominio pubblico. 

A metà agosto, quando era stato fotografato fuori dal Central Hospital in compagnia di Endeavor e lo avevano visto salire in auto con quest’ultimo, dopo che entrambi avevano combattuto una buona mezz’ora per legare un ovetto per neonati al sedile del passeggero. Quelle immagini avevano fatto il giro del paese in mezza giornata ed era stato l’inizio di un vero e proprio caso nazionale. 

”… So che quella delle Soulmates è la teoria preferita dei fan, ma non possiamo dimenticare che stiamo parlando di Hero professionisti e, nel corso dell’ultimo anno, nessuno di loro è sparito dalla scena. Non si può mandare avanti una gravidanza e restare in prima linea contemporaneamente.”

Hawks si accorse che la canzone era finita quando udì la parola Soulmate.

“Ci sono foto che ritraggono il bambino molto chiaramente e so che le somiglianze non sono prove inconfutabili, come il test del DNA, ma quei capelli rossi urlano un po’ troppo Todoroki per essere una fortunata coincidenza in una storia di adozione.”

“No, no, dubito fortemente si tratti di adozione, ma esistono infiniti modi per avere un bambino in quest’epoca: la maternità surrogata è uno di questi. Tuttavia, l’ipotesi che credo più realistica è quella che piace meno alle masse: Endeavor non è il padre di quel bambino.”

Suo malgrado, Hawks spostò lo sguardo sul display della radio e si fece attento: era la prima volta che sentiva qualcuno andare contro la tesi preferita della gente. Certo, aveva indagato sui social da sé e aveva trovato tante trame contorte che raccontavano nei dettagli le circostanze in cui suo figlio era venuto al mondo. Tuttavia, tutti quelli che escludevano Todoroki Enji dalle loro fantasie, non erano ben accolti dal web e venivano additati come haters.

Parlare in radio della possibilità che lui, Hawks, avesse avuto un bambino con qualcuno che non era il Number One era quantomeno audace.

“E sentiamo, chi sarebbe il tuo candidato? Non mi dire che escludi completamente il coinvolgimento della famiglia Todoroki!”

“No, no, non potrei mai! Da agosto, Hawks è comparso in pubblico con quel bambino in più di un’occasione ed era sempre accompagnato da un membro della famiglia Todoroki. Quando non lo è, lo si vede con i giovani Hero Dynamight e Deku, che si sono diplomati la primavera scorsa con il quartogenito di Endeavor e ora lavorano all’agenzia di quest’ultimo. Certo, sono tutti sopravvissuti alla stessa guerra ma questo basta a giustificare il modo in cui tutti si sentono responsabili per quel bambino? Non credo proprio!”

“In effetti, abbiamo scatti in cui il bambino è stato visto in braccio al giovane Shouto, mentre era insieme a Deku e Dynamight. Pensi che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al quartogenito di Endeavor?”

“No, per carità, il ragazzo ha diciotto anni ed è sempre stato presente sulla scena in questi mesi e, facendo due conti, il concepimento sarebbe dovuto avvenire a metà del suo terzo anno di liceo. È un’ipotesi troppo torbida per il modo in cui non si stanno nascondendo.”

“Ma la famiglia Todoroki conta altri due eredi. L’unica figlia, tra l’altro, dovrebbe avere l’età di Hawks.”

“È senz’altro la possibilità più ragionevole, ma io voglio osare, anche se so già che mi darai del complottista.”

“Sono tutto orecchie.”

“I due figli di mezzo della famiglia Todoroki non sono volti noti alle masse, a differenza di Endeavor e Shouto, ma c’è un quarto figlio che è tristemente divenuto famoso un paio di anni fa.

“Non ci credo… Stai parlando di Todoroki Touya?”

Hawks sentì il respiro venire meno, guardò fuori dal finestrino e poi dall’altra parte della strada. Sapeva che era solo paranoia, che la Commissione aveva tutti gli interessi per coprire loro le spalle e che nessuno li stava seguendo. Hawks era addestrato per quel genere di situazioni e se qualcosa fosse stato fuori posto in quei mesi, se ne sarebbe accorto, lo sapeva. Tuttavia, sul momento, si sporse anche sul sedile posteriore per assicurarsi che suo figlio fosse ancora lì, vicino a lui.

”Stiamo davvero prendendo in considerazione la possibilità che Todoroki Touya abbia dato alla luce quel bambino?”

“Ragioniamo insieme,” propose la seconda voce.

Hawks voleva sapere a chi apparteneva, farlo tenere sotto controllo e assicurarsi che fosse, sì, un complottista e nulla di più. 

”Che cosa sappiamo oggi di Todoroki Touya? L’ultima informazione certa che abbiamo di lui è che si è scontrato col fratello minore ed è stato sconfitto. E dopo? Si sono interrotte le comunicazioni e nessuno sa niente. La famiglia Todoroki si è ben guardata dal far trapelare informazioni negli ultimi due anni-“

“A ben vedere, vista la situazione in cui versavano.”

“Assolutamente… Bada bene, non sto accusando quella famiglia di nulla. Se vi è qualcosa di contorto sotto, è completamente legalizzato e top secret. Ma restiamo sul nostro caso: Hawks è un Hero che compare su ogni scena per interi periodi, poi scompare per settimane.”

“Anche gli Hero vanno in vacanza…”

Seguirono delle risate.

”Facciamo un recap: sappiamo che Hawks si è infiltrato in territorio nemico, in passato. È così che lui e l’allora Villain Dabi sono entrati in contatto per la prima volta. Chi può escludere che non partecipi regolarmente a missioni segrete?”

“Sembra che tu stia raccontando la trama di uno spy movie.”

“Lo sembra davvero, ma rimaniamo in tema: se Todoroki Touya è nelle mani del governo, può aver dato alla luce quel bambino lontano da occhi indiscreti. Questo spiegherebbe perché Endeavor era al Central Hospital con Hawks e come mai il giovane Shouto si è preso la responsabilità di badare al bambino, insieme ai suoi amici.”

Hawks inspirò profondamente dal naso, memorizzò il nome della radio e l’orario in cui quel programma stava andando in onda. Non poteva soprassedere su simili dichiarazioni pubbliche, avrebbe indagato.

”Ultimo ma non ultimo, questa mia teoria prende di nuovo in considerazione la pista del legame tra Soulmate-“

Il bambino scoppiò in un pianto a dirotto, sorprendendo Hawks e sovrastando le voci dei due conduttori radiofonici. L’Hero estrasse la scheda dal posto guida e il display della radio si spense in automatico. Se la infilò nella tasca dei jeans, mentre apriva la portiera e scendeva sul marciapiede. Nessuno lo riconobbe. Aveva usato tutte le piume in una missione di appena dodici ore prima ed era stato facile nascondere ciò che era rimasto delle sue ali sotto una felpa troppo grande per lui. 

L’aria di dicembre lo investì, impietosa, ma l’urgenza di consolare suo figlio impedì a Hawks di accusare alcun disagio. 

“Pulcino…” Chiamò con un sorriso, chinandosi sull’ovetto per liberare il faccino rotondo dal berretto di lana. Quegli occhi turchesi, resi ancor più vivaci dai segni neri che ne evidenziavano le linee, si fissarono sui suoi. Al bambino bastò la presenza del genitore per calmarsi: era ancora piccolo, facile d’accontentare.

“Andiamo a cercare il nonno?” 

Hawks recuperò il marsupio dal sedile sul retro, lo infilò sulle spalle e se lo allacciò in vita. Quando ebbe finito, indossò il cappotto senza chiuderlo e solo allora passò ad allentare le cinghie dell’ovetto. Il piccolo si lamentò un po’ durante le manovre di spostamento, ma non appena Hawks sollevò la zip, tenendolo al caldo contro di sé, fu ben felice di essere tra le braccia del papà.

L’Hero indossò il proprio berretto, sperando che fosse un travestimento sufficiente per non dare nell’occhio. Non era nella sua natura essere sgarbato con i fan, tutto il contrario, ma non gli avrebbe fatto alcun piacere essere accerchiato con suo figlio nel mezzo. Attraversò il marciapiede affollato a passo svelto, stando attento a non incrociare lo sguardo di nessuno. S’infilò nelle porte girevoli del Toys Center alla stessa velocità.

Endeavor era sparito lì dentro da quasi un’ora, senza dare aggiornamenti sulla sua posizione. Forse era stato riconosciuto e braccato, oppure si era perso tra le decine di corsie traboccanti giocattoli. L’ultima ipotesi era che stesse svaligiando il magazzino stesso del negozio, senza badare a spese. 

“Il nonno ha preso questa faccenda del tuo primo Natale un po’ troppo seriamente,” disse Hawks, tenendo una mano sulla schiena e l’altra sul retro della testa del bambino.

Se non fosse stato per l’insistente entusiasmo di Burnin’ e dei ragazzi, Endeavor non si sarebbe disturbato ad addobbare l’agenzia nemmeno con mezzo festone natalizio. Dall’anno precedente, forse smussato dagli eventi della guerra e addolcito dal riavere il primogenito a casa, il Number One aveva fatto portare un albero di ben cinque metri nell’atrio del grande edificio, concedendo ai suoi Sidekick di farne ciò che meglio credevano. A Hawks avevano raccontato che che tutti -  tra Hero, tirocinanti e assistenti - avevano partecipato ben volentieri alla novità. 

Per il Natale di quell’anno, dopo che Endeavor era divenuto nonno in estate, il Number One non aveva potuto non ripetere l’esperienza. 

A casa Todoroki, per quel che Hawks sapeva, l’albero era sempre stato fatto da Fuyumi, da sola. Natsuo e Shouto avevano partecipato solo fino a che gli studi di entrambi non li avevano costretti a risiedere altrove.

Il Number Two era dell’idea che vi fosse un Natale felice nella memoria dell’unica figlia di Enji e Rei, un ricordo che aveva provato a riportare in vita con tenacia, anno dopo anno. Non era mai riuscita nell’impresa di riunire la sua famiglia per le feste, ma il fagottino che Hawks stringeva così gelosamente al petto sembrava aver compiuto il miracolo. 

L’Hero sapeva che mentre lui e il neo-nonno erano in giro per negozi, metà della famiglia era impegnata ad addobbare l’albero nel salotto di casa Todoroki e l’altra metà si sarebbe unita a loro per cena. Dopo la fine della guerra, Enji e Rei si erano separati di comune accordo. Lei era andata a vivere nella casa che il Number One aveva fatto costruire appositamente per l’ex moglie e i loro figli, ma solo Fuyumi e Natsuo l’avevano seguita, mentre Shouto era tornato sotto il tetto del padre dopo il diploma. Per rispettare la libertà vigilata, Touya doveva risiedere insieme allo stesso Hero che si era offerto di fargli da garante e questo lo aveva obbligato a tornare nella casa della sua infanzia.

A questo sistema familiare, si aggiungevano tutti quei legami stretti che non avevano a che fare col sangue. Katsuki e Izuku erano tra questi. Dopo il liceo, erano divenuti ufficialmente Sidekick di Endeavor, come Shouto, e andavano e venivano dalla casa del Number One come se fosse la loro. 

Hawks si poneva nel centro preciso di queste dinamiche: non era un parente in senso stretto, era sempre pronto a chiedere un Team-Up con Endeavor e i suoi ragazzi ed era uno dei diretti responsabili della nascita della nuova generazione di Todoroki.

Nel Toys Center era caldo. Hawks si slacciò il cappotto e liberò il bambino del berretto di lana. I capelli rossi andarono in tutte le direzioni, come sempre. 

“E dove lo troviamo tuo nonno, adesso?” Si domandò l’Hero, sconfortato.

Al soffitto erano appesi fili di luce e peluche giganti, con i prezzi esposti a caratteri cubitali per invogliare a comprare. Vi erano bambini ovunque, incantati di fronte a qualche giocattolo o che correvano da una corsia all’altra, inseguiti da genitori disperati. 

Il marsupio copriva parte del suo campo visivo, così Hawks si muoveva con prudenza, stando attento che tutto quel caos non fosse troppo per il piccolo. Era impossibile sapere che cosa passasse per quella testolina, ma gli occhi turchesi fissavano ogni cosa, mentre la boccuccia disegnava una O perfetta. In mezzo al grande atrio vi era un tavolo recintato con dei pannelli di plexiglass e, sopra di esso, era stato allestito un villaggio di Natale con vari set di carillon. Il bambino sembrava volerlo divorare con lo sguardo e Hawks si fece più vicino.

Vi era un trenino che correva lungo tutto il perimetro della struttura, una grande giostra con dei cavalli e persino una slitta che volava in cerchio, sospesa a mezzo metro sopra tutto il resto. 

Hawks non era in grado di percepire l’incanto di quelle piccole cose: la vita non gli aveva mai permesso di lasciare che allungassero la loro calda carezza verso di lui.

Quando era bambino, il Natale era solo una piccola parte della stagione più fredda dell’anno, quella in cui suo padre beveva ed era irritabile più del solito. Minacciava Hawks - allora, solo il piccolo Keigo - di smetterla di tremare e di lamentarsi o lo avrebbe picchiato. Keigo non si lamentava, non lo faceva mai, ma non riusciva proprio a scaldarsi in quella baracca in cui era nato, così le prendeva.

Una volta accolto dalla Commissione, le stagioni erano divenute tutte uguali. Quando, a diciotto anni, aveva avuto la sua vita tra le mani - più o meno - era ormai troppo grande perché la magia del Natale lo potesse raggiungere.

Eppure, in quel momento, mentre suo figlio guardava con incanto tutti quei carillon, qualcosa lo toccò profondamente. Nel vedere tutta la famiglia Todoroki impegnarsi per regalare a quel bambino un primo Natale da favola, non si era azzardato a proferir parola. Si era solo detto che era divertente vedere tanta dedizione per qualcosa che suo figlio non avrebbe ricordato neanche, ma fin tanto che rendeva tutti felici…

Keiji…” Chiamò, a bassa voce. Non voleva disturbarlo, perché il modo in cui cercava di fare sua ogni cosa con lo sguardo era meraviglioso. Era solo che, a volte, si sorprendeva a guardarlo, incredulo che fosse suo e, allora, non poteva fare a meno di pronunciare il suo nome.

“Keiji…”

Gli occhioni turchesi tornarono sui suoi, come se il piccino sapesse che lo stava chiamando. Hawks si chinò, toccando il naso minuscolo con il proprio e Keiji lo ripagò con uno di quei teneri sorrisi sghembi. 

