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Autore: GladiaDelmarre    23/03/2023    4 recensioni
La mente di Ellie è un luogo poco sicuro, dopo gli avvenimenti di Silver Lake.
Nel freddo dell’inverno lei e Joel sono costretti a stare nascosti, ad aspettare la primavera per rimettersi in viaggio verso Salt Lake City.
*Spoiler fino alla puntata 8 della serie*
[Avvertenze: violenza tipica del canon - linguaggio volgare - cenni di non con - age gap - lime]
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ellie, Joel
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Not all those who wander are lost'
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Do you know what I was, how I lived?  You know
what despair is; then
winter should have meaning for you.

I did not expect to survive,
earth suppressing me. I didn't expect
to waken again, to feel
in damp earth my body
able to respond again, remembering
after so long how to open again
in the cold light
of earliest spring--

afraid, yes, but among you again
crying yes risk joy

in the raw wind of the new world.

Louise Gluck - Snowdrops


“Sono io, ragazzina”.

 

Non voglio, non voglio, non mi avrai mai. Ti ho fatto a pezzi, non puoi raggiungermi.

 

Ellie lotta per la vita, si contorce. Non vede davvero chi ha davanti, anche se ha gli occhi sbarrati. 

 

“Sono io… Piccola, vieni qui. Tranquilla. Sono io. Sono io. Tranquilla”. 

 

Ellie finalmente lo riconosce, ma non lo abbraccia subito, perché le sue braccia non le rispondono. Ha le mani contratte dolorosamente. Le costole le stanno strette. La sua bocca è spalancata e vorrebbe gridare, ma la voce non le viene, biascica delle parole, il vento che fischia le sovrasta ed è il fuoco ad urlare per lei. È Joel a stringerla, e finalmente Ellie chiude gli occhi. Sente caldo sul volto, non sa se sia il sangue di David o le sue stesse lacrime.

Lo ha ucciso, perché lui stava per farla a pezzi. Forse avrebbe fatto altro, prima. Forse l’avrebbe stuprata e poi le avrebbe tagliato le mani, e le gambe, e l’avrebbe stuprata ancora. Ellie sa solo che lo ha ucciso, che ha vinto, che non sta morendo neanche oggi.

 

Si abbandona per un attimo nelle braccia di quell’uomo, fino a qualche mese prima uno sconosciuto, ora padre e amico e forse altro, oppure tutto insieme. Per qualche attimo lui la sorregge, la stringe con delicatezza, le mormora qualcosa di rassicurante. Forse è una ninnananna, forse la cantava un tempo alla sua Sarah. Ellie ha gli occhi chiusi e non può guardare Joel, oppure vedrebbe in lui paura e ferocia, e sollievo e amore. Perché Ellie non è più solo un bagaglio, ma il braccio destro e l’aiutante, la compagna di viaggio, la figlia, l’amata, la sua protetta, la sua protettrice.

 

Si allontanano, stanchi, e il vento soffia crudele su di loro.

 

***

 

“È meglio così, non vedranno le nostre tracce” ha detto.

Lei sa che ha ragione, ma la neve che cade fitta l’acceca e le appesantisce il passo. È sempre stata così leggera, mentre ora fa fatica anche se è Joel ad aprire la strada. Saranno abbastanza lontani? Callus non c’è più, e lei ancora non gli ha spiegato perché. 

 

Scusa Joel, scusami. Ho fatto un disastro. Non avrei dovuto lasciare che uccidessero Callus. Non avrei dovuto lasciare che morisse. Avrei dovuto prendere un’altra direzione, non andare verso il loro dannato villaggio di cannibali. 

Scusami Callus. Ti ho lasciato lì, non ti ho nemmeno salutato.

 

“Non fa niente Ellie, non ce l’ho con te” le risponde Callus “noi cavalli lo sappiamo che a volte non c’è modo di salutarsi. Non sono arrabbiato. Mi porterai lo zucchero la prossima volta, oppure una mela, e sarà tutto come prima”.

 

“Non posso farlo, non posso”.

 

Ellie piange, perché Callus non c’è più, e l’ultima zolletta di zucchero che aveva trovato le si è sbriciolata nella tasca della giacca. Se infila la mano la sente ancora, piccoli granelli sotto le dita intirizzite. Le tira fuori, le lecca. Sono dolciastre e vischiose. Inorridisce al pensiero che quel sapore ferroso sia il sangue di David, ma poi le esce una risata isterica e trionfante, perché è lei ad averlo assaggiato e non il contrario.

Callus la guarda di nuovo e muove leggermente la testa su e giù. Lui approva. Ellie era sua amica e i cavalli sanno sempre chi sono veri amici. Callus lo sapeva. In fondo morire per un amico non è una brutta morte.

“Non piangere, Ellie. Mi porterai altre mele. Ci rivedremo, quando l’erba sarà alta e folta, e correremo insieme di nuovo”.

 

Lei lo guarda sparire nella neve, come se non fosse mai esistito.

 

È la bufera che cancella tutto. 

Tra poco cancellerà anche lei e Joel, se non troveranno un riparo.

 

***

 

Joel è ancora sofferente, la ferita probabilmente sta guarendo per via degli antibiotici, ma quel fianco gli farà male a lungo. Ellie ha una costola rotta, spezzata dai calci di David, ma è più giovane, anche se non è forte quanto lui.

Hanno scavato una specie di tunnel nella neve, quella notte. Si sono raggomitolati in fondo, addossati ad un albero, e non hanno acceso nessun fuoco. La notte è stata più spaventosa di molte altre, ma non più di quella passata in quella gabbia, con cadaveri scuoiati a vegliare accanto a lei. Alla fine si addormentano, chiusi nel bozzolo del sacco a pelo di Joel. Ellie occupa poco spazio. Vorrebbe lavarsi, ma è troppo freddo e c’è solo neve. Domani andrà meglio. Domani torneranno verso un posto abitato qualsiasi e accenderanno un fuoco.

Domani riposerà meglio.

 

***

 

“Una volta schiacciata bene la neve, devi fare in modo che l’acqua che si scioglierà possa defluire. Puoi scavare un canaletto, ed è meglio se si riesce a mettere qualche sasso sotto. Ellie mi stai ascoltando?” le dice, insinuandosi nei suoi pensieri.

