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Autore: Rox008    26/01/2023    2 recensioni
Basato su due prompt della challenge indetta dal server discord "221B Baker Street [Sherlock]"
• "It’s what people do, don’t they – leave a note?"
John can't stop to think about those words. Sherlock was never one of those people who said something for no specific reason. Every single word he said was carefully thought out and chosen. John is sure that even that phrase has mean something. And that’s why John starts looking for a possible note left by Sherlock. (May or may not find it)
• Lazarus
"Just before Sherlock's fake suicide, he and Molly are planning how to make it happen, the different possible plans, what to do next and whether they should tell John everything. Molly thinks John had better know the truth because otherwise he'd be in a lot of pain, and Mycroft (who obviously knows what's going on and comes immediately) would prefer John to go with him, but Sherlock thinks it's too dangerous, so they ultimately decide to hide the truth to John. "
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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"È così che fanno le persone, lasciano un biglietto. Addio John”
Queste erano state le ultime parole di Sherlock Holmes, al telefono con il suo migliore amico, John Watson, prima di buttarsi dal tetto del Saint Bart’s.
John le aveva ignorate inizialmente, minuscole e senza importanza in confronto all’immagine del corpo di Sherlock ormai privo di vita che macchiava di sangue il marciapiede, finché la signora Hudson, due mesi dopo il funerale, mentre prendevano il the come ogni pomeriggio e lei tra le lacrime ricordava Sherlock, non disse:
<< E diceva tutte quelle frasi strane che assumevano un senso solo dopo che aveva risolto il caso! >>
 
Qualcosa in quelle parole aveva richiamato alla mente di John le ultime parole dette da Sherlock.
 
Il primo giorno John aveva continuato come nulla fosse la sua nuova vita senza Sherlock (se poteva essere definita “vita” quella in cui lui passava dallo stare seduto sulla poltrona, all’andare al parco, al prendere un caffè in qualche bar per poi tornare nuovamente a sedersi sulla poltrona).
 
Il secondo giorno si era seduto alla scrivania, aveva scritto quelle frasi su un foglio bianco, e le aveva rilette per mezz’ora, sperando che gli venisse una qualche idea in mente.
 
Il terzo giorno aveva chiamato Greg Lestrade e lo aveva invitato per un the.
 
Il DI era entrato nell’appartamento guardandosi attorno, come se fosse la prima volta che vedesse quella casa, ed in effetti, realizzò John, era la prima volta che vedeva quella casa senza Sherlock.
<< Ciao John, come stai? >> chiese mentre si sedeva sul divano.
<< Mmh, bene, si. Bene. >> aveva risposto l’ex soldato mentre cercava di non immaginare Sherlock fare il broncio su quello stesso divano.
<< Sicuro? >>
<< Si. Sto bene. E tu invece? >>
<< Io sarò sincero, >> John ignorò volutamente l’enfasi sulla parola “io” << non sto bene. Se è successo quel che è successo, una parte di colpa è anche mia, di Donovan e di Anderson. A proposito, Philip mi sta facendo impazzire, ha iniziato a portarmi indizi assurdi che secondo lui dimostrano che Sherlock è ancora vivo da qualche parte. >>
<< Digli che io stesso l’ho visto cadere giù dal tetto, ho visto il suo cranio fratturato, il suo sangue sul marciapiede e, soprattutto, ho sentito il suo polso privo di battiti. Per quanto vorrei così follemente e fortemente che lui sia ancora vivo, solo un miracolo potrebbe realizzare questo mio desiderio. Solo un miracolo. >> aveva sbottato John, irritato anche solo di sentire nominare Donovan e Anderson.
<< Lo so. E mi dispiace, mi dispiace immensamente John, davvero. >>
<< Preparo il the. >> disse, più bruscamente di quanto avesse intenzione.
 
Dopodiché gli unici suoni udibili erano quelli di John che poggiava con ben poca delicatezza la teiera sul fornello e le tazze su un vassoio, la signora Hudson che passava l’aspirapolvere al piano di sotto e le macchine che passavano nella strada.
Quando però i due uomini ebbero le loro tazze di the tra le mani, la tensione nella stanza sembrò alleggerirsi e chiacchierarono del più e del meno, finché John non trovò il momento giusto per spiegare il motivo principale per cui aveva invitato Lestrade quel giorno.
<< Volevo dirti che capisco perché hai dubitato di Sherlock. Tutte le prove erano contro di lui, e sono sorpreso di non averci creduto persino io. Lo capisco e ti perdono, anche se preferirei non sentire nominare Donovan e Anderson per un po’. >>
<< Grazie John, lo apprezzo molto. >>
<< Io e te siamo tra le pochissime persone ad averlo conosciuto davvero, e per questo penso che capirai ciò che ti sto per dire. Il mio è solo un dubbio, un pensiero che non riesco proprio a levarmi dalla testa. >>
<< Di che si tratta? >>
John aveva raccontato al detective delle ultime parole di Sherlock, e della conversazione avuta con la signora Hudson, per poi esporgli la sua teoria.
<< E se Sherlock avesse lasciato un biglietto da qualche parte? >>
<< Un biglietto? >>
<< Si. Su cui magari aveva scritto le sue ultime volontà e pensieri, come un testamento. >>
<< Ma non avete già trovato e letto il suo testamento? Credevo addirittura che tu avessi ereditato qualcosa. >>
<< Si, abbiamo letto il suo testamento e ha lasciato praticamente tutto il suo patrimonio a me. Era più ricco di quanto sembrasse, solo che i suoi conti erano controllati da Mycroft per evitare che li usasse per possibili ricadute. Comunque, io non stavo pensando ad un testamento vero e proprio riguardante le ultime volontà, quanto ad uno in cui ci dicesse qualcosa che magari non ha potuto o voluto dire prima. Magari semplici pensieri. >>
Lestrade si grattò la testa pensieroso.
<< Non so John, per quanto sia vero che lui non dicesse mai cose a caso, non riesco proprio a pensare a cosa potrebbe aver nasc... Oh mio Dio, invece sì! >> esclamò alzandosi improvvisamente in piedi e ridacchiando.
<< Davvero? Cosa? >> domandò John spalancando gli occhi.
<< Oh beh... Non posso dirti a cosa sto pensando, però si, forse c’è qualcosa che potrebbe aver non detto prima. Dovremmo iniziare a cercare! >>
<< Dovremmo? Mi aiuterai? >>
<< Certo! Inizieremo domani, proprio da qui!  >>
 
