Serie TV > Broadchurch
Ricorda la storia  |      
Autore: OmegaHolmes    24/03/2023    0 recensioni
Il ritorno fu un eterno viaggio in silenzio.
Hardy alla guida, Miller poggiata sul finestrino a fissare il paesaggio scorrerle accanto, con occhi vitrei e dietro Tom, ormai addormentato dallo sfinimento.
Alec non riusciva a togliersi dalla testa le parole dell’ex marito della donna, nonostante fosse certo che tutto quello che diceva non era vero. Era sempre stato molto professionale nel suo lavoro, aveva sempre evitato le relazioni tra colleghi, eccetto con Tess, ma solo perché era stata lei ad insistere. La sua ex moglie era riuscita ad ammagliarlo, a renderlo vulnerabile di fronte alle sue avance, fino a farlo cedere. Molto probabilmente la donna aveva fatto lo stesso con quel detective con cui l’aveva tradito, in quel fottuto caso di Sandbrook.
Miller, però era diversa. Si era indurita moltissimo dopo la terribile tragedia che l’aveva colpita e pareva avesse chiuso il suo cuore a chiunque. In quegli anni aveva provato più volte a cercare un contatto più profondo, anche solo in un semplice abbraccio, ma la donna aveva sempre rifiutato, facendolo sentire un emerito imbecille in ogni circostanza.
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec Hardy, Ellie Miller, Joe Miller, Tom Miller
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tutto era iniziato da un taglio di capelli, anche quella mattina fredda e nebbiosa a Broadchurch.
Ellie Miller si era svegliata, troppo presto come ormai ogni dannata mattina, e si era guardata allo specchio, come se si stesse esaminando per la prima volta, dopo anni.
Le parve di sentire una bolla scoppiare, come se quella pesantezza sulle spalle, sul petto, quel mal di testa cronico che l’aveva tormentata negli ultimi quattro anni fosse svanito, per sempre.
Osservò con attenzione le gonfie borse sotto agli occhi, che con il passare del tempo erano diventate così profonde da non andarsene nemmeno dopo 10 ore di sonno filate; la pelle pallida, ricolma di così tante rughe, probabilmente il risultato dei troppi pianti; le labbra sottili, che sorridevano ormai così raramente, che forse ne avevano perso la capacità. La cosa più terribile però in quel quadro generale erano i capelli: crespi, arruffati, una massa indistinta di ricci indisciplinati. Dio, li aveva sempre odiati i capelli lunghi, ma era stata Lucy, sua sorella, ad insistere di farli crescere, per cambiare dopo la tragedia che l’aveva colta, per “cercare di essere più femminile”. Purtroppo, però, Ellie non era mai stata molto femminile: aveva sempre parlato come un camionista e non si era mai vista molto bella. Carina, di tanto in tanto, graziosa, se il tempo le concedeva qualche raggio di sole in più sulla pelle, ma non bella.
Solo Joe era riuscito a farla sentire tale. Con lui sentiva di essere una donna desiderata, una donna giusta, una donna fortunata, fino a quel fatidico giovedì. Quel dannato giovedì che se lei fosse stata sveglia, avrebbe potuto evitare… ogni cosa.
Ed Ellie ripensava a tutte queste cose, mentre si fissava in quel maledetto specchio così crudele a non regalarle nemmeno lui un po’ di felicità.


*************
Alec Hardy era diventato un uomo nuovo, dopo l’impianto del pacemaker che ricordava al suo cuore stanco di battere. O almeno era quello che gli piaceva pensare, anche se sapeva di essere sempre il solito triste, drammatico, malinconico, scorbutico e solitario scozzese di sempre.
Eppure quella mattina, nella quale si era preso il lusso di dormire fino alle otto, si era guardato allo specchio con un grugnito tra i denti.
“Santo cielo, devo darmi una sistemata ai capelli…” aveva sussurrato stancamente, sbuffando al suo stesso riflesso.
Gli occhi scuri e perennemente tristi, ripercorrevano fedelmente ogni ruga del suo volto, senza dimenticarne alcuna. Le occhiaie scure, erano gonfie dalle ore di sonno ed il sole proveniente dalla finestra faceva risaltare le sue lentiggini, quelle che aveva sempre odiato.