L’Hero Number Two aveva passato anni a cercare di creare un distacco strategico tra se stesso e le proprie emozioni, anche se era inciampato due o tre volte lungo la strada. Divenire padre lo aveva messo di fronte al fatto che il cuore nel suo petto non poteva sempre battere a comando. Era una realtà scomoda per un uomo nella sua posizione, ma non aveva più alcuna importanza: Keiji meritava tutto l’amore di cui era capace e se non fosse bastato, Hawks era disposto a imparare ad amare ancora di più.

“Keigo?”

Nell’’udire il suo vero nome, l’Hero sentì il sangue gelarsi nelle vene. C’era solo una persona nella sua vita che si rivolgeva a lui chiamandolo in quel modo e non poteva essere lì, né avere una voce da donna. 

Hawks sollevò lo sguardo e lei era lì, di fronte a lui, come appena uscita da un ricordo che si era sforzato di dimenticare. Il suo viso rifletteva la sua stessa sorpresa, sebbene non fosse mai stata particolarmente espressiva. Erano passati molti anni dall’ultima volta che l’aveva vista. Gli era sembrata una bambina abbandonata a se stessa negli stessi anni della sua infanzia e ora riusciva a vederle addosso i segni dell’età. Non sapeva nemmeno quale fosse con precisione.

“Mamma,” mormorò Hawks, incerto. Non era certo che volesse farsi chiamare in quel modo. Quella parola suonava estranea a lui per primo. 

Tomie si avvicinò di un paio di passi.

“Non sapevo che ora vivessi qui, a Musutafu.” 

Come avrebbe potuto saperlo? Dopo che era scappata, aveva fatto completamente perdere le sue tracce. A lui, perlomeno. La Commissione non l’aveva mai persa di vista. 

“Mi sposto parecchio,” rispose con tono incolore, vago.

“Già…” Tomie annuì. “Ora che sei anche un eroe di guerra, ho saputo.”

Dopo la caduta di All For One, Hawks aveva chiesto di lei. Gli avevano assicurato che stava bene e si era accontentato.

“Ho saputo anche di…” Sua madre lasciò la frase sospesa, mentre i suoi occhi rotondi sbirciavano suo figlio, troppo timida per guardarlo apertamente.

Anche Hawks abbassò lo sguardo su Keiji e si accorse che la loro conversazione aveva attirato l’attenzione dei suoi occhi turchesi, distraendolo dai carillon del villaggio di Natale. Non aveva una buona ragione per impedire a sua madre di conoscere suo figlio: era stata più vittima che complice di tutto quello che aveva subito. Ciò nonostante, non poté evitare di posare una mano protettiva sulla testolina di capelli rossi.

“Sì, immaginavo lo avessi saputo,” disse Hawks. “Se n’è parlato parecchio.”

Non sentendosi respinta, Tomie si avvicinò ancora un poco.

“È un maschietto, vero?”

“Sì, Keiji.”

“Keiji…” Sua madre accennò un sorriso, non era mai stata brava a farlo. “Scritto con gli stessi caratteri del tuo nome?”

“Sì,” rispose Hawks. 

Del suo e di quello del nonno.

Touya aveva voluto così.

Sua madre gli sfiorò il braccio. 

“Spero non sia stata una nascita difficile per te,” disse, mostrando una premura a cui non era abituato. Hawks dedusse che aveva preso per vera la diceria che lo voleva come amante e Soulmate di Endeavor.

“Fuochino,” avrebbe detto Touya.

“Oh, no, non sono stato io a partorirlo,” chiarì l’Hero.

“Ah…” 

Dalla faccia che fece, era chiaro che Tomie faceva fatica a immaginare il Number One nelle vesti del partoriente.

“Endeavor non è il padre,” si affrettò a dire Hawks. “Mio figlio è un Todoroki, ma non è lui il padre.” Quello era il massimo delle informazioni specifiche che era disposto a dare. “Per risponderti: è stato un parto precipitoso, ma la madre sta bene.”

“Tu e lei state insieme?”

Hawks non conosceva i piani di sua madre, ma era certo che non avesse abbastanza tempo a disposizione per ascoltare la versione completa della risposta. Tomie lo tolse dall’impaccio di metterne insieme una breve, che rimanesse entro i limiti della legalità. 

“Scusami,” disse, scuotendo la testa. “Non faccio più parte della tua vita da tanto tempo, non dovrei farti tutte queste domande.”

Era vero, ma Hawks non vide il motivo di rimarcarlo. Ora che l’aveva accanto, si prese un attimo per studiarla: era ben nutrita e il cappotto di lana che indossava era nuovo, adatto alla stagione. Ovunque si fosse rifatta una vita, non moriva di fame.

Ne fu lieto, ma questo non bastò a cancellare l’amarezza che gli chiudeva la gola. 

Il focus della conversazione tornò su Keiji.

“Quando tempo ha?”

“Quattro mesi domani.”

“Oh, è nato l’otto di agosto.” Tomie reclinò la testa per guardarlo meglio. “Deve assomigliare molto alla sua mamma.”

Hawks trattenne una risata e si concesse solo un sorriso sobrio. 

“È il suo ritratto.”

“Tranne per la firma d’autore,” avrebbe aggiunto Touya, riferendosi ai segni neri intorno agli occhi.

“Ha già le ali?”

Sì, di fuoco blu.

“Non ha ancora un quirk,” mentì Hawks. Non sospettava che sua madre fosse affiliata a qualche strana organizzazione, all’infuori della Commissione, ma aveva un certo riserbo a parlare del potere di suo figlio. Conosceva già troppe storie di bambini particolarmente dotati che avevano attirato l’attenzione delle persone più sbagliate, e Tomie si era già trovata nella posizione di divulgare informazioni sensibili.

“Ha ancora tempo,” disse lei. “Sono felice di vedere che stai bene, Keigo.”

“Non te n’è importato molto, quando ti ho cercata.”

Quando si rese conto di aver parlato, Hawks gelò e sua madre con lui.

C’era stata una seconda volta, dopo la guerra, in cui aveva chiesto di lei: all’inizio della scorsa estate, poco prima di diventare padre. C’era stato un momento, sul finire della gravidanza, in cui aveva sentito la necessità di affrontare di petto quel passato che si era gettato alle spalle, senza ripensamenti. Hawks era andato a trovare suo padre in carcere, ma quando aveva chiesto alla Commissione di organizzare un incontro con sua madre, gli era stato detto che lei non voleva vederlo.

La flebile allegria negli occhi di Tomie sparì immediatamente.

“Mi dispiace.” Hawks parlò per primo. “Non avrei dovuto-“

“Quella volta…” Lo interruppe sua madre. “Mi hai cercato perché stavi per avere lui?”

L’Hero annuì, assicurandosi che il bambino non si fosse accorto del suo repentino cambio di umore: tutti i piccoli sono sensibili, ma Keiji aveva una percezione amplificata del mondo che lo circondava, come lui. 

“Avevo paura, Keigo,” si giustificò sua madre. “Ho temuto per la mia vita, quando…”

E Hawks aveva fatto un figlio proprio con il Villain che aveva mandato quei delinquenti a tormentarla. Molto cose era accaduto d’allora, a lui, a Touya, a loro, ma forse Hawks non era proprio nella posizione di biasimarla.

“Ti hanno più fatto del male?” Indagò.

“No, sto bene dove sono.”

“Mi fa piacere.”

“E tu sei felice con la tua famiglia?”

Hawks tornò a guardarla negli occhi. La sua famiglia? Oh, certo, aveva una famiglia. Sì, lui e Touya ne avevano fatta nascere una nuova - ed era già sorprendente così - ma non erano soli: Keiji vantava una lunga lista di zii, tutti presenti nella sua vita, oltre a una coppia di nonni innamorati di lui, disposti a imparare dagli errori passati e rimediare per quanto possibile. Touya non si sarebbe espresso neanche sotto tortura, ma Hawks non avrebbe scambiato tutto quello per niente al mondo.

“Ho una famiglia,” rispose Hawks. “Non credo che questo dia per scontato la felicità, ma è sicuramente una buona base su cui costruirla, quando possibile.”

Tomie sorrise con amarezza: nessuno come lei conosceva la fonte di quell’eccessivo realismo.

“Lascia che approfitti di questo incontro fortuito,” disse. 

Solo allora Hawks si accorse che aveva una busta nella mano destra. Quando gli mostrò il contenuto, non poté credere ai suoi occhi.

“Questo è per Keiji,” disse, porgendo il peluche al figlio.

Hawks lo accettò e lo studiò: aveva le ali rosse, la giacca imbottita e anche gli occhiali da sole e le cuffie. Il pupazzo gli sorrideva. Era una riproduzione piuttosto buona del sorriso da sbruffone su cui ogni Todoroki della sua vita aveva da ridire, tranne quell’anima gentile di Shouto. 

“Il tuo papà ne aveva uno del suo eroe preferito, quando era piccolo,” disse Tomie, allungando una timida carezza tra i capelli rossi di Keiji. 

Il peluche di Endeavor di cui parlava aveva quasi vent’anni e, contro ogni aspettativa, era stato Touya a metterlo nella culla del loro bambino. Era stata la cosa più vicina a una confessione d’amore che Hawks avesse avuto da lui.

“Mi raccomando,” aggiunse Tomie, rivolgendosi a Keiji. “Da grande, divieni forte come lui.”

Era un’eco dell’infanzia di Hawks. Un buon augurio.

Sua madre non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi un’ultima volta. 

“Buon Natale,” disse, stringendogli la spalla. “E congratulazioni, Keigo.”

Rimasti soli, Keiji tornò a rivolgere gli occhioni turchesi al villaggio di Natale, mentre l’Hero fissava il peluche di se stesso, stralunato. 

“Quando la mamma lo vedrà, non vivrò abbastanza per sentire la fine degli scherni,” disse a suo figlio, deciso a non voler riflettere su quello che era appena successo. Lo avrebbe fatto dopo, in un luogo meno affollato, senza il bambino in braccio.

“Hai preso quello?” Domandò una voce familiare, più di quella di sua madre.

Hawks tornò a sorridere.

“Ti avevo dato per disperso,” disse, incontrando l’espressione perennemente accigliata di Endeavor. “E adesso capisco il perché…”

Il Number One spingeva un carrello stracolmo di buste dai mille colori, tutte piene fino all’orlo. Come se non bastasse, teneva sotto braccio un orso di peluche grande almeno la metà di lui.

Hawks sbatté le palpebre un paio di volte.

“Endeavor, tuo nipote ha quattro mesi.”

“Ne ho approfittato e ho comprato qualcosa anche per i ragazzi.”

“Al Toys Center?”

“Pensi che uno dei tuoi fan si farebbe problemi con l’età per avere uno di quelli?”

Endeavor indicò il peluche con sguardo eloquente.

Hawks scosse la testa. “Touché, ma abbiamo già il coniglio gigante di Mirko. Perché quell’orso?”

“Ne avevamo uno uguale, quando Touya e Fuyumi erano piccoli.”

“E che fine ha fatto?”

“Penso che abbia preso fuoco.”

Hawks rise, ma non con la sua solita vivacità.

Endeavor se ne accorse. 

“Quella era una fan?”

“Chi?”

“Quando ti ho visto, stavi parlando con una donna.”

Il sorriso dell’Hero più giovane vacillò per un istante. Scosse la testa.

“Nessuno d’importante,” rispose. 

C’era stato un tempo in cui, un po’ per dovere è un po’ per il suo bene, Hawks si era ritrovato nella posizione di dire a Endeavor sia bugie che mezze verità. Era stato all’inizio del loro rapporto, molto tempo prima che il Number Two divenisse di famiglia. Ora che condividevano una vera e propria quotidianità, per quanto il più giovane fosse bravo a mentire, era difficile ottenere lo stesso risultato di allora senza sforzo.

Endeavor lo guardò sospettoso, ma non insistette.

“Non è importante che tu lo dica a me,” disse, allungando un tenero buffetto sulla guancia di Keiji. “Ma parlane con Touya.”

Se tre anni prima, quando Hawks si era risvegliato con le ali ridotte in cenere e Dabi aveva smesso di essere il suo amante Villain senza passato, qualcuno gli avesse detto che Endeavor sarebbe divenuto il primo sostenitore della relazione tra lui e Touya…

“Grazie,” disse Hawks, sinceramente. 

Endeavor aggrottò la fronte.

“Per cosa?”

Il più giovane scrollò le spalle. Per continuare a provarci, anche se sai che con i tuoi figli non vincerai mai. 

Né sua madre né suo padre si erano presi lo stesso disturbo.

“Grazie a basta,” disse, senza elaborare.

Endeavor si arrese presto alla sua incapacità di comprendere. 

“Andiamo a casa.”


I don't wanna lose control

There's nothing I can do anymore

[“Control” - Zoe Wees]




 

III
Enji 

8 Dicembre 

So look me in the eyes

Tell me what you see

Perfect paradise

Tearing at the seams

I wish I could escape

I don't wanna fake it

Wish I could erase it

Make your heart believe

But I'm a bad liar, bad liar


Enji varcò la porta di casa negli stessi istanti in cui l’orizzonte cominciò a schiarirsi e per la seconda o terza volta in trent’anni di carriera sospirò un: “ma chi continua a farmelo fare?”

Tempo di arrivare al mobile dell’entrata per abbandonarvi le chiavi e si rispose da solo: i ragazzi

Shouto era troppo giovane per prendere le redini di qualsiasi cosa. Poteva essere divenuto un eroe di guerra a sedici anni, ciò nonostante - o forse proprio per questo - Enji era dell’idea che meritasse di vivere il resto della sua giovinezza nel modo più spensierato possibile. Era già stato privato di troppo e il Number One sapeva bene che non c’era nessun Villain da biasimare per questo. 

Il caso di Touya era letteralmente un affare di stato. Fin tanto che rimaneva un Hero, Enji poteva prendersi cura di lui in prima persona, mentre ritirarsi sarebbe stato come abbandonarlo una seconda volta. 

Per terzi, venivano quei due impiastri di Deku e Dynamight, cresciuti col mito e con l’esempio di AllMight, talmente audaci da sgomitare per il primo posto anche nella sua agenzia, sotto i suoi occhi. Dopo la fine della guerra, Enji poteva aver stilato una nuova lista di priorità, ma questo non significava che se ne sarebbe stato buono a guardare gli eredi del suo rivale storico ascendere. I ragazzi - in particolar modo Katsuki - dovevano fare gavetta e imparare che non ci si poteva adagiare per la vita sulla gloria conquistata in adolescenza.

Infine, c’era Hawks. 

