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Autore: YellowSherlock    05/03/2023    0 recensioni
Storia divisa in più capitoli, nel quale viene riformulato il primo incontro di Elizabeth e Darcy. Amo molto questa storia e mi andrebbe di donarvi una chiave di lettura romantica ed immaginaria, che mi scorre dinnanzi agli occhi qualvolta penso a loro due.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Erano le sei del mattino, quando Elizabeth Bennet si ritrovò ad osservare le gocce di pioggia che scorrevano veloci sul vetro di quella che era la sua camera da letto.
Le piaceva guardarle rincorrersi tra loro, incitando a turnazione quella più veloce.
Il tempo non era affatto mite, fu ricordato come il Febbraio più rigido mai vissuto.
La giovane si strinse nel suo scialle di lana, e si rannicchiò sullo stipetto accanto alla finestra: l’aspettava una lunga giornata.
I primi tintinnii delle campane degli animali nelle stalle raggiunsero i suoi timpani, e i movimenti della casa iniziavano ad essere più frequenti tra un intervallo di silenzio e l’altro.
Era ancora molto stanca, Lizzie; ma quel mattino il letto le stava particolarmente stretto.
Il pullulare di pensieri l’aveva tenuta in dormiveglia tutto il tempo; nascose a se stessa l’idea di essere emozionata: dopotutto, qualche ora più tardi, avrebbe dovuto prender parte a uno dei balli più importanti della contea, e questo le recava ansia.
Nessuno avrebbe mai sospettato il suo teso stato d’animo; era risaputo il suo carattere forte e spavaldo, ma la verità apparteneva solo ai pochi che la conoscevano molto bene, come suo padre.


“Lizzie!” urlò a gran voce sua madre, senza preoccuparsi degli altri inquilini, magari ancora dormienti.

La giovane tirò gli occhi al cielo: di tutte le cose complesse, ascoltare sua madre, era una di quelle.

“Madre, dimmi.” Disse, poggiandosi alla sedia accanto al forno scoppiettante in cucina.

“Lizzie, bisogna completare i vestiti, le scarpe e gli accessori per capelli. Nel giro di poche ore dev’essere tutto pronto!”

La giovane la guardò con fare accigliato; probabilmente comprese in quell’istante che gran parte della sua ansia era dovuta principalmente a sua madre.
Prese un biscotto e lo lanciò nella tazza di latte. Era troppo presto per poter pensare a qualsiasi merletto.

Dalle scale si sentì un forte tonfo e le altre sorelle la raggiunsero con tutto l’entusiasmo che un ballo reca ad una giovane donna.

“Lizzie!! Vorrei indossare il tuo vestito verde!” disse Kitty.
“No, il verde è il mio!” proseguì Lydia.

Jane la guardò con un piccolo sorriso all’angolo della bocca, ed entrambe capirono che quella giornata, probabilmente, non sarebbe mai giunta al termine.

Il padre di Lizzie era nella serra di famiglia a curare le piante, e si tenne ben lontano dai preparativi che occuparono le giovani per quasi tutta la mattina, fino a quando ad ora di pranzo non si incontrarono tutti al tavolo.

“Come procede, principesse?” disse, con tono ironico.

“Bene Papà, saremo tutte splendide.” Disse Mary, toccando le perle nei capelli.

“Lo vedo, lo vedo.” Sorrise, il padre.

Elizabeth era nell’angolo del tavolo e con fare assolutamente disinvolto, si versò un bicchiere di vino dalla ingente quantità.

“Lizzie…” disse il padre “…la festa non è ancora cominciata.”

La giovane sorrise, e alzando il calice verso il padre:

“Appunto, padre. Appunto.” E scoppiarono a ridere all’unisono, nell’incomprensione generale delle altre signore.

Tra una patata, un calice d’acqua e una fetta di carne, la cameriera si presentò al cospetto del capo di casa.

“Signore, una lettera…” sussurrò.

Il Signor Bennet prese la lettera e lesse il retro: Per Elizabeth

“Non è mia, Pauline. E’ per la signorina…” indicando la figlia.

Tutto il tavolo tirò un sospiro di lieve stupore, Lizzie prese la lettera e si alzò.

“Con permesso…” e si inchinò.

Percorse le scale con velocita, nel frattempo cercava di capire di chi potesse essere quella grafia così elegante, su quella carta apparentemente così…costosa.