Fu così che il quarto giorno John e Lestrade iniziarono le ricerche.
Misero a soqquadro l’intero appartamento, rovistando tra i fogli sparsi in salotto, le lettere infilzate dal coltello sul camino, gli scomparti del frigo, i cassetti della cucina, cercarono perfino nella stanza di John, e poi si fermarono davanti alla porta della camera di letto di Sherlock.
<< È rimasta solo questa stanza. >> sussurrò Lestrade.
Si guardarono negli occhi per un minuto o due, per poi annuire in contemporanea.
John fece un passo in avanti.
E un altro.
E un altro ancora.
Allungò la mano verso la maniglia.
La strinse, e...
<< Scusa se la disturbo John, volevo portarle questi biscotti appena sfornati! >> esclamò la signora Hudson entrando nell’appartamento, prima di notare dove si trovasse John e, soprattutto, con chi.
Posò delicatamente il vassoio con i biscotti su una sedia vicina, si avvicinò lentamente all’ispettore, lo guardò fisso negli occhi, e lo abbracciò.
Nessuno osò dire nulla.
 
Lestrade e la signora Hudson non si parlavano da quando lui era venuto per chiedere a Sherlock di seguirlo in centrale. Durante il funerale, il DI aveva incrociato lo sguardo dell’anziana donna spesso, ma aveva poi guardato rapidamente altrove, sentendosi responsabile del dolore che lei stava provando.
Quando John l’aveva invitato a casa sua la sera prima, era riuscito ad evitarla e sperava di fare lo stesso quel giorno, temendo che se si fossero incontrati la donna lo avrebbe come minimo buttato fuori casa, magari dopo averlo anche schiaffeggiato.
Non si aspettava di certo quell’abbraccio, né le lacrime che sentiva inzuppargli la spalla dove si era appoggiata la signora Hudson. Sentì i suoi stessi occhi iniziare a lacrimare.
<< Credeva che l’avrei odiata, vero ispettore? >> gli chiese.
<< Ne avrebbe tutto il diritto. >>
<< Non dev’essere stato facile neanche per lei. Era suo amico, lei aveva bisogno di Sherlock non solo per i casi ma anche perché si era affezionato al mio ragazzo, per questo faceva spesso quelle retate antidroga. Non avrebbe mai voluto che lui... facesse quello che ha fatto. E non credeva davvero a quelle cattiverie che sono state dette su di lui. Come potrei odiarla? >>
 
John, rimasto a osservare la scena, si commosse.
Sherlock aveva unito persone assolutamente diverse tra loro, con diversi stili di vita, diversi trascorsi, diversi caratteri; aveva dato loro una nuova vita, nuovi obiettivi, nuove esperienze, nuovi legami; aveva aiutato così tante persone, aveva donato loro un lato sempre diverso di sé stesso, era stato ciò di cui avevano bisogno senza che neanche loro se ne accorgessero.
E probabilmente neanche lui se n’era neanche accorto.
Lui, che notava ogni singolo particolare di una persona, che era in grado di raccontarti la tua vita solo sfiorandoti con uno sguardo, non aveva mai notato quanto fosse amato e quanto bene avesse fatto agli altri. Aveva notato solo chi lo derideva, chi lo chiamava mostro, chi sparava giudizi su di lui senza davvero conoscerlo, rimanendone ferito ma cercando di non farlo mai vedere.
Eppure, John lo aveva notato e aveva cercato a modo suo di consolarlo nei giorni peggiori, facendogli trovare casualmente i suoi biscotti preferiti sul tavolo, ordinando del dim sum per lui, o portandolo a sorpresa da Angelo’s (ovviamente senza mai parlarne dato che erano entrambi emotivamente stitici).
Adesso John si pentiva di non avergli mai detto quanto bene avesse fatto, prima di tutto a lui stesso e poi a chiunque avesse incrociato la loro strada, si pentiva di non avergli mai detto che, nonostante si autoproclamasse “sociopatico iperattivo” e parlasse di sé stesso come se non fosse umano, era l’essere umano più... umano che John avesse mai incontrato.
 