Hawks, che viveva nel terrore del suo ritiro da quando, dopo la nascita di Keiji, aveva accennato alla possibilità di allontanarsi dai riflettori per fare il nonno. Ecco, lui della gloria proprio non ne voleva sapere e, per un merito o per un altro, continuava ad accumularla. A modesto parere di Enji, Hawks sarebbe stato un perfetto Number One. Forse più di lui, ma questo l’Hero più giovane e i suoi figli - in particolare il maggiore - non avevano bisogno di saperlo. Hawks, tuttavia, aveva fatto sue un paio di responsabilità non da poco: Touya e Keiji. Il primo era arrivato sotto forma di missione top secret e il secondo era stato diretta conseguenza della stessa. Se il proseguimento della storia di Endeavor significava garantire al Number Two più libertà per prendersi cura del suo compagno e di suo figlio - con tutte le condizioni governative del caso - Enji sarebbe rimasto in prima linea senza battere ciglio.

Stava per dirigersi verso la cucina con l’intenzione di farsi un caffè, quando un verso acuto dal piano di sopra lo convinse a virare in direzione delle scale. Non appena vide un bagliore bluastro provenire dalla camera di Touya, seppe che non era stata una nottata riposante.

“Twinkle twinkle little star-“

“Shouto, non funziona, abbi pietà.”

Enji sbirciò la scena attraverso la porta socchiusa: i suoi figli, forse troppo stanchi per fare alcunché, non aveva steso un secondo futon a terra, col risultato che ora erano entrambi per metà sul pavimento, mentre Keiji era nel mezzo, con l’unico cuscino a disposizione tutto per sé. Shouto aveva un braccio piegato sotto la testa e gli dava la schiena; Touya era sollevato sui gomiti, visibilmente stanco, occupato a muovere le dita ricoperte di fuoco blu di fronte al viso del bambino. 

Keiji dimostrava di apprezzare lo spettacolo scalciando e regalando al genitore e allo zio degli umidi sorrisini sghembi, come se non fossero appena le cinque del mattino.

“Sei fortunato a essere ignifugo,” borbottò Touya, rivolgendosi ai figlio.

“Pensi che resista al ghiaccio?” Domandò Shouto, strascicando ogni parola a causa del sonno. “Perché l’ipotermia provoca sonnolenza.”

Touya guardò il fratello come se avesse avuto un’idea geniale. Enji comprese che il livello di stanchezza li stava portando al delirio e decise d’intervenire.

“Ragazzi…” Aprì la porta, senza annunciarsi. “Brutta nottata?”

La risposta fu chiara quando nemmeno Shouto fece il tentativo di alzarsi dal pavimento.

Enji sospirò. 

“Vostra madre dorme qui nei week end per dare una mano,” ricordò a entrambi.

“Non c‘è alcun bisogno di disturbare la mamma,” ribatté Shouto, parlando con gli occhi chiusi.

“Già… Io e Shouto ce la caviamo benissimo da soli,” concordò Touya, improvvisamente risentito. 

Enji non dubitava della premura del figlio minore nei confronti di Rei, ma avrebbe voluto trovare le parole per dire al maggiore che non gli avrebbe fatto male parlare con la madre di tanto in tanto.

“Shouto, vai in camera tua,” disse.

Il diciottenne corrugò la fronte, farfugliò qualcosa che suonava come un’obiezione e scosse la testa. 

Pur sull’orlo del collasso, Touya trovò la forza di ridacchiare e buttare lì un commento beffardo: “il punto debole di Tentativo Riuscito è il sonno. Se non gli rimbocchi le coperte alle nove e mezza, cade come una pera. A saperlo prima che bastava così poco…”

Enji si diresse verso l’armadio, recuperò un secondo futon - quello di Hawks - e lo stese a terra, accanto a Shouto. 

“Rotola,” disse, dandogli un colpetto alla spalla.

Né addormentato né sveglio, il ragazzo fece due giri su se stesso, fino ad affondare il viso contro il cuscino.

Touya si sollevò sulle ginocchia, ridendo più di prima.

“Oh, quanto è ubbidiente il cucciolo con il padrone!” 

Lo schernì, simulando un tono intenerito.

Nel dormiveglia, Shouto mostrò il dito medio al fratello. La bocca di Touya formò una O scandalizzata, che non aveva nulla di serio ma ormai erano entrati tutti e due in modalità rompicoglioni - tanto per citare Dynamight - ed Enji poteva o soccombere o dividerli.

“Papà, Shouto mi fa i gestacci!” Esclamò. “Ecco cosa succede a far parte di una famiglia di piromani e finire con un dinamitardo…”

Shouto alzò la testa dal cuscino solo per fissarlo, giudicante.

“È la tua versione personale di Romeo e Giulietta?”

“No, fratellino, nella mia c’è un crossover col mito di Icaro, e Romeo prende fuoco.”

Non più al centro dell’attenzione, Keiji smise di sgambettare felice per lamentarsi a gran voce. Enji fece per prenderlo, ma Touya fu più veloce.

“Hai lo stesso compleanno del nonno e sei noioso quanto lui,” disse, alzandosi.

Enji storse la bocca in una smorfia, prendendosi il primo insulto della giornata.

Shouto si fece leva sulle mani, pronto a rendersi ancora utile, ma il fratello lo scavalcò piantandogli un piede in mezzo alla scapole.

“Dormi, Shouto,” ordinò, lanciandogli un’occhiata scocciata dalla porta. “Non mi serve un secondo bambino in carenza di sonno.”

Quando Enji fu certo che il diciottenne non si sarebbe mosso da dove era - se fosse stato lui a parlare, Shouto si sarebbe trascinato al piano di sotto per puro dispetto - seguì Touya.

Uno è sistemato, manca il secondo.

Lo trovò in cucina, mentre appoggiava sul fornello un pentolino pieno d’acqua, con Keiji disteso sul braccio sinistro. 

Enji gli si parò davanti, esponendo ad alta voce un legittimo dubbio: “non mi vedi?”

Touya lo squadrò da capo a piedi. 

“Vorrei, papà, ma è davvero tanto, tanto difficile.”

Il sarcasmo era sempre lì, pronto ad aspettare una scusa per venire fuori. In quel momento, Enji sapeva che suo figlio lo stava usando per nascondere quanto era stanco. 

“Siediti, te lo preparo io un té,” si propose l’Hero.

Vista la situazione, il caffè non era indicato.

“Non voglio bollire l’acqua per me,” disse Touya, accendendo il fornello. “Keiji ha fame e non ho più niente da dargli.” 

C’era una nota dolente nella sua voce, che Enji non poté ignorare.

“Coliche?” Domandò.

“Forse…” Touya sollevò Keiji fino a che la guancia del bambino non aderì alla sua, gli occhi turchesi fissi sull’acqua nel pentolino. “Non mi piace quando piange disperato in quel modo e io non so cosa fare.”

La cosa peggiore era che accadeva puntualmente ogni volta che Hawks doveva assentarsi per lavoro. Enji non era sicuro che, a quattro mesi, suo nipote potesse percepire la mancanza del genitore tanto d’avere una reazione nervosa ma, di fatto, non aveva alcuna esperienza con i piccoli rapaci. Allungò le braccia in direzione del figlio.

“Lascia a me e vai a dormire,” disse.

“Hai fatto il turno di notte, vai a dormire tu,” rispose Touya, passando una mano tra i capelli in disordine. “Io sto bene, ho solo la folle pretesa che un neonato mi parli per spiegarmi cosa gli fa male. Mi passerà.”

“Tranquillo, quando parlano ti dicono di stare bene anche se è evidente che non sia vero.” 

Anche Todoroki Enji aveva la sua buona dose di sarcasmo.

Capendo l’allusione, Touya lo guardò di traverso.

“Ce la faccio da solo,” disse, con un orgoglio che l’Hero conosceva bene, suo malgrado.

Enji prese un respiro profondo.

“Touya, perché dobbiamo fare questa scena tutte le volte?”

“Perché tu e mamma morite dalla voglia di rendervi utili e io non ho bisogno di nessuno.”

“E perché Shouto può aiutarti e noi no?”

“Perché c’è una gerarchia di potere da rispettare. Shouto è il mio fratellino, è nato per essere schiavizzato da me.”

Che, tradotto, significava che Touya si sentiva più a suo agio a mostrarsi vulnerabile con Shouto che con i suoi genitori. 

“Dai…” Insistette Enji, facendo un gesto con entrambe le mani - sia la sana che la protesi - per invitarlo a cedergli il nipote. “Vai a dormire almeno un paio d’ore. Ci ritroverai qui, dove ci hai lasciati.”

Dopo uno sbuffò, Touya concedette al padre di prendere in braccio suo figlio, ma si mosse solo per sedersi sul banco della cucina.

“Touya…”

“Non appena si addormenta, ti cedo il fronte,” negoziò il ventiseienne, decidendosi a guardare il genitore in faccia.

Enji decise che era un buon patto.

“Va bene, ma non ti sveglio fino a che non si sveglia anche lui,” disse, aggiustando Keiji contro la spalla. “Che vuoi per colazione?”

Touya aprì la credenza alla sua sinistra, prese un pacco già aperto di biscotti e cominciò a mangiarli. 

“Questo non è fare colazione,” obiettò Enji.

“Mi sto nutrendo, no?” 

Touya sollevò la confezione di biscotti per sottolineare il concetto.

L’Hero diede un’occhiata all’acqua nel pentolino, valutò che ci sarebbe voluto ancora qualche minuto perché bollisse e andò dritto al frigorifero. Suo figlio lo guardò, mentre tirava fuori un vassoio ancora incartato e lo faceva scivolare sul bancone, fino a toccargli la gamba.

“Che cosa sarebbe?” Domandò Touya, abbandonando i biscotti per cominciare a scartare. 

“Oggi è l’otto di dicembre,” disse Enji. “Pensavo di festeggiare, ma tuo fratello non tornerà tra noi prima del pomeriggio. Dato che celebriamo anche te, almeno tu dovresti mangiarli.”

Touya strappò la carta, rivelando i dieci pasticcini che occupavano il vassoio. Quattro mesi dal giorno in cui aveva dato alla luce la nuova generazione di Todoroki e ancora non sapeva come reagire a quelle dimostrazioni di affetto (?), gratitudine (?), felicità (?).

Disturbato dalla sua stessa inibizione, guardò suo padre per cercare di smuoversi.

Vederlo guancia a guancia con suo figlio, con gli occhi e i capelli dello stesso colore ma i lineamenti completamente diversi, lo fece ridere e basta.

“Che cosa c’è?” Domandò Enji, imbarazzato.

Se Touya non era abituato a ricevere, lui non lo era a dare e questo rendeva quel genere di scene complicate per entrambi. Il più giovane era solo più bravo a mascherare, sotto strati e strati di sarcasmo ben allenato.

“Peccato per Shouto,” dichiarò Touya, afferrando un pasticcino al cioccolato. “E peccato per Keigo. Quanto mi dispiace che Keiji sia anche suo, ma nessuno si sprechi a celebrarlo. Davvero, che dispiacere!”

“Beh…” Enji tornò accanto al fornello. “Con tutto il rispetto e la stima che ho per Hawks, l’estate scorsa non era a repentaglio la sua vita.”

Touya alzò gli occhi al cielo.

“Quanto sei drammatico, papà,” commentò Touya, addentando il suo pasticcino.

“Forse… Ma quando ti ho visto soffrire in quel modo, l’ho odiato.”

“Non dirglielo, gli spezzeresti il cuore senza possibilità di recupero e, ricordati, sei stato al suo posto per ben quattro volte.” Finito il dolce, Touya appoggiò la testa alla credenza e guardò il padre. “Anzi, secondo le masse, cinque volte.”

Si riferiva al gossip dell’anno che vedeva Endeavor e Hawks come genitori di Keiji.

Era una situazione che metteva Enji in imbarazzo e lo irritava come poche cose nella vita. Non aveva rifuggito in quel modo i giornalisti nemmeno quando Touya - al tempo, Dabi - aveva gettato luce su tutti i suoi peccati. Aveva a che fare con cronisti e fotografi da decenni, ma la storia di Keiji gli aveva fatto venire la tentazione di alzare le mani su qualcuno della stampa in più di un’occasione.

“Dovresti accettare l’invito a qualcuno di quei talk show televisivi e portare una mia foto di quando ero così,” aggiunse Touya, indicando il bambino tra le braccia del padre. “Così tutti vedrebbero che hai avuto lo stesso figlio con due madri differenti.”

Suo malgrado, Enji si concesse una mezza risata, poi si fece malinconico.

“Vorrei poter dichiarare che il bambino di cui parlano tanto è mio nipote, che il mio primogenito mi ha reso nonno,” confessò. “Lo vorrei davvero.”

Touya scrollò le spalle, evitando accuratamente di guardarlo in faccia.

“Non sarà un segreto per sempre, papà,” disse. “La Commissione può dire quello che vuole, non m’interessa.”

Era un discorso che si era già affrontato tra le mura di quella casa e a Enji si accapponava la pelle ogni volta che suo figlio lo ritirava fuori. 

“I tempi non sono ancora maturi, Touya,” gli disse. 

“No,” concordò il suo primogenito. “Ma non dimentico che la Commissione pensava di privarmi anche di queste notti in bianco.” 

“Non lo avremmo mai permesso, lo sai.”

“E io non permetterò che mio figlio cresca portandosi dentro un’oscurità più grande di lui,” disse Touya, fermo. “Succedono cose brutte ai bambini così.”

Non era una diretta accusa verso di lui, ma Enji non poteva dimenticare che se avesse tenuto gli occhi su Touya come doveva, All For One non sarebbe mai riuscito ad avvicinarsi. 

“A tuo figlio non accadrà niente, te lo posso giurare,” disse.

Sul viso di Touya comparve una smorfia amara. Scosse la testa.

“Non puoi farmi giuramenti su qualcosa su cui non hai alcun potere,” ribatté.

Già, ma tu sei già un genitore migliore di me. Enji sapeva che suo figlio non avrebbe mai accettato di farselo dire da lui, ma lo pensava davvero. Per quanto le premesse fossero complicate, Touya e Hawks erano bravi a fare squadra, mentre lui e Rei a stento erano stati una coppia.

Guardò suo nipote, ma gli occhi di Keiji erano attratti dalla fiammella del fornello. 

“Gli piace il fuoco,” disse.

Touya sollevò appena gli angoli della bocca nel primo sorriso sincero della giornata. 

“È l’unica cosa che riesce a calmarlo, anche più delle piume di Keigo. Quando tutto fallisce nel consolarlo, avvolgerlo nel fuoco lo fa sentire al sicuro. Non sono certo che mi faccia piacere.”

La prima volta che Keiji aveva aperto le sue piccole ali di fuoco blu, aveva regalato un bello spavento a tutti ma per Touya era stato peggio. 

“Gli insegneremo,” provò a rassicurarlo Enji. “Tu, io, Shouto… Volendo, abbiamo un’intera agenzia di Hero che possono contribuire con la loro esperienza.”