Non ricordava di aver avuto corrispondenze negli ultimi mesi.

Si poggiò sulla poltroncina accanto alla finestra e con lentezza gustò quel momento, scrutandola.

La lettera aveva un ottimo odore di bergamotto, e la carta sotto le dita era di un piacevole ruvido color avorio intenso.
La annusò e poi sognante, guardò alla finestra: era da mesi che non riceveva alcuna lettera, magari era un avviso di Charlotte sulla serata che avrebbero trascorso insieme; ma quello stato di anonimità le accese dentro un fuoco, che non credeva potesse ancora ardere dopo anni.
Da ragazzina sognava di ricevere lettere anonime da parte di ammiratori, che per lei avrebbero scalato montagne a dorso di cavalli bianchi, salvandola dalle più banali circostanze del quotidiano.


Strinse la lettera al petto e una volta chiusa la parentesi del sogno, sorrise apostrofandosi un po’ sciocca, attendendo le rivelazioni, quindi, dell’amata amica.

Scartò la lettera con cura, dopotutto la sua compagna d’infanzia aveva scelto davvero bene stavolta.

Una volta affacciatasi col naso nella piccola busta, vi trovò un misero bigliettino dai bordi un po’ bruciati, in stile pergamena, con su scritto:

“Non ho certezza che voi vi siate,
 ma spero, stasera,
 di rincontrare i vostri occhi, la cui brillantezza mi tiene sveglio ancor tutt’ora.”


Lizzie guardò con stupore quella grafia così perfetta, e per qualche secondo restò pietrificata.
Chi poteva avergli tirato uno scherzo simile?
Non aveva alcun ammiratore…almeno, da lei riconosciuto.

Un po’ spaventata, un po’ innervosita per la presa in giro, ripose il foglietto nella busta da lettera e lo lanciò con disinteresse sul suo scrittoio.


Qualche stupida gallina le aveva sicuramente organizzato uno scherzo, era certa dell’idiozia di alcune ragazze della contea.
Il suo umore dapprima sognante, divenne cupo e quasi rassegnato al fatto che nulla avrebbe davvero migliorato quella giornata; e dentro di se qualcosa si ruppe: era sempre gentile con tutti, non meritava un tale trattamento. Ma, evidentemente, al ballo dei mesi precedenti, a qualcuna risultò particolarmente antipatica, solo perché sapeva reggere il confronto con uomini e donne, senza il bisogno di civettare per poter riaffiorare tra gli argomenti dai più trattati.

La pioggia riprese il suo cammino, e Lizzie si ritrovò ancora una volta a rincorrere le gocce infrante sul vetro.
Si rannicchiò sulla poltrona e lentamente cadde in un sonno che più che ristoratore, fu un modo per poter evadere da quella realtà che era divenuta troppo pesante.
Tutti le facevano presente che aveva ormai l’età da marito, ma nessuno la colpiva al tal punto da poter decidere. E se qualcuno, invece, le sembrava interessante, si rivelava poi, una perfetta illusione.



 
Si ridestò nel pomeriggio, tra un urlo e uno scompiglio.
Scese velocemente le scale.

“Cosa sta succedendo?”

“La modista ha sbagliato le misure del mio vestito!” urlò Kitty.

Jane cercò di calmarla inutilmente, Mary la guardava con disprezzo per la sceneggiata.


La madre delle giovani in preda all’ansia, non riusciva a partorire una soluzione, il tempo era ormai terminato per gli aggiusti.
Il panico si impossessò delle signore, e un po’ anche del signor Bennet, il quale nulla comprendeva della mussola, ma che teneva a veder felici tutte le sue signorine.

“Puoi indossare il mio verde, Kitty. Io metterò qualcos’altro.” Disse Elizabeth, suscitando lo stupore dell’intera famiglia.

“Ma tu cosa indosser…” disse sua madre, consapevole dell’immenso gesto della figlia, la quale aveva tanto desiderato il vestito verde.

“Metterò quello bianco, nessun problema.” E si diresse verso la sua camera per potersi preparare.


Dopo qualche istante Jane la raggiunse, chiudendo dietro le sue spalle la porta.

“Lizzie, sei strana da stamattina. Cosa succede? Lo hai voluto fortemente quel vestito.”

“Si Jane – proseguì- è solo un vestito. Kitty è più piccola, rendiamola felice. Io indosserò un’altra cosa, non è la fine del mondo.” Disse, guardandosi nello specchio della ballerina.

