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Autore: Nao Yoshikawa    06/02/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Rin era stata svegliata e sentiva i suoi genitori parlare. Era ancora mezza addormentata e all’inizio non capì.
«Non posso crederci, allora nostra figlia aveva ragione. Ho fatto attenzione più che ho potuto, ma non sono riuscita a beccarla, accidenti!»
Si fece più attenta. Era successo qualcosa con Loly?
«Non è un problema, l’ho mandata via. Ci ho provato a mantenere le cose non inopportune, ma non dipende tutto da me» Gin era avvilito, mentre guardava sua moglie che camminava avanti e indietro, mordendosi un’unghia smaltata. «Sicura che fosse referenziata?»
«Ma certo che lo è!» sbottò Rangiku. «Piuttosto, sono preoccupata per quello che ti ha detto. Credi che vorrà vendicarsi? E se andasse a dire in giro che l’hai molestata? Sarebbe orribile, anche perché è lei che ha molestato te. Come vorrei denunciarla!»
Gin sorrise, con ammarezza e rassegnazione.
«Tesoro, ma chi mai mi prenderebbe sul serio?»
Rin si poggiò alla porta, socchiusa e non chiusa e assunse un’espressione colpevole.
«Scusaci, ti abbiamo svegliata?» domandò Rangiku. Lei scosse la testa.
«Avevo solo sete. Però ho sentito quello che avete detto.»
Vide i suoi genitori guardarsi. Di sicuro non volevano darle altre preoccupazioni e di sicuro avrebbero alleggerito la cosa dicendo che non doveva pensarci.
«Stai tranquilla, Rin. La risolveremo, purtroppo sono cose che capitano. E tu stai bene?»
Ma davvero le si leggeva in faccia il suo malessere? No, non stava bene. Aveva fame e stava davvero iniziando a odiare il suo corpo e la sua faccia. Com’era passata dall’apprezzarsi a quello?
«Non c’è niente che non vada» mentì.
Rangiku allora si avvicinò, prendendole il viso tra le mani.
«Cara, qualsiasi cosa sia sai che puoi parlarne. Per caso sei innamorata? Non mi sorprenderebbe se tu avessi tanti spasimanti.»
Quella che voleva essere una battuta bonaria da parte di Rangiku, fu per Rin motivo di offesa. Non era bella, sua madre lo era e lei non le sarebbe mai somigliata.
«Smettila di dire che sono bella, perché non lo sono.»
Quella reazione stupì entrambi.
«Ma Rin… che c’è?» domandò Gin. Sua figlia era strana, era quasi come se non fosse sé stessa.
«Niente, dico solo che non sono bella, né… niente di tutto ciò. E il vostro parere non conta nemmeno, perché non siete oggettivi. Adesso me ne vado a dormire.»
Da come parlava, sembrava che Rin ce l’avesse con loro, con sua madre in particolare. Rangiku non avrebbe mai potuto immaginare il dramma che sua figlia stava vivendo, perché semplicemente nemmeno lei riusciva a capirlo.
«Gin…» sussurrò.
«Rin non ci dirà mai cosa c’è che non va. Forse Miyo saprà qualcosa. O Hayato.»
«I suoi amici non direbbero mai nulla. A meno che non sia qualcosa di grave» sussurrò, stringendosi le braccia attorno al busto, come in una sorta di abbraccio. Era stanca, stavano succedendo troppe cose e tutte insieme e doveva pensare.
«Va bene, va bene» disse poi. «Penseremo a Rin innanzitutto. Ma non intendo sottovalutare il tuo di problema.»
Gin allora si alzò e l’abbracciò, rassicurandola.
«Ma no, tranquilla amore mio. Non c’è niente da sottovalutare.»
 
 
Era arrivata l’ora di andare a scuola e Yuchi stava cercando di mettere a posto la sua stanza. Cosa che sarebbe stata molto più facile se solo la sua sorellina non avesse messo tutto in disordine: Yoshiko stravedeva per il fratello e gli stava sempre attorno.