Touya allungò la mano, passando le dita tra le scapole del suo bambino, lì, dove c’era l’attaccatura delle ali.

“Voglio proprio vedere come farà Keigo a insegnargli a volare,” disse, un po’ diabolico. 

“Se lo spaventasse davvero giocare col fuoco, non sarebbe entrato a far parte di questa famiglia,” ribatté Enji.

Touya lo guardò come se gli fossero spuntate di colpo due teste.

“Hai fatto una battuta, papà?”

Il momento venne interrotto da Rei.

“Buongiorno,” disse, con un sorriso gentile, comparendo sulla porta della cucina. “Il piccolino si è svegliato presto?”

Enji non aveva il cuore di dirgli che Touya aveva rifiutato il suo aiuto ancora una volta, ma i segni della stanchezza sul viso di suo figlio erano troppo evidenti per essere ignorati. A Rei bastò un’occhiata in più per rendersi conto della situazione. Non si abbatté.

“Touya…” Si avvicinò al lavandino e afferrò uno dei biberon puliti lasciati sul bordo. “Siamo tutti qui per te, non c’è alcun bisogno di passare l’intera notte in piedi, da solo.”

Touya scrollò le spalle di nuovo.

“Shouto non mi ha abbandonato neanche per un minuto,” ribatté.

A differenza nostra, disse Enji, nella sua testa. Era il genere di frecciatina che suo figlio avrebbe potuto fare e, fino a un anno prima, sarebbe stata quasi scontata.

“Che cosa è successo, se posso sapere?” Domandò Rei, recuperando la confezione di latte in polvere dalla credenza. “Se stai usando questo, deve essere stata una notte molto lunga.”

Touya non dichiarava mai la resa e i suoi genitori ne erano entrambi dolorosamente consapevoli, ma se cedeva al latte in polvere era evidente che non ce la faceva più. Orgoglioso com’era, non disse una parola per confermare la tesi di sua madre e se ne rimase lì seduto, con la schiena ben dritta e il broncio in bella vista.

Rei non si abbatté neanche allora. Anzi, sorrise.

“Hawks non è rientrato questa notte, vero? Tu facevi la stessa cosa nelle notti in cui mancava tuo padre,” raccontò. “Hai dormito dal tuo primo giorno a casa, ma soffrivi la sua assenza. Penso dipendesse dal fatto che entrambi influenzavamo la temperatura nella stanza. Io non ero molto brava a scaldarti come volevi, come puoi immaginare. Con gli altri tre non è mai successo. Anche se Fuyumi…”

L’espressione di Enji si oscurò, come se si fosse appena ricordato qualcosa di terribile.

“Già… Fuyumi…”

Tutti i bambini urlano, ma la sua unica figlia femmina era nata con delle corde vocali mostruosamente capaci. Ricordava ancora quel suo assurdo timore, forse dettato dalla mancanza di sonno, di quando attaccava la sirena notturna ed Enji era certo che si sarebbero ritrovati senza finestre entro la mattina.

“E lui continuava a dormire indisturbato,” aggiunse, un poco risentito, puntando l’indice della protesi verso il figlio.

Touya indicò se stesso come a dire: che cosa vuoi da me?

Rei rise.

“Tu eri l’unico riposato in quel periodo, Touya,” disse, spegnendo il fornello e versando l’acqua calda nel biberon. “Tuo padre era indeciso se credere che tu avessi un quirk secondario all’udito o tua sorella alla voce.”

Nel dubbio, Enji fissò suo figlio: “hai un quirk all’udito?”

Touya lo guardò come se fosse l’essere più stupido della terra.

“No, papà, non ce l’ho.”

“È avanzata dell’acqua,” notò sua madre, aprendo la confezione del latte in polvere. “Vuoi del tè, Touya? Ti aiuterà a dormire meglio.”

Touya non ebbe il tempo di rispondere che si ritrovò una tazza fumante tra le mani.

“Sono cinque misurini e mezzo,” intervenne Enji, quando Rei iniziò a versare le dose di polvere nel biberon. “Appena sveglio gliene diamo sempre uno in più rispetto alla dose indicata, altrimenti resta attaccato a Touya tutta la mattina, come se morisse di fame. Metti il tappo sul biberon prima di scuoterlo, o quello che c’è dentro finisce spruzzato in ogni dove. Versane un po’ sull’interno del polso per assicurarti che sia della temperatura giusta e se è troppo caldo, mettilo sotto l’acqua del-“ Si bloccò da solo, sentendosi un completo idiota.

Il fatto che Rei lo avesse ascoltato educatamente per tutto il tempo lo fece sentire ancora più scemo. 

“Credo che tu lo sappia già,” aggiunse, imbarazzato.

Rei ebbe pietà di lui.

“Sono passati quasi vent’anni dall’ultimo biberon che ho preparato,” disse, avvitando la tettarella alla bottiglia. “Quasi vent’anni…” Ripeté e la sua espressione si tinse di malinconia.

“Il tempo necessario per ricominciare,” disse Enji, passandole il nipote.

A Keiji non dispiacque essere ceduto alla nonna, anche perché lei fu svelta a offrirgli il biberon pieno di latte. 

Touya sorseggiava il suo tè in silenzio, fissandoli come un grosso gatto seduto sul piano lavoro della cucina. Entrambi i suoi genitori guardavano suo figlio con occhi innamorati e su di lui aveva lo stesso effetto di una carezza rassicurante e, al contempo, di un pugno nello stomaco. 

Alla fine, quando cominciò a venirgli la tentazione di usare la tazza come arma impropria contro uno dei due, la abbandonò vicino al fornello e optò per la ritirata.

“Per me è troppo,” borbottò Touya, attraversando la stanza con passo veloce. “È tutto vostro. Io vado a dormire.”

Enji lo seguì con lo sguardo ma quando riuscì ad aprire bocca, suo figlio era già arrivato alle scale.

“E adesso che abbiamo fatto?” Si domandò.

“Shhh…” Mormorò Rei, allontanando il biberon dalla boccuccia di Keiji. “Si è addormentato. Enji, tienilo un po’ contro la spalla. Prima che faccia il ruttino, non possiamo metterlo giù.”

Enji ubbidì. Il piccolo aprì gli occhi per mezzo secondo, poi si abbandonò completamente contro di lui.

“Vai a sederti di là,” disse Rei, sfiorandogli il braccio. “Ti preparo un caffè.”

Enji scosse immediatamente la testa. 

“Posso fare da me, non voglio approfittare di-“

Lei lo zittì con uno sguardo eloquente.

“Ci eravamo accordati che sarei stata con voi nei week end e vi avrei aiutato” gli ricordò, senza essere dura ma rendendo chiaro che quel patto non era soggetto a nuove negoziazioni. “Penso di poterti preparare un caffè, dopo che hai fatto il turno di notte.”

“Non è una cosa straordinaria,” chiarì Enji. “Chiunque di noi, quando rientra dal turno di notte, prende Keiji per permettere a Touya di dormire un paio d’ore senza pensieri.”

“Enji, abbiamo appena spinto nostro figlio ad accettare il nostro aiuto, nonostante non sia in grado di chiederlo,” gli ricordò Rei. “Vai a sederti di là, con Keiji. Ti preparo un caffè.”

E l’Hero Number One non poté fare altro che arrendersi e ubbidire.


Oh

Please believe me

Please believe me

[“Bad Liar” - Imagine Dragons]



 

IV
Katsuki, Izuku, Shouto 

19 Dicembre 

It may sound absurd, but don't be naive

Even heroes have the right to bleed

I may be disturbed, but won't you concede

Even heroes have the right to dream?


Storicamente parlando, il fenomeno delle Soulmates aveva cominciato ad attirare l’attenzione nello stesso periodo in cui erano comparsi i primi quirk. A due anni dalla sconfitta di All For One, le statistiche sostenevano che il 20% della popolazione nascesse già predestinata a qualcun altro. I modi per individuare una Soulmate erano variabili e ancora oggetto di studio per gli esperti, ma il più diffuso era un comune marchio - simile a una voglia - che indicava in parte o per intero il nome della persona a cui si era legati. La parte del corpo marchiata o la grandezza del marchio stesso non seguivano regole. All’apparenza, non vi era un vero e proprio significato biologico dietro le Soulmate. Essere legato a qualcuno non aveva alcuna implicazione. Molti baciati dal destino non s’incontravano mai, né esprimevano il desiderio di farlo e questo non impediva loro di vivere una vita regolare. Il miracolo delle Soulmate stava in un dettaglio relativamente piccolo in un pianeta sovrappopolato: quando due Anime Gemelle s’incontravano, indipendentemente dal sesso di appartenenza, il livello di fertilità era altissimo.

Per questo, a diciotto anni - già zio acquisito di un bambino concepito per caso da due cretini - Bakugou Katsuki avrebbe già potuto pretendere di entrare come socio azionario nella Durex. Quando Touya era uscito da Tartarus, Shouto aveva subito approfittato dei suoi privilegi di fratello minore per avere un contraccettivo ormonale alle spalle del padre - anche se l’unico adulto che aveva fatto il lavoro sporco era stato Hawks, il fratello maggiore aveva solo sbattuto le ciglia e goduto nel fregare il suo vecchio. Ma Katsuki aveva la sua fedele confezione sempre con sé, la cambiava quando scadeva e, prima di usarla, si assicurava che non fosse rovinata. Era meglio così. Non voleva mettersi d’accordo in anticipo su chi doveva metterlo dentro ed era educato offrirne uno a Izuku, quando lo invitavano a unirsi a loro.

Perché a Bakugou Katsuki, come a Midoriya Izuku e Todoroki Shouto, le cose semplici non piacevano. Non solo avevano vinto la lotteria delle Soulmate, ma rientravano in quella rarissima categoria (stimata all’2,5% dei casi registrati) di legame a tre

Katsuki aveva il nome di Shouto scritto lungo la linea del pettorale - Todoroki era stato spazzato via dalla cicatrice di guerra - e quello di Izuku sotto la scapola sinistra - anche se del Midoriya era rimasto poco. Era un po’ come se entrambi gli avvolgessero il cuore. Era stato Shouto a uscirsene con quella frase, prima della battaglia finale. Col senno di poi, Katsuki era più risentito con Tenko per avergli rovinato i suoi marchi che per averlo trapassato da parte a parte.

“Abbi più cura di questo cuore,” lo aveva rimproverato Izuku, piangendo, quando si erano resi conto di essere tornati a casa tutti e tre. “Non è più solo tuo.”

Da che pulpito…

Mentre varcava l’ingresso dell’appartamento che lui e il Nerd avevano preso in affitto subito dopo il diploma, avvertì prurito proprio all’altezza della cicatrice, come un promemoria. Infilò una mano nel cappotto e nella divisa per liberarsene. Non si era fatto la doccia né si era cambiato. Anzi, aveva ancora la maschera nera in testa, a tirargli i capelli biondi all’indietro. Se c’era una cosa positiva del turno di notte, era sapere di avere tutto il tempo del mondo per almeno ventiquattro ore, a cominciare da una bella doccia nel suo box 120x120 - perché durante il sesso doveva stare comodo - per poi finire sul tavolo della cucina o direttamente sul letto. Tutto dipendeva da Shouto, era con lui che aveva una relazione romantica in senso stretto. Izuku era il secondo tassello indispensabile della sua vita, quello senza cui avrebbe perso se stesso.

Erano amanti part-time? Scopamici? Al diavolo le etichette, funzionavano.

La grande vetrata del salone gli regalò un’immagine suggestiva dell’agenzia di Endeavor alle prime luci dell’alba. Ne era uscito appena dieci minuti prima, il tempo di fare la strada a piedi. Poter evitare mezzi pubblici e, peggio ancora, di loro proprietà era stato il primo motivo per cui lui e Izuku avevano scelto quel posto. Il secondo era la divisione su due piani. Shouto non viveva con loro, ma era davvero difficile trovare intimità a casa Todoroki. Con dieci gradini a dividere la zona notte da quella giorno, Izuku poteva continuare a fare i suoi comodi mentre Katsuki ripeteva - senza dire una parola - a Shouto quanto gli mancava viverlo quotidianamente nel dormitorio della scuola.

“Non puoi prenderti Shouto senza prenderti i Todoroki,” non ricordava chi glielo avesse detto, ma dubitava che fosse ancora vivo. Se lo era, allora era stato Tenko. 

Mentre appoggiava le chiavi sul mobile vicino alla porta d’ingresso, Katsuki si chiede perché l’Emo avrebbe mai dovuto dire una cosa del genere? Che ne sapeva dei Todoroki, tanto per cominciare? Ne aveva vuoto uno sotto gli occhi per un anno senza saperlo. 

Katsuki si tolse anche il cappotto e lo abbandonò sul divano: avrebbe messo a posto dopo, era stanco e doveva usare quel poco di energia che gli era rimasta per combattere il freddo di quella mattina di dicembre. Traduzione: doveva infilarsi tra le gambe di Shouto e dare un senso alla giornata di entrambi.

Che significato aveva la vita come Sidekick del suocero, se non si scopava il figlio a fine turno?

Si fermò a metà scala e scosse la testa: pessima. Era stata pessima.

Lui era pessimo. Lo era, perché ogni volta che Endeavor decideva di rompergli i coglioni più del solito, la sua tattica per mantenere la calma era ripetersi: “sono io, e non tu, l’uomo più importante per tuo figlio, stronzo!” 

Continuava a essere pessimo, sì, ma non faceva male a nessuno se restava nella sua testa e lo aiutava a mantenere il posto di lavoro. Tra l’altro, era stata un’idea bislacca di Touya.

Oh…

“Non puoi prenderti Shouto senza prenderti i Todoroki.”

Era una frase sua, ora tutto aveva senso.

“Ah, se ti prendo, è per abbandonarti in autostrada,” borbottò Katsuki, all’assente cognato. Non voleva pensare a lui e nemmeno al suo boss. Ogni portatore del nome Todoroki, escluso Shouto, doveva lasciare la sua mente.

Gli bastò affacciarsi all’interno della sua camera da letto per dichiarare la missione compiuta.

Shouto dormiva dalla sua parte del letto - quando era solo, lo faceva sempre. Si era scordato di tirare le tende e la prima luce gli accarezzava il viso, reso gentile dalla pace del sonno. 

Quanto era bello.

E quanto tempo aveva perso a dargli le spalle, invece di guardarlo.

Stupido orgoglio.

Stupido Katsuki. Bene, ora parlava a se stesso come gli avrebbe parlato sua madre.