“Sai benissimo che non intendevo incentrare il discorso sul vestito. Sei tu a preoccuparmi, non come ti starà quello bianco.”


Elizabeth si portò le mani alla faccia, e sospirò.

“Nulla Jane, a volte l’intera esistenza mi pesa fortemente. E oggi era il giorno meno indicato per poter fingere di partecipare all’allegria di una festa.”

“Sarà divertente, ci son gli ufficiali. Magari incontriamo qualcuno di interessante…” disse la bellissima Jane, dondolandosi sulle lunghe gambe.

“Non ne voglio sapere di uomini, stasera. Possibilmente.” Disse Elizabeth, iniziando ad incipriarsi il naso.

“Adesso però dimmi cos’hai.” Disse Jane, avvicinandosi alle sue spalle con passo imponente.

Elizabeth la guardò dal riflesso dello specchio e lentamente prese la lettera che aveva lanciato sullo scrittoio affianco.

“Tieni.” e gliela porse.

Jane la aprì con velocità e sorrise.

“Beh? Non sei felice?” disse, sventolandosi per l’emozione.

“Jane, ti sembra davvero una cosa reale? E’ uno scherzo di quelle stupide ragazze che erano con noi all’ultimo ballo…”

Jane tentennò.

“Tu dici? Non mi sembravano così malvagie…”

“Jane tu vedi il buono in chiunque! Smettila! Non ho ammiratori, chi pensi possa mai essere!”

“Beh magari qualcuno che ti ha notata…”

“Ma per favore.” Disse Elizabeth, girandosi dallo specchio verso sua sorella .

“Andiamo Lizzie, anche se fosse uno scherzo…che t’importa. Presentandoti col broncio non aiuterai te stessa; anzi, saranno liete di averti rovinato la serata.


Elizabeth si fermò a riflettere per un istante, e capii che forse la sorella aveva ragione; il vestito più bello che avrebbe indossato quella sera era appunto il suo sorriso, che era approdo per navi di anime incerte quali tutte quelle della sua famiglia.

“Hai ragione, Jane. Stasera sarà una serata felice.” Disse, decisa.   



Jane sorrise ed entrambe si accinsero a prepararsi ed assumere un tono di austera bellezza.
Le avrebbero invidiate solo per la sicurezza che presero in quelle poche ore che le dividevano dalla società.


I genitori di Lizzie urlarono dal fondo delle scale:

“Jane! Lizzie! Siamo in ritardo!”


“Il colletto della camicia è a posto, mia cara?” disse Il Signor Bennett alla sua Signora.
“Ma certo caro, pensavi che io ti trascinassi dietro col colletto in disordine?” chiese, un po’ irritata.

“Oh no, sai che sono vanitoso.” Rise, ironizzando sulla questione che in verità il colletto gli dava più noia che decoro.

Le sorelle più giovani si aggiustavano tra loro spille e nastrini, e tutti ammirarono Kitty in quel verde sottobosco che Lizzie tanto aveva sognato.

“Dovrai ringraziare a dovere la tua amata sorella.” Disse il padre.

“Lo so, padre. Mi ha salvato la serata.” Disse Kitty, con strana ed anomala riconoscenza, del tutto non appartenente al suo carattere.

Jane scese le scale velocemente nel suo blu reale, e la famiglia apprezzò tantissimo la sua ormai conosciuta e impareggiabile bellezza.
Ma tutti restarono sorpresi dalla meravigliosa aurea che apparve alla discesa di Lizzie.

Il vestito bianco le fasciava il petto come una tunica romana, e sulle spalle cadevano centimetri di tulle svolazzane fino ai polsi, i quali lasciavano intravedere lo splendore delle sue braccia. Dalla vita in giù scorreva sempre armonioso, il bianco puro in più strati di tulle e seta, i quali risaltavano le bellissime forme di quella giovane così eterea.
Una fascia d’oro creava un bordo sottile e luminoso sul seno, e lo stesso colore era richiamato tra le ciocche di lunghi boccoli che si riversavano sulle spalle.
Una bellezza quasi ultraterrena.
“Beh, direi che è stata un’ottima idea quella di non indossare il verde.” Disse il padre.


“Sei bellissima Lizzie.” Dissero le sorelle all’unisono.

Elizabeth sorrise e li raggiunse indossando la mantella bianca per coprirsi dal freddo.