“Sassi sotto, far defluire acqua” risponde, meccanicamente.

Non è che non stia ascoltando, è solo che è tanto lontana. Joel, a un passo da lei, si muove come rallentato nella zona periferica della sua vista. Ellie lo guarda come se ci fossero altre cose in mezzo, come se lei fosse a cento metri di distanza e stesse provando a focalizzare lo sguardo senza grandi successi. 

 

Ellie è a Silver Lake, e sta mangiando carne umana senza saperlo. Ha un sapore dolciastro, come di selvaggina. Non aveva mai assaggiato la selvaggina prima di uscire da Boston. Qualche volta Joel ha ucciso un coniglio, o uno scoiattolo, eppure questa sembra ancora diversa. Forse è cervo? Forse il cervo dagli occhi belli e grandi, quello che lei stessa ha ucciso con arco e frecce. Si è sentita in colpa, perché era una creatura così bella e maestosa. Eppure il cervo non le è sembrato arrabbiato. Triste forse. Si chiede chi ha lasciato nel bosco. Compagni? Amici? I cervi hanno amici? Ellie è sicura di sì. Anche lei ha perso degli amici. Riley è rimasta indietro. Riley era la sua amica, l’unica che si sia mai presa un po’ cura di Ellie, l’unica che avrebbe pianto la sua sorte, se fosse toccato a lei morire piuttosto che a Riley. Ma Riley non era immune come lei. Riley non era uno scherzo della natura come lei. Ellie ha dovuto sopportare e sopravvivere, e ha lasciato Riley dietro di sé in una pozza di sangue, perché non poteva permettere che continuasse a vagare impazzita, non più se stessa, ma una marionetta del Cordyceps. 

 

Dovevo essere io e non tu. Tu avevi scelto le Fireflyes, io non sapevo cosa fare. Io avrei scelto te, solo te. Adesso da sola cosa posso fare? Tu non ci sei più. Sei rimasta in quel centro commerciale. Avevo preso la pistola dalle tue mani, e Marlene me l’ha tolta. La maschera da uomo lupo è rimasta a guardarti nel negozio degli scherzi, dove siamo tornate dopo essere state morse. Mi ricordo, Riley. È stato poetico, per un po’, avevi ragione. Ci siamo baciate. Ci siamo tenute strette. Ho sentito il tuo corpo nudo insieme al mio, ma è venuta la notte e io sono stata l’unica a svegliarmi. Non eri già più tu. I tuoi bellissimi capelli, folti sotto le mie dita, erano tra le tue mentre cercavi di strapparteli dalla testa. Eri in piedi, nuda, lontana da me. Forse durante la notte ti sei alzata. Forse sapevi che stava succedendo, e sei andata via per tenermi al sicuro, anche fosse per pochi minuti in più. Ti ho rivestito, poi: mi sono assicurata che tu fossi coperta. Se mai qualcuno ci avrebbe trovato, saremmo state due ragazzine qualunque, due sciocche ragazzine che non hanno saputo badare a loro stesse. Sono passati mesi, ed io sono sotto la neve. Forse tu sei sotto terra. O forse ti hanno bruciata e sei nell’aria, le tue particelle trasportate dal vento fino a qui. O forse ti hanno semplicemente lasciato a marcire. Forse altri infetti sono arrivati, e ora fate tutti parte di un nido di spore. Non saresti sola. 

 

Non sono sola, c’è Joel.

 

Joel la sta guardando, ed è evidente che stia aspettando qualcosa da lei, ma cosa? Ha il collo della camicia a quadri tirato su da una parte sì e una no, e il giaccone aperto sul davanti. Joel ha un bel naso, pensa Ellie. 

 

“Respira, idiota” dice, con tono leggermente incerto.

Ellie non capisce a cosa si stia riferendo. Sta respirando in modo normale. Non ha corso, è solo china a guardare come lui accenda il fuoco sulla dannata neve.

“Cosa?”.

“Che cosa dice l’uva verde all’uva rossa, no?”. Sta provando a sorridere. Non gli viene sempre bene. Però ci sta provando. 

 

Ellie prova a stiracchiare un sorriso anche lei. 

“Era dal mio libro? Lo hai letto? Che stronzo, mi hai sempre dato addosso per quel libro” dice, mentre un po’ del suo sorriso, quello vero, la illumina.

“Diciamo che ci ho dato uno sguardo” risponde, burbero come sempre.

Ellie ridacchia. E anche lui, anche se cerca di non darlo a vedere. Si chiede se lo abbia fatto per lei, quello di leggere il suo stupido libro di giochi di parole. Poi le viene da piangere. Si alza.

 

“Vado a fare pipì” dice, quando in realtà tutto quello che vuole è piangere. 

“Non ti allontanare troppo, resta a tiro di voce”.

“Come sempre, Joel”.

 

Fa così freddo in quel posto. Qualche giorno fa sono arrivati in un paese totalmente deserto. Non aveva mai visto qualcosa del genere. Avevano già attraversato numerose cittadine, e i palazzi erano sempre abitati da qualche rifugiato, alcuni infetti al primo stadio e altri più vecchi, più o meno coperti dal fungo. La zona in cui si sono stabiliti, invece, è totalmente deserta. 

Quando sono arrivati la neve era intatta, soffice, immacolata. Le case sembrano tutte uguali, dentro e fuori. 

 

C’era così tanto spazio a disposizione prima. Gli appartamenti sono tutti grandi, potrebbero ospitare almeno dieci o quindici persone. Che se ne faceva una famiglia di due forni, se ci vivevano in quattro o cinque al massimo? Il vecchio mondo non ha senso, secondo il suo modesto parere.

