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Autore: Persefone26998    14/02/2023    0 recensioni
"Perché forse Sumeru ha ragione a dire che il suo cuore sia minuscolo quanto un acino di pepe e altrettanto piccate, ma non c'è nessun angolo di esso che non cederebbe alle dita del biondo se l'altro glielo chiedesse..."
Una piccola Oneshot per il compleanno di Al-Haihtam
φίλος: dal greco, è la forma di amore incondizionata tra due anime affini
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alhaitham
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Son troppo diverso dai vostri eroi
L'ho fatto per me, non per voi
(Mercanti di Liquore, "L'eroe")

 

Le ore nell'ufficio del Grand Sage si confondono nei tratti di inchiostro sulle pile e pile di documenti che si alternano come il più stressante dei valzer alla sua scrivania, tutto diventa uno scorrere lento e abitudinario del samsara delle sue giornate; non che Al-Haitham abbia davvero rimostranze da apporre al ciclo ben scandito delle sue giornate, anzi è privilegio di pochi potersi cullare nella monotonia della propria comfort zone senza Archon da salvare e golpe da organizzare, sperando che delle mille e una possibilità che la propria mente analitica ha valutato si verifichi proprio quella che non si era tenuta in considerazione e che porta inevitabilmente al fallimento di un piano altrimenti geniale.

È che semplicemente si sente drenato di ogni energia a stare seduto a quella scrivania, con una posizione che non aveva mai richiesto e che aveva assunto solo per senso del dovere nei confronti della sua nazione; perché del potere non gli è mai interessato niente e porta con sé troppe responsabilità per non far sembrare quella scrivania un rovo di spine, scuote come un terremoto la sua vita tranquilla e lo ammanta ancora di più di un eroismo in cui Al-Haitham non si rivede.

Che il potere è un'illusione malsana e ingabbia facilmente gli esseri umani nelle sue spire, è lo stare in bilico sul bordo di un cornicione che continua piano piano ad erodersi fino a farti precipitare nel baratro di te stesso. E dirlo non significa negare la profonda responsabilità che il peso delle proprie azioni porta, il decretare se qualcosa sia giusto o sbagliato non è nel senso assoluto delle scelte che si compiono, ma nei motivi e nelle conseguenze che queste si portano sulle spalle; destituire il proprio Archon non è sbagliato di per sé, blasfemo e irriconoscente degli sforzi che esso ha compiuto, ma la differenza tra un tiranno e un dio amorevole è ciò che fa pendere l'ago della bilancia in modo nettamente diverso per quanto alle persone comuni questo concetto non piaccia.

È una verità nuda e cruda che, nelle scelte che Azar e i suoi hanno compiuto, non ci sarebbe stato niente di sbagliato se Lesser Lord Kusanali fosse stata un mostro e loro non avessero agito per i propri interessi ma per il bene degli altri; ma così non è e il potere con i suoi fardelli li ha trascinati nei bassi fondi della loro ingordigia, tradendo gli stessi fondamenti dell'Accademia. E non c'è nulla di eroico nel cercare di mantenere l'equilibrio, non è fede nel proprio Archon, non è patriottismo, non è senso di giustizia o compassione, non è la folle ombra in cammino sulla strada dei sognatori; guarda i regali che si impilano sulla sua scrivania, pacchetti che non ha mai chiesto e spesso non hanno senso perché può contare sulle dita di una mano quanti di quelli provengano da persone a cui importi davvero di domani.

E pensa che non c'è davvero nulla di eroico.

***

È l'odore del caffè a svegliarlo quella mattina prima che il suo orologio biologico picchietti sulle sue spalle all'ora di uscire dalle coperte, il sole filtra appena tra le incisure delle tapparelle che si sono dimenticati di chiudere nel modo corretto ieri sera; l'assenza di calore e la vaga rimembranza tra le lenzuola del profumo del sapone alle paradsarah handmade che l'altro insiste sempre a comprare a un prezzo spropositato, perché è una forma di umanità sostenere i sogni degli altri, gli dicono che è solo nel letto prima di aprire gli occhi. E forse più che il caffè, l'albeggiare che gli colpisce impietosa gli occhi o il baccano che il biondo è capace di fare anche nei minimi aspetti della loro vita, è proprio la mancanza della sua pelle calda e dei mormorii senza senso che gli scivolano dalle labbra nel sonno a svegliarlo, come se a ritrovarsi da solo nel letto quella mattina avesse perso ogni logica; ma questo è un pensiero su cui non ritiene necessario soffermarsi troppo, è naturale come il respiro quella mancanza e ha smesso da tempo di cercarvi una logica, mentre scivola fuori dalle coperte e il pavimento sembra fatto di ghiaccio sotto le piante nude, può quasi sentire la voce di sua nonna redarguirlo sul non girare per casa scalzo.

