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Autore: Giandra    31/01/2023    0 recensioni
❧ PatPran
➥ pre-canon, post-flashback 1x01
Questa storia partecipa alla To Be Writing Challenge 2023 indetta da Bellaluna sul forum Ferisce la Penna.
«Si può sapere che vuoi?»
Non era di certo ciò che si era aspettato Pat avrebbe detto. «Cosa voglio io?» sbottò, dopo essersi portato il contenitore alla bocca. «Sei tu che hai lanciato questo coso contro la mia finestra.»
«No, cosa vuoi da me!» replicò Pat, con un’espressione contemporaneamente incazzata e disperata. «Perché hai salvato mia sorella, Pran? Lo avrei fatto io.»
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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How it all began

    Pran rimase sveglio tutta la notte a riflettere su cosa avrebbe potuto chiedergli per far sì che pareggiassero i conti. Non che lui si fosse gettato a capofitto in quel fiume con l’intenzione di ottenere un favore in cambio: aveva agito d’impulso, spaventato al pensiero che sarebbe potuto accadere qualcosa di brutto a Pa. Lei era sempre stata gentile nei suoi confronti; gli aveva persino regalato un pacco di biscotti durante il San Valentino dell’anno precedente, confessandogli che, se non fosse stato per l’opposizione dei suoi genitori, da grande lo avrebbe volentieri sposato; Pran le aveva sorriso, sinceramente intenerito, e le aveva accarezzato la testa come si faceva con un gattino coccoloso. A differenza di Pat, lei non aveva mai preso troppo sul serio la faida tra le loro famiglie, non l’aveva mai capita. Neanche Pran la capiva, ma la accettava: sua madre gli regalava sempre uno sguardo di approvazione e un abbraccio affettuoso per ogni suo successo, ma quando la sua vittoria portava Pat a uscirne sconfitto sembrava che la cosa la rendesse ancora più soddisfatta e a Pran vederla felice piaceva tanto.
   La maggior parte delle volte, però, più che incitarlo a competere con lui, gli ricordava soltanto di stargli lontano, di ignorarlo, di fare come se non esistesse. Quella era una cosa che Pran stava provando disperatamente a fare, da quando era nato, ma che non gli riusciva molto bene: in primo luogo, lui e Pat finivano in qualche modo per stare sempre tra i piedi l’uno dell’altro, che lo volessero a meno, che fosse a scuola o nei dintorni del loro quartiere; in secondo luogo... Pran non sapeva bene quale fosse il motivo, ma nessuno gli aveva mai instillato tanta adrenalina in petto quanto Pat: gli bastava stargli accanto per provare emozioni alle quali non avrebbe saputo dare neanche un nome, ma era come se il suo corpo attivasse la modalità combattimento ogni qual volta l’altro entrava nel suo campo visivo.
   A Pran non piaceva davvero litigare con Pat: per lui era più un compito da portare a termine, un’abitudine ormai dura a morire, una routine quotidiana che quasi gli dava stabilità. Questa cosa non l’aveva mai detta a nessuno e il pensiero di farlo gli metteva ansia e soggezione, ma sperava dentro di sé che per Pat fosse lo stesso.
   Non parlarmi davanti agli altri. Potrebbero pensare che siamo amici.
-
   Nei giorni successivi, Pat si comportò in modo strano. Smise di infastidirlo a ogni occasione disponibile, come aveva sempre fatto in passato, cercò persino di tenere il suo gruppo lontano da quello di Pran per evitare battibecchi. Ogni volta che lui tentava di chiedergli spiegazioni con lo sguardo, quello lo distoglieva, come se si sarebbe tramutato in pietra se lo avesse squadrato per più di una manciata di secondi. L’unica ragione che Pran fu in grado di elaborare fu questa: Pat si sentiva in colpa. Immaginò che non riuscisse a guardarlo in faccia senza vedere in loop il momento in cui Pran si era tuffato in quel fiume per salvare sua sorella da un annegamento.
