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Autore: Jeremymarsh    28/02/2023    7 recensioni
Infine si alzò, indossò un'espressione determinata e come da copione si accucciò e saltò nel pozzo dopo aver chiuso con violenza gli occhi. Quando li riaprì ad accoglierlo fu la stessa luna che voleva farsi beffe di lui. Nessun tetto, nessuna vecchia capanna, nessuno sgradevole odore di futuro.
Un unico spicchio di luna osserva due amanti divisi dal tempo mentre affrontano a loro modo la separazione.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango, Shippou | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Se la luna fosse più indulgente con noi



 

“È un maschietto,” gli rivelò Miroku appena uscito dalla capanna dove Sango aveva dato alla luce il loro terzo figlio.

Inuyasha annuì prima di complimentarsi, sincero. Non ricordava di averlo mai visto così felice, nemmeno il giorno delle sue nozze o quando avevano scoperto che Sango aspettava non uno, ma ben due bambini durante la prima gravidanza.

Il monaco gli diede una pacca sulla spalla, sempre sorridente, e poi senza aggiungere altro rientrò, dove la moglie lo stava sicuramente aspettando.

Fuori, sotto quell'unico spicchio di luna, rimasero solo Inuyasha e Shippo.

Il demone volpe alzò il viso verso Inuyasha, osservandolo bene, ma prima di poter aprire bocca l'amico lo procedette.

“Beh, qui non c'è più nulla da fare,” borbottò. E se andò. Il piccolo continuò a guardarlo camminare dritto verso la sua destinazione, sempre la stessa ormai: il pozzo mangia-ossa.

Scosse la testa prima di sospirare, chiedendosi perché ogni lieto evento dovesse essere sempre macchiato da quella nota malinconica, perché Inuyasha – ma anche lui, gli stessi Sango e Miroku – non riuscisse mai a vivere un momento nella sua interezza. Alzando infine i suoi occhi verdi verso la luna, la quale gli sembrava ugualmente triste – condizionato com'era dai quei pensieri –, si disse che quelle reazioni erano normali.

La sua assenza si sarebbe sempre fatta sentire all'interno del gruppo e, per questo, anche le gioie più grandi non sarebbero mai stati vissute a pieno se lei non era lì a festeggiarle con loro.

 

*

 

“Sango ha dato alla luce un maschietto,” sussurrò Inuyasha, gli occhi puntati verso il fondo buio del pozzo.

Era seduto a gambe incrociate, la fedele Tessaiga appoggiata alla spalla destra e i gomiti premuti contro il bordo della vecchia struttura; una cortina di capelli d’argento nascondeva il volto a chiunque lo potesse osservare da lontano e quindi anche la sua espressione malinconica e lo sguardo carico di desideri inespressi che stava cercando in tutti i modi di risolvere i misteri che quell'oscurità – che lo tormentava da più di due anni – celava.

“Finalmente Miroku ha l'erede che tanto ha cercato; puoi anche immaginare quel sorriso da imbecille e anche un po' sbruffone che aveva quando mi ha dato la notizia. Chissà quanto tempo ci vorrà prima che qualcuno glielo cancelli.” Rise, ma dietro quella risata non c'era poi tanto sentimento.

“È così ti sei persa anche questa,” riprese, incapace di nascondere oltre l'amarezza nel tono di voce. “C'era Rin ad aiutare Kaede con il parto, a stare accanto a Sango – è cresciuta anche lei ormai –, ma lo sai che avrebbe voluto te accanto a lei.”

Strinse le dita sul bordo, sentendo il legno vecchio sbriciolarsi sotto di esse, e ingoiò uno sbuffo prima che potesse scappargli dalle labbra.

“Tranquilla, non te ne fa una colpa comunque,” la rincuorò, come se potesse sentire chiaramente la voce preoccupata che, dall'altra parte, si incolpava per un'assenza che in realtà non era colpa di nessuno. “Nemmeno io,” aggiunse con un filo di voce.

Scosse la testa poi, come se si fosse accorto dell'assurdità di ciò che stava facendo. Succedeva sempre così.

Arrivava al pozzo e cominciava a parlare da solo, immaginava le risposte che lei gli avrebbe dato come se fosse proprio accanto a lui, udiva la sua voce, ma dopo poco cominciava a sentirsi sciocco. Allora subentrava anche il dolore e la rabbia nei propri confronti.

“Non fingo più che vada tutto bene; mi sono scocciato.” Studiò ancora il suo interlocutore, il buio, e si concentrò sul riflesso della luna che gli ricordava un po' le ciocche più chiare nella chioma scura di lei. “Lo so, lo so,” commentò, petulante. “Non ho mai preso in giro nessuno.”

