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Autore: JohnHWatsonxx    08/01/2023    1 recensioni
Sherlock e John sono due ragazzi che abitano in un paese vicino al mare dove ogni inverno nevica, si conoscono dal primo giorno di liceo e sono cresciuti insieme fino a che la loro amicizia si è trasformata in qualcosa di più. Ma non esistono solo loro: esistono la paura e i pregiudizi, gli sguardi della gente, la rabbia e la famiglia. Tutte cose che si infilano tra loro allontanandoli. Ma il loro sentimento è così debole, oppure riusciranno a fregarsene?
[Ispirata al triangolo amoroso dell'album Folklore di Taylor Swift]
[Teenlock]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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August (Mary)
 
 
L’ho incontrato a fine luglio, in una strana giornata di pioggia e sole. Se solo credessi alle stelle, penserei che quello fosse il segnale del tipo di persona che lui era. Se solo avessi creduto alle stelle, avrei capito che lui sarebbe stato l’estate più bella e l’autunno più grigio. Ancora non so perché mi si sia avvicinato quel giorno, al centro commerciale, ma l’ha fatto con un bel sorriso e modi gentili, ed io ero disperatamente in cerca di qualcuno come lui accanto a me. Sarà per questo che fin da subito ho ignorato gli strani atteggiamenti che aveva quando eravamo insieme. Forse ero accecata da un forte sentimento che si è pericolosamente avvicinato all’amore, perché adesso riconosco che lui non è mai stato mio. Forse mai lo sarà, né mio, né di qualsiasi altra ragazza di questo paese e di questo mondo.
 
Io non avevo bisogno di niente oltre la sua compagnia: mi piaceva stargli accanto, sentirlo parlare, sentirlo ridere e farlo ridere. Mi ha sorriso una volta ed io ci sono cascata, come Alice nella tana del Bianconiglio. Il primo agosto mi ha portato al mare: il sole era stranamente cupo e il vento cercava quasi di soffiarci via, ma l’acqua era tiepida e calma, il sale sulla nostra pelle era piacevole e usavamo la sabbia per farci lo scrub. Adoravo i suoi capelli pieni di salsedine e la sua pelle lentigginosa, le spalle ampie e muscolose, il suo collo rigido su cui avrei voluto lasciare i miei baci. John era bello come il sole e prezioso come agate ed io volevo essere la sua terra, dove lui potesse riflettere la sua luce. Forse, per un po’, lo sono stata. Un mese o poco meno, il tempo che abbiamo trascorso insieme. Tempo di un agosto troppo veloce, scivolato via come un bicchiere di vino. A quel primo appuntamento al mare mi ha portato una margherita gialla, e mi ha detto che il colore gli ricordava quello dei miei capelli. Sono arrossita a quel complimento, ancor di più quando mi ha messo il fiore tra i capelli, in modo che si vedesse. Abbiamo parlato delle nostre famiglie, dei nostri sogni, del nostro futuro: più andava avanti la conversazione più le nostre vite si connettevano, più parlavamo al plurale, di dove andare al college, di quali ristoranti provare a Londra, di quali viaggi fare insieme. Era naturale immaginarci insieme dal primo momento, anche quando ancora non lo eravamo. Lo saremmo diventati quella sera stessa, ma ancora all’inizio non sapevamo niente. Siamo giovani, cosa mai vogliamo sapere noi delle nostre vite.
 
Quando la luna è comparsa ad est, John ha deciso di riaccompagnarmi a casa, anche contro la mia volontà. Volevo rimanere con lui ancora per qualche minuto, qualche ora, una vita intera magari, ma lui mi ha presa in braccio e portata in macchina. Sulla via del ritorno ha messo una compilation di canzoni d’amore: non l’ha detto, ma sono convinta che l’abbia creata per me. L’ho immaginato tutto il pomeriggio davanti al registratore a riavvolgere il nastro, a trovare l’ordine perfetto delle canzoni da imprimere sulla cassetta, magari fino a notte tarda, solo ed esclusivamente per passare venti minuti in auto con me. I finestrini abbassati ci hanno asciugato la pelle e i capelli; io lo guardavo ed era bellissimo, avrei voluto rimanere in quell’auto per sempre.
Mi ha aperto la portiera e ha camminato accanto a me fino al portico di casa. Lì, nascosti da un albero, mi ha dato un bacio che sapeva di mare, di speranza, di “ci vediamo domani”, e io gli ho risposto con la stessa emozione di quando è il tuo compleanno e tutte le persone a cui vuoi bene sono accanto a te. Eravamo semplicemente due adolescenti presi l’uno dall’altra: forse adesso dovrei dire che siamo stati due ragazzi in balìa di un sentimento passeggero, un’onda anomala che passa una volta e non torna mai più. In quel momento, però, avevo sperato durasse per sempre.
 