«Yuichi, giochiamo. Posso usare il tuo violino?»
«Oh, no. Il violino non si usa per giocare. Senti, giochiamo quando torno a casa, va bene?» cercò di tenerla buona, mentre preparava lo zaino.
Yoshiko gonfiò le guance.
«E va bene. Viene anche Masato? Lui è bello e bravo. Voi siete fidanzati? Vi ho visto che vi baciavate, ma non lo dico a nessuno.»
Yuichi arrossì e si voltò a guardare la sorellina. Con lei avrebbe anche potuto parlare, i bambini così piccoli non avevano alcun pregiudizio.
«Sì, siamo fidanzati. Lui mi piace tanto e gli voglio bene. Anzi, sono innamorato di lui da quando ero bambino.»
Yoshiko arrossì e poi sorrise.
«Ma allora vi sposerete. Posso venire anche io al matrimonio?»
Chissà. Sarebbe stato romantico. Uniti sin da quando erano bambini, innamorati e poi un giorno sposati. Si sciolse al solo pensiero.
«Ma certo, puoi anche farci a damigella.»
Yoshiko si esaltò e uscì fuori dalla stanza.
«Sono una damigellaaa!»
Uryu la vide uscire e poi guardò suo figlio.
«Tutto bene?»
«Amh, sì, stavamo solo chiacchierando. Io comunque adesso devo andare a scuola, quindi finisco di prepararmi» disse Yuichi. Uryu si aggiustò gli occhiali ma non riuscì a smettere di fissarlo. Era come se bramasse di dirgli qualcosa, qualcosa di complesso e doloroso. Eppure se ne stava lì, senza capire cosa stava provando.
«Emh… papà» suo figlio lo sorprese, parlando per primo. «Senti, è un po’ che volevo chiedertelo, ma… perché Masato non ti piace? Io pensavo fossi contento di… noi due. E poi tu e Ichigo non siete tipo migliori amici?»
Yuichi era fuori strada, ma era normale che fosse arrivato a pensare una cosa del genere.
«Io non ho niente contro Masato. Non è quello il problema.»
«E allora quale? Sei strano per ora. Ti comporti come se io fossi sempre in pericolo.»
«Io… te l’ho già spiegato» disse, cercando di rimanere calmo. Perché si stava sentendo a disagio? Non erano forse lecite le domande di suo figlio? Yuichi invece non si sentiva a disagio. Tanto valeva lasciare da parte l’imbarazzo e dire le cose come stavano.
«Io e Masato ci vogliamo bene e sì, a volte facciamo anche… delle cose. Ci tocchiamo, ad esempio. Non dici sempre che sono cose normali? Tu sembra quasi che non voglia, ma perché? Decido io per me.»
Sì, tu hai ragione, Yuichi. Avrebbe voluto dirgli. Ma l’unica cosa che Uryu sentiva era il battito accelerato del suo cuore. E il suo mantenersi forzatamente tranquillo e composto non stava facendo altro che peggiorare le cose.
«Yuichi, tu sei troppo giovane per pensare di sapere tutto. Il mondo può essere pericoloso.»
«Questo lo so! Ma solo perché è successo qualcosa di brutto a te, non vuol dire che debba accadere a me! È per questo, non è vero? Ti è successo qualcosa di male. Dimmelo, è questo?»
Tatsuki arrivò proprio in quel momento con in braccio Yoshiko: era strano che Yuichi alzasse la voce, quindi si era preoccupata.
«Ma che succede?» domandò. Suo marito però la ignorò. Aveva gli occhi fissi su Yuichi e un’espressione che nessuno di loro gli aveva mai visto addosso.