In realtà Alec aveva sempre odiato ogni parte di sé, a partire dal carattere all’intero aspetto fisico. Era sempre stato troppo magro, troppo fragile, sotto ogni punto di vista. Aveva continuamente sofferto di una salute così delicata, che poteva ancora ricordare chiaramente ogni singolo ricovero che aveva dovuto sopportare fin dall’infanzia. Per quel motivo odiava gli ospedali e quell’insopportabile odore di disinfettanti onnipresente.  
E lì ripercorse tutti quei ricordi e quella sofferenza, di fronte ad uno specchio troppo sincero per i suoi gusti.

*************
“Allora, Ellie, come li vuoi fare? Solo una spuntatina?” domandò la parrucchiera, mentre tamponava i ricci castani ancora bagnati.
“No, voglio darci un taglio netto. Corti, ma morbidi. Sono troppo vecchia per i capelli lunghi.” Ripose seriamente,guardandosi nel riflesso di fronte, con gli occhi lucidi.
“No, Ellie, non dire così. Hai un bel viso. Vedrai, farò un bel lavoro!” le rispose l’altra fiduciosa.
Quando il lavorò terminò, le parve che molte delle sue paure ed insicurezze se ne fossero andate insieme ai suoi capelli: “Santo cielo” sussurrò, sorpresa “avevo dimenticato la sensazione di averli così!”
“Allora, ti piacciono?” domandò l’acconciatrice, porgendole uno specchio per mostrale il taglio posteriormente.
“Oh, moltissimo!” sorrise, raggiante, come non faceva da tempo “Mi piacciono, moltissimo!”
Forse, pensò Ellie, quello specchio era più gentile del suo, ma improvvisamente si percepì più graziosa di quanto potesse immaginare.


***********
Il DI Hardy era seduto da un paio di ore nel suo ufficio quando il sergente Miller arrivò al distretto di polizia, tra complimenti ed esclamazioni di sorpresa ; fu proprio tutto quel brusio ad attirare l’attenzione del Detective, che si alzò, con aria interrogativa e si poggiò allo stipite del suo studio, fissando la collega con aria incerta.
“Millahr” esclamò, in tono piatto.
“Buongiorno signore!” lo salutò lei, con un sorriso così luminoso da poter accecare chiunque, il quale però si spense all’istante, per la sorpresa, appena vide il suo capo “Oh mio dio… Signore, avete tagliato i capelli?”
“Sì, perché?” domandò cupo.
“Beh, perché non ti ho mai visto con i capelli ordinati… non li ha tagliati molto, ma “ sorrise nuovamente “stai molto bene, signore!”
“Grazie, Miller” rispose, indeciso sul cosa dire, continuando a fissarla con fare torvo.
“Che c’è?” domandò lei, sorridendo, notando con quanta attenzione stesse fissando il suo volto.
“Anche tu… anche tu stai bene, Miller.” e senza dire altro girò sui tacchi e tornò alla sua scrivania.
Ellie pensò che fosse l’aria condizionata rotta oppure un inizio di menopausa, ma quel complimento la fece arrossire leggermente, facendola sentire molto più femminile di quanto potesse immaginare.
Lei e Hardy avevano da poco concluso quel terribile caso di stupro, che aveva turbato entrambi notevolmente.
Negli ultimi due anni, dopo essere tornati insieme a lavorare gomito a gomito, avevano risolto numerosi rapimenti, omicidi più o meno efferati, ma anche molti piccoli casi tipici di una zona tranquilla di campagna.
Ora, dopo un caso così intenso, era giunto il periodo di calma piatta, dove non succede nulla e il lavoro consiste nel compilare tutte le cartelle e scartoffie varie legate ai casi.
Hardy aveva il compito di supervisionare tutte le relazioni e di firmarle, prima di archiviarle o inviarle al commissario, lavoro che compiva con minuzia accurata ed un pizzico di pignoleria, tanto da farsi odiare da qualsiasi agente per le innumerevoli correzioni che sottolineava costantemente.
Ellie stava correggendo una di queste, presso la sua scrivania, quando lo squillo del telefono la fece imprecare.
“Pronto?”
“Parlo con la signora Miller?” domandò una voce giovane e cristallina dall’altra parte della linea.
“Sì, sono io, mi dica.”
Salve, chiamo da parte della segreteria della scuola di suo figlio, Tom Miller – “
“Oh mio dio, che ha combinato questa volta?” la interruppe, preoccupata.