Anche da quel primo appuntamento John si comportava in modo strano: non mi guardava mai, non in viso almeno, ed io avevo semplicemente pensato che fosse timido, ma poi mi aveva dato quel bacio, e dopo quello altri, sempre più belli, sempre più intensi, sempre di sua iniziativa. Una persona timida non bacia come bacia lui, con le mani ad avvolgerti il corpo, le dita aperte per cercare di toccare più pelle possibile, con la testa leggermente inclinata a sinistra. Non parlava mai di sé, neanche per dirmi come stava, e io parlavo facendomi ascoltare da lui come se tutto quello che dicevo fosse oro. Mi lusingava, certo, ma adesso non so assolutamente niente di lui, neanche quando è il suo compleanno, qual è il suo colore preferito, con chi era stato prima di me. Sembrava come perso in sé stesso, in cerca di trovarsi ogni volta che stava con me: forse sperava che fossi la sua bussola, ma in realtà non ero niente se non un’ulteriore strada che non portava da nessuna parte. E infine era ansioso, ogni volta che ci vedevamo in un luogo pubblico: lo vedevo agitarsi sulla sedia della gelateria, guadandosi intorno ogni volta prima di allungare la mano o di darmi un qualsiasi segno di affetto; le sue gambe tremavano quando eravamo al parco a fare un picnic e le sue mani si contorcevano ogni volta che la spiaggia diventava un po’ affollata. Povera me che pensavo fosse timido.
 
Una volta ci ho anche provato, a chiedergli del suo passato, del mese di luglio, ma lui aveva liquidato il discorso diluendolo in parole dolci, ed io avevo voluto crederci, di essere stata la persona più importante della sua vita, colei che era riuscita a cambiare il vecchio lupo John Watson. Non posso incolparlo per questo, però. Non posso incolparlo per non essere riuscita io a vedere i suoi segnali, che mi dicevano di scappare via. Io lo dovevo capire, che c’era un’altra spiegazione ai suoi atteggiamenti, perché dopo aver scoperto la ragione di tutti quei comportamenti strani mi è stato lampante: io non ero l’unica, io ero l’altra. Io ero la crocerossina che avrebbe dovuto aggiustarlo ma non ha fatto altro che dargli la coltellata finale.
 
Nonostante il dolore, le lacrime, le urla di inizio settembre, non lo voglio odiare. Non posso dire di averlo amato ma posso dire che John Watson è stato il mese più bello della mia vita. Tornando dal mare, in uno dei nostri appuntamenti, guardandolo in controluce, ho provato la più totale felicità, senza ombre e senza inganni. Eravamo io e lui e il cielo e il mare. Nient’altro attorno a noi. Gli ho accarezzato il braccio che teneva il cambio e lui mi ha sorriso.

«Cosa vuoi fare?» mi ha chiesto.
«Voglio stare con te» gli ho risposto.
 
Si è girato a guardarmi per la prima volta, l’unica. Era il trentuno agosto. Ha intrecciato la sua mano con la mia e ha fatto una brusca inversione a u. Non mi sono preoccupata di dove stessimo andando, perché avevo già capito cosa sarebbe successo dopo. Ovunque sarebbe stato giusto con lui. Ha parcheggiato distante da tutto e tutti, e non appena il motore della macchina si è spento, mi sono seduta sulle sue gambe, allargando le mie così da poter stare più comoda. John mi avvolgeva, mi stringeva a sé come se volessi scappare, ringraziandomi di essere lì con lui attraverso baci e carezze, a cui io rispondevo allo stesso modo.
 
Mentre il suo nome diventava il mio mantra e i finestrini si appannavano, John non disse niente. Non un fiato uscì dalla sua bocca, e gli ansimi del sesso erano silenziosi come quelli di un morto. Ma tutto il resto, (ah, tutto il resto!) fu fuoco e fu passione, la notte più magica della mia vita. In quel momento, con le mie mani sul suo collo e le sue braccia attorno alla mia schiena, ho pensato che saremmo potuti durare, che quel calore estivo non si sarebbe mai più estinto perché io e lui gli avremmo dato abbastanza legna da sopravvivere all’inverno, ma non è stato così. Quella notte rimane nei miei ricordi, così come quel sentimento che non riesco più a provare per nessun altro. Io non lo biasimo, non lo voglio biasimare. Capisco quello che ha fatto e capisco perché lo ha fatto. Mi chiedo solo perché, per farlo, ha dovuto scegliere me? Perché, tra tutte, proprio io? Io, che sono rimasta scottata da quel fuoco e che, anche dopo essere stata allontanata, ho provato a riavvicinarmi. Aspettavo e aspettavo, per ore in quel centro commerciale, aspettando di vederlo entrare dalle porte di vetro. Speravo di incrociarlo in macchina e invitarlo a salire, anche solo per parlargli, ma non succedeva mai.
 
All’alba del primo settembre, sdraiati sui sedili posteriori della sua vecchia jeep, John ha infranto quel futuro fatto di promesse che mi ero immaginata.

«Mary» mi ha sussurrato per svegliarmi. Io, su di lui, ho alzato la testa dal suo petto e gli ho sorriso. I nostri vestiti erano persi per l’auto e l’unica cosa che ci copriva era l’intimo e una giacca militare.
«Mi dispiace» mi ha detto, quasi singhiozzando. Non capivo, o meglio fingevo di non capire. Mi sono allontanata da lui come se fosse improvvisamente diventato di ghiaccio, e mi sono seduta di fronte a lui.
«Di cosa ti dispiace, John?» gli ho chiesto, innocentemente. Nel frattempo tastavo qua e là cercando il mio top e la mia gonna.
 