 

Ellie sbircia da una finestra perché la vede illuminata. Guarda al suo interno, e a quanto pare è arrivato il periodo di Natale. Le sembra strano, perché pensava fosse ormai la fine di Gennaio, eppure la casa è addobbata, ci sono persino delle calze appese sul caminetto. Poggia il naso sulla finestra ghiacciata, lasciando un alone che si allarga man mano che respira. Sente dei rumori all’interno e nella sala da pranzo la tavola è imbandita. Ha visto dei movimenti, ma nessuno in piena luce, come se ci fossero bambini che corrono nelle stanze più indietro in penombra. Vorrebbe essere invitata a mangiare con loro, ma non li conosce. Se ci fosse qualcuno della sua età potrebbe fare amicizia, forse. In fondo è sempre stata brava con le parole. I bambini che si siedono a tavola sono tutti più piccoli lei, purtroppo. Potrebbe fargli da baby sitter allora. Magari potrebbe cucinare per loro. Basta che la tengano al caldo, lontana dal gelo che sente. Il padre è già seduto. È infetto: si muove a scatti, le spalle si contraggono leggermente e torce il collo in un modo che le sembra sbagliato, eppure i bambini non se ne rendono conto. Restano seduti intorno alla tavola, educati, in attesa che la madre porti la cena. Ellie vorrebbe urlare, vorrebbe sparare all’uomo infetto, ma quando lo guarda meglio si rende conto che è Joel. Joel con il volto contorto e un pezzo di ferro che gli esce dal petto insanguinato. La madre arriva portando un vassoio: è Tess. Ed è cieca, perché il fungo le ha già spaccato il cranio e le fuoriesce dalla fronte, la decora come una tiara di trine. Uno degli occhi penzola da un lato, spinto fuori dall’orbita dalla pressione del Cordyceps, l’altro non esiste più, mangiato totalmente via dall’infezione. Ellie la riconosce solo perché indossa gli stessi abiti dell’ultima volta che l’ha vista. È allora che Ellie grida, e tutti si voltano a guardarla. Joel non la riconosce, perché non è più se stesso, mentre quella che una volta era stata Tess lancia uno degli agghiaccianti urli dei clicker, muovendo le braccia alla cieca verso di lei. 

 

Ellie odia i clicker. Le ghiacciano il sangue nelle vene. Li odia più di quanto odi gli stalker, anche se in qualche modo questi ultimi sono molto più pericolosi. Li odia più dei runner, che per quanto letali sono molto più simili a patetiche parodie di esseri umani impazziti. I clicker sono mostruosi, con le loro voci stridule e gracchianti, le grida e l’ecolocalizzazione, i volti sfigurati. Ellie raggiunge con la mano destra la sua calibro 32 e spara. La sua pistola clicca a vuoto, perché non ha più munizioni. Deve correre via, lontano da Tess, lontano da Joel, lontano dai bambini che ha lasciato lì ad essere smembrati ed uccisi.

 

“Ragazzina, sei caduta in un fosso?”.

Joel la sta chiamando. A distanza di sicurezza, non si avvicinierebbe mai prima di aver chiesto, perché lo sa che ci sono delle regole. Ellie ci ha messo troppo, si è persa nella sua mente.

 

Torna corricchiando, le guance rosse di vento e di freddo.

 

“Alla fine ho approfittato, sai, una volta che sei lì col culo scoperto ti concentri e fai tutto quello che devi”. Mentire è così facile.

 

Ellie mente da quando è uscita da quella specie di ristorante infuocato, dove ha colpito decine di volte David con il suo stesso machete. Mente ogni giorno, perché Joel non capisca cosa è diventata. Ai suoi occhi è sempre la stessa quattordicenne che ha conosciuto qualche mese prima, o questo è quello che pensa Ellie. Non sa che lui vede molto più di quanto non dica, e soprattutto non ha idea che lui si senta in colpa perché non l’ha protetta abbastanza da farla restare quella ragazzina che Ellie cerca disperatamente di essere. 

Ellie ha fatto quello che avrebbe dovuto fare Joel. Si è presa cura di lui quando non poteva muoversi, ha dovuto uccidere, procurare il cibo. Ha vissuto la disperazione e il terrore di rimanere sola, nei lunghi giorni in cui lui è rimasto incosciente, però lo ha salvato. Così lei spera che questo sia sufficiente a fargli desiderare di tenerla con sé, quando torneranno a Jackson dopo aver incontrato le Fireflies e magari salvato il mondo. Vuole che lui sappia quanto possa essere brava e valida, quanto loro due siano una grande squadra insieme. Ma non ha fatto abbastanza, perché è stata catturata, ed è stato Joel a venirla a prendere alla fine. Ellie ha lasciato che Callus morisse. 

 

Parla con lui, qualche volta, la notte prima di addormentarsi. Callus la ascolta sempre e scuote la testa sbuffando appena, con la sua bella criniera scura e il pelo lucido. Profuma di erba bagnata e di felicità. Odori che lei quasi non conosceva, quando era ancora a Boston.

 

Mi hai quasi lasciato da sola, Joel. Sei quasi morto. 

 

A volte Ellie lo odia per questo. Ma lo ama, anche. 

Nella sua mente è tutto confuso. Perché se vuole che si prenda ancora cura di lei in futuro, che le insegni come si accende un fuoco se c’è vento, come pulire e mantenere al meglio la sua pistola e il suo fucile, come costruire frecce e come scuoiare un coniglio senza farlo a brandelli, vuole anche essere abbastanza per lui. Degna di lui. Vuole che lui la veda come una donna, come compagna e amica, forte e dura com’era stata Tess. 

 

Ho quattordici anni e mezzo, non sono una bambina… ma ho bisogno di te. Mi basta starti vicino. Non mi serve altro. Non hai bisogno di cacciarmi, una volta che avremo finito questa storia. Lasciami stare con te, a Jackson.

 

***

 

Hanno scelto una casa che ha uno spazio aperto piuttosto grande intorno, così da poter avere una buona visuale, se qualcuno dovesse mai avvicinarsi. 

 

Che ci provino, li faremmo a pezzi. 

 

L’inverno è ancora lungo però, e passerà del tempo prima che si rimettano in cammino per Salt Lake City. Non è lontanissima, ormai, ma non è questo il momento di partire. Fa ancora troppo freddo, potrebbero morire congelati. Quindi devono cacciare quando è bel tempo e non nevica, cercare cibo nelle case e nei negozi abbandonati quando invece non hanno possibilità di allontanarsi senza pericolo.