Infine si alzò, indossò un'espressione determinata e come da copione si accucciò e saltò nel pozzo dopo aver chiuso con violenza gli occhi. Quando li riaprì ad accoglierlo fu la stessa luna che voleva farsi beffe di lui. Nessun tetto, nessuna vecchia capanna, nessuno sgradevole odore di futuro.

Allora afflosciò le spalle e, lentamente, abbandonò la struttura che era diventato il suo confidente.

Dandole le spalle, le impartì le sue parole d'addio – per ora: “Non mi sono stancato di aspettare, però. Dovessi aspettare anche 500 anni, non smetterò mai.”

 

*

 

Dall’altra parte del pozzo, una ragazza esalò un sospiro stanco prima di chiudere il libro sui cui era stata piegata, alzarsi e sgranchirsi.

Le sembrava di aver studiato per settimane e, infatti, voltandosi verso la finestra la luna che la salutò la sorprese: quando aveva cominciato il sole era appena sorto e lei non si era nemmeno accorta che fosse calata la notte.

Sperava che almeno tutto quelle ore di studio le fruttassero un buon risultato all’esame del giorno dopo. Non che le servisse poi molto. Non contava di iscriversi all’università dopo il diploma, ma sapeva quanto la sua famiglia ci tenesse a un buon risultato, soprattutto se si considerava per quanto l’ammissione alle stesse superiori era stata in bilico poco più di due anni prima.

Due anni.

Sembrava essere passato molto di più. L’assenza e il dolore avevano reso quegli anni ancora più lunghi.

Rivolgendo un ultimo sguardo alla notte, indossò una vestaglia pesante e scese le scale. Sempre facendo attenzione a non svegliare nessuno ed evitando di inciampare nella coda di Buyo, uscì fuori e si diresse verso la piccola capanna poco lontana dal tempio di famiglia.

Facendo scivolare la porta di legno, non si stupì della facilità con cui riuscì ad aprirla – c’era sempre qualcuno a occuparsi della manutenzione del luogo, sebbene per certi versi avesse perso l’importanza che aveva avuto, e lei stessa si assicurava di aprirla ogni tre giorni.

Era buio all’interno, se non per i raggi della luna che penetravano dalla porta lasciata socchiusa, ma i suoi occhi vi erano abituati e con passo esperto scese quei pochi gradini evitando quelli scricchiolanti.

Infine la sua mano incontrò il legno vecchio e secolare che, nonostante tutto, manteneva ancora la sua vitalità e sembrava parlarle, raccontarle le tante avventure che erano state vissute dall’altro lato.

Anche lei, come Inuyasha, si appoggiò al pozzo e si affacciò: l’oscurità era la stessa, così come le domande rimaste senza risposta. Ma nemmeno lei era riuscita a risolvere i tanti misteri che celava.

“Domani sarà una notte di novilunio,” cominciò, aspettandosi anche l’eco che seguì. “Chissà se è lo stesso anche da voi. Immagino di no, però.” Il sorriso che apparve sulle sue labbra era causato da qualche ricordo più spensierato, ma non era privo di amarezza. “Ogni mese mi chiedo come passi questa notte e se gli altri ti ricordano quanto tu sia forte anche da umano, se sfuggi da questa presunta debolezza.”

Con una mano scostò una ciocca che le era caduta sul viso e si stupì di sentire la propria guancia bagnata. Studiò i propri polpastrelli chiedendosi quando avesse cominciato a piangere, ma poi scosse la testa ricordandosi che le accadeva sempre.

Ricordare aveva quell’effetto su di lei. O forse era il pensiero di non potergli fare compagnia nel suo momento di maggiore fragilità.

In seguito, quando decise che si era fatto troppo tardi, si rialzò e lanciò un’ultima occhiata al fondo del pozzo. Avrebbe voluto scendere le scale che non erano state mai rimosse, ma non si azzardava con quel buio. Sarebbe tornata la mattina dopo, magari prima dell’esame.

“Sono sicura che Miroku, Sango, Shippo e tutti gli altri te lo ripetono ogni mese, anche se sei un tipo molto testardo,” ridacchiò tra sé e sé. “Ma riuscirò a ripeterlo anch’io un giorno, ricordatelo; la luna ne è testimone.”

E quando rientrò in camera sua e si assicurò che le tende fossero chiuse, i suoi occhi incontrarono ancora una volta la luna. Forse, prima che quell’ultimo spicchio scomparisse la notte seguente, sarebbe stata così indulgente da riportare il suo messaggio senza quel velo di tristezza che permeava ogni cosa.

   
 
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