“Oh, nulla di grave signora, siamo solo preoccupati e la contattiamo per avere notizie di suo figlio.”
“C-come notizie di mio figlio? Non è a scuola?”
“No, a quanto risulta dai registri Tom è assente da tre settimane.. Pensavamo avesse preso l’influenza, visto il flusso di allievi assenti che abbiamo avuto in questo Novembre… quindi Tom non è a casa, signora Miller?”
“…”
“Signora Miller, mi sente?”
Ellie dovette fare dei lunghi respiri profondi e contare fino a dieci, prima di riuscire a rispondere con un tono mediamente calmo “No, mio figlio non è a casa.” Rispose seccamente “è uscito questa mattina, presto, come tutte le altre per prendere il pullman. Io… io sono a lavoro e devo andare adesso, ma la ringrazio per avermi chiamato e messo al corrente della situazione.”
“Aspettiamo sue notizie, signora Miller.”
“Sì, certo, a presto.”
Riagganciata la chiamata, il sergente non si trattenne oltre “Cazzo!” urlò, facendo voltare ogni suo collega a guardarla “Che c’è?” ribattè, scontrosa “Non avete del lavoro da svolgere?”
Prese la borsa, buttandoci dentro tutto ciò che trovò sulla scrivania e si diresse nera in volto, verso lo studio del suo capo.
“Signore” bussò con decisione “mi dispiace, ma devo scappare, ho avuto un problema con Tom.”
Hardy alzò il volto dalla scrivania, sfilandosi gli occhiali, fissandola con la bocca aperta e lo sguardo truce “Che è successo?”
“Ha chiamato la scuola” rispose, nervosamente, spostando il peso del corpo da una gamba all’altra “A quanto pare non si presenta a lezione da tre settimane. Dio, lo vorrei uccidere… cazzo, non so nemmeno dove possa essere!”
“Hai provato a chiamarlo?”
“Sì, ma non mi risponde… cazzo! Senti, devo andar- “
“Vengo con te.”  Rispose seccamente, prendendo la giacca stropicciata dalla sedia.
“No, signore, non è il caso, non-“
“Oh, sta zitta Miller, sono stanco di firmare relazioni scritte da cani. Forza andiamo.”
*********
Fu così che si ritrovarono a 28 km da Broadchurch, a Poole, la città dove andava a scuola Tom, a vagare in auto, alla ricerca del ragazzo.
“Giuro che lo ammazzo” ripetè per l’ennesima volta la donna, mordendosi il labbro inferiore, mentre con gli occhi tristi cercava disperatamente la sagoma tra la folla.
“Ha amici?” domandò allora Hardy, mentre scrutava fuori dal finestrino.
“Un paio, credo. Non parla molto con me, sembra che abbia sempre paura che lo controlli…”
“Ha una ragazza?”
“Cazzo, Hardy, non lo so! Ti prego, non iniziare, non con me.”
“Che cosa?”
“Le tue insopportabili domande a raffica!” urlò lei, stringendo maggiormente il volante tra le mani.
Cadde il silenzio, fino a quando non si trovarono di fronte alla scuola, dove parcheggiarono e scesero dall’auto.
“Dubito che sia qui.” Asserì Hardy.
“Sì, credo anche io.” Rispose, scoraggiata, voltando su sé stessa, passandosi una mano tra i capelli “Dio, in che cosa si è messo?”.
“Forse dovremmo fare un giro a piedi, che dici? Nel frattempo tu continua a chiamare. Magari qualcuno lo ha visto. Sei sicura che abbia preso il pullman questa mattina?”
“Sì, te l’ho detto! L’ho visto salire con i miei occhi mentre passavo con la macchina per andare a tagliarmi i capelli.”
“Bene, allora non può essere altrove.”
“Sì, beh, grazie Sherlock Holmes!” ribattè duramente lei.
Hardy, come sempre restò in silenzio, fissando l’orizzonte con una smorfia di dolore sul volto.
“Scusa…” sussurrò la donna, sospirando.
“Va bene. Ora muoviamoci, dai.”
Camminarono a lungo, percorrendo tutte le strade principali. Hardy fermò alcuni agenti, porgendo domande sul ragazzo, dopo avere mostrato una foto e consegnato una descrizione dei vestiti portati dal ragazzo quel giorno, mentre Miller continuava a cercarlo, scrutando tra le vetrine dei bar e nei vicoli adiacenti a molti negozi.
