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Autore: elenatmnt    11/01/2023    1 recensioni
Prendersi una boccata d'aria può essere d'aiuto, specialmente dopo una lite. Una serata iniziata male, poteva mai finire peggio?!
DAL TESTO:
Appurare due certezze.
La prima: un dolore atroce nell’ovunque.
La seconda: non sarebbe durato a lungo; lo avrebbero ucciso prima.
La terza… No, non ha dichiarato mentalmente una terza, ma in quel briciolo di lucidità apparente, sì, era certo ci fossero almeno altre dieci certezze. Data la situazione, era meglio non pensarci troppo a lungo.
Genere: Azione, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di quella che scrive:
 
Questa storia partecipa alla Challenge WhatsinTheStocking del Gruppo “NON SOLO SHERLOCK – gruppo eventi multifandom”.
Ammetto che è una storia un po’ diversa dal mio solito, sono stata abbastanza light questa volta hahahahah!! Se vi va di lasciare anche solo un piccolo commento ne sarò supermega felice!

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SALVATO DALLA LUCE
 

Appurare due certezze.
La prima: un dolore atroce nell’ovunque.
La seconda: non sarebbe durato a lungo; lo avrebbero ucciso prima.
La terza… No, non ha dichiarato mentalmente una terza, ma in quel briciolo di lucidità apparente, sì, era certo ci fossero almeno altre dieci certezze. Data la situazione, era meglio non pensarci troppo a lungo.
Tornare nel presente, il futuro stava diventando abbastanza un’incognita.
Concentrarsi e rimanere vigile.
Michelangelo ci stava provando, in fondo, il dolore era solo una questione mentale, quindi…
Ma dai, a chi voleva prendere in giro?! Una coscia sanguinante e una caviglia slogata non lasciavano barlumi di speranza ad abbandonare quel vicolo, non da solo almeno.
Lo avevano picchiato e poco ci mancava che lo avessero ucciso. Se non era il migliore dei ninja, almeno il vigliacco lo sapeva fare meglio: era scappato. Lesto. In velocità nessuno lo batteva.
Tuttavia, per quanto rapido, per quanto lontano, la velocità di una freccia scoccata per mano del nemico non la si batte. Quella stecca di legno adornata da una punta di metallo a forma di diamante, era stata l’ultimo regalo infame di quella caccia alla tartaruga durata tutta la notte.
Colpito di striscio.
Che fortuna! Direbbe Raffaello con una bella manciata di sarcasmo.
Era caduto.
Un colpo dietro l’altro aveva attutito (miracolosamente) il suo precipitare dal tetto di un palazzo. Prima una ringhiera, poi una serie di corde con i panni profumati appesi, ancora una ringhiera ed infine un ammasso di sacchi neri ricolmi di pattume di ogni genere. Puzzolenti ma morbidi.
Bislacca ironia della sorte.
Salvato dall’immondizia e nello stesso sudiciume si era creato un nascondiglio dai suoi inseguitori e silenzioso aveva sperato in un miracolo.
Una serie di pensieri e sensi di colpa si fecero strada nella sua mente; se solo fosse rimasto a casa, se solo non avesse avuto la brillante idea di andare a guardare le vetrine dei giocattoli, se solo avesse avvisato qualcuno della sua gita notturna… se solo non avesse litigato con Raph.
Irresponsabile.
Infantile.
I suoi fratelli avevano ragione.
Ora stava pagando le conseguenze delle proprie azioni.
 
***
Dove sei testa di guscio?
Correva Raffaello.
Più precisamente volava tra i tetti della città, in preda ad una corsa disperata alla ricerca del suo fratellino.
“Lo avete trovato?” Raph non si fermò mentre parlava al tarta-cellulare.
“Al cantiere abbandonato niente” era Leo.
“Nemmeno alla discarica” lì era andato Don.
“Maledizione! Vado a controllare il centro”.
“Raph non essere precipitoso. È quasi giorno, lì non ci puoi andare!”.
“Leo ha ragione, Raph. Siamo troppo esposti, dovremmo ritirarci e riorganizzare le ricerche”.
“Quale parte di ‘Michelangelo è scomparso’ non vi è chiara? Fanculo l’organizzazione! Voi andate a casa, io continuo a cercare nostro fratello!”.
“Raph…”.
 
Non vi furono altre parole, il focoso non voleva sentire altre scuse sciocche; Michelangelo era lì fuori da qualche parte e lo avrebbe ritrovato.
 