 

Oggi è uno di quei giorni. Durante la notte la neve si è accumulata alta davanti alla porta della casa in cui dormono, tanto che sono dovuti uscire dalla finestra per spalarne via un po’ per permettere così alla porta di aprirsi. Ad Ellie la neve non piace più come quando era a Boston. Qualche volta, quando glielo avevano permesso, era stato un piacevole diversivo giocare a palle di neve. Adesso c’è solo Joel con lei, e la prima volta che lei ha provato a lanciargliene una ha fatto una di quelle facce che lasciano più o meno intendere “Riprovaci, ragazzina, e ti farò il culo a strisce”. Vecchio e noioso, ha pensato Ellie. Ma in fondo anche a lei non andava poi troppo di ghiacciarsi le mani, soprattutto considerando che non avevano molta legna da bruciare nel camino per riscaldarsi.

Erano stati fortunati a trovare quella casa. Sembrava un po’ diversa dalle altre, forse era più vecchia. Le stanze da letto non erano grandissime e una di quelle aveva anche un piccolo caminetto. Avevano deciso di stabilire lì il loro rifugio perché la finestra ampia gli dava una posizione perfetta per sparare, se ne avessero avuto necessità. Ellie dormiva nel letto più piccolo dei due: probabilmente era stato spostato da una delle altre camere per la stessa ragione per cui loro l’avevano scelta. Joel occupava l’altro. Dietro la porta barricata con un grosso comò di legno, che spostano ogni volta per assicurarsi di lasciare il mondo fuori, il suo quieto russare era la migliore delle ninnananne per lei: se Joel dormiva anche lei poteva stare tranquilla.

 

Avevano trovato qualche scatoletta di cibo, nelle case vicine, ma non abbastanza. I negozi erano stati ripuliti da tempo. Probabilmente avrebbero dovuto cercare più lontano, ma quella città così vuota e spettrale metteva ad entrambi i brividi. Perché non c’era nessuno? Nemmeno un vagabondo come loro, nemmeno un infetto. A meno che non fossero tutti rinchiusi da qualche parte. Non sarebbe stato nemmeno troppo strano in fondo, spesso succedeva che rimanessero bloccati da qualche parte e continuassero a vagare, intanto che il fungo li trasformava in cose sempre più grosse e pericolose. Il bloater che alcuni mesi prima avevano visto nella palestra della cittadina di Bill ne era la prova.

 

Però Joel le aveva detto che la trasformazione non era mai lineare, ma variava da persona a persona. C’era chi si trasformava poche ore dopo essere stato morso e mostrava quasi immediatamente vescicole e vene rigonfie, chi dopo un paio di giorni, qualcuno, molto raramente, restava in una sorta di stasi in cui non mostrava alcun sintomo tranne un’estraniazione totale dalla realtà, salvo poi aggredire chiunque gli si avvicinasse. Variava anche il tempo per la trasformazione in stalker e poi in clicker, e poi in bloater. A volte ci volevano anni. Cosa mangiassero e come facessero a sopravvivere tanto a lungo, se chiusi in qualche posto, era un mistero. Ellie glielo aveva chiesto, ma Jeol non aveva nessuna risposta da darle. Il Cordyceps era un mistero per chiunque, perché quando il vecchio mondo era caduto non era rimasto nessuno a studiare la biologia del micelio. O magari sì, ma a Joel non era arrivata nessuna notizia. Ellie si era chiesta più volte anche cosa ne fosse del resto del mondo. Le sue conoscenze di geografia erano piuttosto limitate, ma insomma, non era proprio una perfetta ignorante. Che cosa era successo esattamente negli altri continenti? Erano rimasti dei posti in cui il fungo non aveva attecchito? Magari delle isole. Magari c’era qualche posto dove non esisteva nemmeno un infetto, dove non sapevano nulla e vivevano in pace e in slienzio, lontani da tutto. Probabilmente no, dopo 20 anni, ma Ellie sperava di sì. 

 

Quella sera avrebbero mangiato decentemente, almeno. Zuppa di legumi e pesche sciroppate come dessert. In fondo non era poi così male. Magari il giorno successivo sarebbero andati a caccia e avrebbero avuto carne fresca.

 

***

 

Quella notte ha la pancia piena, ma non riesce a dormire.
Le si accavallano i pensieri, le manca Riley, ha paura del vento che fischia. In fondo ha solo quattordici anni. Le mancano ancora quasi due anni prima che possa considerarsi adulta. La FEDRA l’avrebbe arruolata a sedici, quindi è ufficialmente ancora adolescente. Scende dal letto in punta di piedi. La stanza è fredda e uscire da sotto la coperta le fa venire la pelle d’oca. Vorrebbe entrare sotto quelle di Joel e farsi abbracciare, ma non osa. Resta in ascolto per un po’ del suo respiro. Dorme profondamente, sul fianco buono. Forse non se ne accorgerebbe comunque, ma non vuole correre il rischio di essere cacciata. Raccoglie attorno a sé la coperta che ha portato via dal letto e si raggomitola in basso, ai piedi del letto, dal lato opposto a quello di Joel. 

Dalla finestra filtra appena la luce della luna, il vento ha spazzato via tutte le nuvole piene di neve dei giorni precedenti. Domani ci sarà il sole.

Joel si muove, ed Ellie trattiene il respiro.

 

Ti prego Joel, non mandarmi via, lasciami qui solo per stanotte.

 

Una mano la raggiunge sulla spalla, e lei si volta, spaventata. Nella luce pallida e bianca, il profilo dell’uomo le appare diverso da quello conosciuto. Il naso è più dritto, i capelli e la barba più chiari. La mano le si stringe addosso come una morsa che la trascina verso di lui, sopra di lui. Ellie è nuda, e struscia contro la coperta, sentendo l’erezione dell’uomo crescere sotto di sé. Non è Joel. Gli occhi sono vuoti, morti, il volto insanguinato è quello di David. La tiene stretta, le dita le affondano nella carne tenera. Ellie si divincola, ma il suo corpo non le risponde come vorrebbe. Lui la schiaccia, le inchioda le braccia sopra alla testa mentre si struscia su di lei, le allarga le gambe con le ginocchia. Scende a baciarle la pancia e a leccarle le gambe, e poi morde. Morde così forte da aprirle una ferita nella pelle. Le succhia via il sangue.