Passarono tre ore, senza aver nulla di concreto.
Arrivarono fino al porto, dal quale era possibile avere una vasta visione della città e delle sue strutture candide.
“Ancora niente?” domandò Hardy, notando la collega provare l’ennesima chiamata a vuoto.
“Niente.” Rispose rassegnata.
“Tra poco sarà ora di pranzo, penso che dovrà pur mangiare, non credi?”
“Già… ma anche oggi ha preso il pranzo al sacco, quindi potrebbe mangiare in ogni posto.”
Il silenzio li avvolse, mentre stancamente se ne stavano seduti sul bordo della passeggiata a osservare la città di fronte a loro stagliarsi tra il cielo grigio e il verde delle colline. Ellie la percepì di nuovo, quella stanchezza cronica, posarsi sulle sue spalle e sotto i suoi occhi, così vuoti da non avere nemmeno più lacrime da versare.
“Pensi… pensi che io sia una cattiva madre, Hardy?” domandò in un sussurro, senza distogliere lo sguardo di fronte a lei.
“No…” soffiò con il suo tono più dolce e sincero, quello che Alec utilizzava solo con lei e sua figlia Daisy “No, sei una madre fantastica, Miller.”
“Perché allora tutto mi sfugge di mano?” la voce ora era rotta e dovette tirare su dal naso per evitare di piangere.
Hardy pensò a lungo a cosa rispondere, percependo il cuore perdere un battito e quel senso di inutilità ed incapacità di consolare che provava ogni volta in quei casi “Non lo so, Miller… mi dispiace, i – “
All’improvviso, alle loro spalle, proveniente dal porto, una risata cristallina, giunse alle loro orecchie. Era una risata agghiacciante, una di quelle che quando senti una volta nella vita, non la scordi più. Ellie sentì il sangue congelare nelle vene, il fiato mancargli e la terra cedergli da sotto i piedi, perché lei quella risata l’aveva ascoltata tutti i giorni, per 15 anni della sua vita. Quando Hardy la vide sbiancare, capì all’istante, perché anche lui non la poteva scordare, da quella cena di 4 anni prima.
I due si voltarono, lentamente: Hardy, trucemente sorpreso, con una mano sul braccio della collega, pronto a fermarla, e Miller, con lo sguardo di un bulldog pronto a lanciarsi al collo della preda che da troppo tempo desidera di uccidere.
Tom e Joe Miller sono su una piccola imbarcazione, stanno tornando in porto, distanti 500 metri da loro. Il ragazzo sorride mentre è alla guida dell’imbarcazione e l’ex marito, pare non invecchiato di un giorno.
Alec sente la tensione nel braccio di Ellie, ma sa che non può fermarla, perciò la lascia andare, nel suo scatto d’ira funesta. In pochi minuti la donna ha sceso la scalinata che divide il livello della passeggiata a quello del porto e con gli occhi pieni di lacrime, rabbia e delusione, s’incammina come un feroce toro, verso la loro direzione; il detective la segue, leggermente ansimante, perché sa cosa dovrà affrontare insieme a lei.
In lontananza, all’improvviso, padre e figlio sorridenti , sbiancano nella visione della donna, consci di ciò che li attende.
La donna li fissa, in silenzio, li aspetta al bordo della banchina, quasi pronta a buttarsi in acqua pur di prendere a sberle il figlio.
“Scendi immediatamente da quella barca.” È tutto quello che riesce a dire per il momento a Tom, mentre una lacrima le solca il viso funesto.
Il ragazzo scende, cercando di scappare appena si avvicina quel poco che basta per sfiorarla, ma Hardy lo ferma, prendendolo saldamente per un braccio, lanciandogli una delle sue terribili occhiatacce e un ringhio tale da far rabbrividire il ragazzo.
“Ellie, io – “ esordisce Joe Miller, con gli occhi spaventati da coniglio.
“Sta zitto.” Ringhia tagliente, la donna. “Non provare a pronunciare il mio nome un’altra volta.”
L’uomo la fissa, pietrificato, con gli occhi predicanti, ma a lei non fa pena, non gliene ha mai fatta.