«Yuichi, fa silenzio. Sei troppo giovane per capire» disse Uryu, severo, a denti stretti. Il ragazzino strinse i pugni e impedì alle lacrime di uscire. Era davvero arrabbiato e in più veniva trattato come se non fosse capace di capire. Allora afferrò lo zaino.
«Tu sei un adulto e non capisci niente comunque» borbottò, permettendosi di rispondere in malo modo.
«Yuichi!» lo chiamò Uryu, ma suo figlio lo ignorò. Fu Tatsuki allora ad intervenire.
«Ehi! Basta così. Uryu, calmati ora» disse accarezzando la bambina che sembrava stravolta. Certo, si rese conto, doveva averla spaventata, lei non era abituata a vederla così.
«Papà è rabbiato?»
Si tolse gli occhiali e scosse la testa.
«No, piccola. Sto bene. Va tutto bene» mentì, pur consapevole che non sarebbe stato capace di ingannare nemmeno una bambina di tre anni.
«Tesoro, aspettami in camera tua, okay?» Tatsuki raccomandò alla figlia, la quale li guardò ancora una volta entrambi, prima di sgattaiolare in camera. Tatsuki raggiunse suo marito, che si era appena seduto e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Uryu, per favore. Non voglio più sentirmi dire che va tutto bene, perché so che non è così.»
Non poteva dirgli che in realtà sapeva benissimo cosa ci fosse che non andava, non poteva rivelarglielo così. Si sarebbe arrabbiato? Si sarebbe sentito tradito?
«Forse sono malato, Tatsuki. Forse devo tornare in terapia, quand’ero adolescente l’ho fatto per un periodo.»
Tatsuki sii irrigidì. Era molto meglio che ricordasse lui con naturalezza, rivelargli tutto sarebbe stato troppo traumatico.
«Davvero? Non me ne avevi mai parlato.»
«È stato prima che ci conoscessimo. Il fatto è che è strano. Quando provo a ripensare a quel periodo, ho come un vuoto. Ricordo che io e la mia famiglia ci siamo trasferiti ad un certo punto, ma non ricordo cosa è successo prima. Ultimamente non faccio che pensarci. E sto diventando, oltre un amico orribile, anche un padre terribile.»
Tatsuki poggiò il viso sulla sua spalla, abbracciandolo. Mai come prima d’ora aveva sentito così tanto il bisogno di proteggerlo.
«Non sei un padre orribile. Yuichi ti vuole bene, ecco perché vorrebbe capire cosa c’è che non va e…»
«Io ho paura che Yuichi venga molestato. Non da Masato, intendo in generale. Ho paura che potrebbe succedergli qualcosa di terribile e che io non possa fare niente per impedirlo. Ma perché? Mi è venuta questa paura, così all’improvviso…» sussurrò, passandosi una mano sul viso
Tatsuki capì che era davvero arrivato il momento di rivolgersi ad uno specialista, a quel punto era l’unico che poteva aiutare suo marito. Lei non si sentiva abbastanza forte, era una questione troppo delicata. Un abuso poteva segnare a vita. Lo abbracciò più forte. Voleva stargli vicino, come lui era sempre stato vicino a lei.
«Tranquillo, Uryu. Sono paure che abbiamo tutti» sussurrò.
Prometto che ci sarò quando ricorderai e quando il dolore sarà così tanto da essere insopportabile.
 
Quando Kisuke quella mattina aprì gli occhi, si ritrovò al centro. Yoruichi stava distesa su un lato, Soi Fon dall’altro, tutte e due avevano le teste poggiate sul suo petto. Dovette metterle a fuoco e poi dovette ricordarsi cos’era successo: avevano finito col fare sesso, ed era stato intenso, passionale e fortemente voluto da tutte e tre. Ma adesso che era giunta la mattina, come avrebbero affrontato la cosa?
Soi Fon fu la seconda a svegliarsi e la sua reazione fu molto meno pacata.