Ma Al-Haitham di cercare nel caos della sua stanza quella mattina non ha voglia, il sonno è ancora ancorato ai suoi occhi e senza caffè o la pelle calda di Kaveh appiccicata alla sua di prima mattina sente di non essere in grado di carburare a pieno regime; c'è una ragione all'abitudine, una strada conosciuta che nell'ordine degli eventi che si ripetono sempre su se stessi porta con sé il senso di pace che ogni essere umano agogna. E le mattine per Al-Haitham iniziano sempre con quelle ciocche dorate che gli solleticano le guance, sanno dell'odore di quel sapone handmade che avvolge tutto lo spazio chiuso sotto le lenzuola e sanno dell'umidità che le sue parole sconnesse gli soffiano sul collo, sanno della sensazione di un calore dal quale è necessario una forza di volontà stoica per distaccarsi; certamente le mattinate non sanno di Kaveh affaccendato con i fornelli, i capelli raccolti in una crocchia poco stabile e la sciarpa di flanella avvolta attorno alle spalle a schermarlo da quella gelida mattinata di febbraio.

Eppure, non è una mattinata meno bella a soffermarcisi più a lungo di qualche istante, anche se quella mattina fa freddo e la possibilità del calore dell'altro sembra più invitante di quella diesamina puramente edonistica, nonostante il biondo sarebbe propenso a decretare che non ci sia una briciola di amore per la bellezza in lui; non che il suo compagno sia tenuto a sapere quanto si sbaglia, perché forse delle sue idee al di fuori di qualsiasi logica Al-Haitham non ne capirà mai niente, ma è anche abbastanza sicuro che in fondo si possa definire arte anche il modo in cui le sopracciglia dell'altro si avvicinano increspando la pelle del suo viso mentre cerca di non affettarsi le dita sotto la lama affilata.

Kaveh è il peggior cuoco che abbia mai avuto la sfortuna di incontrare, troppo facilmente distraibile per seguire una ricetta nel modo corretto, troppo sbadato per non rischiare di farsi male la maggior parte del tempo e troppo pieno di immaginazione per non apportare delle modifiche del tutto personali e per la maggior parte delle volte decisamente disastrose; francamente Al-Haitham ricorda davvero pochi pasti che gli siano mai riusciti in un qualche modo dignitoso da che lo conosce. Ma sarebbe disonesto con se stesso a negare che gli si stringa il petto a vederlo piegato con sguardo attento sulle stoviglie come se potessero esplodere da un momento all'altro, sarebbe disonesto a negare che nel pessimo cibo che Kaveh cucina non ci sia tutta la dolcezza che l'altro riserva verso il mondo e verso di lui anche quando non vi è nessun motivo per meritarlo; sarebbe disonesto a negare che la pelle di Kaveh, che sa di quelle saponette troppo costose ed è sempre caldissima, assume tutto un insieme di stimoli sensoriali quando odora dello zucchero e della cannella dell'halim riscaldata dalla fiamma delicata della loro cucina.

L'altro sussulta vistosamente quando gli circonda la vita con le braccia e Al-Haitham deve solo ringraziare i suoi riflessi, per quanto ancora intontiti dal sonno, se Kaveh non si ritrova senza un dito, a discapito dell'espressione di puro fastidio che l'altro gli lancia da sotto gli occhi ancora piegati dalla stanchezza.

- Che ci fai qui?

- Il proprietario sui documenti della casa sono io

Non è pienamente sicuro che l'altro abbia sentito il suo mormorio e neanche gli interessa, la pelle di Kaveh è calda e l'odore della cannella è ovunque tra i suoi capelli, come se nel processo di cucinare l'avesse sparsa per tutta la casa, cosa di cui Al-Haitham non si sente in grado di dubitare onestamente; il biondo si rilassa tra le sue braccia, la schiena appoggiata al suo petto e le ciocche sfuggite da quella pettinatura disordinata che gli solleticano le guance. E anche se sente l'espressione esasperata nella sua voce il mondo sembra dissolversi in una nuvola di niente mentre si lascia andare a quella debolezza mattutina, tra le mura di una casa che è tanto sua quanto di Kaveh per quanto gli piaccia stuzzicarlo del contrario.