Mentre John era assorbito nei suoi pensieri, Lestrade e la signora Hudson si erano spostati sul divano in salotto a bere del thè.
Guardò un’ultima volta la porta della stanza di Sherlock e sfiorò la maniglia, ma poi si fermò e decise di raggiungere l’ispettore e la padrona di casa.
<< Cosa stavate facendo quando sono arrivata? >> chiese la donna.
Lestrade e John si guardarono, per cercare l’approvazione dell’altro a raccontarle della loro ricerca, e quando la trovarono le spiegarono tutto.
Inizialmente lei corrugò la fronte e batté le palpebre perplessa, poi sgranò gli occhi e prese un respiro.
<< Ho una mezza idea di cosa avrebbe voluto dire prima ma che non ha detto. >> e guardò l’ispettore ridacchiando con fare complice.
John alzò gli occhi al cielo e si rassegnò all’idea di essere, per l’ennesima volta, l’unico a non capire cosa stesse accadendo, e per un attimo fu come quando risolveva ancora casi con Sherlock.
Continuarono a chiacchierare fino a sera, spaziando tra gli aneddoti sul consulente investigativo all’attualità, e decisero che le ricerche sarebbero proseguite il giorno dopo.
John notò però una lieve rigidità alle spalle della signora Hudson.
“Un mistero alla volta” pensò.
 
Il quinto giorno John, Lestrade e la signora Hudson erano davanti alla porta della camera di Sherlock, fissando la maniglia.
<< Chi la apre? >> chiese Lestrade.
<< Vuol farlo Lei, signora Hudson? >>
<< Oh no John, penso sia meglio che lo faccia lei. >>
John annuì bruscamente, raddrizzò la schiena e si avvicinò deciso alla porta, dimostrandosi inconsciamente il soldato che era stato.
Tutti e tre trattennero il respiro mentre apriva la porta.
 
La stanza era esattamente come l’aveva lasciata Sherlock quel terribile giorno di quasi due mesi prima .
Il letto era sfatto, un’anta dell’armadio era aperta e lasciava intravedere delle camicie perfettamente stirate e ordinate secondo la gradazione di colore (John intravide quella viola, che tanto gli piaceva su Sherlock), i libri leggermente illuminati nella libreria e il lettore CD con ancora cinque dischi all’interno (John si era sempre chiesto se Sherlock li avesse mai ascoltati).
 
La signora Hudson prese un fazzoletto e si asciugò gli occhi lacrimanti, Lestrade allentò la cravatta e John sentì, dopo tantissimo tempo, la mancanza del suo bastone a cui appoggiarsi.
Si guardarono tra loro, cercando negli occhi dell’altro il coraggio di entrare effettivamente nella stanza.
<< Non ce la faccio, mi dispiace! >> si arrese la signora Hudson piangendo sempre di più << Vi aspetto nel soggiorno e se avete qualsiasi domanda da farmi chiedetemi pure, ma non riesco ad entrare là dentro! È come se non se ne fosse mai andato! >>
E lentamente si allontanò.
Lestrade e John invece fecero appello ad una forza che però non sentivano di avere, ed entrarono nella stanza.
 
Quasi con reverenza aprirono i cassetti e spostarono con cura gli oggetti all’interno, per poi rimetterli esattamente come li avevano trovati, stando attenti persino all’indice dei calzini.
Guardarono nelle tasche delle giacche e dei pantaloni.
Si accovacciarono a terra per controllare se sotto il letto ci fosse qualcosa, e addirittura sotto il materasso.
John si armò di coraggio e alzò persino le lenzuola (facendo fluttuare nell’aria la polvere, che illuminata dai raggi di sole sembrava dorata) e i cuscini, e rabbrividì nel sentire il profumo di Sherlock diffondersi nell’aria dopo così tanto tempo.
Staccarono i quadri per osservare se sul retro ci fosse qualcosa, dove trovarono solo degli appunti dietro il disegno anatomico dell’ape (fu comunque emozionante rivedere la grafia elegante di Sherlock).  
Le ricerche proseguirono per oltre un’ora, ma alla fine non portarono a niente.
 
John sentì lentamente la speranza diminuire, e Lestrade sembrava diventare sempre più cupo.
 << Non c’è nulla qui dentro. Né nel resto dell’appartamento. Niente di niente. >> sospirò il DI.
I due uomini, sconfitti, tornarono in soggiorno e scossero la testa per rispondere allo sguardo interrogativo e speranzoso della signora Hudson.
<< Preparo del thè >> borbottò John andando verso la cucina.
Messa l’acqua sul fuoco, si sedette su una sedia, si prese la testa tra le mani e pianse silenziosamente.
 
Trovare il biglietto di Sherlock (e non un biglietto qualsiasi, ma il suo ultimo biglietto) avrebbe significato avere, dopo tanto tempo, di nuovo una parte del detective con sé, e magari anche delle risposte ai tanti enigmi che gli ruotavano intorno.
John aveva visto, in quell’ultimo biglietto lasciato da Sherlock, la possibilità di avere un lieve sollievo dal dolore che provava da quando aveva visto il suo migliore amico lanciarsi giù dal tetto del St. Bart’s.
Da quel giorno John si era sentito intrappolato in un incubo senza fine, costretto a vagare in un mondo che per lui aveva perso ogni attrattiva, tutto sembrava grigio, inodore, insapore.
In questo mondo senza Sherlock, non c’era posto per John.
Con Sherlock, era morto un po’ anche John.
Incontrarlo era stato l’evento più bello ed emozionante della sua vita, il loro rapporto era il più forte e vero per John e non c’era (e forse non ci sarebbe mai stato) nessun altro più importante di Sherlock nella sua vita.
 
