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Autore: BrizMariluna    02/03/2023    5 recensioni
Venusia pensa che Actarus, in qualità di leader del quartetto di difensori della Terra - formato da loro due, Alcor e Maria - sia troppo autoritario e che troppo spesso vorrebbe fare tutto da solo. Così decide di fare in modo che il concetto di Spirito di Squadra gli entri bene nella regale capoccia, e ci resti!
Storiella romantica semiseria, da prendere con un po' di ironia, solo per chi, come me, ama il personaggio di Venusia =D
Questa one shot ha partecipato al 7 ° Concorso di GoNagaiNet, dal tema "Spirito di Squadra"
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Actarus/Duke Fleed/Daisuke Umon, Venusia/Hikaru Makiba
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA
Questa one shot ha partecipato al 7° concorso del GoNagaiNet forum, in occasione del 18° anno del forum e del 45° anno dalla messa in onda del primo episodio di Goldrake in Italia (4 aprile 1978) Non ha vinto, ha ricevuto solo quattro voti, ma sono contenta lo stesso.  Il tema del concorso era “Spirito di squadra”.
 
AVVISI e CHIARIMENTI 😉
Ciò che mi ha dato l’idea per questa shot, sono state le chiacchiere tra diverse utenti, lette sul suddetto forum, su un Actarus un po’ manesco e comandone che a tratti saltava fuori nell’anime, sulle quali mi sono trovata, in effetti, concordante. Nell’episodio in cui Venusia scopre la sua vera identità e, per un attimo, lo allontana leggermente scioccata, Actarus le tira un ceffone! Stessa cosa farà con Shira, in un altro episodio molto più avanti, una ragazza che rifiutava di prendere una medicina.
Insomma, a volte era molto autoritario anche con i compagni di squadra e a volte emergeva come pensasse di voler fare da solo, e che la faccenda della guerra contro Vega fosse solo affar suo. All’inizio non voleva nemmeno che Venusia combattesse (salvo poi, in seguito, arruolare la sorella Maria come se nulla fosse). Ovviamente sappiamo che tutto ciò era dovuto al fatto che si preoccupava per i suoi compagni e per Venusia, e che non avrebbe mai voluto che altri corressero rischi per colpa sua.
Altra cosa: Actarus ha una ferita (la cicatrice rossa) al braccio destro, procurata durante la fuga da Fleed, sensibile alle radiazioni di vegatron. A un certo punto si appura che questa ferita peggiorerà irreversibilmente, finché le radiazioni gli raggiungeranno il cuore e lui morirà. Quindi lui vive quasi tutta la serie con questa Spada di Damocle sulla testa, convinto di dover morire giovane. La questione si risolverà solo verso la fine dell’anime, grazie al suo amico ritrovato Marcus che lo guarirà. In questa shot, Actarus non ha ancora incontrato Marcus, e pensa che avrà la vita breve.
Probabilmente i miei personaggi risulteranno un po' OOC.

 

 
 
 
DI SCHIAFFI E PUNIZIONI
(Ovvero, come inculcare lo spirito di squadra in una regale testa dura)
 
 
 