***
 
L’alba era sorta sulla città di New York.
La giovane tartaruga dagli occhi celesti, non era mai stato così felice di veder sorgere i primi raggi di sole; era con la luce che i ninja si dileguavano. Il buio era la loro casa, nel buio muovevano i loro passi furtivi e nel buio compivano i loro atti più abietti.
Se i suoi nemici lo stavano ancora inseguendo nell’ombra, di certo in quel momento non avrebbero più potuto.
La luce lo aveva salvato.
 
Michelangelo tirò il primo sospiro di sollievo, il primo e l’ultimo.
“Ca…volo…!” inveì nel vano tentativo di alzarsi. Sapeva che era un’idea sciocca sin dall’inizio, ma quando testardaggine e istinto di sopravvivenza ti bussano nella porta della mente, bhe non resta che aprire.
Si era slacciato la sua maschera arancione e l’aveva usata come laccio emostatico sulla coscia; non era abile nel primo soccorso, ma qualcosa da Donatello l’aveva imparata. Sperava così di guadagnare tempo.
Finita l’adrenalina, il freddo invernale si era ramificando sulle sue membra come erba cattiva e aveva raggiunto ogni estremità del suo corpo martoriato. Seduto a terra, in un angolo di un lercio vicolo della città, ricoperto di spazzatura, Michelangelo era certo che lì avrebbe trovato la sua fine.
Tirò fuori il suo tarta-cellulare, o quel che ne restava. Si era rotto. Se ancora poteva sperare di essere ritrovato dai suoi fratelli, quella speranza morì tra i resti di quel pezzo di ferraglia.
 
***
Mikey dove diavolo ti sei cacciato? Se volevi farmi spaventare ci sei riuscito!
L’attenzione non era mai troppa quando e se decideva di perlustrare il pieno centro della città: Time Square. Troppa gente, tanti rumori, centinaia di occhi, finestre di uffici non avevano una fine tra i grattacieli e sempre più complicate diventavano le distanze e le altezze.
Donatello e Leonardo avevano ragione. Stare lì era rischioso.
Raph si nascose sotto una cisterna d’acqua dei tanti palazzi e in quell’angolino d’ombra riorganizzò i suoi pensieri; il che divenne molto complicato nel momento in cui i sensi di colpa ebbero la meglio.
 
“Sei un maledetto idiota Michelangelo!”.
“Raph io… non l’ho fatto apposta”.
“Quando crescerai? Quando capirai che le tue cazzate ci faranno ammazzare?”.
“Io…”
“Sparisci Mickey. Ringrazia Don e Leo se non ti metto le mani addosso”.
 
Ora piangeva Raffaello. Non pensava veramente ciò che aveva detto; era la rabbia, lei la matrigna velenosa che lo assaliva e lo rendeva un mostro sbraitante. Michelangelo non meritava quelle parole, che tali ad un boomerang, tornarono indietro letali verso il mittente.
“Perdonami Mikey. Io… ti troverò”.
 
 
Un urlo.
Raffaello rizzò i suoi nervi e si mise in allerta. Se ci aveva sentito bene era una voce di donna. Ma no, non aveva tempo di fare l’eroe, doveva cercare Mickey. Qualsiasi fosse la natura di quel grido di terrore, non era la sua priorità.
Riuscì a contare mentalmente fino a nove per non intromettersi, al dieci le cose andarono diversamente da come la sua ragione gli implorò: si precipitò per intervenire e… Michelangelo!
Una donna aveva trovato quel ‘terrificante mostro verde’ tra i rifiuti ammassati nel vicolo.
 
Raffaello ringraziò il cielo, gli antenati e la sorte.
Lo aveva trovato, aveva trovato il suo amato fratellino.
Rapido si precipitò giù e poco ci fece caso di essere visto, voleva solo raggiungere Mikey e doveva farlo in fretta, le urla avrebbero attirato da un momento all’altro chiunque ci fosse nei paraggi.
Con un balzo si contrappose tra la donna, che pietrificata dalla paura nemmeno riuscì a muoversi, e Michelangelo. Era lì, vivo.
Ignorando l’unico essere umano, Raph gli corse incontro, scostò i sacchi neri e prese coscienza dei colori innaturali della pelle del fratello, sopra uno sfondo verde, il viola, il nero e il rosso macchiavano tremendamente la maggior parte del corpo del più giovane.
Con chi prendersela? Con chi vendicarsi? Con chi sfogare l’ira che nuovamente si stava impossessando di ogni fibra del suo corpo?
No Raffaello, non ora. Non questo.
 
Razionalizzò, contro ogni previsione, contro sé stesso, riuscì a farlo.
 