Entrarono tutti in due carrozze, e si diressero verso quella che sarebbe stata una splendida serata.








L’atrio del palazzo era un incessante sostare di carrozze e belle giovani in splendidi vestiti.
I vecchi signori si riconobbero subito nella loro cerchia di sigari ed affari; le vecchie signore a spettegolare sulle fortune dei matrimoni che sarebbero spettate alle figlie, assieme a chi sperava di poter accalappiare un gentiluomo per una delle proprie stelle.


Le ragazze girovagavano in gruppo, ridendo e scherzando.

Lizzie e Jane persero di vista quasi subito l’intera famiglia, ma non se ne preoccuparono.
Meno apparivano insieme, meglio era per tutti.
 
“Allora, cerchiamo questo ammiratore?” disse Jane, sorridendo.
Lizzie si rabbuiò.


“Perché me lo hai ricordato?” disse.


“Andiamo, Lizzie, sto scherzando.” Disse la giovane, prendendo sottobraccio la sorella, accompagnandola nella sala più grande.


Entrambe restarono stupite dalla quantità di cibo ed alcool che era presente in quella sala.
Banchetti ricoperti di torte dolci, torte salate, stuzzichini e cibarie varie, con fiumi di bollicine preziose che brillavano negli occhi di tutti gli invitati.

Una grande orchestra intonava musiche più celebri, e le candele donavano alla sala quell’atmosfera giallo intensa che tanto annunciava aria di festa.

Jane si allontanò per un attimo nel salutare le sue amiche, e Lizzie restò ad osservare stupita tutta quella bellezza che la circondava.

L’orchestra intonò il primo ballo e dinnanzi alle sue pupille, tre file di ospiti presero la posizione della danza.
Ella invidiò per un attimo coloro che iniziarono a volteggiare; dubitava fortemente che qualche cavaliere, eccetto suo padre, potesse chiederle la mano per la danza.

Osservò compiaciuta, un po’ divertita anche a causa della goffaggine di alcune di loro.
 
Si recò verso il banco e prese un calice di bollicine. Osservò la sala attraverso il bicchiere, e si ricordò che avrebbe dovuto ridere.

Tirò giù in un colpo l’intero liquido, brindando un po’ a se stessa.
Una voce le arrivò lieve, dalle spalle.

“Non dovrebbe bere così tanto, una giovane donna. O almeno, non da sola.”


Lizzie non si girò subito, e sorrise, prendendone ancora un altro.

“Ah si? E Perché no?” disse, guardando ancora la sala attraverso il bicchiere.


“Potrebbe essere pericoloso. Potrebbe finire nelle mani sbagliate.” Disse la voce maschile, ma soave.


“Cioè? Le sue?” disse, tirando giù ancora l’ennesimo bicchiere.

L’uomo sorrise, e lentamente gli si avvicino alle spalle, fermandole il braccio intento a posare il bicchiere sul tavolo.


“Le mie sono le mani più sicure, signorina Bennett.” disse, tenendola ferma e sospesa, con il cristallo ancora gocciolante.

“Questo lo dice lei…” disse Elizabeth, cercando di liberarsi da quella presa così intensa.

“Certo, chi altri? E sono certo che un giorno sarà d’accordo anche Lei.” Proseguì, accompagnando la mano verso il tavolo.

La signorina lasciò la presa del calice e nello stesso istante l’uomo intrecciò le sue dita a quelle della giovane donna.

“Mi concede il prossimo ballo, Elizabeth?” disse, sussurrandole all’orecchio.

La giovane avvampò e si giustificò a se stessa con un riferimento al vino appena ingoiato, ma il suo raziocino era consapevole che il rossore era dovuto solo alla presa di quell’uomo sconosciuto, così attento ad ogni suo movimento.

“Soltanto uno, poi torno al vino.” Disse, sorridendo.

“Vedremo, dovrebbe concedermene due di balli per poter competere con i calici e stare alla pari.” Disse, l’uomo, divertito ed indispettito.

“Se le concedo due balli poi dovrà chiedermi di sposarla.” Disse lei, ondeggiando sulle sue gambe un po’ condizionate dall’alcool. Lui le prese un fianco con l’altra mano, mente l’altra scorreva ancora tra le sue dita.

“Crede che mi dispiaccia?” disse.


“Beh un ballo no, tutta la vita insieme…un bel problema.” Disse lei.