 

“Sei buona, ragazzina, sei dolce” le sussurra. “Anche il mio sangue era buono, non è vero? Hai goduto nel sentirne il sapore, come io godo del tuo. Siamo uguali io e te. Neri nell’anima, sanguinari, violenti fino al midollo”.

 

La morde ancora, le strappa via pezzi di carne, ma Ellie non urla. Ha una bandana in bocca che la soffoca e le impedisce di gridare, e le braccia sono legate alla testiera del letto. Quando lo ha fatto? Il corpo le si contorce dal dolore, ma quando lui le affonda la faccia tra le cosce quel dolore diventa piacere, Dio mio, chi poteva immaginare che fosse meglio di quando mi tocco da sola? Tiene gli occhi chiusi, strizzati, morde la stoffa con tutta la forza che ha ma non si riesce a liberare, forse nemmeno vuole. Lacrime bruciano le sue guance arrossate, e quando riapre gli occhi c’è Joel che si ciba di lei, la lecca e le succhia la pelle, e i suoi occhi buoni e tristi sono pieni di orrore e disperazione mentre David gli punta una pistola alla nuca per obbligarlo a farle questo. David coperto di sangue, con solo alcune delle dita, con squarci nei vestiti che mostrano il suo corpo martoriato, ossa intaccate e spezzate, le orbite vuote e il cranio aperto da cui colano brandelli di cervello grigio e mucoso. 

 

Per te, Joel, farò ogni cosa. Ti lascerò fare quello che devi, e poi tu ucciderai David. Mi vendicherai. 

 

Non si contorce più e aspetta, lascia che le sue ferite gettino sangue, che le vene le si svuotino, che la morte la sfiori con le dita ossute.

 

Joel la abbraccia, perché l’ha sentita urlare ai piedi del suo letto e l’ha trascinata verso di lui per cercare di tranquillizzarla. È solo una bambina ancora, e ha vissuto già troppo. Porta un peso troppo grande. 

Qualche ora dopo Ellie si sveglia, si rende conto di essere incollata a Joel e pensa di aver strisciato verso di lui nel sonno. Ellie spera che lui non se ne sia accorto e che l’abbia abbracciata solo come riflesso condizionato. Sarebbe troppo imbarazzante se lui si fosse svegliato e avesse avuto pietà di lei nel vederla ai piedi del letto come un animale. Ellie torna nel suo letto e si raggomitola di nuovo. La mattina arriva senza che lei sia riuscita ad addormentarsi, ma fa finta di nulla quando sente finalmente che Joel si sta alzando. Non parleranno mai di quello che è successo durante la notte.

 

***

 

“È impossibile rimanere qui ancora a lungo. Le case qui intorno sono state svuotate e non c’è granché oramai da mangiare. Dobbiamo spostarci, almeno andare in un’altra zona della città. Anche la caccia sta diventando difficile” dice Joel. 

Ellie non vorrebbe andare via, perché muoversi significa altre sparatorie, altri infetti, altri banditi che potrebbero decidere di ucciderla per rubarle le scarpe. Magari non quelle, dice tra sé e sé. Ha i piedi piccoli e quella gente non porta in giro ragazzini, in gran parte inutili alla sopravvivenza. 

“Ok Joel. Fai strada”.

 

La cittadina continua a sembrarle deserta. Nel centro ci sono palazzi più grandi, non proprio grattacieli come a Boston, ma comunque almeno una quindicina di piani. Sembrano essere tutti intatti e silenziosi come il resto delle case dei sobborghi, solo più spaventosi.

Joel li evita, perché sono quelli che più probabilmente ospitano infetti, sempre che ce ne sia qualcuno. In realtà è tutto così vuoto e spettrale intorno a lei da smuoverle qualche terrore nascosto nel profondo. La neve non è stata calpestata da nessuno, e ad un tratto ad Ellie viene voglia di urlare solo per sentire qualcosa che non sia questo silenzio opprimente. Sta quasi per farlo, quando Joel le indica un negozio, una ventina di metri più avanti. “Articoli sportivi”, dice l’insegna. 

 

“Vale la pena di tentare. Probabilmente non troveremo proiettili, ma magari dell’attrezzatura da campeggio sì. Vieni, piccoletta” le dice Joel. 

Ha tirato fuori la sua El Diablo, di cui ha ancora una buona manciata di proiettili. Ellie ha la sua calibro 32 in mano, e gli sta alle calcagna.

 

Si sono avvicinati furtivamente alla porta a vetri, che incredibilmente è rimasta intatta. All’interno non sembra esserci nessuno, ma devono essere comunque cauti. Gli infetti entrano in stasi quando non sentono o non vedono nessuno, e vengono poi attratti dal minimo rumore. Joel le fa segno di coprirlo, ed Ellie si mette in posizione, in una sorta di coreografia che hanno già provato altre decine di volte. Joel apre la porta, che stride lungo cardini non oliati da anni. Scivolano dentro senza fare rumore, coprendo via via lo spazio e assicurandosi che non ci sia nessuno nascosto dietro agli scaffali. Sembra pulito. Il negozio non è in condizioni disastrose, sembra solo vecchio, come se fosse stato chiuso prima dell’inizio dell’apocalisse. 

“Deve esserci un magazzino, dietro a quella porta. Magari al piano interrato” le sussurra Joel, troppo vicino al suo orecchio destro. Il suo respiro le solletica la pelle tenera del collo.

 

Joel, io sono un’adolescente piena di ormoni, se fai così non riesco a concentrarmi. 

Mi chiedo come sia baciare un uomo. Tutta quella barba non darà fastidio? Non punge la faccia? 

 

“Cerca le chiavi, saranno in qualche cassetto” le dice lui, di nuovo troppo vicino.

 

Ellie si scosta come se si fosse scottata. Si muove rapidamente per andare dietro il bancone e le chiavi sono sotto al vecchio registratore di cassa. Ellie apre anche tutti gli sportelli e in uno trova una cassaforte nascosta. 

 

“Guarda qui Joel!” esclama, a voce troppo alta. 

“Piano, ragazzina, non siamo al sicuro qui. Che hai trovato?”.

“Questa città del cazzo è deserta, non ci sentirà nessuno. C’è una cassaforte Joel, è chiusa!”. Ellie per un attimo sembra quella di prima. Saltella quasi da un piede all’altro, tanta è l’eccitazione di aver trovato lei stessa una cassaforte.