Venusia scese dal Delfino Spaziale, atterrato nel suo hangar già da un po’.
Aveva avuto bisogno di stare diversi minuti a bordo, lì da sola, a metabolizzare l’adrenalina che ancora, a tratti, le scorreva nelle vene, pungendogliele dall'interno, fino ad arrivare, come milioni di aghi incandescenti, fin sotto la pelle.
Si diresse all'ascensore che la portò giù, e scelse poi il corridoio che conduceva all'infermeria di primo soccorso.
Aveva una piccola ferita di traverso sul naso, che però sanguinava copiosamente e andava medicata.
Ma, soprattutto, aveva un diavolo per capello.
Con un gesto brusco, che tradiva la sua inquietudine, si tolse il casco e si scompigliò la capigliatura scura, come se, così facendo, potesse mettere a tacere le diaboliche creature del famoso modo di dire.
Era stufa e arcistufa dei modi autoritari e maschilisti del loro leader.
Okay, era al comando del mezzo più potente che la Terra avesse a disposizione per difendersi da Vega.
Okay, era il più grande e il più esperto dei quattro.
Ed era un principe, abituato a farsi rispettare ed obbedire: okay anche questo!
Ma a tutto c’era un limite: ora basta!
Sbucò nel piccolo atrio davanti agli ambulatori medici e si bloccò, vedendolo lì, arrivato anche lui rapidamente, probabilmente preoccupato per Maria, tanto che non era nemmeno rientrato nei suoi panni di ogni giorno e indossava ancora la tuta rossa e nera con le ali azzurre sul petto.
Non le capitava spesso di vederlo in tenuta da combattimento, ma senza casco, e lei era sempre consapevole dell’effetto che le faceva, quando le si parava di fronte in quel modo, bello e imponente... anche se le cose ormai erano cambiate.
E poi ora... ora era troppo arrabbiata, tanto da non sentire nemmeno la stanchezza e il dolore al naso, figurarsi subire il fascino alieno dei suoi occhi blu!
Lo raggiunse a passo di carica, gettando un’occhiata di sguincio ad Alcor che si teneva il braccio sinistro contuso, e a Procton che sostava sulla porta aperta dell’ambulatorio, intento a parlare col medico delle condizioni di Maria, la quale, a quanto pareva, era quella che stava meglio di tutti, nonostante il rocambolesco atterraggio di fortuna a cui era stata costretta con la Trivella Spaziale.
Actarus si volse verso Venusia, che ancora avanzava rapida e decisa, e per un secondo la squadrò con un’espressione indecifrabile, nella quale si davano battaglia la rabbia e la preoccupazione, alla vista del suo volto insanguinato.
Anche lui sfoggiava un bello sbaffo di sangue sulla guancia, colato da un piccolo taglio su un lato della fronte. Per un surreale attimo, Venusia si chiese se i loro caschi servissero realmente a qualcosa o se, in realtà, fossero solo dei begli accessori che complicavano loro la vita.
Il giovane mosse qualche passo deciso verso di lei, come se volesse rimproverarla o, peggio, prenderla a schiaffi; ma la ragazza non si fece prendere in contropiede. Ah, beh, un altro schiaffo da lui, anche no, eh?!   
La sua mano interruppe qualunque gesto o parola stesse per manifestarsi da parte di Actarus.
Ciaff!