Avrebbe potuto guardarlo per ore, ma era un uomo d’azione e aveva passato tutti i settecento metri di distanza dall’agenzia a casa ad anticipare nella sua mente il momento in cui lo avrebbe svegliato. Di fatto, nemmeno si sedette sul bordo del letto, ma gattonò sul materasso, fino a che non gli fu sopra. Dritto all’obiettivo.

Katsuki scelse il collo per cominciare. Se si fosse dedicato subito alla labbra, gli avrebbe spezzato il respiro in maniera spiacevole. D’istinto, Shouto gli afferrò le braccia con le mani e Katsuki ne sentì una troppo calda e una troppo fredda, prima che lo riconoscesse.

“Katsuki…” Mormorò, stiracchiandosi contro di lui, come se fosse un gatto e volesse attenzioni per essere stato disturbato durante il suo sonno.

Katsuki appoggiò la mano tra il collo e la spalla. 

Ancora con gli occhi chiusi, Shouto sorrise e rabbrividì. 

“Hai ancora la divisa addosso?” Se ne accorse toccandogli i pettorali e riconoscendo la V della scollatura alla cieca. “Puzzi anche un po’…” Aggiunse, senza cattiveria.

“Ho passato la notte a tenere il mondo al sicuro, potresti anche evitare di fare la scenetta dello sfregnatello del cavolo,” nonostante le parole, il tono di Katsuki non era aggressivo.

Shouto sollevò le braccia sopra la testa, stiracchiandosi una seconda volta. Per un istante, il suo corpo e quello di Katsuki aderirono completamente e quando l’orlo della maglietta del bell’addormentato si sollevò, il compagno vi fece scivolare sotto le dita. D’istinto, Shouto si rannicchiò, trascinandolo in un abbraccio.

“Sei freddo…”

Katsuki gli propose subito la soluzione al problema: “vieni a fare la doccia con me.”

Shouto lo guardò in faccia per la prima volta e ridacchiò. “Hai ancora questa in testa,” disse, sfilandogli la maschera dai capelli biondi.

“Ci ho pensato per tutto il turno di lavoro, Shouto,” ringhiò Katsuki, senza essere minaccioso, mentre si metteva a cavalcioni su di lui e infilava entrambe le mani sotto la maglietta. Per essere del tutto precisi, Katsuki aveva cominciato a pensarci dal turno precedente, diciotto ore prima. Lui e Shouto si erano ritrovati a fare una pausa caffè insieme e una mano di Dynamight era scivolata dove nessuno - pena la morte per esplosione - avrebbe mai osato toccare. Era stato uno sfiorarsi ordinario, forse Shouto non ci aveva fatto neanche troppo caso. Katsuki era rimasto fermo a quel secondo per tutte le ore successive.

E ora che aveva finalmente a disposizione quel culo…

Shouto non ci teneva a rendergli le cose facili - e quando mai? - con la scusa del sonno continuava a stiracchiarsi contro di lui, sotto le sue mani, tra poco avrebbe fatto anche le fusa. Se lo facesse apposta a essere lascivo o se fosse uno dei tanti danni che collezionava senza rendersene conto, Katsuki non aveva la lucidità d’indagarlo.

“Dai, Shouto…” 

Via la coperta.

Shouto rise. Era un suono sobrio di rara bellezza.

“Katsuki…”

Se fosse lì lì per accettare o per chiedergli di aspettare, l’Hero Dynamight non lo seppe mai. Lo afferrò per la vita e lo trascinò fino al fondo del letto. Di conseguenza, la maglietta gli si arrotolò sotto il mento e toglierla fu una passeggiata.

Katsuki fu più svelto a liberarsi della divisa, ma il maledetto non ne voleva proprio sapere di collaborare. Mentre Dynamight ripiegava si di uno spogliarello privato - sudato, nonostante le temperature esterne - Shouto se ne stava lì, disteso sul tappeto ai piedi del letto, spogliato solo a metà, inerme. Sapeva qual era il suo destino e lo stava aspettando.

“Ehi…” A Katsuki cominciò a venire il dubbio di essere l’unico animato da entusiasmo. “Se non hai voglia, dillo…” 

Se non lo avesse voluto, non lo avrebbe mai fatto arrivare fino a quel punto.

Per tutta risposta, Shouto si alzò a sedere e, senza allontanare gli occhi eterocromatici da quelli di Katsuki, gli slacciò i pantaloni con dei movimenti secchi, decisi, figli di un’esperienza accumulata negli anni del liceo.

E Katsuki si fece immobile.

Lì finiva il suo orgoglio di dinamitardo, creato per le masse e per accontentare solo se stesso. 

Mentre lo guardava, Shouto affondò la mano destra - la più fredda - dentro i boxer neri. Era una sfida: se lo voleva davvero, un po’ di gelo non avrebbe spento il suo fuoco. Lo accarezzò e tanto bastò a Katsuki per cercare la struttura del letto e sorreggersi, perché le ginocchia da sole non avrebbero fatto un granché.

Shouto allontanò gli occhi dai suoi, solo per fare con la lingua quello che aveva fatto fino a quel momento con le dita.

E Bakugou Katsuki che credeva ancora di poterlo sfidare e vincere.

Mezz’ora e tre orgasmi dopo - due per Katsuki è uno per Shouto - erano entrambi sotto il getto caldo della doccia. 

Katsuki era completamente abbandonato contro le piastrelle, gli occhi chiusi, mentre Shouto gli stava addosso, a vezzeggiare la linea tra il collo e la spalla con una serie di baci a fior di labbra. 

“Sei stanco,” disse quest’ultimo, premuroso, prendendo le distanze. “Goditi la doccia e vai a dormire.”

Katsuki ringhiò, infastidito. Senza aprire gli occhi, riuscì ad afferrare il polso di Shouto e tirarselo addosso. “Non provare a sfuggirmi, ti devo un orgasmo.”

“Se la metti in questi termini, io te ne devo almeno un centinaio.”

Due occhi scarlatti comparvero sotto la frangia di capelli biondi.

Shouto sorrise, la scostò, poi appoggiò la fronte alla sua, rubandogli un altro bacio.

“Non funziona così, Mezzo-e-Mezzo,” obiettò Katsuki. “Sei tu quello che deve uscirne disumanamente appagato e distrutto, sotto di me.”

“Non stiamo parlando di guerra, Katsuki, non c’è bisogno di uscirne distrutti,” ribatté Shouto. “In quanto all’essere appagati, lo sono anche adesso. Grazie.”

“Ohi, Shouto, mi fai arrabbiare quando mi ringrazi perché ti faccio venire. È il minimo sindacabile. Che cosa scopiamo a fare?”

“Devo andare al lavoro,” disse Shouto, premendo le mani contro il suo petto.

“Ho detto che ti devo un orgasmo,” ringhiò Katsuki, a mo' di minaccia.

“Dopo il lavoro,” promise Shouto.

“Stasera siamo tutti a cena dalla Strega.”

“Dopo la cena, allora… E non dare della Strega a tua madre, non è carino. Dai, lasciami, devo essere nell’ufficio di mio padre tra mezz’ora.”

“Argh, il Bastardo Energumeno!”

Lo sguardo di Shouto smise di essere tenero per divenire eloquente.

“Katsuki, non voglio arrivare in ritardo.”

“Sei il figlio del capo.”

“Vuoi che giustifichi a mio padre la mia mancata puntualità, raccontandogli la tua filosofia sugli orgasmi?”

Il punto era che Shouto avrebbe anche potuto farlo, con la sua solita espressione neutra e la voce monocorde, mentre Endeavor lo fissava basito dal trono e Touya se la rideva, magari mentre allattava Keiji su uno dei divani.

Eccolo lì, il glorioso futuro dei Todoroki in una sola stanza.

Ed Endeavor impossibilitato a dire qualsiasi parola a riguardo.

“Sai che ti dico, Semifreddo, ci sto!” 

Katsuki invertì le loro posizioni, costringendo Shouto contro le piastrelle fredde per poi inginocchiarsi a terra. L’obiezione dell’altro ebbe vita breve, trasformandosi in un una carezza tra i suoi capelli biondi, mentre Katsuki ricambiava il favore che gli aveva offerto prima, in camera da letto.

Per quel che riguardava Bakugou Katsuki, Endeavor poteva anche aspettare.

Se c’era una cosa che la morte gli aveva insegnato era che rimandare - di stringere la mano di Izuku, di baciare Shouto - era un lusso che nessuno poteva permettersi. Nessuno.

E non aveva alcuna intenzione di commettere lo stesso errore una seconda volta.




 

Il pomeriggio di concluse con una pioggerellina mista a neve, che non era il massimo quando l’unico riparo a disposizione era il cappuccio della giacca e un pensilina dell’autobus. Vista la zona in cui si trovavano, era una fortuna che fosse ancora integra. Tenko appoggiò la spalla a uno dei pali che tenevano in piedi la struttura, chiedendosi che fine avesse fatto quel dannato coniglio

“Tutto bene?” Indagò Izuku, con premura. Lo faceva sempre, come se Tenko non avesse cinque anni in più e abbastanza esperienza con la vita da tenersi in piedi da solo. Normalmente, avrebbe detto o fatto qualcosa per stroncare quel comportamento sul nascere, ma i loro trascorsi obbligavano Tenko a star zitto e ingoiare una volta in più del suo solito.

“Perché me lo chiedi ogni volta?” Domandò di rimando, senza nessuna intonazione particolare. Da quando Tenko era stato rilasciato per sostituire Touya, non avevano mai avuto occasione di parlare davvero.  

Izuku scrollò le spalle.

“Mi viene naturale,” rispose. “Sono fatto così, chiedi a Kacchan. È un lato di me che anche lui sopporta a stento.”

Chiedi a Kacchan. Certo, come se lui e Dynamight riuscissero a fare qualcosa di diverso dal guardarsi storto. Sei mesi fuori da Tartarus non erano bastati a Tenko per sentirsi a suo agio con Izuku, figurarsi con quell’altro. Nessuno gli aveva raccontato nei dettagli i retroscena del suo rilascio, solo le condizioni, ma qualcosa gli suggeriva che Dynamight si era opposto all’idea con tutte le sue forze. Avrebbe dovuto chiedere a Mirko: lei era l’unica che talvolta si dimenticava chi era davvero e gli parlava apertamente.

“Non devi sentirti responsabile per me, Izuku.” Anche se non erano ancora riusciti ad avere un confronto, Tenko aveva perso il conto delle volte che aveva ripetuto quelle parole. Era già abbastanza difficile avere delle aspettative per se stesso, senza che l’erede di AllMight ci mettesse il carico.

Ma Izuku rispondeva sempre allo stesso modo: “ti ho salvato la vita,” disse, volgendo gli occhi verdi al cielo scuro, privo di stelle. “Non puoi non essere una mia responsabilità.”

“Gli altri Hero non la pensano allo stesso modo,” ribatté Tenko. “Tutti si sono fatti garanti per me.”

“Non ho potere sui pensieri degli altri,” disse Izuku. “Ma mentirei se dicessi che non sono grato a tutti loro.”

Tenko non poteva saperlo, ma era stata un’idea di Endeavor. Il Number One non aveva trovato accettabile che un ragazzino di diciotto anni rinunciasse al suo futuro per gestire in solitaria le conseguenze delle azioni di All For One. 

Touya aveva avuto un’intera famiglia a sostenerlo.

Di quella di Tenko non era rimasto niente, così era giusto che tutti gli Hero si facessero carico del suo avvenire.

Una folata di vento gelido li fece rabbrividire.

“Endeavor non ti paga abbastanza per comprarti una macchina tua?” Si lamentò Tenko, nascondendo la bocca e il naso nel colletto della giacca. Era meglio che il maledetto coniglio non avesse fatto un incidente o altro, perché le strade di quel quartiere erano deserte e anche se quella era una pensilina per gli autobus, dubitava fortemente che ci sarebbero state altre corse prima dell’indomani.

Izuku si strinse le braccia intorno al corpo, ma rise.

“Sì, forse io e Kacchan dovremmo pensare a prenderne una,” disse. “Anche se difficilmente la si usa per intervenire sul posto di un misfatto. Saremmo rimasti a piedi comunque.”

Tenko lo fissò.

“Fate davvero tutto insieme, tu e Dynamight?”

“Beh… Viviamo insieme e abitiamo a due passi dal lavoro. Una singola macchina penso sarebbe sufficiente, anche per ammortizzare le spese e-“

“Pensavo che Dynamight stesse con Shouto.”

Non che a Tenko importasse qualcosa, ma Izuku e Touya erano stati gli unici a fargli visita a Tartarus per parlare di questioni frivole e, pur non volendo, qualche informazione l’aveva registrata.

“Kacchan sta con Shouto,” confermò Izuku. “È che, al momento, Shouto preferisce vivere a casa di suo padre per aiutare con Keiji. Lo capisco.”

Dal modo in cui lo disse, Tenko intuì che Dynamight lo capiva un po’ meno.

“Ero convinto ci fosse qualcosa,” ammise, senza pensarci.

Izuku lo guardò.

“Tra chi?”

“Tra te e Dynamight.”

Tenko non avrebbe mai tirato fuori l’argomento di sua spontanea volontà, ma se Bakugou Katsuki era stato era stato il primo a cadere c’era stata una ragione ben precisa. 

“C’è qualcosa tra me e Kacchan,” disse Izuku, mentre le sfumature del suo sorriso divenivano più dolci. “C‘è sempre stata e sempre ci sarà.”

“Ma siete amici?” Tenko non si reputava un esperto di relazioni sociali, ma c’era un po’ troppo nella voce e negli occhi di Izuku, quando parlava di Bakugou Katsuki.

“È il più caro amico che ho.” Ma era evidente che l’Hero diciottenne non aveva nulla da nascondere. “Lui e Shouto sono le persone più importanti della mia vita.”

Era troppo. Sì, decisamente troppo.

“Sei innamorato di Dynamight?” Chiese Tenko, diretto. 

Izuku lo fissò, sinceramente perplesso.

“Credevo sapessi che…” Izuku arrossì un poco per motivi che non erano legati al freddo, poi fece un gesto con le mani, come a dire che il resto era scontato.

Tenko, di contro, non ci stava davvero capendo niente.

“Riassumendo: Dynamight sta con Shouto?”

“Sì.”

“Ma tra te e Dynamight c’è più di una comune amicizia?”

“Diciamo che noi tre abbiamo un legame particolare.”

“Voi tre?”

“Io, Kacchan e Shouto,” chiarì Izuku. “Loro sono una coppia ma…” Si grattò il retro del capo. “Io non sono escluso, diciamo.”