“Tu, lurido sacco di merda” continua allora, con voce rotta “Ti avevo chiesto una cosa sola: di  non farti vedere mai più. Che se ti fossi avvicinato ai miei figli, ti avrei ucciso con le mie stesse mani.”
“Ma, sono anche miei figli, Ellie!”
“No!” urlò allora lei “Hanno smesso di essere tuoi figli nel momento in cui TU hai ucciso il migliore amico di tuo figlio!”
La sua voce echeggiò in tutto il porto, come un tuono a ciel sereno. Tom tremava come una foglia, stretto nella presa salda che Hardy aveva sul suo braccio.
“I-io… i-io non ce la facevo più, laggiù in Scozia… senza vedere Tom e… Fred”
“Oddio…” mugolò Ellie “Dio, ti prego dimmi che non hai visto Freddie, ti prego-“
Lo sguardo di Joe andò a posarsi su Tom, in cerca di conferma, ma il ragazzo lo abbassò, andando a guardarsi la punta delle scarpe. La donna capì e distrutta si prese la testa tra le mani “No, no, no, no… come… come hai potuto, Tom, dopo quello che ci ha fatto, dopo tutto quello che abbiamo sofferto, portare tuo padre da lui?”
Il ragazzo balbettò “L-lui… lui mi..m-mi ha chiesto di vederlo”
“E tu hai acconsentito?!” le urlò contro, tirandole uno schiaffo sul braccio, ma Hardy la tennè indietro “Ehi, diamoci tutti una calmata, okay?”
La donna tirò su dal naso “Calmarmi… come posso calmarmi quando l’assassino impunito rapisce i miei figli…”
“Io non li ho rapiti, Ellie!” protestò, Joe.
“Sta zitto!” le urlò contro “Se non ti ho ancora ucciso è solo perché ho due figli e un lavoro che amo e non voglio perderli per un sacco di merda come te!”
Cadde un silenzio teso, interrotto dai singhiozzi soffocati di Ellie e dal tremore incessante di Tom.
“Perché non ci sediamo da qualche parte e non parliamo dell’intera faccenda?” propose Alec, allora.
La donna si asciugò il naso e annuì, prendendo il figlio per il braccio, lasciando il detective solo con l’ex marito.
“Forza, scendi.”
“Sarebbe mio diritto andarmene, Detective”
Alec, che era sempre stato un individuo passivo e raramente perdeva le staffe a tal punto, si sporse, rischiando quasi di cadere in acqua e prese l’uomo per il bavero della giacca, ringhiando come un mastino “Senti, pezzo di merda, io sono stanco di te e di come continui a rovinare la vita a quella povera donna, quindi o scendi dalla barca o ti faccio finire in galera una volta per tutte fino alla fine dei tuoi giorni.”
Joe Miller era e restava un coniglio e tutto quello che potè fare fu annuire, deglutire e eseguire i comandi.
***********
Una ventina di minuti dopo, Tom, Ellie, Joe Miller e Alec Hardy erano seduti in una tavola calda, in silenzio, mentre si guardavano in cagnesco.
“Come lo hai scoperto?” domandò allora titubante, Joe.
“Questa mattina mi ha chiamata la scuola di Tom, dicendomi che era da tre settimane che non si presentava alle lezioni.” Finì la frase, posando lo sguardo sul figlio, che tornò a fissare il tavolo, torturandosi le pellicine delle unghie.
“Da quanto va avanti?” domandò apatico Alec Hardy.
“Tre settimane” rispose Joe “Io… ero stanco di non poterlo vedere, così ho cercato la sua scuola… ho letto il nome dal suo profilo face book e l’ho aspettato all’entrata.”
“Perché non me l’hai detto, Tom?” chiese la donna, duramente.
“P-perché… perché mi avresti ucciso. Ti saresti arrabbiata e … non avrei più potuto vederlo.”
“Allora hai avuto la brillante idea di marinare la scuola, per andare a pesca con tuo padre, sapendo quando diavolo mi costa mandarti in quella scuola privata!”
Hardy posò una mano sull’avambraccio della collega per calmarla, appena sentì la sua voce alzarsi di tono, ma la donna la respinse.