Il palmo di Venusia si abbatté con violenza tra la guancia e le labbra del principe di Fleed,  con uno schiocco tale da lasciare tutti basiti.
Actarus incassò con una calma olimpica: in silenzio, si passò il dorso della mano sul volto e la fulminò con uno sguardo tra l’interrogativo e l’infuriato.
– Se stai pensando di tirarmelo indietro, frena alla svelta: torneremmo in disparità. Te lo dovevo da un pezzo, e lo sai benissimo! –  tuonò Venusia.
Gli altri –  compresa Maria che era apparsa sulla soglia dell’ambulatorio fresca come un quarto di pollo – li guardarono allibiti: nessuno sapeva del ceffone che Actarus aveva rifilato a una Venusia sull’orlo di una crisi isterica, il giorno in cui aveva scoperto che lui era il pilota di Goldrake, nonché un principe alieno.
– Ma cosa diavolo ti è preso, sei impazzita? – chiese Actarus, alterato.
– Cosa mi è preso? Cosa mi è preso? Hai un bel coraggio, a chiederlo! – lo accusò, puntandogli un dito contro il petto – Mi è preso che è ora che la fai finita, col tuo atteggiamento autoritario e da grande capo! Tu...  tu...! Non ti permettere più, mai più, di ordinarmi, mentre ti sto salvando la vita, di andarmene dalla battaglia!
– Ma ti rendi conto di cosa hai fatto?  
– Poco ma sicuro, che mi rendo conto! Ho protetto te e Alcor!
– E farti mangiare dal mostro ti è sembrata una soluzione? Un po’drastica, non trovi?
– Dovevo distrarlo, per toglierlo di dosso a te e Alcor! Eravate schiacciati sotto di lui, immobilizzati sulla schiena, senza armi disponibili! Vi stava massacrando, e basta guardare come è ridotto il Goldrake 2! L’unico modo è stato infilarmi nella sua bocca e sparare! C’ero solo io, lì, che potesse fare qualcosa, in quel momento, per distogliere il mostro da voi! Ha funzionato, no?  Se avessi obbedito al tuo ordine, e me ne fossi vigliaccamente andata, voi due ora sareste cotti al forno come due tacchini!
– Non esagerare, dai – intervenne Maria – Se la sarebbero cavata, non sono due ragazzetti alle prime armi!
Venusia si rivolse alla giovane compagna di battaglia con tono alquanto disturbato:
– No, quella sei tu, infatti! Ma che problemi avete, voi della casata di Fleed? Ce la fate ad arrendervi all’idea di aver bisogno degli altri, qualche volta?
– Sapete, Venusia non ha tutti i torti... – disse Alcor, in un tono stranamente pacato data la sua indole solitamente irruenta.
– Zitto! – lo interruppe Venusia, puntandogli un indice contro – Che non verrai da Fleed, ma quanto a deliri di machismo e onnipotenza, non sei scarso neanche te!
– Basta, Venusia!
L’esortazione di Actarus la mandò ancor più fuori dai gangheri.
– Altrimenti cosa fai? Mi ordini di andare in camera mia? Mi dai un altro ceffone? Prego, accomodati! Hai visto come faccio presto a tornare in pari!
Procton interruppe quel colorito scambio di battute pungenti invitando la ragazza, in tono severo, nell’ambulatorio per farsi visitare dal medico. Altrettanto severa fu l’occhiata che lo scienziato fece scivolare, silenziosamente, sugli altri tre.
Con un ultimo sguardo, che mandava saette verso i suoi compagni, Venusia obbedì e, con passo rigido e impettito, si diresse a farsi medicare.