C’era stata una volta in cui Tenko aveva avuto l’audacia - e la stupidità - di chiedere a Touya come fosse avvenuta per lui e Hawks la transizione da nemici a genitori, tanto per far luce sul come e sul perché Dabi fosse riuscito a integrarsi - più o meno - in un mondo che aveva giurato di distruggere. Touya gli aveva risposto, mettendoci anche serietà e, alla fine, ne era venuta fuori una storia struggente, troppo perché per Tenko avesse senso. Col senno di poi, la vicenda romantica dell’ex Villain e del Number Two gli sembrava molto più chiara di qualsiasi cosa Izuku stesse cercando di dirgli. 

“Sei innamorato di uno che ama un altro?” Tentò. 

Izuku scosse la testa.

“Non proprio,” rispose, paziente. “Quella che ho è forse l’unica forma d’amore che mi posso permettere con la vita che mi sono scelto, ma non la scambierei per nulla al mondo.”

Tenko non ebbe il tempo d’indagare ulteriormente: l’auto di Mirko comparve con un testa-coda in fondo alla via, poi scivolò sulla strada, lasciando una buona dose di pneumatico sull’asfalto e provocando un suono talmente stridulo che dovettero coprirsi le orecchie.

La vettura si fermò a un metro da loro e dalla pensilina, non investendoli per poco.

Mirko abbassò il finestrino, sfoderando un sorriso tutto denti.

“Scusate il ritardo, ragazzi,” disse. “Purtroppo il Bimbo-Bomba è leggerino, soffre il mal d’auto con facilità.”

Dynamight uscì dal lato del passeggero e riuscì a fare a stento due passi, prima di appoggiarsi al cofano con la testa china.

“Kacchan!” Izuku lo soccorse prontamente.

Tenko dovette stringere forte le labbra per non scoppiare a ridere: Il Dio Della Morte Esplosiva - o quel che era - che cadeva miseramente per la guida brusca di un coniglio. 

“Dilettante…” Mormorò a se stesso.

“Hai detto qualcosa, Tenko?”

“No, niente.”

“Ti sei divertito al lavoro? Sembri divertito.”

Tenko le fece segno di scendere.

“Fammi salire dietro,” le disse.

Mirko uscì dall’auto e guardò i due diciottenni: Katsuki aveva ancora la testa china e Izuku gli massaggiava la schiena.

“Volete un passaggio? So che avete una cena a casa di una Strega, non credo vi convenga arrivare in ritardo!”

Katsuki sollevò il viso e la guardò in cagnesco. 

“Solo fino alla prima fermata della metro!” Esclamò. “Non un isolato di più!”




 

“Potevamo farci dare un passaggio fino a casa,” disse Izuku, attaccandosi a uno dei pali dell’unico vagone della metro in cui riuscirono a incastrarsi. “È l’ora di punta ed è già tardi.”

Katsuki sgomitò per arrivargli accanto.

“Shouto porta il moccioso, tempo che arrivi lui e si dimenticheranno di noi!” Esclamò. “Inoltre, se proprio devo morire giovane, preferirei non farlo nell’auto di un coniglio impazzito!”

“Non urlare, ci guardano tutti!”

“Ci guardano perché abbiamo la divisa addosso e ci hanno riconosciuti!” Ribatté Katsuki.

Izuku non poté dargli torto. Non appena smise di parlare, sentì qualcuno mormorare Deku e Dynamight con emozione, mentre decine di cellulari venivano puntati verso di loro. Quella era la parte peggiore della vita da Hero. Izuku non rifuggiva le interviste, a differenza del suo amico d’infanzia, ma un conto era rispondere a delle domande e farsi fare delle foto in un contesto mediatico, dover subire la stessa cosa mentre prendeva la metro in fretta e furia lo metteva a disagio e basta.

Katsuki se ne accorse e si mosse per aggrapparsi ai pali orizzontali sopra la sua testa, schermandolo. 

“Grazie.” Izuku accennò un sorriso, sebbene l’altro avesse ancora l’espressione di un cane rabbioso. “Hai detto che Shouto porterà Keiji?” Domandò e gli occhi verdi tornarono a essere luminosi.

“Sì, una sfortunata serie di eventi vuole che stasera Hawks sia a casa ed Endeavor no. Shouto pensa sia carino offrire una serata libera al fratello stronzo e al pennuto.”

“Shouto è sempre così attento e gentile.”

“Non lo lodare, la dedizione con cui si prende cura del nipote è allarmante!”

“Non dire così. Shouto non ha avuto una vera famiglia per la maggior parte della sua vita, si merita questi momenti.”

“Quando si tratta del moccioso, tu e lui diventate più cretini del solito,” borbottò Katsuki, mettendo il broncio in bella vista.

Izuku sfoderò un sorrisetto che solo due anni prima non si sarebbe mai permesso di rivolgergli. 

“Perché non dici che sei geloso di un neonato e basta?”

L’altro arrossì fino alla punta dei capelli e lo guardò male, malissimo. Anche quella piccola cosa era prova della sua crescita interiore: il Katsuki del primo anno di liceo sarebbe esploso d’irritazione, ignorando tutte le persone intorno a lui.

“È ridicolo essere gelosi di un moccioso simile,” ribatté, tirando la maschera nera sopra i capelli biondi. “Non sono tanto stupido.”

Izuku scrollò le spalle.

“Forse un pochino lo sei…”

“Izuku, vuoi un bernoccolo in testa?”

“Quando tu e Shouto ve ne prendete cura insieme, a Endeavor viene l’ansia.”

Katsuki sbatté le palpebre un paio di volte.

“L’Energumeno ne parla con te?”

“No, penso ne parli con Touya, che lo ha raccontato a Shouto, che lo ha raccontato a me.”

“Tsk. Ridicolo, come se mi mettessi a pensare di fare bambini…”

Izuku scrollò le spalle.

“No,” concordò. “No, magari ora non è il momento.”

“Né ora né mai!” Ci tenne a puntualizzare Katsuki.

Mentre la metro si fermava e la gente cominciava a muoversi intorno a loro per arrivare alle porte scorrevoli, gli occhi verdi di Izuku si tinsero di malinconia.

“Perché dici così?” Domandò. “Il bambino tuo e di Shouto sarebbe così bello…”

“Ma ti sembra il momento?” Katsuki lottava per non essere trascinato via dalla folla,  mentre l’altro faceva ragionamenti sul futuro che non lo avevano mai sfiorato. “Inoltre, Shouto non ha mai accennato all’idea di volerli.”

Il vagone si svuotò drasticamente, ma nessuno dei due accennò a volersi sedere su uno dei posti lasciati liberi. Mentre la corsa ripartiva e Katsuki lasciava andare un sospiro, si accorse che Izuku lo guardava dal basso verso l’alto con fare molto eloquente, quasi gli stesse dando dell’idiota.

“Che cazzo vuoi dire?” Sibilò il primo.

“Non ho detto nulla,” lo prese in giro il secondo.

“Non hai bisogno di aprire bocca per dire stronzate, riesci a farlo solo con lo sguardo!”

“Mi vuoi dire che quando guardi Shouto con Keiji, non ti viene il dubbio che possa pensare a un… Come si dice? Un Mini-Me, credo.”

Il dubbio prese Katsuki talmente alla sprovvista che quando la metro prese la curva, per poco non si ritrovò col culo per terra. 

“Il mondo è troppo piccolo per un altro Todoroki, sono già in tanti!” Obiettò.

Izuku rise.

“È troppo piccolo anche per un altro Kacchan-“

“Come ti permetti?!”

“Ma io sono disposto a correre il rischio,” aggiunse Izuku. “E, credimi, lo è anche Shouto.”

Si scambiarono un lungo sguardo. Katsuki non riuscì ad avere la meglio e si voltò verso il finestrino. 

“Non è un discorso da fare in un vagone con l’aria stantia,” concluse.

“Non è l’aria a essere stantia,” disse Izuku, con un sospiro. “Siamo noi a puzzare. Shouto non ci farà tenere Keiji in braccio così.”

“Pensa che la Strega non ci farà entrare in casa, non preoccuparti del moccioso.”

“No, penso che mi lascerà entrare per fare una doccia, ma lascerà te a mangiare in giardino.”

“Izuku, davvero, stai passando il limite, io non-!”

La metro raggiunse il capolinea, si fermò di botto e Katsuki, troppo occupato a lamentarsi, non si tenne abbastanza stretto e andò lungo per terra. Finito l’effetto del contraccolpo, Izuku gli porse la mano, cercando di non ridere troppo.

“Dai, andiamo a casa.”




 

“Sei sicuro di quello che fai?” Domandò Touya, seduto a gambe incrociate sul futon, mentre il fratello tirava fuori di tutto e di più dall’armadio.

“Non è la prima volta che mi lasci da solo con lui,” gli ricordò Shouto, fermandosi davanti allo specchio per valutare se il maglione che aveva scelto gli stesse bene o meno. L’immagine che vide riflessa non lo convinse e se lo tolse. 

Touya guardò il povero capo d’abbigliamento venir scartato e lasciato sul pavimento.

“Non è nemmeno la prima volta che vai a cena dai suoceri,” ribatté. “Quindi perché stai facendo la guerra con- No, Shouto, proprio no!” Esclamò, non appena vide su che abbinamento era ricaduta la scelta del fratello.

“Perché no?” Domandò questi, guardandosi.

“Il fatto che tu non ti renda conto dell’oscenità di quello che hai addosso è molto grave.”

“Hai messo a Keiji una tutina simile l’altro giorno.”

“Keiji ha quattro mesi, i vestiti glieli scelgono quei due idioti del padre e del nonno e, per mia enorme sfortuna, ha avuto uno scatto di crescita in un momento dell’anno in cui i negozi vendono solo roba brutta!” 

Ma nulla nel guardaroba di suo figlio era di gusto tanto opinabile quanto il maglione verde, con il muso di una renna al centro, che Shouto aveva avuto l’ardire di scegliere come completo da mostrare a casa dei Bakugou.

“È quasi Natale,” insistette Shouto, anche se nemmeno lui era tanto convinto di quello che diceva. “Non piace neanche a me, ma è adatto per l’occasione, no?”

Touya inspirò profondamente dal naso e si alzò in piedi.

“Dove vai?” Domandò il suo fratellino.

“Prendo una cosa in camera mia, vedi di far sparire quel disastro che hai addosso o gli faccio prendere fuoco mentre ci sei ancora dentro.”

Era la minaccia di default di Touya, ma Shouto alzò gli occhi al cielo comunque, chiedendosi se, prima o poi, avrebbe variato.

Il maggiore tornò pochi minuti dopo, porgendogli un maglione suo.

“È verde anche questo,” puntualizzò il più giovane, come a dire che non c’era molta differenza.

Spazientito, Touya glielo sbatté in faccia.

“È petrolio!” Esclamò. “Abbi almeno la decenza di saper riconoscere i colori!”

Shouto lo indossò e quando si guardò allo specchio, l’effetto fu migliore di quello che aveva creduto. Nella superficie riflettente, sopra la sua spalla, vide suo fratello ghignare soddisfatto.

“Visto?” 

Il giovane Hero si voltò a guardarlo.

“Me lo presti?” Domandò, sorpreso. 

Touya scrollò le spalle.

“Non è che abbia molti posti in cui andare.”

Hawks si affacciò sulla camera con un sorriso. “Si può?” Domandò, anche se le sue ali occupavano già tutta la cornice della porta. “Noi siamo pronti!”

Shouto fece per dire che lo era anche lui e che potevano andare, quando si accorse del modo in cui il Number Two aveva vestito suo nipote: la tutina in ciniglia era una riproduzione della divisa da Hero di Endeavor e il ciuccio, a tema fiamme,  completava l’opera. Dato che i colori di Keiji erano gli stessi del nonno, il risultato finale non era sgradevole per gli occhi. 

Ciò che disturbava Shouto era il tema stesso, ma non era il suo giudizio quello che contava.

“Hai visto quanto siamo belli, mamma?” Domandò Hawks, facendo aderire la guancia del bambino alla sua e sfoderando un sorriso che fece prudere le mani anche al Todoroki più giovane. Generalmente, Shouto aveva un’alta considerazione del Number Two ed era sinceramente felice che le cose tra lui e suo fratello funzionassero - in qualche assurdo e complicato modo - ma quando faceva così, si chiedeva dove fosse il suo istinto di preservazione. Lanciò una cauta occhiata a Touya e non si sorprese di trovarlo sul piede di guerra, era già tanto che non emettesse fumo.

“Keigo, perché non vai di sotto a mettergli il cappotto, quello a tuta-“

In modo che copra tutto, dedusse Shouto.

“-scendiamo tra un attimo.” 

Touya rivolse al compagno un sorriso inquietante, ma Hawks non divenne meno allegro dell’inizio. Era un gioco di dispetti tra loro, non c’era altra spiegazione.

Mentre Keiji e il suo papà sparivano in direzione delle scale, Shouto recuperò il cappotto e lo indossò. Non appena fece un passo in avanti, il fratello lo afferrò per un braccio.

“Fa in modo che Keiji vomiti sopra quell’orrore,” gli ordinò. “Ripetutamente.”

Un quarto d’ora più tardi, erano tutti e quattro nel vialetto. Touya stava legando Keiji al seggiolino sui sedili posteriori, mentre Hawks appoggiava la borsa con tutto l’occorrente sul posto del passeggero. 

“Se hai bisogno d’aiuto, in qualsiasi momento, chiama e volerò lì in un istante,” disse Hawks, chiudendo la portiera. “Hai due cambi completi, il biberon con il latte in polvere… Dovrebbe avere fame tra un paio d’ore. Quando torni, se si è addormentato, chiamami, mi raccomando. Va maneggiato con le piume o si sveglia urlando e non si addormenta più-“

Shouto ascoltò ogni parola con un sorriso cortese, anche se aveva ricevuto le stesse istruzioni decine e decine di volte.

Alla fine, Hawks si fece più vicino e gli strinse la spalla.

“Non fraintendermi, mi fido di te, ma se la situazione dovesse farsi complicata-“

“Keigo, falla finita!” Esclamò Touya, riemergendo dal sedile posteriore. “Hai fatto venire l’ansia a me!” 

“Fidati di me,” disse Shouto, con fare eccessivamente solenne. “Proteggerò Keiji a costo della vita.”

Hawks sbatté le palpebre un paio di volte.

“Non c’è bisogno di essere così drammatici…”

“Comincia a non essere drammatico tu,” disse Touya, facendo un cenno di saluto al bambino attraverso il finestrino.

Shouto recuperò le chiavi dell’auto dalla tasca del cappotto. 

Hawks si sporse verso di lui per buttare lì un “guida con prudenza” appena mormorato. Touya non poteva averlo sentito, ma quando il Number Two si voltò verso di lui, ricevette un’occhiata eloquente lo stesso.