   Pat era così stupido, a volte. Se non ci fosse stato lui, l’avrebbe senz’altro messa in salvo Pat stesso. Non c’era bisogno di renderla una cosa più grossa di quanto in realtà non fosse, di trattarlo come se chissà cosa avesse fatto, di esprimergli la sua gratitudine nel modo più maldestro possibile. C’era una parte di Pran che avrebbe avuto piacere nel dirglielo, ma quella parte fu presto soffocata da una più sadica e impertinente, che realizzò di provare un certo piacere nel vedere Pat in quello stato. Se ci teneva così tanto a sentirsi a disagio per un motivo talmente banale, Pran glielo avrebbe lasciato fare; chissà che non avrebbe potuto trarne pure qualcosa di buono.
-
   «P’Pran?»
   Pran si voltò di scatto nell’udire la voce di Pa a meno di un metro di distanza da lui, ovattata dalle parole della canzone che stava ascoltando. La ragazzina aveva il fiatone, piccole ciocche di capelli erano sfuggite alla coda di cavallo in cui si era sistemata l’acconciatura, e lo guardava con un’espressione indecifrabile e preoccupante allo stesso tempo. Si rese conto che doveva aver tentato di richiamare la sua attenzione a lungo, ma senza successo, a causa del fatto che Pran portava le cuffie alle orecchie. «Pa? Che succede? Scusami. Stavo sentendo un po’ di musica.»
    Pa gli sorrise. «Non fa niente. Volevo solo chiederti... È successo qualcosa di strano, tra te e Pat, ultimamente?»
   Pran avrebbe voluto risponderle che non era successo niente di niente, tra lui e Pat, negli ultimi tempi. Quel cretino lo stava ignorando in modo plateale e Pran non voleva dargli la soddisfazione di mostrarsi infastidito – o persino ferito – dalla cosa. Aveva smesso di trovarlo un atteggiamento divertente già dopo un paio di giorni da che era iniziato. «Mh, non direi. Perché me lo chiedi?»
   «Si sta comportando in modo più bizzarro del solito» spiegò Pa, «e, beh, sai... di solito il suo umore cambia a seconda di cosa succede con te. Non penso ci sia nessuno in grado di scuoterlo più di te, P’Pran.»
   Pran aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì suono. Cercò di mostrarsi impassibile di fronte a quella affermazione, che inspiegabilmente portò il suo battito cardiaco ad accelerare e una marea di pensieri ad affollarsi nella sua mente senza un ordine logico. Inspirò ed espirò in velocità, deglutì e poi disse: «Non so che dirti, Pa. Però, se per te è importante, posso provare a scoprirlo.»
   Il sorriso smagliante che Pa gli indirizzò in risposta fu abbastanza per convincerlo che non poteva essere una così cattiva idea.
-
   Pran era consapevole che anticiparsi i compiti per la settimana successiva sarebbe stato un modo migliore per investire il suo tempo, ma non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Pa. Le aveva promesso che avrebbe investigato sull’insolito comportamento di Pat, ma non aveva la più pallida idea di come fare. Avrebbe voluto possedere la stessa spudoratezza dell’altro, che aveva trovato normale penetrare nella sua stanza di soppiatto e zittirlo con una mano sulla bocca, solo per restituirgli il suo orologio; ecco: cose come quelle Pran non sarebbe mai riuscito neanche a prenderle in considerazione.