Non aveva mai capito se anche per Sherlock il loro tempo insieme aveva significato qualcosa, sperava di sì e aveva sognato che un giorno Sherlock gli dicesse quanto il dottore fosse importante per lui e quanto gli volesse bene.
Quando vide Sherlock schiantarsi contro quel marciapiede, il suo sangue scorrere, il polso assente, capì che quel giorno non sarebbe mai arrivato e, nei momenti di particolare tristezza, si diceva che probabilmente lui non era così importante per il detective, se aveva deciso di abbandonarlo così, persino davanti ai suoi occhi.
 
John sarebbe stato poco onesto se non avesse sperato di leggere, in quell’ultimo biglietto di Sherlock, qualcosa che smettesse di fargli avere questi pensieri così cupi, sarebbe bastata una sola frase per mettere a tacere le sue paure.
E adesso quella piccola speranza si era spenta, e John si sentiva, se possibile, ancora peggio rispetto a prima che iniziassero le ricerche.
 
L’acqua ormai bolliva da diversi minuti, ma John non aveva voglia neanche di fare quel piccolo passo per avvicinarsi e spostarla dal fuoco.
Lestrade si avvicinò e la spostò senza fiatare, e poi gli preparò una tazza di thè.
John la ignorò e lasciò la cucina in silenzio per tornare nella stanza di Sherlock, si sedette sul letto e osservò nuovamente la stanza, desiderando di riuscire a individuare i piccoli dettagli come faceva Sherlock.
<< Vedi ma non osservi, John >> mormorava a sé stesso << Vedi ma non osservi. >>
Il suo sguardo cadde sul mezzo busto di Goethe, contenuto all’interno della teca di vetro.
Che era posizionato in un punto diverso dal solito.
<< Greg! >> urlò.
L’ispettore arrivò correndo e trovò John con in una mano il mezzo busto di Goethe e nell’altra un foglietto bianco.
I due uomini si abbracciarono con le lacrime agli occhi, per poi correre verso la signora Hudson.
Si guardarono tra di loro felici, mettendosi a cerchio spalla con spalla.
John teneva il foglietto tra di loro, ancora chiuso.
Lo aprì con mani tremanti, lesse ciò che c’era scritto e… corrugò la fronte.
<< “Sissons”. Cosa significa? >> chiese il dottore.
<< Forse intendeva “Sissonne”, un passo della danza classica. O “Soissons”, una città francese in cui la mia ex mia moglie voleva andare in vacanza. >> azzardò Lestrade grattandosi la testa confuso.
<< So io cos’è. >> disse la signora Hudson. << È il mio cognome da nubile. Ed una parola in codice. >>
Mentre parlava, uscì dalla tasca una chiave e fece segno a John e Lestrade di sedersi.
 
<< Vedete, il 221b di Baker Street non è stato l’unico appartamento che ho proposto a Sherlock; c’era un altro appartamento, non molto distante da qui, che gli avevo fatto vedere, ma lo rifiutò, preferendo questo appartamento. Una sera però venne da me, sembrava davvero agitato, così… diverso dal suo solito sé, che per un attimo temetti che fosse ricaduto in quella sua brutta abitudine. Voleva sapere se quell’appartamento fosse ancora disponibile, e se potessi affittarlo a lui; io gli risposi che per me non c’era problema, ma che probabilmente John avrebbe voluto vederlo prima di trasferirvi, e lui diventò così terribilmente serio e deciso mentre mi diceva che lei non avrebbe mai dovuto sapere di quell’appartamento, né nessun altro. Doveva essere un segreto assoluto tra me e lui, mi fece persino giurare di non farne parola con nessuno, e se mai ci fosse stato bisogno di rivelare quel posto, mi avrebbe detto o scritto quella parola in codice. >> accarezzò il biglietto ora tra le sue mani. << Mi informò anche che avrebbe fatto dei lavori di ristrutturazione lì, ma che sarebbero stati interamente a sue spese e io non avrei potuto né vedere né sapere in cosa consistessero; avrei dovuto dimenticarmi completamente di quel posto. Ho costudito questo segreto finora perché vidi nei suoi occhi un’emozione che non avrei mai creduto possibile: il terrore. Autentico, assoluto terrore. Ci tengo a specificarvi un particolare: la sera in cui venne da me, era quella subito dopo aver incontrato Moriarty in quella piscina. Lei, Lestrade, era andato via da un’ora scarsa e lei, John, era da poco andato a letto. Io stavo entrando nel mio appartamento quando lui mi ha raggiunto. >>
<< Sicuramente ha nascosto qualcosa lì. Qualcosa di molto importante. >> disse Lestrade.
<< Andiamo. >> affermò John alzandosi e posando le tazze da the nel lavabo. << Dove si trova questo appartamento? >>
<< A Crestfield. >>
 
Il viaggio verso il misterioso appartamento fu molto silenzioso, e Lestrade mentre guidava ogni tanto osservava John.
<< Lo sai che se non ti ha detto niente è stato probabilmente per la tua stessa sicurezza, vero? >> gli chiese il DI.
<< O perché non si fidava abbastanza di me? >>
<< John, non dica stupidaggini! >> sbottò la signora Hudson << Sherlock si fidava ciecamente di lei, e anche solo insinuare il contrario è un insulto alla sua memoria e al vostro rapporto! >>
John si limitò a guardare fuori dal finestrino, senza rispondere.
 