- Intendo sveglio e in cucina, dovevi alzarti tra mezz'ora

- Freddo

Le parole sono un'arte raffinata, che nel loro significato nascondono un significante sempre più grande di quello che si pensa, sono l'acqua cristallina di un lago che riflette la volta celeste e nasconde la flora sottostante; ne basta una per dire tutto ciò di cui ha bisogno, due sillabe per racchiudere tutte le sue motivazioni su quanto detesti svegliarsi senza Kaveh appiccicato addosso come se Al-Haitham fosse più comodo del materasso, senza l'odore di quelle saponette ad avvolgerlo fino a penetrargli nella pelle che saprà del loro odore per tutto il giorno, senza i suoi capelli biondi a solleticargli il collo e le confessioni sconclusionate e imbarazzantemente sincere che gli sfuggono dalle labbra, perché di stare zitto Kaveh non ne è capace neanche mentre dorme ed è forse una delle cose cha Al-Haitham ama più di lui.

Perché il mondo gli era sembrato insostenibile quella sera prima di accompagnare Lumine nel loro folle piano in cui qualsiasi cosa poteva prendere la piega sbagliata, gli era sembrato gelido senza la certezza di poter vedere Kaveh almeno un'ultima volta, senza la possibilità di dirgli quanto tutti quegli anni avessero significato per lui anche se avevano passato più tempo a ferirsi con le labbra che a baciarsi. Perché forse Sumeru ha ragione a dire che il suo cuore sia minuscolo quanto un acino di pepe e altrettanto piccate, ma non c'è nessun angolo di esso che non cederebbe alle dita del biondo se l'altro glielo chiedesse; Al-Haitham non è un eroe, non è un virtuoso, non è un giusto, ma cederebbe anche l'ultimo centimetro di se stesso pur di conservare dal mondo quell'oasi eterna tra quelle mura e l'odore delle paradisarah e della cannella intersecate sulla curva del collo di Kaveh.

- Beh, buon compleanno testa dura... cos'è qualcuno si è svegliato coccolino stamattina, deve essere celebrato per comportarsi da normale persona in una coppia e non come un pezzo di ghiaccio, Mr Acting Grand Sage?

- Sei tu che dai importanza a queste sciocchezze, non io

- Mi scusi, eroe di Sumeru

- Sei ancora arrabbiato?

È una domanda retorica, lo sa ancor prima di pronunciarla ma è così caldo e indolente tenere l'altro tra le braccia quella mattina che sente la sua testa andare a rilento; non è necessaria l'occhiata di sbieco che l'altro gli rivolge o l'irrigidirsi del suo corpo a dargli la risposta, perché per quanto Kaveh l'avesse tediato come un bambino a cui si negano le caramelle i primi tempi, quando aveva scoperto tutto quello che era successo, quando Cyno aveva vuotato il sacco senza remore perché maledetto Al-Haitham che non si era ricordato quanto stretta fosse la loro amicizia, era stato come veder esplodere le stelle davanti ai suoi occhi con tutta la potenza distruttiva che quelle giganti gassose si portavano dentro.

Per la prima volta aveva seriamente avuto paura di aver spezzato la corda che si tendeva tra di loro da anni, per la prima volta aveva visto l'altro rientrare in casa in un totale silenzio che gli aveva contorto le viscere più del sentirsi urlare addosso; per la prima volta l'aveva visto impacchettare le sue cose ed aveva sentito freddo anche toccando la sua pelle.

- Certo, sarò arrabbiato per almeno un'altra decina di anni, hai rischiato di farti ammazzare razza di idiota! Tutto quel cervello e non lo metti neanche in funzione

- Sei al sicuro tranquillo, tutte le mie proprietà sarebbero passate a te e...

Al-Haitham è un maestro nel dire la cosa più sbagliata per sfuggire alla debolezza che mostrerebbero se si parlassero sinceramente, è un'artista nel mistificare la paura con la strafottenza e nel centrare i punti giusti per fare scoppiare Kaveh come una vampata ardente, deviando la sua attenzione dai non detti che stanno sospesi come spade sulle loro teste; perché di parlare di sentimenti, specie dei suoi, non è mai stato brillante e preferisce chiuderli in un cassetto a doppia mandata pur di non tirare fuori quanto sia fragile il loro spazio sicuro. Teyvat non è un mondo per i buoni di cuore, checché la gente si affanni a pensarlo e la maggior parte delle vite dei suoi abitanti scorrano nell'automatico flusso dell'esistenza senza uno scossone troppo forte, resta un mondo ostile e pieno di insidie dove le civiltà sorgono e crollano nell'arco di poche generazioni senza che nessuno sappia spiegarne il perché; Teyvat non è un mondo fatto per i sentimenti vissuti in modo libero, non è fatto per la conoscenza che scava nelle radici del mondo fino a scoprire il seme della sua polpa, non è fatto per gli eroi che trionfano sul male senza perdere un pezzo di se stessi.