“Mh.” Sospirò lui, facendola roteare verso di sé.


Si ritrovarono faccia a faccia, lui la prese in vita e si unirono alla danza tra la distrazione di tutto il resto degli esseri umani presenti lì.


“Mr. Darcy, lieto di conoscerla, signorina Elizabeth.” disse lui, guardandola diritto negli occhi mentre ondeggiavano.


“Come fa a conoscere il mio nome?” disse lei, sorpresa, facendo una giravolta.


“La vittima conosce sempre il nome del suo carnefice.” Disse lui, osservandola nella bellezza di quel tulle che espandeva l’odore della ragazza fin dentro le sue narici.

“Dovrei sapere di cosa sta parlando?” disse la giovane, con lieve capogiro.


“No, temo di no. E’ tutta colpa mia.” Disse lui, stringendola di nuovo a sé per non farla cadere.


“Colpa di cosa?” disse la ragazza, prendendo il nuovo ritmo lento del ballo.

“Colpa di aver incrociato il suo sguardo, signorina...spero le sia arrivata la mia lettera oggi. Non sa la gioia che mi ha dato nel recarsi qui stasera…” disse lui, avvicinandosi al suo orecchio per poter godere di quell’adagio.

“Non ricordo il nostro primo incontro, signor Darcy. Mi perdoni.” Disse, ancora più confusa.

“Lo so, Elizabeth. Lo so. Teoricamente è questo il nostro primo incontro, prima vivevi nei miei sogni, nei miei incubi e nel mio turbamento.”

“Cosa vuole dire, signor Darcy. La prego, ora sono un po’ spaventata.”

Lui la fermò al centro della sala, mentre tutti continuavano a volteggiare anche fuori tempo.

“Lungi da me volerla spaventare, signorina.- disse timidamente- L’ho vista qualche mese fa in un ritratto a casa dei signori Gardiner, e non sono più riuscito a dimenticarla…” disse, fermandosi e scostandosi dalla giovane.

Restarono uno di fronte all’altro.
Elizabeth lo guardò:

“Quindi era suo il biglietto di stamane…” disse la ragazza, portandosi le mani dietro la schiena.

“Sì, e me ne dispiaccio se l’ho turbata. Ma non potevo evitare di dirle quanta gioia avrebbe fatto esplodere nel mio cuore con la sua presenza in questa sala.”

“Comprendo.” Disse la giovane, rabbuiandosi.

I pensieri di Elizabeth erano più disparati e tutto le faceva pensare a questo grosso scherzo che era diventato.
Da una semplice lettera ad un attore che interpretava il ruolo del giovane innamorato.

Lui cercò il suo sguardo più e più volte, e una volta finito l’andante con moto, lei gli rispose:

“Non le bastava aver preso in giro l’inchiostro e la carta, adesso toccava a me?”

Lui si accigliò, non capì di cosa stava parlando la ragazza.

“Presa in giro? Elizabeth…” disse lui, cercando di riavvicinarsi a braccia aperte.

“La prego. La smetta. Dica alle signorine che l’hanno ingaggiata che un tale scherzo toglie alla loro anima la grazia. Ammesso che ne abbiano mai avuta una.” Disse, inchinandosi e uscendo dal giro danzante.

Darcy restò sul posto con sguardo confuso.

Jane incrociò il passo veloce di Elizabeth:

“Lizzie! Lizzie!” disse, raggiungendola velocemente.

“Devo andare via da qui Jane. Adesso.”

“Cosa è successo, Lizzie?” disse Jane, prendendole il pallido viso tra le mani.

“Il biglietto, uno scherzo, lui, uno scherzo…” mormorava confusa.

Jane le tenne ferma la testa:

“Usciamo da qui, fa troppo caldo.” Disse Jane, tirandosela via per una mano.

Elizabeth faceva evidentemente fatica a respirare, per via dell’asfissiante calca di persone che si era formata nel giro di poco.
Sul punto dell’uscio, lasciò la mano di Jane e cadde all’indietro perdendo l’equilibrio.

Prima di battere la testa al suolo, Jane urlo:

“Elizabeth!”

L’urlo fu così violento che tutti i presenti si girarono verso le due ragazze, e fortuna volle che a pochi centimetri dall’incidente, la mano del Signor Darcy raggiunse la nuca della giovane e la caricò tra le sue braccia.

“La tengo. La tengo.” Disse a Jane, affannando.
 
   
 
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