“Sapete cosa vi dico? Io sono stanca. Sono stanca di tutto questo, sono stanca dei vostri maledetti segreti e di dover sempre pagare per le vostre azioni. Per me potete andarvene al diavolo, entrambi. Sì, Tom, parlo anche con te. Vuoi andare a vivere con tuo padre?” il ragazzo iniziò a piangere, sommessamente, alla rabbia della madre “Dimmi” continuò “E’ questo che vuoi? Io sono troppo cattiva per te? Bene, va pure. Vai a vivere con un assassino e diventa come lui, tanto evidentemente vivere con un poliziotto non ti sta servendo a nulla!” finì senza fiato la donna.
“Miller, ora calmati.” Intervenne Hardy, duramente.
La donna si lasciò cadere sullo schienale della sedia, esausta, con le braccia conserte in petto, piangendo mentre vedeva il figlio fare altrettanto.
In tutto quello, Joe era impassibile, con la sua espressione in cerca di commiserazione.
Alec Hardy prese un lungo respiro, stanco, con le braccia posate sul tavolo, incassato nelle spalle, proteso in avanti “Dobbiamo trovare una soluzione.” Disse, fissando Joe Miller negli occhi.
“In quanto Detective, potrei firmare la richiesta di una misura cautelare nei tuoi confronti, farla accettare oggi stesso da un giudice e toglierti all’istante la possibilità di vedere i tuoi figli, per sempre.”
Lo sguardo dell’uomo si fece più cupo, mentre tendeva i muscoli della mascella, con ira.
“Tu non dovresti essere in circolazione, Joe, e speravo che fossi stato tanto furbo da andartene molto più lontano della Scozia. Fossi stato in te avrei cambiato nazionalità e identità , non pensando nemmeno minimamente di mostrarmi ancora ai miei figli o alla mia ex moglie, dopo tutto l’accaduto. Ma evidentemente sei un uomo senza coscienza e libero per pura fortuna, quindi va bene, se lo trovi giusto. L’unico che può fare qualcosa al momento” sospirò “sei tu, Tom. Devi decidere che cosa vuoi fare, se vivere con tuo padre o avere un affido condiviso con entrambi. Ovviamente il discorso non vale con Fred, dato che è minorenne e in totale affidamento alla madre, quindi, Joe, scordati di potere ancora minimamente immaginare di avvicinarti a quel bambino, ci siamo intesi?”
L’uomo annuì nervosamente, posando lo sguardo sul figlio, seduto accanto a lui.
Tom guardò i loro volti, uno per uno: provò vergogna di fronte al volto distrutto della madre, intimidazione sotto lo sguardo torvo di Hardy e timidezza di fronte agli occhi mendicanti del padre. Si mordeva il labbro con insistenza, tanto da farsi male. Non voleva deludere la mamma, ma non voleva nemmeno perdere suo padre, ora che lo aveva ritrovato, che era lì per lui, come un tempo. Ma sapeva cosa aveva fatto, lo ricordava bene, ed ogni volta che lo guardava negli occhi si domandava se avesse voluto più bene a Danny che a lui. Avrebbe voluto chiederglielo molte volte, ma non ne aveva mai trovato il coraggio. Forse, era solo quello, il desiderio di capire con maggiore maturità quel gesto orribile che suo padre aveva compiuto, capire che cosa ci fosse di sbagliato in lui e se fosse completamente cattivo o se per tutta la sua vita gli avesse sempre mentito.
“I-io… non lo so… ho bisogno di pensarci.” Rispose allora.
Il padre asserì, commosso e lo abbracciò, di fronte agli occhi della poliziotta che si irrigidì sulla sedia e dovette richiamare tutto il suo auto controllo per non urlare.
“Va bene, Tom” sussurrò Joe, al suo orecchio “Va bene, non c’è fretta. Io ci sarò quando avrai deciso.”
Il ragazzo ricambiò l’abbraccio con affetto, annuendo tristemente. Quando si lasciarono Hardy prese la parola “Bene, allora Tom ora torni a casa con noi e nel frattempo avrai tutto il tempo di prendere la tua decisione. Ora, Miller, vorrei fare due chiacchiere con Joe. Da solo.”
La donna lo guardò, confusa ed irritata e si alzò di scatto, prendendo il figlio sottobraccio ed uscendo dal locale.