“É chiusa? Sei sicura?”.

“Certo che sono sicura, non sono stupida. Insegnami ad aprirla, piuttosto”.

“Fammi vedere, spostati”.

 

Joel la fa scostare e appoggia l’orecchio allo sportello di metallo mentre fa girare la ruota della combinazione. Ellie lo guarda con tutta la concentrazione possibile. 

È un modello semplice, e potrebbe insegnarle ad ascoltare e riconoscere il rumore che fa il meccanismo quando si inserisce il numero giusto, ma Ellie lo guarda con troppa adorazione in quel momento, così tanta che gli fa quasi paura. Meglio riportarla un po’ coi piedi per terra.

“La soluzione più semplice è sempre la stessa: cercare i numeri da qualche parte. Si trovano quasi sempre. La gente non tiene a mente mai nulla”. 

 

Ellie sbuffa, annoiata. Pensava a qualcosa di molto più interessante. Per qualche minuto cercano entrambi, in silenzio. Joel decide di passare in rassegna il poco materiale che c’è ancora sugli scaffali. Lei non ha voglia di rinunciare, è la sua prima cassaforte e deve aprirla a tutti i costi. Alla fine, sconfitta, si siede per terra e poi si lascia cadere sdraiata a pancia in su accanto al muro. Alzando gli occhi si rende conto che ci sono sei numeri scritti a pennarello sotto alla mensola più bassa.

“04-01-78?”.

Joel si gira, la vede ghignare. “Fortuna sfacciata”.

“Cazzo dici, Joel, è solo talento”.

 

La cassaforte si apre con uno scricchiolio. Dentro ci sono alcune scatole di munizioni che vanno bene per la .45 di Joel, per il fucile da caccia, per la sua .32. C’è anche dell’esplosivo. Joel le consegna i proiettili e mette il resto nel suo zaino. Un bel bottino. Ne avevano davvero bisogno.

 

***

 

Non è colpa sua se appena provano ad aprire la porta del seminterrato si sente un brontolio profondo che probabilmente appartiene a un incubo di spore e funghi. Forse invece è colpa sua. Ha fatto troppo rumore. La porta in metallo rimbomba e trema come se un enorme martello ci stesse picchiando sopra. L’intonaco già sbreccato e rovinato si crepa intorno agli stipiti, mentre una serie di urla più acute fanno eco a quelle più profonde subito dietro al muro. Senza pensare più all’equipaggiamento che potrebbero trovare se ne vanno in fretta e furia, guardandosi continuamente alle spalle. 

Questa volta sono riusciti a scappare senza sprecare nemmeno un proiettile.

 

Anche oggi sono ancora vivi.

 

***

 

All’alba del mattino successivo attraversano nuovamente la città, evitando accuratamente il negozio di articoli sportivi e i suoi dintorni. Camminano fino al margine occidentale della cittadina, oltre i quartieri più residenziali, quasi in aperta campagna. Hanno seguito le indicazioni di vecchi cartelli verso un motel, uno di quelli in cui la gente si fermava, prima dell’arrivo del Cordyceps, per una notte soltanto. Magari per gente in viaggio come noi, pensa Ellie. Posti in cui andavo a fare sesso con qualche ragazza rimorchiata dopo una serata alcolica, ricorda Joel.

Hanno trovato una stanza che è rimasta praticamente intoccata. I letti sono rifatti, addirittura, e le lenzuola, sebbene non profumino più, sono una delle cose più vicine alla pulizia che Ellie riesca a ricordare da quando è uscita da Boston. Sembra quasi di essere in una macchina del tempo.

 

Joel ha forzato la porta con uno dei suoi coltelli improvvisati. Sembra un secolo fa, quando glielo ha visto fare la prima volta. C’era ancora Tess. Tess che è morta poco dopo, per salvarle la vita da uno dei clicker nel museo.

 

Quanti ancora moriranno per colpa mia? Non voglio essere immune, non voglio essere diversa dagli altri. Perché non posso semplicemente crepare come tutti, invece di dover andare fino a Salt Lake City a provvedere al futuro dell’umanità?

Sarei dovuta rimanere a Boston. Non se ne sarebbe accorto nessuno, se fossi rimasta nei bassifondi. 

 

È ormai parecchio tempo che non si lavano, ed Ellie ha insistito perchè lo facessero adesso. Le lenzuola pulite non vanno sprecate, anche se d’inverno lavarsi fa schifo. Anche il bagno annesso alla stanza è rimasto intonso, c’è solo polvere vecchia di vent’anni, e questo le sembra un lusso incredibile. Ellie entra per prima. Si spoglia e per un attimo si guarda nello specchio rugginoso sui bordi. Il seno è piccolo ma non brutto, pensa.

Si distrae per un attimo e con la coda dell’occhio vede un movimento alle sue spalle, ma quando si volta non c’è nulla dietro di lei. Per un attimo ha pensato che Joel fosse venuto a sbirciare. 

 

Cosa se ne farebbe Joel di tette così piccole.

 

Quando riguarda nello specchio però c’è una persona dietro di lei. È Tess. 

Si volta per una seconda volta ma non riesce a vederla. Ellie si stropiccia gli occhi, pensa di avere le traveggole, ma lei è ancora lì dietro, la guarda dal riflesso con un mezzo sorriso. Senza dire nulla, impassibile, le prende il seno con le mani, lo stringe fino a farle male. Ellie prova ad urlare, ma tutto quello che riesce a fare è emettere suoni senza senso, nessuna parola suona comprensibile. Vede il suo cranio aprirsi lentamente, ed il Cordyceps fiorire a ritmo accelerato nella sua fronte, fuoriuscire da piccolii tagli nella pelle, uscirle da sotto le unghie delle dita. Il torace si strappa con un suono umido, le costole si allargano, e al centro riesce a vedere il cuore che batte, e le sembra quel disegno dell’uccellino giallo dentro alla gabbia dorata che aveva visto in un libro per bambini in orfanatrofio, prima ancora di entrare nella scuola preparatoria della FEDRA. 