“Ra…”.
“Sono qui Mikey, sono io. Andiamo a casa”.
Lo tirò verso di sé, se lo caricò sulle spalle e con ardua impresa ignorò i grugniti di dolore uscire dalle labbra di Michelangelo.
Non era tempo di recriminare, era tempo di tornare a casa.
 
***
Le luci del laboratorio erano fastidiose, da sempre. Troppo forti. Come facesse Donatello a sopportarle era un mistero. Figurarsi come potevano diventare irritanti dopo essersi svegliati da un sonnellino.
Domanda fondamentale: cosa ci faceva in laboratorio?
Il tatto delicato di qualcuno gli stringeva la mano le fece sentire protetto, nell’immediato non capì a chi appartenesse, semplicemente si crogiolò nel gesto e lo ricambiò nel limite delle sue forze. E al passare dei secondi riconobbe il tocco di suo padre.
Michelangelo riaprì lentamente gli occhi, batté più volte le palpebre per abituarsi ai fasci di luce bianca; poi sentì una voce, dapprima lontana poi sempre più limpida.
“…iche…gelo… ve…glia…ti…”.
“Mmm…”.
“Fi…glio mio…”.
“Mmm…”.
“Mikey… apri… gli…occhi…”.
“R..Ra…”.
“No Mikey. Sono Don”.
Dopo una manciata di minuti, Michelangelo riuscì a mettere a fuoco il dove, il perché e il come si trovasse a casa, al sicuro con la sua famiglia.
“Senti dolore Mickey?”.
“No… solo… stanco”.
“È del tutto normale, Mickey. Non eri conciato bene”.
Ora metteva a fuoco gli occhi castani del suo fratellone in viola che attento lo scrutava alla ricerca di qualsiasi cosa potesse essere motivo di indagine.
“Quanto ho… dormito?”.
“Circa un giorno”, quella era la voce di Leo. Il minore incrociò anche il suo sguardo e gli sorrise. “Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?”.
Retorica o meno, Michelangelo non rispose, i suoi occhi celesti erano attratti da qualcos’altro; erano alla ricerca di qualcuno che non vedeva.
“Figlio mio è tutto finito. Ora sei al sicuro”.
“Pa…”.
“Non sforzarti figliolo, devi riposare”.
“Ra…ph…?”.
 
Non c’era.
Tutti si guardarono tra loro non riuscendo a dare una spiegazione logica per l’assenza di Raffaello. Tuttavia, chi aveva le parole giuste era sempre il loro amato Sensei.
“Tuo fratello era molto provato per quanto accaduto. Aveva bisogno di stare da solo. Sono certo che comprenderai”.
 
Michelangelo comprendeva? Si certo.
Ma il desiderio di averlo vicino era più forte di qualsiasi altra cosa, lo voleva lì con lui, non tutto solo chissà dove.
 
“Papà… mi dispiace. Se non fossi stato così stupido… io… non…” Michelangelo pianse davanti a tutti e mentre stavano per abbracciarlo, una voce riecheggiò per la stanza.
“No, Mickey. Non sei stupido, io lo sono e ti devo delle scuse. Le devo a tutti voi”.
Tutti si voltarono in direzione di Raph che timido aveva parlato sulla soglia del laboratorio; non sarebbe rimasto lì tanto a lungo, doveva affrontare Mickey, glielo doveva.
Preso posto di fianco al più giovane, rimasto in piedi accanto al letto, rigido come non lo era mai stato, Raffaello ebbe il coraggio di affrontare gli occhi celesti del suo fratellino.
“Ti chiedo scusa Mikey se ti ho mancato di rispetto, se ti ho addossato colpe non tue”.
“Smettila Raph. Non ricordo nemmeno a cosa ti riferisci” mentì, e il rosso lo sapeva, tutti lo sapevano.
“Mikey sul serio, mi dispiace. Perdonatemi, se potete”.
 
Un lieve silenzio misto tra mortificazione e imbarazzo avvolse la famigliola raccolta intorno a Michelangelo e fu lui stesso a porre fine a quella tensione.
“Lo sai Raph? Di tuo sei brutto, quel muso lungo non ti aiuta di certo” scherzò ammiccando al fratellone.
 
Manifestazioni d’affetto? No di certo. Smancerie di qualsiasi tipo? Assolutamente no.
E allora qual era la più grande dimostrazione d’amore per uno scorbutico, burbero, rude e brontolone come Raph?
“Vieni fuori da quel letto e ti faccio vedere io chi è brutto, testa di guscio!”.
 
   
 
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