   Mentre era assorto nei suoi pensieri, un tonfo improvviso lo spaventò al punto tale da farlo sobbalzare. Si alzò di scatto dal suo letto, sul quale si era steso a rimuginare, e si accostò al vetro della finestra, contro il quale si era senz’altro schiantato qualcosa. Pran sbatté le palpebre un paio di volte, prima di mettere a fuoco ciò che giaceva giusto fuori dalla sua stanza: un contenitore di latta, al quale era collegata una corda sottile. I suoi occhi si spostarono a cercarne l’altra estremità e finirono per posarsi su una lattina identica, stretta nella mano di Pat, che lo stava guardando dal suo balcone con un cipiglio irritato. Pran alzò un sopracciglio, confuso e innervosito: se c’era qualcuno, tra i due, che aveva il diritto di essere arrabbiato, quello era lui, non di certo Pat. Quest’ultimo gli fece segno di mettersi il contenitore all’altezza dell’orecchio e Pran ebbe la certezza che volesse usare le lattine come un telefono senza filo. Sbuffò, ma adempì comunque alla richiesta.
   «Si può sapere che vuoi?»
   Non era di certo ciò che si era aspettato Pat avrebbe detto. «Cosa voglio io?» sbottò, dopo essersi portato il contenitore alla bocca. «Sei tu che hai lanciato questo coso contro la mia finestra.»
   «No, cosa vuoi da me!» replicò Pat, con un’espressione contemporaneamente incazzata e disperata. «Perché hai salvato mia sorella, Pran? Lo avrei fatto io.»
   «Cosa?» Era quello il problema? «Credi che l’ho fatto perché penso che non sei capace di farti una nuotata e portare tua sorella sana e salva a riva?» Pat non gli rispose, ma parte dell’ira che aveva stampata in faccia cominciò a vacillare, sostituita da incertezza e perplessità. «Non ci ho neanche pensato, Pat. L’ho fatto perché mi è venuto spontaneo.»
    «Beh, non ce n’era bisogno.»
    Pran scosse il capo, allibito. «Non so che cosa dirti. Sei stato troppo lento.»
   Previse immantinente che la sua risposta sarebbe arrivata alle orecchie dell'altro nel modo più sbagliato possibile, ma ne ebbe la certezza quando vide gli occhi di Pat assottigliarsi e la rabbia tornare a segnargli il volto. «È una gara? Volevi vedere chi riusciva a salvarla per primo?»
    «Niente del genere! Hai capito male.»
    «Pensi di essere migliore di me?»
    Nonostante tutto, Pran non riuscì comunque a trattenersi: «Sì», gli disse, ma continuò subito la frase prima che Pat potesse scostare la lattina dal suo orecchio, «ma non c’entra niente con quello che è successo con Pa. Non rendere qualsiasi cosa una competizione.»
    Pat lo fissò per un paio di secondi, senza rispondere, e Pran era indeciso se aggiungere altro o starsene lì a guardarlo come un idiota, lo sfiorò persino l’idea di tirargli contro il cilindro di latta e rientrarsene in camera sua, ma prima che potesse fare una qualsiasi di queste cose il suo interlocutore ribatté: «Okay. Allora va bene.»
   Se questo era il suo modo di ringraziarlo, pensò Pran, avrebbe dovuto decisamente limare la sua tecnica. Non gli disse nulla a tal proposito, si limitò ad annuire. Dopo altri dieci o venti secondi di silenzio, agì seguendo la sua ultima intenzione e fece per lanciare la lattina, ma Pat agitò la mano destra un paio di volte per attirare la sua attenzione e poi gli segnalò di rimettersela all’altezza delle orecchie. Pran alzò gli occhi al cielo, ma ancora una volta cedette alla sua richiesta. «Cosa c’è?»
    «Hai deciso cosa devo fare per pareggiare i conti? C’è qualcosa in cui ti serve una mano? Tipo i compiti di matematica?»
    Pran arcuò un sopracciglio, indispettito. «Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno per i compiti di matematica. Sicuramente non del tuo.» Era una bugia. Nell’ultimo mese aveva dovuto assentarsi per una settimana, a seguito di una febbre alta che lo aveva costretto a letto, e non era ancora riuscito a recuperare tutti gli argomenti che la maestra aveva spiegato; non gli ci sarebbe voluto molto per tornare al pari con i suoi compagni di classe, ma il fatto stesso che Pat si fosse accorto che al momento si trovava un po’ in difficoltà lo infastidiva.