 

Joel entra nel bagno con la pistola in mano, Ellie vorrebbe gridare che è soltanto lei, che è ancora lì dentro, che non deve ucciderla perché lei non vuole attaccarlo, è solo un bravo clicker, non lo morderà, andrà via e lo lascerà stare, oppure magari lo seguirà da lontano e scaccerà qualunque altro infetto proverà ad avvicinarsi a lui. Ma Joel lo sa, la abbraccia e le bacia le labbra ritratte, le infila la lingua tra i denti e morde via pezzi di fungo dalle sue guance, e i miceli si allungano, si insinuano nei suoi capelli e nella sua bocca e lo avviluppano chiudendolo in un bozzolo di seta umido e caldo insieme a lei. Tutto si stringe loro addosso, come le braccia di un amante, come dita che le toccano la schiena facendola rabbrividire di piacere.

 

Ma poi Ellie si ricorda che lei non può trasformarsi, perché il fungo su di lei non attecchisce. Si siede nella piccola vasca da bagno e sospira, rimpiangendo le docce appena tiepide della scuola. Non può farsi un bagno, fa troppo freddo. Immerge la sua spugna nel catino pieno di acqua gelida e si pulisce lentamente via lo sporco di giorni, e le immagini nella sua mente di appena pochi attimi prima. 

Almeno ci prova.

 

*** 

 

Ellie si volta a guardare Joel che cucina nel fornelletto da campo. 

È l’ennesima zuppa di legumi.

 

Adesso lui indossa una maglia termica a collo alto che gli sta incollata al torace. Ha i capelli ancora umidi che si arricciano leggermente sulle punte. Forse potrebbe tagliargli i capelli, a breve. Ellie si sente piccola vicino a lui, ed è una sensazione piacevole. Non ha mai provato nessun vago interesse verso nessun altro che non fosse Riley, e i ragazzi della scuola le erano sempre sembrati degli idioti senza cervello. C’è da dire che a parte gli ufficiali e gli istruttori della FEDRA (che ha sempre detestato per partito preso, così come faceva Riley) non ha conosciuto nessuno che superasse la maggiore età, in pratica. Ha a malapena parlato con Tommy, quindi lui non conta.

 

Chissà se esiste un’età fissa in cui i maschi smettono di essere delle teste di cazzo. Forse no. Joel in effetti è comunque uno stronzo, ma almeno non fa nulla per nasconderlo. Probabilmente col tempo ci si dimentica di far finta. Chissà quanti anni ci vogliono. Quante morti, quanta gente lasciata alle spalle, persa per sempre sotto ai denti di qualche infetto. Chissà quanti infetti hai eliminato, fino ad oggi.

Chissà quante persone hai ucciso, prima che io esistessi.

 

***

 

Prima che Joel stesse male Ellie si dispiaceva per i conigli che finivano sotto i suoi denti. I conigli sono carini, ma anche molto buoni. In fondo non è colpa sua se sono abbastanza stupidi da farsi ammazzare. E lei ha sempre fame. Milioni di esseri umani sono stati fatti a pezzi dagli infetti, e lei ha il diritto di mangiare almeno quanto loro. 

Arco e frecce per i conigli sono meglio del fucile da caccia. Non c’è spreco di carne. I fucili fanno rumore, e il rumore attira infetti. 

 

Andare a caccia con Joel è sempre una lezione, per Ellie. Lei ascolta in silenzio, ora che lui parla più spesso. Ora che non è costretta a tirargli fuori ogni informazione con le tenaglie è un po’ più facile, anche se a volte vorrebbe solo camminare in slienzio, cacciare in slienzio, ascoltando solo il rumore della neve e delle freccie che fischiano. A volte vorrebbe tappargli la bocca e urlargli che non le importa nulla di imparare come si legge il muschio, o le nuvole, e come preparare una trappola. Le basta che Joel non la lasci mai più sola. Se lui le resterà vicino non avrà bisogno di sapere tutto. 

 

Un giorno sarà vecchio, e morirà.

Muoiono tutti, prima o poi.

 

***

 

Un giorno mentre cercano provviste e sistemano i lacci per le trappole trovano un casale abbandonato in un’ampia radura. Doveva essere stata una fattoria, prima. Joel le spiega che nel Colorado i bovini erano stati largamente allevati, e che il bestiame ormai viveva allo stato brado in tutto il paese visto che non c’era più nessuno ad occuparsene. A quanto pare una mandria era rimasta nelle vicinanze, perché quelle che erano state le stalle erano ancora occupate da mucche e vitelli, ormai padroni di quei rifugi accoglienti. Non hanno nemmeno paura di loro, quando si avvicinano. Per Ellie è un’esperienza nuova quella di toccare un animale anche comune come una mucca. Hanno il muso vellutato e il respiro caldo, e le annusano le dita facendole il solletico. Ellie ride, per la prima volta da giorni.

 

“Dovremmo tornare verso il motel” dice Joel, mettendosi lo zaino in spalla. Due anatre penzolano da una striscia di cuoio legata ad una delle cinghie.

“Restiamo qui”. Vedendolo rabbuiarsi si affretta ad aggiungere “Solo per stanotte. Torneremo domani mattina”.

 

È così bello qui. Così quieto. Restiamo qui per sempre, Joel.

 

“Va bene, solo per stanotte”.

 

L’anatra è perfetta e croccante, così cotta sul fuoco da campo che hanno acceso in un angolo del cortile, a poca distanza dalla stalla. La ripaga di giornate lunghissime in cui hanno mangiato niente altro che fagioli e carote in scatola.

È una notte tersa, e forse inizia a sentirsi la primavera che si avvicina. Fa meno freddo, abbastanza perché Ellie riesca a godere del cielo e della luce del fuoco senza sentire un bisogno immediato di andare al coperto. Ci sono probabilmente un milione di stelle. Ellie ha sempre sognato di fare l’astronauta. 

 

Chissà com’è volare e vedere la Terra dal di fuori. 