 
***
Il naso le bruciava.
Ma ora che era stata medicata e aveva fatto una doccia rigenerante, con addosso una camicetta rossa pulita e una gonna corta e sportiva, Venusia si sentiva rinata.
Si affacciò al parapetto della terrazza del centro, sperando che la vista della notte estiva la rasserenasse un po’; la brezza tiepida le accarezzò le guance accaldate, ed effettivamente cominciò a calmarsi.
Il suono dell’incedere alle sue spalle, però, non contribuì ad accelerare il processo, anzi…  
Dio, no, non aveva voglia di discutere ancora, non con lui; ma qualcosa le suggerì che non ci sarebbe stato scampo.
Allungò appena lo sguardo, con la coda dell’occhio, quando Actarus si fermò al suo fianco, poi tornò a guardare davanti a sé.
– Scusami.
Ecco! L’ultima parola che si sarebbe aspettata da quell’orgoglioso, dannato fleediano guerriero... che però in quel momento vestiva i panni dell’umile contadino terrestre: un paio di jeans e una camicia azzurro chiaro col colletto alla coreana slacciato, lo avevano nuovamente trasformato nel giovane che aveva conosciuto tanto tempo prima.  Erano accadute tante cose, da allora: lei era cambiata, era cresciuta e maturata, e non solo in senso fisico; tuttavia, c’erano momenti in cui aveva la sensazione che lui continuasse a vederla come la ragazzetta ingenua e sprovveduta che era all’epoca.
Dal canto suo, spesso faticava ancora a realizzare che questo ragazzo di fronte a lei, dall’aspetto semplice – che la piccola medicazione, a lato di un folto sopracciglio, rendeva ancora più normale e umano – e il duro e determinato pilota di Goldrake, nonché principe addirittura di un altro pianeta, fossero la stessa persona.
In ogni caso, non gli avrebbe permesso di sminuire le sue capacità ancora una volta: alla prima parola di traverso lo avrebbe piantato lì e se ne sarebbe andata a dormire.
– Ammetto che non me le aspettavo, ma non saranno delle scuse a blandirmi, e lo sai. Credevo che l’argomento “Venusia che combatte” fosse ormai esaurito da un pezzo. Mi pareva lo avessi accettato, e che non sarebbe più stato necessario parlarne, soprattutto da quando hai ritrovato Maria e anche lei è diventata parte del nostro team.
– Lo so, Venusia… Anche lo schiaffo… me lo meritavo, in fondo. Me lo dovevi da quel giorno, hai ragione.
– Certo che ho ragione! Sono stanca di venir trattata, da te, diversamente che da Maria e Alcor, come se io valessi di meno! Non sono diversa da loro, e te l’ho dimostrato più di una volta, anche oggi! Tu sei… sei coraggioso, intelligente e sensibile: non mi capacito di come tu non riesca, o non voglia, capire una cosa tanto semplice. Io, te e quegli altri due scapestrati che amo come fratelli, siamo una squadra! Una squadra, capito? Tu proteggi noi, noi proteggiamo te, e ciascuno a vicenda. Tutti per uno e uno per tutti, come i moschettieri!
Actarus la osservò in silenzio, senza ribattere; ribadirle che aveva ragione avrebbe avuto poco senso, ma era stato più forte di lui, urlarle di andarsene.
Lei, intanto, proseguì imperterrita:
– Persino mio padre e mio fratello sono fieri di me! Perché tu non riesci ad esserlo? Perché è così difficile tirare fuori un “Brava, Venusia!” o un “Grazie, mi hai salvato la vita?”  Che ci piaccia o no, è così: è la nostra missione, ho imparato a convivere con il fatto che tutti e quattro potremmo morire. Perché io ci riesco e tu no?  Sono stanca di sentirmi sminuita in questo modo, come se tu non ti fidassi di ciò che sono in grado di fare. È un discorso vecchio, comunque…
Alterata, delusa, Venusia gli voltò la schiena per rientrare, per guadagnare la tranquillità della sua stanza.
– Sono stanca, vado a dormire. Buonanotte.
Lui si affrettò a seguirla.
– Ti accompagno.
– Se proprio vuoi… Duke – fu l’indifferente risposta.
– Duke? Ma stai scherzando? Quando scopristi chi sono, mi dicesti che per te sarei stato sempre Actarus!
– Sì, beh… le cose cambiano, nella vita: io, tu… i nostri ruoli… Non sono più una ragazzina romantica. Sono finiti da un po’, i tempi della mia cotta adolescenziale: non mi metti più soggezione.
Il silenzio che li accompagnò fino alla porta della camera della ragazza fu, inaspettatamente, rotto proprio da Actarus.  
– Tu non sai come mi sono sentito quando ho visto il Delfino Spaziale, con te dentro, infilarsi nella bocca di quel mostro – disse in tono sommesso, a cui fece eco quello di Venusia, al contrario deciso e vivace:
– Scommettiamo di sì? Ti sarai sentito più o meno come mi sento io, ogni volta, dal giorno in cui ho scoperto chi sei, quando vedo Goldrake rischiare, con te dentro, ad ogni attacco veghiano. Ho scelto di combattere perché il destino mi ha dato l’opportunità, un mezzo da battaglia e anche le capacità per farlo, esattamente come te! Che persona sarei, se mi tirassi indietro? Non sono una codarda, e non sarai tu a farmi passare per tale! Non l’ho certo fatto per farmi bella ai tuoi occhi; tanto… ho sempre saputo che non sarebbe servito. Quello che dovevo dirti te l’ho detto già oggi pomeriggio, non ho altro da aggiungere.
Era vero, le cose erano cambiate su molti fronti, lo sapeva anche lui. Venusia aveva ragione, ma sentirselo dire così a brutto muso gli suonò malissimo, e fece sentire lui, per un attimo, terribilmente svilito, fin troppo consapevole dei propri limiti. Doveva assolutamente fare qualcosa per ristabilire lo status quo.
Lanciò un rapidissimo sguardo attorno, per assicurarsi che non ci fosse nessuno, poi prese il viso della ragazza tra le mani e lo accostò bruscamente al suo: un attimo dopo le loro labbra erano fuse in un bacio bruciante che tolse il respiro ad entrambi.
Venusia rimase per un istante con gli occhi spalancati, senza vedere nulla… poi abbassò le palpebre e lasciò che tutto andasse come doveva andare: i cuori impazzirono, il sangue diventò incandescente e i loro corpi quasi cozzarono uno contro l’altro, nella frenesia con cui si strinsero a vicenda fra le braccia.  
Ci volle un po’ prima che si separassero, con lentezza, ansanti e un po’imbarazzati, restando allacciati, con le fronti appoggiate e gli occhi chiusi.