Arrivati a Crestfield, trovarono un’elegante macchina nera parcheggiata di fronte all’appartamento.
John non parlava con Mycroft da quel lontano giorno al Diogenes Club, e avrebbe voluto continuare a non parlargli, ma l’uomo si era messo proprio di fronte alla porta.
<< Dottor Watson, Ispettore Lestrade, Signora Hudson, buongiorno. >>
<< Spostati. >>
<< John, lo so che non vuole vedermi… >>
<< Quindi perché sei qui? >>
<< Perché la signora Hudson ha la chiave del portone d’ingresso, ma io ho tutte le altre. >> rispose mostrando un mazzo di chiavi.
John lo guardò corrugando la fronte, per poi sorridere amaramente.
<< Ovviamente tu sapevi di questo appartamento. >>
<< Sherlock mi chiese di fare i lavori di ristrutturazione e di sorvegliarlo. >>
<< E tu, da bravo fratello maggiore, hai aiutato il tuo fratellino. Se però hai fatto come l’ultima volta, credo che potremmo trovare dentro qualche pazzo omicida a cui hai consentito l’accesso qui in cambio di informazioni. >>
<< No, ho seguito esattamente le sue direttive, e sarà sorpreso di sapere che per la prima volta dopo anni concordammo entrambi che era una buona decisione la sua. Questo appartamento è un rifugio fatto per lei, la signora Hudson e Lestrade. >>
<< Un rifugio? >> chiese l’ispettore.
<< Si, un rifugio. Questo appartamento resisterebbe persino ad un’esplosione, ha sistemi di sicurezza sofisticati e ho fatto in modo che nessuno potesse collegare questo indirizzo a Sherlock, a voi o addirittura a me. Capirete tutto una volta dentro. >>
Aperto il portone d’ingresso, si ritrovarono davanti delle scale che portavano a piani inferiori e piani superiori, e loro presero quelle che andavano verso il basso.
Camminarono poi lungo un elegante corridoio con la carta da parati turchese e dei mobili antichi, per poi fermarsi di fronte ad una grande porta in metallo. La signora Hudson inserì una delle chiavi presenti nel mazzo, ma non si trovò davanti l’appartamento che conosceva, bensì ad un piccolo disimpegno, con un’altra porta in metallo frontale.
<< Questo è il primo confine. Dobbiamo metterci al centro della stanza, ed una telecamera provvederà a identificarci. >> spiegò Mycroft
I quattro si avvicinarono e un fascio rosso li scannerizzò, mentre una voce robotica risuonava nella stanza.
 << Benvenuta signora Martha Louise Hudson. Benvenuto Greg Lestrade. Benvenuto John Hamish Watson. Benvenuto Mycroft Holmes. >>
<< Hamish?! >> chiese sorpreso Lestrade.
<< Lascia stare, odio quel nome. >>
La porta in metallo si aprì per farli accedere alla stanza successiva, ma non appena misero un piede dentro una sirena iniziò a suonare.
<< Oddio mio, la faccia smettere! >> gridò la signora Hudson.
<< Vede quel tastierino alla sua destra? Deve inserire la parola d’ordine! Deve farlo lei signora Hudson, o John, o Lestrade, a nessun altro è concesso. O meglio, anche Sherlock ne avrebbe l’accesso, ma non è qui. >> spiegò Mycroft, ignorando l’occhiata tagliente di John.
Lestrade, che era il più vicino, inserì velocemente il codice e la sirena si spense.
<< Oh grazie al cielo! >>
<< Adesso aprirò quell’altra porta, suonerà un’altra sirena ma stavolta la stanza sarà completamente buia, dovrete contare 3 passi in avanti e 5 a sinistra per arrivare al tastierino successivo e inserire l’anno di nascita di ognuno di voi, più la parola in codice. Anche in questo caso, solo uno di voi può farlo. >>
Superato anche l’ultimo sistema di sicurezza, il piccolo gruppo finalmente poté entrare nell’appartamento vero e proprio, che lasciò la signora Hudson, John e Lestrade a bocca aperta.
<< È un’esatta riproduzione del 221B di Baker Street! >>
<< Quasi: del 221B c’è il salotto, la stanza di Sherlock e la cucina, quella libreria è in realtà una porta che nasconde un corridoio da cui si accede alle altre stanze da letto, uguali a quelle di casa vostra, una stanza uguale al soggiorno di casa Lestrade e una uguale alla cucina della signora Hudson. I vetri sono infrangibili, potrebbero resistere persino ad un’esplosione, e come notate all’esterno ci sono degli schermi che riproducono la vista di Baker Street, in ogni stanza c’è un pulsante di allarme e un rilevatore di fumo e veleni, oltre a varie telecamere sparse. >> spiegò Mycroft mostrandogli le varie stanze. << Adesso dovreste entrare nella stanza di Sherlock, è lì che ha lasciato qualcosa per voi. >>
 
Fu così che John, Lestrade e la signora Hudson si ritrovarono nuovamente davanti alla porta della camera di Sherlock, o meglio, della sua copia.
Entrarono e anche qui si mossero con timore e quasi riverenza.
Accanto al mezzo busto di Goethe, c’era una valigetta dotata di una serratura a combinazione, ed una busta bianca sopra.
John la prese e l’aprì nonostante le mani tremanti gli rendessero arduo il compito.
 
“Caro John, caro Lestrade, cara signora Hudson,
in questo momento vi trovate in uno dei luoghi più sicuri di tutto il Regno Unito, creato appositamente per voi. Vi chiedo di recarvi qui se mai vi trovaste in pericolo, dato che probabilmente io non sarò in grado di aiutarvi e proteggervi dopo oggi. Consideratelo come una piccola ricompensa per quello che vi ho fatto e vi farò passare.”
 