 

Senza gravità Ellie galleggia nel cielo e può prendere le stelle con le mani, sono solo bugie quelle che le hanno raccontato, che le stelle sono delle palle di fuoco. Sono piccole e luminose e lei ne prende una manciata e la infila nello zaino. Non pesano niente e in più le scaldano la schiena. Dovrebbero tutti avere delle stelle, per usarle quando c’è buio o per tenersi al caldo se è inverno. Ellie ne raccoglie ancora una bracciata intera e si volta per farle vedere a Joel, ma lui è rimasto giù sulla Terra e le tende le mani per raggiungerla. Ma diventa sempre più piccolo, ed Ellie va alla deriva nello spazio, senza riuscire a prendere la sua mano. Prova a nuotare verso di lui, ma non ha mai imparato purtroppo. Annaspa mentre il buio le invade la gola e le oscura gli occhi, rendendola cieca e soffocandola. Non c’è più niente intorno a lei, le grida di Joel si affievoliscono, mentre lei vaga nel buio dello spazio. Non vede e non sente nulla. 

Non è più nulla neanche lei.

 

Sente Joel che canticchia qualcosa, un mormorio appena accennato, una melodia senza parole. 

“Che cosa canti?”.

“Non sto cantando”, le risponde, colto di sorpresa.

“Stavi cantando” insiste lei.

“Stavo parlando tra me e me. Mi chiedevo per quanto tempo saresti riuscita a rimanere zitta, ragazzina. Sei migliorata, ora riesci a tenere la bocca chiusa per decine di minuti, addirittura”.

“Stronzo. La verità è che ti mancano le mie chiacchiere”. 

 

Ghigna. Se pensa di sviare il discorso, ha capito male.

 

“Cantami qualcosa” gli dice. Il tono è serio, ma gli occhi le brillano un po’.

 

Non farti implorare.

 

Joel si schiarisce leggermente la voce. Sono anni che non lo fa. Da quando è morta Sarah. Canta piano, con voce baritonale. 

 

“I hurt myself today

To see if I still feel

I focus on the pain

The only thing that's real

The needle tears a hole

The old familiar sting

Try to kill it all away

But I remember everything

What have I become?

My sweetest friend

Everyone I know goes away

In the end

And you could have it all

My empire of dirt

I will let you down

I will make you hurt

I wear this crown of thorns

Upon my liar's chair

Full of broken thoughts

I cannot repair

Beneath the stains of time

The feelings disappear

You are someone else

I'm still right here

What have I become?

My sweetest friend

Everyone I know goes away

In the end

And you could have it all

My empire of dirt

I will let you down

I will make you hurt

If I could start again

A million miles away

I would keep myself

I would find a way”

 

Le parole sono quasi un sussurro alla fine. Ellie piange. 

 

“Scusa bambina, non era la canzone giusta”.

“Sta’ zitto”.

 

Ellie gli si avvicina. Lo prende per mano. 

 

La stalla è calda, il respiro degli animali e la paglia li accolgono quieti.

 

Lei lo bacia, e non le importa che Joel sia così vecchio. Non le importa che lui non reagisca, per un tempo che le sembra infinito. La sua bocca è morbida, e non le importa che la barba le strusci sulla pelle irritandola. Non le importa di aver sbattuto sui suoi denti, goffa com’è. Non le importa che lui non si slacci da solo la camicia, e che la sua pelle rabbrividisca quando lei lo tocca per la prima volta sul costato, passando le dita su vecchie cicatrici. Non le importa che quando lui si decide finalmente a stringerla le faccia quasi male. Lei lo vuole. Vuole sentire dolore, perché è così che sa di essere viva. Joel ha le mani forti, le spalle sono solide e il petto è ampio e coperto da una fitta peluria scura. Lo vede nella luce danzante del fuoco che è rimasto fuori nella notte e che si spegnerà lentamente, lasciando solo braci rosse come i suoi capelli, e cenere bianca come la sua pelle. E lei è così fragile rispetto a lui, vuole che lui la spezzi, che la ferisca e poi che le dica quanto è preziosa e quanto lui non possa fare a meno di lei. Vuole che questo bacio non finisca mai e che lui le affondi le dita dentro, che le strappi via il dolore che ha nel petto, che la protegga e che la tenga con sè, per sempre. Ellie piange quando fa per togliersi la maglia e piange quando lui glielo impedisce. Joel che le bacia le mani e le lacrime sulle guance, e non importa che lei senta la sua erezione scemare tra le sue cosce, non importa perché lui la guarda e lascia che lei urli e perda la voce, senza dirle niente senza giudicarla senza dirle che è pericoloso fare rumore. Ellie che non può smettere di piangere perché il mondo è pieno di morte e dolore. Ma Joel la capisce, le tiene una mano sulla nuca e le fa poggiare la fronte sul suo petto. Ed Ellie urla e urla finché non ne può più, si lascia stringere e cullare come se fosse una bambina piccola, non come la donna che vuole essere con tutte le sue forze. Lascia che Joel la tenga così finché non si addormenta, per dimenticare per qualche ora la disperazione e la paura e tutto il peso che porta.





NOTE:
  1. La canzone "Hurt" è dei Nine Inch Nails, in una cover di Johnny Cash. Ascoltatela perché è meravigliosa. Mi fa pensare tantissimo al mondo di The Last of Us, mi fa pensare a Joel e alla sua vita piena di rimpianti, una vita in cui il passato torna sempre a fare visita, per quanto si possa provare a dimenticare. 

  2. Sì, 04-01-78 è la mia data di nascita. Self insertion subdolo.

  3. È una storia triste, violenta, volutamente (spero) disturbante e dal contesto vago. Dopo quello che è successo a Silver Lake, penso che Ellie sia in un posto molto buio. Ha solo quattordici anni e mezzo, e per quanto sia nata in un mondo già devastato dal Cordyceps, un mondo violento e dove la morte è un affare giornaliero, comunque lei è appena adolescente, e non penso sia facile affrontarlo tutto insieme per la prima volta.

  4. Il fatto che Ellie abbia una cotta per Joel per me è canon. Sicuramente lo vede come una figura paterna, ma non soltanto. Ellie non sa granchè della vita e quasi nulla dell’amore, a parte Riley ovviamente, ma è così giovane che penso sia davvero logico avere gli ormoni in subbuglio. E poi ci vuole poco ad avere daddy issues quando hai un uomo così accanto, che sia Pedro Pascal o il Joel del gioco.

  5. È la mia prima storia in questo fandom, spero che vi piaccia. Se poi voleste lasciarmi un commento, sarei felicissima. Grazie!

    Gladia

 

 

 
   
 
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