   Pat, infatti, gli spedì un’occhiata a metà tra l’incredulo e il divertito. «Ah, no? E com’è che ultimamente non hai mai alzato la mano quando la maestra ha fatto delle domande alla classe?»
   «Mi facevi pena e ti ho voluto dare un po’ di visibilità.»
   Pat non se l’era bevuta, ovviamente, ma sorrise, un sorriso sincero e allegro, e Pran si rese conto solo in quel momento, con suo grande orrore, che gli era mancato. Gli era mancato averlo tra i piedi, gli era mancata la loro naturale competizione, gli erano mancati i botta e risposta e, soprattutto, gli erano mancati quei rari e brevi momenti in cui Pat abbassava la guardia e gli sorrideva in quel modo. Senza sapere perché, si accorse anche che il suo battito cardiaco era tornato ad accelerare.
   Pat gli fece segno con la mano di lanciargli la lattina e Pran, ancora per metà assorto nei suoi pensieri e in quelle insolite realizzazioni, gliela tirò con delicatezza e lo guardò senza emettere fiato mentre sistemava entrambi i contenitori per terra nel suo balcone e poi scavalcava la ringhiera, dirigendosi con passo felpato nella sua direzione. Fu solo quando gli fu a un metro di distanza che Pran realizzò cosa stesse succedendo. «Cosa diavolo fai!» sbottò, in un sussurro spezzato e ansioso, terrorizzato dall’idea che sua madre potesse sentirli parlare e coglierli in flagrante.
   «Non si vede?» Pat gli spedì uno dei suoi soliti ghignetti fastidiosi e a Pran venne voglia di prenderlo a pugni. «Dai, non fare rumore: potrebbero sentirci. Ti do una mano con i compiti di matematica e poi me ne vado.»
   Pran provò a impedirgli di entrare nella stanza, ma Pat lo scartò come se stessero giocando a rugby e lui fosse un avversario da schivare, il tutto senza mai togliersi quel ghigno irritante dalla faccia. Pran sospirò. «E va bene» si arrese. Il suo primo pensiero fu quello di chiudere a chiave la porta, cosicché nello scenario peggiore Pat avrebbe avuto il tempo di nascondersi da qualche parte o di uscire dalla finestra.
   «Parli come se stessi facendo tu un favore a me» lo incalzò Pat, un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso impertinente a manifestare quanto si stesse godendo quella situazione assurda.
   «E quando te l’avrei chiesto? Guarda che con questo non siamo pari.»
   «Come no?»
   «No. È stata una tua idea, non mia.»
   «Ma ti sto comunque aiutando!»
   Il battibecco continuò per altri dieci minuti buoni, dopo i quali Pat gli spiegò tutte le formule che Pran si era perso durante i giorni di assenza. Scoprì che fosse un ottimo insegnante, migliore di quanto avrebbe ipotizzato, paziente e garbato, aggettivi che prima di quel momento non avrebbe mai associato a lui. Fu nel bel mezzo di una equazione algebrica più difficile delle altre, a causa della quale Pat gli si avvicinò maggiormente, che Pran avvertì un una sensazione disagevole al livello dello stomaco, come se qualcosa ci stesse facendo dentro delle capriole, e il suo cervello fu di nuovo invaso da quel maledetto tum tum tum, proveniente dal suo cuore, che gli rimbombava nelle orecchie. Per qualche secondo ignorò completamente le parole di Pat, che andò avanti imperterrito con la sua spiegazione senza accorgersi di nulla, e si concentrò solo su quelle percezioni, piacevoli, in fondo, ma anche spaventose; Pran non avrebbe saputo definirle, o dare loro un nome, ma aveva come il presentimento che non avrebbero portato a nulla di buono.



 
   
 
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