John sentì un groppo alla gola realizzando quanto Sherlock si fosse sentito in colpa mentre scriveva quella lettera, ma avesse comunque scelto di proseguire con quello che, era chiaro, era stato il suo piano dall’inizio. Doveva essere disperato, eppure lui non aveva notato niente, e lo aveva addirittura accusato di essere una macchina.
Si asciugò una lacrima traditrice e continuò a leggere.
 
“Purtroppo, non posso dirvi molto altro in questa lettera, ma vi dirò qualcosa che ho sempre detto e che voglio voi teniate bene a mente: Una volta che hai eliminato l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere vero.
Solo io e John potremmo sapere la combinazione per aprire la valigetta, non dovrebbe essere difficile per lui trovarla in pochi minuti: Afghanistan o Iraq?”
 
Per un po’ nessuno parlò, e l’unico suono che riempiva la stanza era il pianto della signora Hudson.
<< Si è preoccupato per noi fino alla fine. Aveva già deciso di uccidersi, e si preoccupava per noi che restavamo in vita. >> mormorò l’anziana.
Lestrade si schiarì la gola più volte prima di rivolgersi a John.
<< Secondo te cosa intendeva? Che significa quella domanda? >>
<< È stata la prima cosa che mi ha detto quando ci siamo conosciuti. Era al St. Bart’s a fare non so cosa con il microscopio, gli prestai il mio telefono, e mentre glielo porgevo mi disse quello. La soluzione dev’essere in quella domanda. >>
<< Ma la serratura è numerica. A meno che ad ogni lettera non corrisponda un numero. >>
<< No, non è quello. La “r” è la sedicesima lettera dell’alfabeto, e la “q” la quindicesima, ma i numeri disponibili vanno dallo zero al nove. >>
Passò qualche minuto mentre John rileggeva attentamente la lettera alla ricerca della soluzione, per poi avvicinarsi alla valigetta.
<< Ho una teoria, sembra quasi assurda e improbabile ma, come ci ha ricordato lui stesso, una volta che hai eliminato l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere vero. Dunque… >> disse quasi parlando con sé stesso mentre inseriva dei numeri.
Un attimo dopo, si sentì lo scatto della serratura.
<< Qual era quindi? >> gli chiese la signora Hudson.
<< 2901. La data del nostro primo incontro. >> rispose cercando di nascondere le lacrime agli occhi.
 
Aprirono la valigetta, e al suo interno trovarono il telefono di Sherlock.
<< È una copia? >> chiese John prendendolo in mano e guardandolo.
Aveva dei graffi e lo schermo era rotto, ma era chiaramente il cellulare di Sherlock.
<< No, è l’originale. >> rispose Mycroft.
<< Il suo cellulare non è mai stato trovato. >> mormorò Lestrade grattandosi il mento.
<< Che cosa? E quando pensavi di dirmelo? >>
<< Credevamo che l’avesse buttato giù dall’edificio e che magari qualcuno l’avesse preso, e dato che i tabulati telefonici si possono trovare anche senza avere il dispositivo e che era chiaro che sia Moriarty che Sherlock si erano suicidati, il suo cellulare non era molto importante. Il cellulare di Moriarty era pure lì, l’abbiamo analizzato ma a quanto pare su quel cellulare non c’era niente se non delle canzoni e una sua foto sul tetto, scattata poco prima di incontrare Sherlock. >>
<< Se me ne avessi parlato ti avrei detto che il cellulare lo buttò verso il tetto, quindi dovevi trovarlo lì sopra! >>
<< E invece è qui. >> li interruppe Mycroft alzando gli occhi al cielo. << Questo cosa significa? >>
<< Che qualcuno l’ha preso e portato qui. >> rispose la signora Hudson coprendosi la bocca con la mano.
<< E chi potrebbe essere quel qualcuno, visto che solo Sherlock e John potevano sapere la combinazione per aprire la valigetta? >>
I tre si guardarono tra loro, pallidi in faccia.
<< Sherlock… è vivo. Ma io l’ho visto cadere, ho visto il sangue… sentito il polso.. lui… >> balbettò John, scivolando lentamente a terra mentre ancora stringeva il cellulare di Sherlock in mano.
<< John! Respiri piano! >> iniziò a gridare allarmata la signora Hudson.
<< Andiamo in cucina, ti aiuto ad alzarti. >> disse Lestrade cercando di prendere in mano la situazione.
<< Oh mio Dio! >>
 
Mycroft si allontanò silenziosamente e prese il suo telefono per inviare un messaggio.
“Credevo avessi preso una decisione diversa.”
“Per una volta ho ascoltato te e la dottoressa Hopper,
e ho capito che avevate ragione.”
“Mi stai dando ragione? Stai bene fratello mio?”
 