Prima di rientrare, Touya simulò un silenzioso conato di vomito e indicò il sedile posteriore. 

Shouto sollevò il pollice, poi prese posto davanti al volante.




 

“Shouto è davvero un bravo ragazzo!” Esclamò Mitsuki, gettando un asciugamano sulla testa del figlio e cominciamo a frizionare con forza eccessiva. “Non è nemmeno passato un anno dal diploma e già è riuscito a comprarsi un’auto!”

Nel dubbio che sua madre stesse cercando di decapitarlo, Katsuki si sfilò da sotto le sue mani.

“L’auto è stata il regalo del diploma!” Esclamò, mettendo tra sé e la Strega una ragguardevole distanza di sicurezza. “Nemmeno la voleva!”

“Beh, se suo padre ha pensato di comprargliela, si vede che la merita!” Insistette Mitsuki, ritirandosi in cucina.

L’Energumeno ha solo un milione di cose da farsi perdonare, pensò Katsuki, prendendo posto al tavolo della sala da pranzo, accanto a Izuku.

Erano arrivati in ritardo, solo per scoprire che Shouto lo era più di loro, così erano saliti per farsi una doccia.

“Povero ragazzo,” disse Inko, dando un’occhiata all’orologio in alto design che occupava quasi tutta la parete accanto a lei. “Per fare quest’ora, deve aver lavorato molto.”

“Oppure qualcuno lo ha fatto tardare stamattina,” butto lì Izuku, lanciando un’occhiata fugace all’amico d’infanzia.

Katsuki guardò altrove, deciso a non dargli alcuna soddisfazione.

“Combinare qualche guaio, di tanto in tanto, gli fa bene,” disse, incrociando le braccia contro il petto.

Mitsuki, tornando nella sala da pranzo, gli lanciò uno sguardo giudicante.

“Guaio più grande di te…” Sbuffò.

“Zitta Strega!”

“State calmi, voi due,” intervenne Masaru. “Abbiamo ospiti e non abbiamo nemmeno cominciato a mangiare.”

Tempo un istante e il suono del campanello li fece scattare tutti sull’attenti.

“Sono arrivati,” disse Izuku, alzandosi per primo.

Mitsuki era già volata in direzione della porta.

“Fatemi vedere il mio splendido nipote acquisito!” Esclamò entusiasta.

“Non è tuo nipote!” Urlò Katsuki.

Nessuno lo ascoltò. Quando il giovane Todoroki raggiunse l’entrata, l’unico rimasto seduto al tavolo era lui.

“Buonasera,” salutò Shouto.

Da dov’era, Katsuki non riuscì a vederlo in viso ma percepì l’imbarazzo nella sua voce.

“Dallo a me, mettiti comodo,” si offrì Izuku, liberando Shouto dal peso di Keiji. 

Katsuki non si perse il modo in cui gli occhi verdi s’illuminarono nell’incrociare quelli del bambino. “Ma che bel ciuccio!” Commentò, dirigendosi verso il divano. Le due mamme lo seguirono a ruota, più interessate al piccolo Todoroki che a quello di diciotto anni, fermo nell’ingresso.

“Serve una mano per qualcosa?” Domandò Masaru.

“Sì,” rispose Shouto, come se si fosse improvvisamente ricordato che mancava un pezzo. “C’è il passeggino in macchina, ma vado io a-“

“Papà, siediti, ci penso io,” disse Katsuki, alzandosi, finalmente, in piedi.

Sua madre gli lanciò prontamente un’occhiataccia dal divano.

“Ma con calma, Maestà! Non si scomodi!”

Katsuki borbottò qualcosa tra sé e sé, mentre suo padre lo superava e invitava alla calma con una pacca sulla spalla.

Shouto non provò alcun imbarazzo a regalargli il sorriso più dolce del suo repertorio.

“Ciao.”

“Ciao.”

Katsuki si voltò per assicurarsi che nessuno lo stesse guardando, poi gli posò un bacio veloce sulla guancia.

“Ti ho visto, Kacchan,” lo prese in giro Izuku.

“Ohi, Izuku, vedi un po’ di finir- Che cos’è quell’orrore?” Domandò, orripilato, quando l’amico d’infanzia sollevò Keiji tra le braccia, senza cappotto.

“Fammi indovinare: Hawks?” Ipotizzò l’erede di AllMight, riconoscendo la tutina con cui era vestito il bimbo, mentre Mitsuki squittiva su quanto fosse carino e Inko concordava con lei.

“Hawks,” confermò Shouto, liberandosi della borsa con tutte le cose del nipotino e poi del cappotto.

“Quell’uccellaccio è un maniaco suicida, non c’è altra spiegazione,” disse Katsuki, guardando il suo ragazzo. “Sei sicuro che lasciarli da soli sia stata una buona idea? Se allo stronzo gira male, potresti trovare casa in fiamme.”

Shouto fece spallucce.

“Il rischio peggiore è che concepiscano il secondo.”

Katsuki rabbrividì.

“Non lo dire neanche per scherzo,” ribatté, decidendosi a uscire per recuperare il dannato passeggino.

Un’ora dopo, avevano finito di mangiare e Keiji era stato buono per tutta la cena, intrattenuto a turno da tutti i presenti, tranne Katsuki.

“È davvero meraviglioso,” ripeté Mitsuki, per l’ennesima volta in sessanta minuti. “Ti devo fare i miei complimenti, Shouto.”

“Grazie…?” Rispose il giovane Todoroki, perplesso, mentre era impegnato a dare a Keiji l’ultimo biberon prima della nanna.

“Non lo ha mica fatto lui!” Le ricordò Katsuki, mettendoci più rabbia del necessario.

“Shhh… Kacchan, parla piano, si sta rilassando,” lo rimproverò Izuku, passando il dorso delle dita sulla testolina di capelli rossi.

Katsuki sbuffò, esasperato. Finiva sempre così: il moccioso era al centro della scena e i suoi due idioti non avevano occhi che per lui.

“Katsuki!” Lo riportò all’ordine sua madre.

Trasalì.

“Che vuoi?” Abbaiò.

“Non pensi che a Shouto doni avere un bambino in braccio?” Domandò, rivolgendo al giovane Todoroki un sorriso incantato. “E anche Izuku… Inko, non credi che gli s’illumini il viso?”

“Non coinvolgere nessuno nei tuoi deliri, Strega.”

“Izuku è sempre stato bravo con i bambini,” contribuì Inko. “È portato, sono certa che diverrà un ottimo padre, un giorno, se lo vorrà.”

“Non esageriamo, mamma,” la pregò Izuku, grattandosi il retro della nuca con nervosismo. “La vita da Hero che mi sono scelto non si sposa così bene con una famiglia.”

Era convinto di quel che diceva, ma la malinconia con cui lo fece non sfuggì a Katsuki e nemmeno a Shouto. 

“Possiamo avere Keiji tutte le volte che Touya ce lo lascia tenere,” disse, allontanando il biberon vuoto dal bambino per lasciarlo sul tavolo. “E quando ne arriveranno altri, ci potremo prendere cura anche di loro.”

Katsuki strabuzzò gli occhi.

“Quali altri?” Domandò.

“Touya mi ha confidato che vuole arrivare a cinque,” rispose Shouto. “Non vuole essere da meno di nostro padre, così dice.”

“Tuo fratello è risaputamente pazzo, Shouto,” gli ricordò Katsuki, atterrito dal pensiero di ben cinque Mini-Touya, dotati di ali di fuoco, in giro per il mondo.

Nemmeno a Keiji dovette piacere l’idea, perché cominciò a piangere, senza motivo.

Mentre tutti si chiudevano intorno al piccolo - peggiorando la situazione - Shouto tirò indietro la sedia per alzarsi. Katsuki lo precedette.

“Dallo a me,” si offrì, prendendo il bambino tra le braccia senza aspettare risposta. 

“Si è stufato delle vostre stronzate e ha ragione,” disse, andando a rifugiarsi sul divano.

Ancora prima che si sedesse, Keiji aveva smesso di piangere.

Sia Shouto che Izuko lo guardarono, poi si scambiarono un sorriso complice ma non si dissero niente.

Mitsuki, invece, versò del vino sia nel suo calice che in quello di suo marito e di Inko.

“Ai nostri futuri nipoti,” disse, sollevandolo.

Katsuki non esitò a obiettare. 

“Vecchia, smettila subito di- Oh, cazzo!”

Saltò in piedi come una molla per salvare il divano, mentre Keiji vomitava addosso a lui e se stesso.

“Oh, bene, almeno mio fratello sarà contento,” disse Shouto, placido.


And it's not easy to be me

[“Superman” - Five For Fighting]



 

V
Touya 

31 Dicembre 

When you've fighting for it all your life

You've been working every day and night

That's a how a superhero learns to fly

Every day, every hour, turn the pain into power



 

La vita di Todoroki Touya era fatta di brusche transizioni: da erede di Endeavor a fallimento, da pezzo di ricambio per All For One a ragazzo di strada, da teppista da quattro soldi a Dabi e, infine, da morto che cammina a Touya.

A cercare di dargli un senso, chiunque sarebbe divenuto pazzo.

Nell’ultimo anno, Touya ci aveva provato confrontandosi con le persone che si erano imposte come personaggi principali nella storia che era stata di Dabi e ora era sua. 

Non aveva scelto Hawks, lo aveva quasi ucciso e, in cambio, quello stolto Hero gli aveva offerto una seconda possibilità, anche se come schiavo del governo.

Non aveva scelto Shouto, era il suo fratellino che si era stupidamente ostinato a volerlo salvare.

Non aveva scelto nemmeno Endeavor, non dopo che lo aveva rifiutato, ma suo padre aveva fatto l’impossibile per riportarlo a casa.

Alla fine, era andata come doveva andare: Dabi si era ridotto in cenere e Touya era rinato da esse.

Lo scoppio di un fuoco d’artificio lo fece trasalire.

Non era ancora mezzanotte, si trattava solo di un colpo di prova.

Quell’anno, suo padre aveva comprato tutto ciò che si potesse far esplodere senza andare contro la legge. Se non fosse stato un umicidio, sarebbe stato pronto a lanciare anche Katsuki.

“Non si bada a spese per il primo Capodanno del mio nipotino.”

Touya scimmiottò la voce di Endeavor, lasciandosi cadere sull’enorme poltrona dietro alla scrivania. La stanza era buia, appena illuminata dalle luci degli edifici circostanti. I festeggiamenti si erano spostati sul tetto, che a breve sarebbe divenuta una piattaforma di tiro. 

Touya li aveva lasciati alla loro allegria, rimanendo in disparte. Non gli piacevano molto i party. Troppa gente, non era fan delle folle. Sì, in passato aveva frequentato i locali della buia periferia, ma era stato solo per ripararsi qualche ora nelle notti di pioggia torrenziale o perché, dopo essere entrato nell’Unione dei Villain, a Toga era venuta voglia di cantare al karaoke, facendolo diventare un problema di tutti.

Era stato in uno di quei posti ai limiti della legalità che lui e Hawks avevano scopato per la prima volta. I suoi compagni di allora non si erano accorti di nulla, nemmeno quando aveva chiesto loro di portargli una bottiglia nella stanza sul retro in cui lui e il suo improbabile amante si erano chiusi. Agli altri Villain non era passata per l’anticamera del cervello che potesse essere con qualcuno. 

Questo fatto da solo la diceva lunga su di lui.

Dopo la caduta di All For One, aveva approfittato delle missioni sotto copertura del Number Two per fare un po’ di casino in qualche club esclusivo, spingendo il suo amante Hero o il suo fratellino a prendersi un pezzo di quella pazza giovinezza che era stata strappata loro.

Ma, a quel punto, Dabi aveva già smesso di esistere, Hawks era divenuto Keigo e quando si toglievano i vestiti a vicenda, non lo facevano per scopare ma per fare l’amore.

Neanche all’Hero alato piacevano le feste, anche se il suo fan club era pronto a sostenere l’esatto contrario. Keigo era solo più bravo a integrarsi o a fingere di farlo.

Tanto per rendere più realistica l’illusione e cibare in qualche modo i cacciatori di gossip, l’idiota si era fatto un selfie all’inizio dei festeggiamenti, stando ben attento a far vedere che teneva in braccio Keiji - di cui era visibile solo il cappuccio con le orecchie da coniglio - mentre la schiena di Endeavor occupava metà dello sfondo.

Touya non era ancora riuscito a capire perché, ma Keigo sembrava volersi impegnare a far credere alle masse che quell’assurda storia che voleva lui e suo padre come amanti fosse vera. Di sicuro, la sua foto aveva fatto una valanga di like in una notte in cui tutti si sarebbero dovuti impegnare a fare altro, piuttosto che stare incollati davanti a uno schermo.

Tutti, tranne uno.

Sulle labbra di Touya comparve un sorrisetto da canaglia, poi uscì dal web per cercare nella rubrica il numero che gli serviva. Se la Commissione avesse saputo che trafficava con il cellulare di Keigo liberamente, senza nessuno che lo supervisionasse…

Una volta arrivato al contatto che stava cercando, premette sul nome per far partire la chiamata e si portò l’apparecchio all’orecchio.

Seguirono quattro squilli.

“Pronto, qui è Mirko che parla!” 

La voce allegra dell’esuberante coniglio bastò a far cantare vittoria al giovane Todoroki.

“Hawks, qui c’è un casino, parla più forte!” Aggiunse lei, anche se dall’altro lato della linea non era arrivata una parola.

“Rumi, non sono Keigo, sono Touya!” Rispose lui, a voce alta, scandendo ogni parola.

“Oh! Aspetta, te lo passo subito!”

Seguirono vari rumori e Touya poté udire chiaramente la musica assordante in sottofondo. L’Hero doveva aver organizzato una festa o esserne ospite.

Tenkoooooo~!

A Touya venne da ridere solo a immaginarselo in mezzo a tutto quel casino.

“È per te!” Lo informò Mirko.

L’altro non gli rispose immediatamente. Il giovane Todoroki sentì che si spostava, fino a che la musica non divenne un suono appena percettibile.

“Pronto?”

“Ehi, Boss…”

Tenko non reagì immediatamente nell’udire il suo vecchio nomignolo.

“Non chiamarmi più così,” lo avvertì. “Che cosa vuoi?”

“Sei stato tu a cercarmi per primo, un paio di giorni fa,” ribatté Touya, incrociando le gambe sulla poltrona girevole. 

“È stato dieci giorni fa,” puntualizzò Tenko. “Grazie per aver richiamato,” aggiunse, sarcastico.

“Oh, credimi, se possedessi un cellulare, ti manderei il buongiorno e la buona notte regolarmente.”

Tenko sospirò nel ricevitore.

“Sei da solo?”