“Vedi, Joe” iniziò il detective “a differenza di tua moglie, io sono stato presente alla tua confessione e ricordo chiaramente ogni parola che è uscita dalle tue labbra. Ricordo che mi hai detto di essere innamorato di Danny Latimer, un ragazzino di 11 anni, e ricordo il modo atroce in cui l’hai ucciso. Quindi, per me, dovresti essere chiuso in una prigione a marcire per il resto dei tuoi giorni, perché sei un assassino. Perciò, fossi in te, smetterei di giocare con il fuoco.”
Joe, irritato, scoppiò in una risata nervosa “Ma guardati, tu che vieni a fare la predica a me. Ho confessato solo perché ero stanco, non ho detto di essere colpevole.”
“Ah, ti prego!” sbuffò Hardy, affondando nella sedia “Andiamo! Sii coerente con te stesso!”
“Sai, io ho capito perché Ellie ti porta sempre dietro.”
“Perché?” domandò apatico.
“Perché te la scopi, non è così? Tutte quelle ore di straordinario, fino a tardi, la cena, i fiori… tu volevi solo fartela e appena mi sono tolto dai piedi hai potuto, non è così?”
Il detective sbuffò, irritato “Palle, un sacco di palle. Cazzo, lei ti amava follemente, Joe. Non avrebbe mai minimamente sfiorato un altro uomo, quindi non tirarmi in ballo. Io e lei siamo solo colleghi. Ma sai una cosa” disse avvicinandosi all’uomo calvo, fissandolo intensamente a denti stretti “spero che un giorno conosca un uomo che abbia tutto ciò che non hai mai avuto, ovvero una fottuta dignità, Joe. Ora levati dalle palle e fa in modo che non ti veda mai più o ti farò pentire di essere stato assolto a quel maledetto processo.”
Si fissarono ancora a lungo, fino a quando Joe Miller incassò la sconfitta e si rizzò ed uscì dal locale.
Alec Hardy restò seduto per una manciata di minuti a fissare il vuoto di fronte a sé, cercando di calmare il battito cardiaco e riuscire a levarsi di dosso quella terribile sensazione di ingiustizia; si passò le mani sottili sul volto stanco ed infine si alzò, raggiungendo la collega fuori.
 
************
 
Il ritorno fu un eterno viaggio in silenzio.
Hardy alla guida, Miller poggiata sul finestrino a fissare il paesaggio scorrerle accanto, con occhi vitrei e dietro Tom, ormai addormentato dallo sfinimento.
Alec non riusciva a togliersi dalla testa le parole dell’ex marito della donna, nonostante fosse certo che tutto quello che diceva non era vero. Era sempre stato molto professionale nel suo lavoro, aveva sempre evitato le relazioni tra colleghi, eccetto con Tess, ma solo perché era stata lei ad insistere. La sua ex moglie era riuscita ad ammagliarlo, a renderlo vulnerabile di fronte alle sue avance, fino a farlo cedere. Molto probabilmente la donna aveva fatto lo stesso con quel detective con cui l’aveva tradito, in quel fottuto caso di Sandbrook.
Miller, però era diversa. Si era indurita moltissimo dopo la terribile tragedia che l’aveva colpita e pareva avesse chiuso il suo cuore a chiunque. In quegli anni aveva provato più volte a cercare un contatto più profondo, anche solo in un semplice abbraccio, ma la donna aveva sempre rifiutato, facendolo sentire un emerito imbecille in ogni circostanza. 
Eppure sapeva che per lei c’era un posto speciale nel suo cuore e nella sua vita, anche se non l’avrebbe mai ammesso.  Aveva sempre pensato che fosse una delle donne più interessanti che avesse mai incontrato e…adorava il suo sorriso! In realtà inizialmente lo odiava, perché era una cosa che lui non riusciva a fare, ma con il tempo capì che la forza di quella donna stava proprio nel suo magnifico sorriso.
Adorava anche il modo in cui piangeva, con quegli occhi così grandi e scuri, anche se faceva troppo male, ogni volta, vederla in quello stato.
Daisy aveva cercato a più riprese, di capire quali fossero i reali sentimenti del padre nei confronti della collega, ma aveva sempre  solo ricevuto risposte vaghe.

“Perché non la inviti fuori a cena?” le aveva chiesto una volta.

“Chi? Miller? Oh, andiamo, non essere sciocca, Daisy… ti prego, non cominciare.” Aveva ribattuto lui, buttandosi stanco sul divano, dopo una terribile giornata in ufficio.