 
Actarus-Venusia-shot

Riaprirono gli occhi lentamente, Venusia con le labbra che tremavano, ancora umide di quel bacio che, davvero, in quel frangente non si sarebbe mai aspettata.
– Mai, mai nella vita, potrei anche solo pensare che tu sia una vigliacca, te lo giuro… Mi perdoni? – le chiese quindi vagamente ansioso, con gli occhi luccicanti come vetro, di quel blu cobalto che Venusia non aveva mai visto in nessun altro.
Le sfuggì un mezzo sorriso vagamente furbetto e si sforzò di ritrovare la lucidità, insieme a una buona dose di determinazione e malizia: neanche per sogno si sarebbe lasciata ridurre a una gelatina tremolante da un bacio!
– Promettimi che non lo farai più! Che non mi ordinerai mai più, di lasciare vigliaccamente il campo di battaglia! Che lascerai prendere a me le decisioni necessarie a seconda del momento e dell’emergenza!
– Prometto… che ci proverò…
– Risposta sbagliata, bel principe. A questo punto ci vorrà ben altro che un bacio, per avere il mio perdono.
Actarus accennò un piccolo sorriso, quasi malandrino, e fece per baciarla di nuovo, allungando una mano sulla porta accostata e sospingendo dentro la ragazza.
Si ritrovò con una mano di lei puntata contro il torace, gli occhi scuri due lame taglienti, le labbra lucide leggermente sollevate in un’espressione un po’ beffarda.
– Non hai capito bene, amore mio: intendevo che questa notte dormirai in camera tua! Hai bisogno di meditare su questa cosa, e lo farai meglio in solitudine. Senza… distrazioni, non so se mi spiego.
– Ma…
–  Ma niente! Non sono una fanciullina indifesa: riprenderai il tuo posto al mio fianco, quando smetterai di fare il capo comandone e avrai imparato a considerarmi la tua compagna anche in battaglia e non solo nel nostro letto. Sono stata chiara?
Senza aggiungere altro, Venusia fece un passo indietro, entrando in camera e chiudendogli letteralmente la porta in faccia, non prima di avergli stampato un bacetto sulle labbra e lasciarlo lì, sulla soglia, basito.
All’indomito e coraggioso principe di Fleed non restò che prendere atto di questa piccola sconfitta: si cacciò le mani nelle tasche dei jeans e, a testa bassa, tornò sui suoi passi dirigendosi nuovamente alla terrazza. Si sarebbe goduto ancora per un po’ la bellezza di quella notte stellata, e di quella luna bianca, luminosa, che almeno per un po’, si augurava,  non sarebbe stata messaggera di pericolo imminente.
La sua stanza, nella quale non passava la notte da solo da ormai parecchie settimane, poteva attendere ancora un po’.
Da quando i rapporti tra lui e Venusia erano cambiati, con quella svolta che aveva ribaltato completamente le loro vite –  e alla quale si era arreso solo dopo una strenua battaglia contro sé stesso – Actarus aveva rivalutato un mucchio di cose e priorità.
Gli sfuggì un sorriso, al pensiero di cosa si fosse inventata, la sua battagliera ragazza, per costringerlo a ragionare sul suo comportamento… come lo aveva chiamato? Da capo comandone?
La punizione, lo sapeva, sarebbe durata poco: non più di una notte, almeno sperava.
Non aveva bisogno di meditare chissà cosa, aveva capito, e non sarebbe più incorso in quello stesso errore. Sì, lo avrebbero fatto: si sarebbero protetti a vicenda, tutti e quattro, come i moschettieri.
Tutti per uno, uno per tutti, ogni volta che fosse stato necessario; anche quando sarebbe stato rischioso, duro, pericoloso; anche se questo avesse significato perdere sé stesso, Alcor, sua sorella… o Venusia.
Se lo promise seriamente, senza ripensamenti, nel silenzio della notte calda.
E lo promise a lei.
Non l’avrebbe mai più fermata, né frustrata, rischiando di farla sentire sminuita, inutile o, peggio che mai, codarda.
Si toccò il braccio destro, accarezzando quella cicatrice che lo legava a doppio filo con la Nera Signora, con la quale giocava a rimpiattino, per un motivo o per l’altro, da tempo ormai immemorabile… Eppure, ora, non aveva più paura di Lei.
Con la sua semplicità e il suo sorriso, Venusia gli aveva ricordato, un giorno dopo l’altro, un passo alla volta, tutto ciò che credeva di aver dimenticato: gli aveva insegnato di nuovo a vedere, sentire, respirare… con lei aveva riscoperto la gioia di assaporare ogni più piccolo momento di felicità e spensieratezza.
Venusia gli aveva insegnato a vivere.
Vivere la Terra e la Natura.
Vivere la guerra e l’avventura.
Vivere l’amicizia… e l’Amore.
Vivere la vita… e anche la morte.
E comunque fosse andata a finire… ora sapeva che ne sarebbe, sempre, valsa la pena.
 
 
FINE 
 
  
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