Non ricevette risposta, ma non ne fu sorpreso.
Intanto, Lestrade stava trasportando John tenendogli una mano attorno ai fianchi e il braccio del dottore sulle spalle dell’ispettore, seguiti dalla signora Hudson che sorrideva tra le lacrime.
Si sedettero sul divano, e Mycroft si mise davanti a loro.
<< So che può essere uno shock… >> iniziò a dire, ma John lo interruppe.
<< Davvero?! Questo non è uno shock, è il più grande shock che potevate mai causarci! Ho sentito il suo polso assente, ho visto il suo sangue sul marciapiede, l’ho visto precipitare giù da quello stramaledetto tetto, e ora mi state dicendo che era tutto un trucco?! >>
<< Quando è diventato ovvio che Moriarty voleva Sherlock morto, abbiamo cercato di batterlo sul tempo e organizzare noi un incontro, per avere carta bianca. Io e Sherlock comunicavamo tramite un piccolo auricolare, sembrava che tutto andasse secondo i piani, finché Moriarty non giocò la sua ultima mossa: tenere John Watson, la signora Hudson e Lestrade sotto il tiro di tre cecchini, uno a testa, e solo Moriarty avrebbe potuto fermarli. Ma lui si è ucciso, per cui abbiamo dovuto optare per il piano B. E il piano B era che Sherlock morisse, o meglio, che tutti lo credessero morto. >>
<< Così avete deciso di farmi assistere al suicidio del mio migliore amico, grazie mille. >>
<< Non era nei nostri piani che tu vedessi quella scena, era tutto organizzato a favore di una telecamera posizionata strategicamente dietro il punto in cui alla fine, purtroppo, ti sei posizionato tu. >>
Mentre Mycroft spiegava, John ricevette un messaggio sul suo cellulare.
E si sentì nuovamente mancare mentre lo leggeva ad alta voce.
“Non avrei mai voluto che tu assistessi a quella scena,
mi dispiace terribilmente John, ma non ho avuto altra scelta.”
<< Oh mio Dio, è lui, vero? >> chiese tremando.
<< Si. In questo momento lui ci vede e ci sente, tramite le telecamere. >>
John iniziò a cercare una telecamera, per poi guardarla direttamente e urlargli contro.
<< A te dispiace? Io finora ho creduto di averti abbandonato nel momento in cui avevi maggiormente bisogno di me; peggio ancora, pensavo che il nostro ultimo litigio ti avesse spinto ulteriormente a farlo! Hai idea di come ci si sente a pensare di essere la causa del suicidio del mio migliore amico? >>
No, ma so cosa si prova quando le persone a cui tieni di più sono in pericolo.
Ho fatto ciò che ho fatto perché era l’unico modo per salvarvi, e non esiterei a rifarlo.”
<< Ma perché non farmelo sapere neanche dopo? È stato crudele Sherlock! >>
“Perché saperlo ti avrebbe messo in pericolo.
Neanche per me è stato facile doverti dire addio in quel modo.”
<< Potevi non dire addio e chiedermi invece di seguirti! >>
<< Esattamente quello che gli avevo detto io, ma lui si è opposto, sostenendo che sarebbe stato troppo rischioso e pericoloso. >> sbottò Mycroft, per la prima volta davanti a John perdendo la sua solita compostezza.
“Mycroft, non ricominciare! È già difficile per me da solo,
lui sarebbe stato una distrazione e una preoccupazione in più!”
<< Il fatto che stiamo parlando in questo momento vuol dire che continui a pensarci e preoccuparti per lui, pur trovandoti nel mezzo di un’operazione abbastanza delicata! >>
<< Quale operazione delicata? >> chiese Lestrade.
<< Non possiamo dire nulla! >>
<< Non possiamo dire nulla! >>
Risposero in contemporanea i due fratelli, e Mycroft aggiunse:           ​
<< Dato che Sherlock per il mondo è morto, abbiamo la possibilità di risolvere il problema alla radice, per cui mio fratello è in una missione assolutamente segreta, di cui persino io so poco o nulla, e questo è per tutelare sia noi che lui. >>
<< Ma tu avresti preferito che io andassi con lui. >> affermò John.
<< Si. Sarebbe stato meglio sia per Sherlock che per te. E non sono il solo a pensarlo. >>
 
* Settimane prima, laboratorio del St Bart’s *
 
<< E come facciamo a far sapere a John come raggiungerti? >> chiese Molly mordicchiandosi preoccupata l’unghia del pollice.
<< Per favore, smettila di mangiarti le unghie, sai quante sostanze possono depositarvisi. Comunque, John non mi deve raggiungere. >> rispose Sherlock.
<< Cosa? E cosa deve fare? >>
<< Deve stare al sicuro. Mycroft dovrà tenerlo al sicuro. >>
<< Sarebbe meglio che venisse con te, Sherlock. >> commentò il maggiore degli Holmes.
<< No, è pericoloso. >>
<< Avete già affrontato tante situazioni pericolose, e non mi sembra che abbia avuto problemi. >>
Molly si avvicinò a Sherlock e gli parlò con voce dolce.
<< Non c’è modo che lui ti lasci andare da solo, lo sai. >>
Lui guardò in basso e parlò così piano che la dottoressa, per quanto vicina, ebbe problemi a capirlo.
<< Puoi ripetere per favore? >>
<< John mi lascerà andare perché penserà che io sia morto. >>
<< No, no e assolutamente no! >> ribatté Molly, decisa come il detective non l’aveva mai vista. << Non puoi fargli credere che tu sia morto! Lo ucciderà! >>
<< Lo ucciderebbe il volermi aiutare. Cercherebbe di seguirmi non appena abbassiamo la guardia, e Moriarty o i suoi soci lo sapranno e lo useranno contro di me, come già hanno fatto. Oppure tenterebbe di salvarmi se la situazione si facesse troppo tragica, mi farebbe da scudo con il suo stesso corpo, o organizzerebbe un’operazione di salvataggio potenzialmente suicida se venissi catturato, insomma si metterebbe in pericolo solo per me! >>
<< Se foste in due sarebbe più facile per te operare, avresti qualcuno che ti guarda le spalle. >>
<< Avrei qualcuno di cui preoccuparmi. >>
<< Come se tu non ti preoccuperesti per lui anche mentre stai assaltando una base militare e lui è sulla sua poltrona a bere del the! >> commentò aspramente il maggiore degli Holmes, stringendo forte l’ombrello tra le mani per evitare di cedere alla tentazione di andarsene sbattendo la porta.
Sherlock gli diede le spalle e si avvicinò ad una finestra.
<< Se venisse con me, non rimarrei pienamente concentrato sulla missione, magari eviterei di fare qualcosa di rapido e necessario solo perché lo metterebbe in estremo pericolo. Tralascerei soluzioni semplici e banali pur di non fargli prendere rischi. Devo restare assolutamente concentrato e razionale durante questa missione, non posso lasciare che qualcosa mi distragga. >>
<< Ma lui potrebbe aiutarti anche come dottore. >> provò ancora Molly, anche se in cuor suo sapeva che Sherlock aveva già preso la sua decisione. << Inoltre, stai completamente sottovalutando l’impatto che la tua morte avrebbe su di lui. >>
<< Lui è forte, andrà avanti anche senza di me. >>
Persino Mycroft aveva dubbi a riguardo.
<< Ne soffrirà terribilmente, fratello mio. Potrebbe stare davvero troppo male per poter andare avanti, anche peggio di quando è tornato dall’Afghanistan.   >>
<< Sarà compito vostro aiutarlo. Tenere al sicuro John Watson sarà la vostra missione, tornare presto da lui sarà il mio obiettivo. Intesi? >>
Titubanti, i due accettarono.
 