E, forse, è un ipocrita a pensare che i sentimenti di Kaveh non li capisca perché la rabbia che gli irrigidisce le spalle Al-Haitham la sente ogni volta che l'altro da tutto al mondo senza riceverne nulla in cambio; perché non conosce nessuna persona che sia pura di cuore quanto Kaveh, che cederebbe anche la sua stessa esistenza se servisse a garantire la sicurezza delle persone che ama. Al-Haitham il mondo lo farebbe e l'ha fatto a pezzi con Lumine e gli altri pur di preservare quel cuore e quel luogo sacro in cui dimora, distruggerebbe Teyvat mattone dopo mattone se servisse a garantirgli di preservare quella vita semplice e lineare, fatta del suo lavoro in cui può immergersi nei libri fino a perdere la cognizione d sé, fatto della sua casetta calda e accogliente poco fuori l'accademia, fatta di Kaveh, della sua voce, del calore della sua pelle e del profumo delle saponette di paradisarah handmade più costose di tutta Sumeru.

Non c'è una briciola di eroismo nelle sue azioni e questo Kaveh lo sa, soprattutto quando lo guarda con quelle iridi tanto rosse da sembrare gioielli.

- Puoi portarlo nella tomba con te questo posto se devi lasciarmi solo

E come lui è un maestro nel dire la cosa sbagliata, Kaveh è un artista nel comunicare a carte scoperte quando meno se l'aspetta, a recintare in modo netto le loro vite ed esprimere quello che non hanno mai avuto abbastanza coraggio per dirsi, perché sono tanto bravi a litigare sulle stupidaggini da dimenticarsi quanto poco lo siano a essere sinceri tra di loro; resta in silenzio a soppesare quanto poco ha da ribattere che anche lui la pensa quella frase, perché in certi momenti le parole che ama tanto sono senza senso quando può rimettere in ordine la loro vita semplicemente lasciandola scorrere nell'incavo del collo di Kaveh.

- A cosa devo l'immenso onore di meritare l'assaggio della tua arte culinaria, non ad aver salvato il tuo bel studiolo? E sei sicuro che quel naan non sia bruciato?

- Se ti sei alzato solo per farmi saltare i nervi e criticare la mia cucina, puoi tranquillamente tornare a dormire... E io che mi sono pure svegliato ad un orario indegno per prepararti la colazione, ogni anno ti diverti a rovinare sempre qualsiasi sorpresa io progetti per il tuo compleanno

- L'avvelenamento non la considererei una sorpresa

- Il fatto che oggi sia il tuo compleanno non significa che non rischi che ti sbatta il mestolo su quella zucca vuota

Spera che in quel grazie che ha la forma di un bacio Kaveh sia abbastanza percettivo da capire quanto in un giorno come un altro, a cui solo il biondo e sua nonna abbiano mai dato importanza, sia grato di potersi spezzare e ricomporre sulle labbra dell'altro come il perfetto specchio di se stesso.

Al-Haitham è un fervente sostenitore dell'illogicità del binomio silenzio/assenso perché nella non espressione non c'è nessuna forma di consenso, ma il sorriso di sbieco che gli rivolge Kaveh gli comunica che l'altro non ha bisogno di nessuna spiegazione; la pelle tenera del collo dell'altro è salata sotto il sapore piccante e dolciastro della cannella, è così delicata che si arrossa anche solo ogni volta che la ricopre di baci e il corpo tra le sue braccia si contrae in risolini mal trattenuti. Dal bordo della sua casacca, che l'altro usa impunemente come pigiama da che ha memoria dell'inizio di quella relazione e che è decisamente troppo larga e lunga per la sua conformazione minuta, riesce a intravedere la scia di boccioli violacei che percorrono la sporgenza delle clavicole del biondo; non si considera un uomo particolarmente propenso agli stimoli fisici, ma vederli e sapere che sono state le sue labbra a disegnargli la pelle gli fa scorrere un senso di euforia nelle vene che non saprebbe razionalmente spiegare.