«Oh… oh, accidenti. Ma allora non è stato un sogno! Wuaaah!» si mise seduta, senza nemmeno disturbarsi di tirare su la coperta. Yoruichi borbottò.
«Ma che avete?»
Kisuke si massaggiò la testa.
«Oh, ragazze… mi sa che ci siamo andati giù pesante. Ho fatto sesso a tre.»
«Mh, ho fatto sesso a tre» sussurrò Yoruichi.
«Ho fatto sesso a tre!» gridò Soi Fon, rossa in viso, Quella era una situazione davvero imbarazzante, già una volta si era messa in mezzo, non voleva rovinare tutto. «I-Io sono davvero mortificata, n-non so cosa…»
Kisuke le posò una mano sulla testa. Aveva un modo di fare così paterno che la eccitava e se ne vergognò tanto.
«Non siamo certo stati costretti. Solo che è stato improvviso… E adesso?»
Yoruichi si svegliò del tutto, strofinandosi un occhio. Già, e adesso? Soi Fon non era certo un’estranea e tra l’altro adesso vivevano insieme. Fare finta di niente però sarebbe stato difficile.
«Potete scusarmi un attimo? Devo controllare che i ragazzi non facciano tardi» e dicendo ciò si alzò e afferrò la sua vestaglia, davanti gli sguardi intontiti di Soi Fon e Kisuke.
«E io devo… devo andare al lavoro» disse lui, alzandosi. Soi Fon si coprì fino alla testa: quei due erano sexy e non si facevano problemi a mostrarsi ai suoi occhi così, come se nulla fosse.
«Ma io non devo fare niente!» si rese conto. Come avrebbe fatto a distrarsi?
Yoruchi fu sorpresa di trovare i suoi figli già pronti per andare a scuola. Hikaru aveva la sua solita aria timida, Yami era come ogni giorno nervosa.
«Avete preso tutto? Sicuri che non volete un passaggio?»
«No, stai tranquilla» disse Hikaru dondolandosi. Yami sbuffò e poi passò oltre, facendo sospirare sua madre.
«Non capisco cos’abbia contro di me quella ragazzina.»
«Non ha niente, per adesso è un po’ strana. Non capisco, è arrabbiata anche con me» disse Hikaru, affranto. Yoruichi lo abbracciò e gli raccomandò di comportarsi bene. Poi iniziò a prepararsi per il lavoro. Questo però non le avrebbe fatto dimenticare di cosa fosse successo e visto che non era una ragazzina da un po’, sapeva che avrebbero dovuto parlarne, tutti e tre.
 
Ai aspettò nervosa che Yami arrivasse. Malgrado l’amica la stesse trattando male ultimamente, non aveva certo smesso di volerle bene. E quella foto che girava tra gli amici del suo ex ragazzo la metteva in ansia. Ad un tratto eccola lì, in cortile accompagnata da Hikaru. Oh, Hikaru! Era diventato diffidente nei suoi confronti e la colpa era tutta sua, avrebbe dovuto parlare anche con lui. Si avvicinò ai due gemelli, prendendo Yami per un braccio.
«Andiamo in classe insieme» disse, cercando di trascinarla con sé.
«Ai, ma che c’è? Sei troppo agitata per i miei gusti» borbottò. Ai sperò di non incrociare sul suo cammino il gruppetto di ragazzi che aveva preso di mira la sua amica, ma la sua esperienza fu vana. Vide Ren, bello, alto, con l’espressione furba, che si girava verso di loro, puntando Yami.
«Ciao, Yami. Non vuoi mandarmi un’altra foto?» domandò, facendo ridere anche i suoi amici. Ai arrossì come se si fosse rivolta a lei. Cercò di camminare, ma Yami si piantò al suolo.
«Di che foto parla?» domandò Hikaru. Sua sorella però lo ignorò.
«Vuoi lasciarmi in pace o no? Vatti a cercare qualche altra ragazza» disse Yami. Ai pensò che fosse proprio forte, tuttavia non era molto convinta. Poté giurare di aver sentito la sua voce tremare.