*Presente*
 
<< Poco prima che Sherlock salisse sul tetto, quando era arrivato il momento di salutarsi, gli chiesi se fosse davvero sicuro di ciò che stava facendo e, soprattutto, di voler tenere te, John, all’oscuro di tutto, e lui rispose di sì. Ma avrei dovuto immaginare che, dopo quella telefonata, Sherlock non sarebbe riuscito a nasconderti a lungo la verità. >> finì di raccontare Mycroft.
John si passò una mano tra i capelli.
<< Tu, Sherlock, stupido idiota, non immagini quanto male tu mi abbia fatto! >>
“L’ho capito solo quando era troppo tardi, mentre parlavamo al telefono
 e mi guardavi dalla strada.”
“Eri distrutto, cercavi di non piangere solo perché
avevi capito cosa stessi per fare e volevi convincermi a non farlo.”
 
“Ti ho ferito terribilmente e lo odio,
ma questo ha fatto in modo che voi adesso siate qui,
per cui non riesco a pentirmene completamente.”
 
John dovette fermarsi dal leggere per potersi asciugare gli occhi e prendere un respiro profondo.
<< Per quanto tempo ancora starai via? >>
“Non posso saperlo”
<< Ed io non posso raggiungerti? >>
“No.”
<< Possiamo sentirci? >>
“Non regolarmente, inoltre cambio continuamente telefono,
per cui dovrai aspettare che sia io a contattarti.”
<< Aspetteremo. Nel frattempo, cosa possiamo fare noi? >>
“Dovete continuare a far finta che io sia morto,
non dovete cambiare assolutamente nulla nella vostra vita,
e se mai ci sarà una situazione di pericolo dovrete rifugiarvi qui.”
<< Sai che quando tornerai probabilmente ti picchierò? >>
“Lo immaginavo, e non ti fermerò, accetterò tutto ciò che vorrai darmi,
perché vorrà dire che saremo entrambi vivi.”
<< Te lo leveremo di dosso, ma solo dopo che ti avrà rotto il naso, per poter picchiarti a nostra volta! >> disse Lestrade, ricordando loro che dopotutto non erano da soli.
<< Per cui toccherà a me disinfettarti le ferite, cucinarti dei biscotti e obbligati a fare una doccia. >> si aggiunse la signora Hudson asciugandosi gli occhi commossa.
“Mi va bene tutto.”
<< Ma dopo anch’io ti darò uno schiaffo, giovanotto! >> gracchiò l’anziana piangendo liberamente.
“Prevedibile”
<< Mi mancavano tanto i tuoi modi assolutamente odiosi. >> disse John.
“Adesso devo andare, ho già parlato fin troppo.”
<< Aspetta ancora un attimo Sherlock! >> gridò John sentendo il panico tornare. << Io… voglio che tu mi prometta che tornerai. >>
“Tornerò presto”
<< Promettilo! Non mi interessa se non è razionale fare queste promesse, se la situazione in cui ti trovi è rischiosa, devi promettermi che tornerai! Ti prego. >>
“Ti prometto che tornerò, farò il possibile affinché io possa farlo
il prima possibile, e cercherò di non farti mai più così tanto male...”
<< Ancora non mi sembra vero che Sherlock sia vivo… E io che pensavo che volesse dire a John quell’altra grande cosa con quel biglietto! >> disse Lestrade sorridendo alla signora Hudson.
<< E anche io! >>
<< Ok, adesso dovete dirmelo: di cosa state parlando? >> chiese John, leggermente irritato.
“Stanno parlando di una mia possibile dichiarazione
d’amore per te, John, ma non è qualcosa che farei tramite sms.”
 
<< Che cosa?! >> borbottò John rosso in volto.
Un piccolo angolo della mente di John gli fece notare che Sherlock non aveva detto che non lo avrebbe fatto del tutto.
“A presto George, signora Hudson, mio caro John.”
 
<< Mi chiamo Greg, e tu lo sai! Ciao Sherlock. >>
<< A presto, mio ​​caro ragazzo. >>
<< Ciao Sherlock. Ricorda che mi hai fatto una promessa. >>
 
 
Un anno dopo, Sherlock mantenne quella promessa.
 
 
   
 
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