Anche la pelle delle sue gambe, quella che può accarezzare facendo scorrere le dita al bordo di quella veste improvvisata, è morbida sotto le sue dita come fosse seta pregiata, appena ruvida della peluria bionda che le ricopre e che l'altro si ostina inutilmente a tagliare per un non sa quale senso estetico irraggiungibile; le gambe di Kaveh sono nella loro interezza qualcosa di micidiale per la sua attenzione, piene e toniche delle centinaia di ore passate nei cantieri dei suoi lavori a controllare ogni angolo con la precisione millimetrica che non ha mai riservato alla cucina. Vi passerebbe delle ore a poggiarci il capo e perdersi nella lettura, ci passa delle ore nel guardarle muoversi nelle loro casa e pensare che non c'è una parte del corpo dell'altro che non sia semplicemente bellissima anche agli occhi di una persona terribilmente razionale come lui.

- Tham, sto cucinando, non lamentarti poi se il cibo è cattivo

Il modo in cui l'altro inclina la testa esponendo più pelle da pizzicare tra i denti e si addossa a lui contrasta nettamente con quella pretesa di cosa adulta da fare, già totalmente dimentico della sua opera di cucina con il respiro che si infrange direttamente sulle sue orecchie scoperte delle cuffie isolanti; Kaveh non fa particolarmente rumore quando gli permette di lasciar scivolare le mani sulla sua pelle, per quanto sia una persona rumorosa in tutti gli aspetti della sua vita, come se a ridurre la sua voce a un flebile refolo d'aria fosse in grado di non rompere quella sottile quiete che si insinua tra di loro. E vorrebbe tutto di Kaveh in mattine come quelle, dove più lascia scorrere le mani sul suo corpo e quei sospiri si incidono nelle sue orecchie, più si sente affamato di mangiare ogni parte della sua testa fino a restare l'unico pensiero; non è un uomo virtuoso Al-Haitham e mai ha preteso di esserlo, perché Kaveh lo rende terribilmente egoista nel voler conservare tra le dita quell'oasi eterna.

Per questo quando Kaveh scivola dalla sua presa la confusione è pari a quello di ritrovarsi gettato in un lago ghiacciato, ma le domande gli appassiscono sulle labbra quando l'altro spegne la fiammella sotto la loro cucina e si gira a guardarlo con l'espressione divertita e sorniona del bambino pronto alla marachella; nonostante gli anni tra di loro siano a vantaggio del biondo, mentre lo guarda con quella luce di divertimento negli occhi e il modo in cui la casacca gli scivola indolente sulle spalle esponendo la clavicola bianca, gli sembra mortalmente giovane e fragile come il primo bocciolo di primavera.

- Prendimi se ci riesci, vecchietto

È stupidamente infantile rincorrerlo per il corridoio quando sfugge dalla sua presa e corre nel soggiorno, la sua risata riempie tutta la casa mentre lo insegue e girano in circolo lungo il tavolo della stanza e rischiano di cadere come due imbranati inciampando sui libri che accampano gli angoli; può indugiare in quei momenti di puro infantilismo quando si tratta di Kaveh, può rincorrerlo anche per tutta Sumeru per quello che gli riguarda se questo gli permettesse di sentire quella sua risata che è come il lento scorrere dell'acqua cristallina lungo il letto del fiume. Può farlo perché quando finalmente il biondo incespica su una pila abbastanza ostica da vedere al lato del divano centrale e lo trascina con se ridendo direttamente nelle sue orecchie, si sente un po' più l'eroe che gli altri pretendono che lui sia.

- Preso

- Ti ho lasciato palesemente vincere, non vorrei che a furia di sforzarti ti venisse il colpo della strega

- Sei più vecchio di me

- Nel corpo, non nell'animo

Resta in un silenzio che lascia l'altro convinto di aver vinto in quella rincorsa infantile e priva di ogni logica, perché teme che se aprisse la bocca si ritroverebbe a confessargli quanto la luce del sole renda i suoi occhi tanto belli da mozzargli il fiato; Al-Haitham non è un eroe eppure gli va bene che gli altri lo credano se basta a racchiudere quella bolla felice lontano dalle storture di Teyvat.

- Buon compleanno, Tham

Angolino del disagio

Sì, lo so sono in ritardo mostruoso per il compleanno di Al-Haitham, ma sono in sessione invernale e non riesco a scrivere con regolarità, sorry

Buon San Valentino, btw

 

  
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