«E perché dovrei cercarmi un’altra ragazza quando ci sei tu che sei così facile? Oramai la tua foto l’abbiamo vista tutti e poi lo sappiamo che te la fai con ogni ragazzo di questa scuola. Che c’è, Urahara?» si rivolse a Hikaru. «Non sapevi quello che combina la tua sorellina?»
Hikaru arrossì. Non era uno che cercava il conflitto o che ricorreva alla violenza, ma si stava sentendo in difficoltà.
«Mia… mia sorella non fa queste cose.»
«Oh, sta zitto Hikaru! Non ho bisogno che mi difendi. E tu. Tu sei un vero… coglione!» gli gridò in faccia. Si sentiva umiliata. Non le era mai importato del parere altrui, ma davvero c’era quella idea di lei? Di una ragazza facile?
Si staccò dal braccio di Ai. Voleva rimanere sola. Lei non piangeva mai, piagnucolare serviva a poco.
Hikaru guardò Ai come se fosse alla ricerca di una risposta. Perché lui di quell’argomento non sapeva nulla?
«Ai, cos’ha fatto Yami?»
«Ecco… lei ha… ha mandato delle foto un po’ sconce a quel tipo e… l’ha mostrata anche ai suoi amici» sussurrò, indietreggiando. Non lo aveva mai visto arrabbiato, Hikaru non si arrabbiava mai.
«Che cosa? E tu non me lo hai detto? Avresti dovuto, questa è una cosa terribile.»
«Ma lei è la mia migliore amica!» si giustificò.
«Ed è mia sorella, maledizione! Sei forse stupida, Ai?» domandò, riversandole addosso tutta la frustrazione che aveva accumulato in quelle settimane. Ai sgranò gli occhi e poi corrugò la fronte.
«Hikaru, vai al diavolo!»
Il mondo sembrava star cadendo a pezzi, adesso che anche lei e Hikaru avevano finito con il litigare.
 
Yuichi aveva raccontato a Masato della discussione avuta con suo padre. Era davvero giù di corda, si sentiva anche in colpa, ma non intendeva tornare indietro sui suoi passi. Masato gli aveva circondato le spalle con un braccio e cercava di consolarlo.
«Non ti preoccupare, tuo padre ti vuole bene. Sono sicuro che c’è un motivo dietro a tutto questo.»
«Già, un motivo che però non conosco. Gli adulti sanno essere davvero complicati, l’ho sempre pensato. Tra di noi è tutto così semplice. Vero?»
Yuichi era tenero in quel suo tentativo di cercare rassicurazione. Masato gli aggiustò gli occhiali.
«Ma certo che lo è!»
E dopodiché gli posò un bacio sulle labbra. A lui, a nessuno dei due in realtà, era mai importato molto dei possibili giudizi dei loro compagni. Nessuno in realtà aveva mai provato a dar loro fastidio. Fino a quel giorno.
«Ooh, Kurosaki e Ishida si baciano, che spettacolo pietoso! Nessuno vuole vedervi scambiare effusioni!»
I due ragazzini si staccarono: era il solito gruppo di seconda media che in genere dava fastidio a Kaien e Hayato.
«Allora puoi benissimo non guardare» disse Yuichi, pur sapendo che non era una buona idea metterseli contro in quel modo. A fare a botte non erano bravi.
«Non vi conviene proprio fare i grandiosi. Kurosaki, questa volta non c’è il fratellino a proteggerti.»
Masato indietreggiò. Quando mai Kaien lo aveva protetto da un’aggressione? Che lui sapesse, non ce n’erano mai state, fino a quel momento.
«Non capisco di cosa parli» sussurrò Masato. Strinse la mano di Yuichi. E va bene, si disse, se doveva essere colpito solo perché amava un ragazzo, si sarebbe fatto colpire.