“Al momento…”

“Puoi parlare?”

“Ti ho chiamato.”

Touya rimase in attesa, ma l’altro ci mise un po’ a riaprire bocca.

“Si supponeva che dovessimo distruggere questo mondo,” disse, alla fine, con una chiara nota dolente.

Anche se immaginava che l’argomento della loro conversazione sarebbe stato quello, gli angoli della bocca di Touya si abbassarono.

“Ti penti di non esserci riuscito?” Indagò.

“No, non si tratta di questo.”

“A parole tue, Tenko.”

“Non è un discorso così elaborato,” replicò il giovane che era stato Shigaraki Tomura. “Continuo solo a chiedermi come fai.”

“A vivere, intendi?” Domandò Touya.

Tenko esitò.

“È questa la risposta a tutto: vivere?” Sembrava lo stesse chiedendo più a se stesso che a quello che era stato il suo riluttante sottoposto.

“Ti deluderò, Tenko: non esiste una risposta a tutto. Per la cronaca, nemmeno la morte lo è.”

Per Dabi era stata solo la via d’uscita più semplice, l’unica che fosse riuscito a vedere.

“Allora dimmi la tua,” insistette Tenko. 

“Ah, no, non funziona così,” rispose Touya. 

“Grazie per nulla, addi-“

“Io ho cominciato con la mia famiglia,” aggiunse il Todoroki, prima che l’altro gli chiudesse in faccia. “Da mio fratello, per essere precisi… Il più piccolo. Il resto… Beh, è successo.”

“Anche tuo figlio è successo?”

“Ecco, quella è una lezione di vita che posso darti: se sei convinto che una cosa non possa succedere a te, stai pur tranquillo che ti accadrà.”

Touya poté vedere l’espressione basita di Tenko, pur senza averlo davanti.

“…Sei serio?”

“Beh, ho un bambino, perciò…”

“Sei sempre stato così stupido?”

“Almeno quanto te, Tenko. Non temere.”

“Vaffanculo…”

Touya non se la prese.

“Stai festeggiando capodanno, è già un passo in avanti.”

“Passo in avanti?!” Tenko sbuffò sonoramente. “Se è da quando siamo arrivati che ho un dissidio interiore tra ucciderli tutti o uccidermi.”

“Comprendo il sentimento…” Ammise Touya. 

“E…?”

“Niente, comprendo il sentimento e basta.”

“Vaffanculo davvero, Dabi.”

“Touya, grazie. Suvvia, Tenko, nessuno mi chiama più Dabi da quando ho fatto quello spettacolino per rivelarmi al mondo. Sei rimasto indietro di diverse puntate.”

“Ero svenuto, me lo sono risparmiato.” Tenko sospirò di nuovo. “Eri così dannatamente arrabbiato… Come diavolo hai fatto a fartela passare?”

Non era la prima volta che glielo chiedeva, ma fu la prima in cui Touya rispose: “non mi è passata,” ammise. “Non credo mi passerà mai.”

“Hai fatto un figlio con la spia governativa che hai quasi ammazzato, Touya.”

“Ho cercato di spiegarti di me e Keigo, ma sei stato il primo a dire che era troppo contorto per te.”

“È tutto troppo contorto!” Esclamò Tenko. “E non credo che nemmeno se mio padre tornasse in vita per chiedermi scusa, sarebbe più semplice!”

“Oh, no, non lo sarebbe,” concordò Touya. “Te lo dico per esperienza, non è dalle scuse di mio padre che sono ripartito. Per quelle era tardi.”

“E allora da cosa?”

“Te l’ho detto: mio fratello.”

“Come?” A Tenko servivano i dettagli. “Perché?”

Touya scrollò le spalle.

“Dirtelo non farebbe alcuna differenza,” disse. “È la mia storia, non la tua. È che… Anche se te lo dicessi non mi crederesti…”

“Provaci.”

“Basta una piccola cosa, Tenko,” sospirò Touya. “Una singola, piccola cosa…”

Per lui non era stata poi così piccola: Shouto era stato dato per disperso in missione, suo padre ne era uscito distrutto e Hawks lo aveva tirato fuori solo per aiutarlo a raccogliere i pezzi. 

Ma tutto bene quel che finisce bene.

Touya era divenuto l’eroe di Shouto e da lì, barcamenandosi, era uscito dal buio. Anche se l’oscurità, una volta toccata, non ti lasciava mai andare davvero.

Peccato che Tenko, probabilmente cresciuto in una cantina da All For One, non sapesse riconoscere un momento solenne, quando arrivava.

“Tipo cosa? Dammi un indizio!” Pretese.

Touya si abbandonò contro lo schienale della poltrona e allargò le braccia, esasperato oltre ogni limite per l’ottusità del suo interlocutore.

“Sei a una festa con Rumi, no?” Aveva smesso di provare a essere gentile. “È l’unica che, in un giorno in cui non aveva il dovere di farlo, si è presa la briga di portarti in giro. È una piccola cosa da cui cominciare!”

Ma Tenko aveva completamente perso il filo.

“Chi è Rumi? Perché Rumi dovrebbe essere la mia piccola cosa?”

Touya era a tanto così dal dare fuoco alla poltrona e a tutto l’ufficio per i nervi.

“Vedi di non farci un figlio con Mirko, va bene? Non ci serve un coniglio mannaro, metti già abbastanza paura tu!”

“Cos-“ A Tenko si accese la lampadina. “Mirko… Rumi… Ah, Rumi è il vero nome di Mirko!”

Ora era dannatamente chiaro perché non erano riusciti a distruggere il mondo, il coraggio degli Hero centrava ben poco.

“Buon Capodanno, Tenko.”

“Vai all’inferno, Touya.”

“È un buon augurio per me: all’inferno c’è tanto-“ il tuu-tun che Touya sentì nell’orecchio lo informò che l’altro aveva riattaccato “-fuoco.” 

Allontanò il cellulare dall’orecchio e controllò l’ora: 23:39

Quando lo schermo divenne nero, Touya lo lasciò sulla scrivania e si rilassò contro lo schienale della poltrona, gli occhi turchesi rivolti alla grande vetrata che dava sulla città. Non gli importava di viversi la mezzanotte in solitaria, ma qualche fuoco d’artificio voleva vederlo. 

Il click della maniglia che si abbassava lo colse di sorpresa e quando vide Keigo spingere il passeggino all’interno dell’ufficio, si alzò in piedi.

“Che cosa è successo?” Domandò.

L’Hero si premette l’indice contro le labbra e si chiuse la porta alle spalle con cautela.

“Si è addormentato,” disse, a voce bassissima.

S’incontrarono al centro della stanza. Keiji fu il primo a cui Touya rivolse tutta la sua attenzione: aveva ancora il cappuccio con le orecchie da coniglio tirato sulla testa, ma un ciuffetto di capelli rossi era visibile al centro della fronte; il ciuccio era ancora saldo tra le piccole rabbia, segno che si era addormentato da poco.

“Papà deve essere in lutto,” disse Touya, divertito. “L’ospite d’onore non si godrà il suo Capodanno a budget illimitato.”

“In effetti, mentre me ne andavo, era abbastanza imbronciato.” 

Keigo fu il primo a sedersi sul divano e Touya si accomodò accanto a lui.

“Di sicuro non ha un nipote festaiolo,” aggiunse l’Hero.

“Dovrebbe fargli piacere. È una cosa molto Todoroki.”

“Non so chi stia soffrendo di più tra tuo padre e Katsuki, qui sopra. Shouto è ancora sveglio per testardaggine, ma se gli parli, non ti risponde più.”

Touya emise uno sbuffo che era anche una risata. 

“E io che pensavo di sfruttare gli zii giovani per portare il moccioso a fare movida.”

“C‘è sempre Mirko,” propose Keigo. “Lei sarà ancora l’anima delle festa tra vent’anni, sono pronto a scommetterci.”

“Se Tenko non le attacca il suo malumore.”

“Sono insieme?”

“Oh, sì, a un party di fine anno con la musica techno e la gente sull’orlo del coma etilico. Se papà e Katsuki stanno soffrendo, Tenko sta meditando il suicidio.”

O l’omicidio. Touya decise di tenerselo per sé. Per quanto gli stesse antipatico, non ci teneva a vedere lo sgorbio trascinato di forza a Tartarus solo perché gli era sfuggita una stronzata.

“Siete diventati amici?” Domandò Keigo.

“Non saremo mai amici,” rispose Touya. “Ci siamo conosciuti nella stagione più buia delle nostre vite e siamo usciti vivi dal girone infernale più basso che possa esistere, tutto qui.”

“Beh… Le persone così o le scordi o le tieni nella tua vita per sempre. Non c’è una via di mezzo.”

“Temo che Tenko sarà sempre una comparsa speciale nella mia di vita.”

“Sai che cominci a parlare come Katsuki?”

Una simile blasfemia era sfuggita anche dalla bocca di Shouto. 

“Vacci piano con gli insulti,” lo avvertì Touya.

“Dai, quel ragazzino piace anche a te.”

“A me non piace nessuno, figurarsi se comincio da lui,” ribatté Touya. 

“Beh… L’Hero con cui sei scappato l’inverno scorso un po’ ti piaceva,” buttò lì Keigo, col tono più casuale che riuscì a simulare.

Suo malgrado, Touya sentì l’angolo destro della bocca sollevarsi.

“Davvero?” Fece il finto tonto. “Non ricordo… Non deve essere stato così memorabile.”

Non era vero, ricordava ogni momento. Era successo tutto alla fine dell’ennesima missione governativa, una di quelle per cui non era stato possibile un lieto fine, Keigo aveva trovato il proprio nome scritto addosso a Touya e tutti i pezzi erano caduti dolorosamente al loro posto. 

Era stata un’idea dell’Hero quella di scappare, di sparire dai radar per un po’ e di elaborare quella cosa - insieme a un sacco di faccende irrisolte che si erano lasciati alle spalle - a modo loro, senza nessuno intorno che potesse disturbarli. La Commissione non si era accorta della loro violazione, Endeavor sì, ma aveva retto il gioco, fino a che non era stato Touya stesso a chiamarlo per farsi venire a prendere.

L’estate dopo era nato Keiji.

“Ho incontrato mia madre,” disse Keigo, con lo stesso tono causale usato poco prima.

Touya divenne serio.

“Tua madre?” Domandò. “Quando?”

“Il giorno che tuo padre ha svaligiato il Toys Center.”

“Vive a Musutafu, ora?”

“Così pare…” 

“E che ci faceva in un negozio per bambini?”

“Sai il peluche di me stesso per cui mi hai giudicato aspramente? Era un suo regalo per Keiji. Avrebbe voluto darlo alla Commissione, ma ha incontrato me, perciò…” 

Keigo parlava con un sorriso appena accennato, una maschera che Touya aveva imparato a conoscere bene. Di norma, non avrebbe usato nessuna gentilezza per strappargliela di dosso, ma la circostanza non era ordinaria. Piegò la gamba sul divano, toccando il fianco dell’Hero col ginocchio.

Nessuno dei due era bravo a offrire conforto ma, quando serviva, ci provavano.

“Come ti senti?” Domandò il Todoroki.

“Non lo so,” ammise Keigo. 

“Keigo, so che hai preso una decisione prima che Keiji nascesse, ma so che è difficile essere definitivi con queste faccende e-“

“No, non la voglio nella vita di nostro figlio,” disse l’Hero. “Lei pensa che l'abbia avuto con una lei senza nome e va bene così, non mi fido che sappia altro. Anche se…”

“Anche se?” Incalzò Touya.

“Non sono sicuro di riuscire a spiegarlo.”

Il Todoroki ridacchiò.

“Il Number Two che non riesce a esprimersi. Non ci crede nessuno.”

“È contorto,” disse Keigo, appoggiando la nuca allo schienale del divano. “Dopo il mio incontro con lei, ho passato i giorni seguenti a riflettere su questa cosa del Natale, dell’impegno nel creare ricordi speciali per Keiji.”

“E?”

Keigo si voltò. Solo le luci all’esterno illuminavano il viso di Touya e, per un attimo, ricordò la prima volta che lo aveva guardato davvero, mentre un raggio di luna sembrava conferire a quegli occhi turchesi una luce tutta loro. Quante cose erano diverse: non c’erano più i capelli neri, le cicatrici e il divano su cui erano seduti non minacciava di farli finire per terra con ogni movimento brusco. 

“Sono certo che se avessi chiesto a mia madre del mio primo Natale, lei non avrebbe saputo come rispondermi,” disse. “E ho pensato come sarebbe stato offrire a mio figlio lo stesso silenzio. Credo di aver capito: Keiji non ricorderà nulla di questi giorni, ma noi sì. Nessuno ricorda l’inizio della propria storia, ci può solo essere raccontato. Non voglio che mio figlio soffra un simile vuoto.”

Touya sapeva che non era rimasto nulla dell’infanzia di Keigo, tranne un peluche usurato e un voluminoso dossier top secret. E, da quando era diventato padre, l’Hero non perdeva occasione per rubare uno scatto al loro bambino. Touya era certo che la galleria di Keigo fosse piena di foto con Keiji praticamente identiche le une con le altre, ma le teneva lì, ritenendole tutte preziose.

“No, Keiji non soffrirà un simile vuoto,” concordò.

Si scambiarono uno sguardo, poi Keigo gli sorrise - in modo sincero - e si mosse verso di lui per baciarlo.

Lo scoppio dei fuochi d’artificio lo bloccò.

Il cielo sopra la città si riempì in fretta di bagliori veloci, colorati.

“È mezzanotte…” Mormorò Touya, mentre sia lui che l’Hero assistevano allo spettacolo pirotecnico.

Keigo si distrasse in fretta, i suoi occhi dorati tornarono sul profilo del compagno e lì rimasero.

Alla fine, il Todoroki rispose al suo sguardo.

“Che cosa c’è?”

“Stavo pensando a chi ero prima di te.”

Poco amante delle uscite romantiche com’era, Touya commentò le sue parole alzando gli occhi al cielo.

Questo non impedì a Keigo di completare il suo pensiero: “sei la transizione più importante della mia vita.”

Era stato Todoroki Touya a ritrovare Keigo, quel bambino che si era perso tra le ombre della brillante era degli Hero. Quello stesso Todoroki Touya che era bravissimo a montare le proprie scene solenni e a smontare quelle degli altri.

“Hai sbagliato Todoroki, Keigo. Endeavor è quello più alto, più rosso e più vecchio.”

Ed era assolutamente insopportabile.

Keigo non gli rispose nemmeno, si avvicinò e si prese quel bacio. 




 

Every day, every hour, turn the pain into power

[“Superhero” - The Script]






 

 




 
   
 
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