Lui non mi guardava, teneva gli occhi bassi, e di tanto in tanto si passava i palmi delle mani sulle guance, come se volesse scavare via le lacrime.

«Mary, non voglio essere indelicato. Non voglio neanche illuderti, specie dopo la notte appena passata» ha esordito. Non gli ho risposto semplicemente perché già sapevo cosa sarebbe successo: è qualcosa che ho già visto prima di lui, solo che, con John, sembrava diverso. Tutto con lui è stato diverso.

«Io non voglio più stare con te. E credimi -si è abbassato fino a inchinarsi davanti alle mie gambe chiuse- credimi quando ti dico che tu non hai fatto niente, che è solo colpa mia, che sono io il pezzo di merda» sentivo le sue mani sulle ginocchia e quel contatto mi bruciava dentro. L’istinto di passargli una mano tra i capelli è stato fortissimo. C’è stato un minuto di silenzio, interrotto solo dai singhiozzi di John che si susseguivano intrattenuti.
«Credimi, Mary, se ti dico che il mio cervello è fallato, che ha un bug, che è stato costruito male»
«Perché dici questo?» sono state le prime parole che ho pronunciato da quando ha deciso di distruggermi il cuore.
 
«Perché io dovrei amare te, dovrei amarti, soprattutto dopo questa notte. E invece non provo niente» quel niente assoluto, che non prospettava spiragli ma solo porte chiuse. È stato quello a farmi crollare su di lui, piangendo come una bambina. Anzi, come una bambola, perché questo sono stata tra le sue mani. E nonostante tutto, io non riesco a incolparlo. Abbiamo pianto insieme fino a che il sole non è sorto su di noi, suggellando l’inizio di settembre e la fine della nostra fiamma estiva. John mi ha presa e il viso tra le sue mani, esattamente come aveva fatto altre volte in quel mese ma in modo talmente diverso allo stesso tempo. Mi ha accarezzato le tempie con i suoi polpastrelli ruvidi e mi ha avvicinato a sé per darmi un bacio in fronte, per rassicurarmi. Io sono una brava persona, vorrei crederci anche io come lo fa lui.
 
«Mi dispiace tantissimo» mi ha ripetuto. Ho annuito allontanandomi per l’ultima volta da lui, con la consapevolezza che non mi sarei mai più riavvicinata.
«Posso sapere solo, perché? Se non sono io, perché?» ora vorrei non saperlo, forse lo potrei odiare. Ma non posso odiare qualcuno a cui è stato vietato l’amore, a cui non è concesso di essere libero. Non posso proprio odiare John Watson, tutto ciò che posso fare è avere pietà della vita che ha, di quella che ha avuto, e forse di quella che avrà. Mi fa male pensare che, se io sono stata male per lui, lui stava male per sé stesso ed io questo non lo sapevo.
 
Adesso mi sono chiari i suoi atteggiamenti, la sua finta timidezza, la paura di essere visto da qualcuno ma non dalla sua famiglia. Mi guardo allo specchio e noto di star indossando gli stessi colori di quella notte, che forse mai si cancellerà dal mio subconscio e, forse, guiderà per sempre la mia vita.

Esco di casa e prendo l’auto, il freddo mi ghiaccia le ossa e congela il cervello, ma niente mi impedisce di andare a una festa, anche se non so chi l’abbia organizzata. Vado piano per via del ghiaccio e solo grazie a questo lo riesco a vedere, sul ciglio della carreggiata, camminare solo. Il mio cervello mi urla di non fermarmi, ma il mio povero cuore fregiato mi fa premere il piede sul freno. Abbasso il finestrino, John è davanti a me e mi guarda stupito.
 
«Sali, dai» gli dico. John mi sorride, esattamente come ha fatto ogni giorno per tutto agosto, ma poi scuote la testa.
«Non posso, Mary. Mi dispiace» esattamente come mesi fa, il rifiuto è lampante sul suo viso esattamente come il dolore è lampante sul mio. Annuisco e, alzando il finestrino, riparto.
 
John Watson, l’uomo che ha lasciato il segno. Il primo. L’unico.




NdA. come promesso, ecco il secondo capitolo! Qui la protagonista è una giovane Mary infatuata del nostro John, bloccata in un amore unidirezionale che l'ha bruciata (proprio come il sole d'agosto sotto al quale sono stati insieme). Ora la linea temporale si sta definendo, ma è con il prossimo (e ultimo) capitolo che tutta la storia verrà chiarita, perché a questi due punti di vista scollati manca quello di John, quello che unisce i puntini. Spero sia chiaro che Mary stia andando alla festa di Sherlock alla fine.
Ps. Mary non sa che la persona di cui John è innamorato è Sherlock, sa solo che è un uomo.
A domenica prossima con l'ultimo capitolo!
-A

 
   
 
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