Un lampo arancione per un attimo oscurò il sole: Kaien era arrivato dal nulla e con la stessa facilità aveva colpito in viso il bullo. Masato quasi si spaventò per tanta violenza.
«Kaien!»
Suo fratello sembrava un teppista, come quelli che si vedevano alla televisione. Gli bastò una sola occhiata per farsi valere. E una frase.
«Sparite qui. Posso farvi molto male anche senza Hayato, a voi tutti!»
Era la prima volta che lo vedeva così. Certo, sapeva che suo fratello spesso si cacciava nei guai, ma non immaginava che fosse così temuto. Messi in fuga i bulli, Masato guardò il gemello.
«Kaien, ma cosa…?»
Suo fratello fulminò con lo sguardo sia lui che Yuichi.
«Allora voi proprio non volete ascoltarmi, vero? Perché non capite che mi causate solo un sacco di problemi?»
«Cosa? Che abbiamo fatto?» domandò Yuchi.
«Questo! Voi vi comportate come una coppietta felice, e poi devo essere io zittire le voci! Perché pensate che nessuno vi abbia mai dato fastidio fino ad ora? Perché ogni volta che qualcuno ha provato a farvi del male, io e Hayato li abbiamo messi al loro posto. Ma io non posso stare dietro a tutti, maledizione!»
Il suo sfogo era stato forte. Non gli era mai pesato proteggere Masato e d’altronde nessuno gliel’aveva chiesto. Ma si sentiva in dovere, suo fratello era così sensibile e fragile. Masato scosse la testa.
«Ma… ma cosa dici?»
In realtà gli ci era voluto poco per capire: tutti i guai che Kaien aveva passato con i bulli erano stati causati da lui, dalla voglia del fratello di proteggerlo. Se nessuno gli aveva fatto del male, era stato grazie a Kaien.
 
«Mi spiace che questa situazione abbia portato te e Kiyoko a litigare. Mia sorella non si arrabbia mai, ma quando lo fa, è spaventosa.»
Finalmente Satoshi e Naoko avevano trovato un po’ di tempo per parlare in tranquillità. Non frequentando la stessa classe, spesso era difficile trovare qualche minuto libero, a scuola, ma Naoko aveva sentito proprio il bisogno di parlare con lui.
«Spero che le passi. Non è mica colpa mia se ci piacciamo a vicenda, ecco!» borbottò a braccia conserte. Satoshi si ringalluzziva sempre molto nel sentirsi dire certe cose, anche se rimaneva timido.
«Eheh, vero. È bello avere una fidanzata.»
«Oh, sei così carino.»
Naoko si guardò attorno. Se qualche insegnante li avesse visti, avrebbe fatto loro una lavata di capo. Ma che male poteva fare un bacio rubato? Così afferrò Satoshi per il colletto e lo baciò dritto sulle labbra.
Kohei li aveva adocchiati da lontano e aveva avvertito un modo di rabbia impossibile da trattenere. Avvertiva un nodo allo stomaco. Sua madre gli diceva sempre di respirare quando si sentiva agitato. Alle volte si ripeteva a mente i nomi delle varie specie d’aquila, ma non stava funzionando. Si sentiva così furioso che avrebbe tanto voluto dare un pugno a Satoshi. Lui sapeva quanto gli piacesse, eppure a stava baciando senza problemi. E lui allora? Si avvicinò ai due e con una certa violenza spinse Satoshi. Il quale, molto più piccolo ed esile, cadde.
«Satoshi!» gridò Naoko. «Kohei, ma cosa fai?»
«La colpa è tua, non mia. Tu non sei più amico.»
«Ahi. Ma cosa ti viene in mente?» Satoshi si alzò, lamentandosi.
«Naoko mi piace, perché l’hai baciata?»
Naoko arrossì. Non aveva mai preso troppo sul serio la cotta di Kohei, pensava fosse qualcosa di passeggero. Adesso si rendeva conto di essersi sbagliata e iniziava ad avere paura che l’amico perdesse il controllo. Satoshi fece spallucce.
«Io… noi ci siamo baciati. Perché lei mi piace e a lei piaccio io.»
Kohei iniziò a scuotere la testa.
«No. No. Non è vero. Bugiardo, brutto bugiardo. Non sei più mio amico.»
E dicendo ciò lo spinse di nuovo. E Naoko gridò.
 
«Kaien! Ma ti vuoi fermare?»
Masato si era ritrovato a correre dietro al fratello. C’erano delle cose che dovevano chiarire, ma Kaien non ne voleva sapere nulla.
«Lasciami in pace. Perché non fai mai quello che ti dico? La gente sa essere crudele, e se fin ora hai avuto la vita facile, è stato per me!» gridò, voltandosi all’improvviso. Masato s’indispettì. Non aveva fatto niente di male e non era colpa sua se il mondo era crudele.
«Mi dispiace, d’accordo? Ma io non ti ho chiesto niente. E non dovresti prendertela con me solo perché mi piace un maschio. O forse pensi anche tu che sia una cosa di cui vergognarsi?»
«Che cosa? Ma scherzi?!» Kaien si avvicinò al fratello e fece per dirgliene quattro. Il grido di Naoko però fece sussultare entrambi.
«Kohei, per favore, lascialo!»
Kohei aveva perso il controllo e si era buttato su Satoshi, il quale stava cercando di difendersi al meglio. I gemelli si guardarono, allarmati. Kaien fu il primo a fiondarsi sul cugino per cercare di fermarlo. Una rissa era proprio l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
 
«Cara Neliel, pensavo fossi a lavoro.»
«Non oggi, è il mio giorno libero.»
Neliel aveva accolto sua suocera con gentilezza come faceva sempre. Non aveva nulla contro quella donna, la trovava molto fragile, ma non riusciva a odiarla, anche se aveva contribuito passivamente all’infelicità di suo figlio.
«Non sono qui da sola. Mio marito è andato a cercare Nnoitra. Non è stato facile convincerlo a venire qui, ma ne sono contenta.»
Neliel mise sul fuoco la teiera con un gesto brusco.
«Vorrei che fosse chiara una cosa, Sun Ah. Ovviamente farò di tutto per mettere la pace fra voi a Nnoitra. Ma io sono molto protettiva con mio marito e se dovessi percepire che questa situazione lo fa in qualche modo soffrire, non me ne starò a guardare.»
Lo disse senza scomporsi, guardandola negli occhi. Sun Ah capì perché suo figlio si fosse innamorato di quella donna: Neliel era forte, lei invece non lo era mai stato.
«Non avevo dubbi.»
 
«Aries, stupido cane. Sta un po’ fermo. Ma perché Nel ci mette tanto?!»
Nel gli aveva detto inizia tu a fare il bagno ad Aries, vengo a darti una mano.
Ma ci stava mettendo troppo e intanto Aries scappava impaurito dall’acqua che usciva dal tubo. Nnoitra sospirò, legandosi i capelli. Non si era accorto che suo padre lo guardava, diritto e serio come al solito.
«Nnoitra.»
«Eh? Ah, sei solo tu. Che cosa vuoi?» borbottò. Ci mancava solo quest’altra seccatura.
«Dovresti chiederlo a tua madre, lo sai che la sua speranza sia almeno vederci a parlare. E dovresti ringraziare anche Naoko, a quanto pare lei l’ha convinta a non demordere. Tua figlia è una brava bambina.»
«Certo che lo è» disse stizzito. Lui e Neliel si erano impegnati per crescere Naoko al meglio. Suo padre sospirò.
«Credi che questo atteggiamento risolva qualcosa?»
Adesso ne aveva davvero abbastanza. Loro erano venuti fin lì, loro avrebbero dovuto far qualcosa per farsi perdonare per tutti gli anni di solitudine che gli avevano causato, non lui.
«Sai cosa c’è? Mi hai proprio stancato, con voi o senza di voi è praticamente la stessa cosa, dopotutto sono sempre stato solo.»
«Ora non ricominciare a fare la vittima. Non sei mai stato facile.»
Nnoitra dovette trattenersi. Gli avrebbe tirato un pugno, ma sarebbe stato soddisfacente solo in parte.
«Merda… cazzo! Lo sai, tu non hai mai creduto in me. Da bambino non mi hai mai dimostrato affetto, hai sempre svilito la mia passione e quando sono finito nei guai con la legge, mi avresti quasi diseredato. Sai perché Naoko è una brava bambina? Perché io e Nel facciamo del nostro meglio. Perché quando è nata ho deciso che non sarei mai stato come te. Lei è stata voluta e amata, io invece per quale diavolo di motivo sono nato, eh?»
Nnoitra si avvicinò a suo padre. Pensava di essersene fatto una ragione, di aver superato certi rancori, ma aveva appena scoperto di essere sbagliato.
Suo padre non rispose. Sentì dei passi e vide poi Neliel venirgli incontro con un’espressione preoccupata.
«Nnoitra, ho ricevuto una chiamata dalla scuola di Naoko.»
 
Karin era corso incontro a Chad come una bambina. E in effetti si era sentita un po’ tale, quando quest’ultimo l’aveva presa in braccio con una facilità disarmante, sollevandola. Sua moglie era tornata a casa e lui era andato a prenderla alla stazione. Gli era mancato stringere quel piccolo corpo, la sua voce e gli era mancato il fatto che Karin sapesse sempre cosa fare.
«Oh, ma che accoglienza. Mi sei mancato tanto.»
Per quanto Karin fosse poco propensa alle effusioni in pubblico, decise di infischiarsene e di donare a suo marito un lungo bacio.
«Mi sei mancata anche tu. E sei mancata anche a Kohei, sarà felice di vederti» Chad si prese in spalla il suo borsone e la condusse verso l’auto.
«Cos’ha combinato quel ragazzino mentre non c’ero?»
Chad sbuffò. Badare a Kohei era senza dubbio interessante, ma dubitava di essere ancora pronto ad avere a che fare con gli adolescenti.
«Kohei si sta già approcciando all’amore e…al sesso. Non so se sono la persona adatta però.»
«Ma come? Sei suo padre, chi meglio di te?» domandò Karin inarcando un sopracciglio. Lei avrebbe anche potuto pensarci e parlare a suo figlio, ma dubitava che Kohei sarebbe stato disposto a fargli certe confidenze.
«È che non so se i miei consigli sono adatti…» ammise. Suo figlio lo prendeva alla lettera, prendeva alla lettera la maggior parte delle cose, ecco perché era terrorizzato.
«Sta tranquillo, sei sempre stato bravo a dare consigli.»
Karin si sedette in auto. Nemmeno il tempo di sistemarsi che il suo cellulare squillò. Non riconobbe il numero, ma rispose comunque.
«Sì? Oh, sì. Sono la madre di Kohei Sado. Che cosa? Ma…sì, certo, possiamo venire subito. Arrivederci.»
Chad si irrigidì. Il tono di sua moglie non prometteva bene.
«Umh… cosa succede?»
Karin assottigliò lo sguardo. Cosa diamine era successo mentre non c’era?
«È successo che nostro figlio ha dato inizio ad una rissa. Io… no, anzi, mi spiegherai dopo. Adesso andiamo, piuttosto. Sono davvero preoccupata!»
Entrambi sapevano come Kohei potesse essere ingestibile nei momenti di crisi. Quell’età era terribile. Un momento prima era tutto a posto, quello dopo accadevano cose come quelle.
   
 
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