“Papà, io lo dico per il tuo bene… fra alcuni anni andrò all’università e tu sarai nuovamente da solo. Tutti… tutti gli appuntamenti che ti ho organizzato su Tinder sono stati un disastro e…  credo, perché  hai in testa Miller.”  
L’uomo l’aveva guardata, incredulo “Che cosa? Daisy, ma… ma come ti vengono in mente certe cose?!”
“Io vi ho osservati, papà e… quando sei con lei sembri più felice. Tutto qui… potresti provare!” continuò la ragazza, andando ad accoccolarsi vicino al padre, conscia che non sapeva resistere alle sue dimostrazioni di affetto.
“Daisy, tesoro… io e Miller siamo solo colleghi e… amici. Credo che una parte di lei mi odi ancora e… non credo di essere l’uomo adatto a lei..”
“Allora ammetti che ti piace!” aveva esultato la figlia.
“Io-io non ho detto questo! Ho detto… ah, lascia stare. Che facciamo per cena?”
E lì era finita.
Ma Hardy ci aveva pensato, ragionandoci su, per giorni, ogni qual volta che la vedeva.
Ci aveva pensato anche quella mattina, quando l’aveva vista con il suo nuovo taglio di capelli.
Ma nonostante il suo cervello lo pensasse, le sue labbra non avevano mai trovato il coraggio di chiederlo, perché sarebbe stato devastante se avesse detto di no. Forse sarebbe andata da Brian della scientifica, dopo, e le avrebbe detto “Hardy mi ha chiesto di uscire!” e molto probabilmente tutto il commissariato avrebbe riso di lui… e si sarebbe maledetto per il resto delle sua esistenza.
Evidentemente il suo volto doveva aver dato vita al suo tormento interiore, tanto che Ellie si voltò a guardarlo “Ehi, tutto bene?” gli domandò, preoccupata.
“Sì…” sospirò “tutto bene… sveglia Tom, siamo quasi arrivati.”
La sera stava calando sulla città quando arrivarono alla candida casa dei Miller.
Tom entrò in casa, salutando il detective con un semplice cenno del capo, mentre Hardy e Miller si sgranchivano le gambe per il lungo viaggio.
Ellie sospirò, poggiandosi contro la macchina, con le braccia conserte al petto.
“Stai bene?” domandò di tutta risposta l’altro, fissandola preoccupato.
“Sì, sì… sto bene. Io…” lo guardò, tristemente, mordendosi l’interno della guancia “Non so come ringraziarti, Hardy, davvero. Sono contenta che tu non mi abbia ascoltato e sia venuto… non so cosa avrei potuto fare fossi stata da sola. Grazie, davvero.”
Alec la osservava con il solito sguardo colmo di dolore e tutto quello che riuscì a fare fu annuire, gravemente, mentre si malediceva per non riuscire a dire altro.
La donna lo salutò, con un breve rimando stanco della mano e si incamminò verso casa, mentre lui restava immobile ad osservarla.
“Ah, Hardy!” si voltò di scatto la donna “Che cosa hai detto a Joe, mentre noi eravamo fuori?”
“Nulla di importante.” Rispose stancamente.
“Oh… va bene.”  Continuò  Ellie, delusa “Beh, allor-“
“Miller.”
“Sì?”
“Ti andrebbe…”
“Sì?”
“Ti… ti andrebbe di cenare da me, stasera?”
Cazzo, pensò Hardy, cazzo, cazzo, cazzo, non dovevi farlo, non oggi, non dop-
“Oh, sì volentieri.” Rispose lei, lievemente sorpresa sotto la maschera stravolta della giornata.
“Perché Daisy è ad un pigiama party e io sono da sol-…”
“Va bene, non ti preoccupare” lo rassicurò lei, notando la lieve agitazione dell’altro trapelare sotto lo sguardo da bambino. “Non sarà un problema per mio padre e Tom è in punizione, quindi non ci sono questioni. A dopo, allora?”
“A dopo.” Soffiò stancamente, fissandola mentre rientrava in casa.
Appena la porta le si chiuse alle spalle, Ellie ebbe un tuffo al cuore, così profondo che dovette accasciarsi sull’uscio per non cadere. Non comprendeva, perché improvvisamente, dopo uno dei giorni più brutti della sua vita, era così felice di andare a cena da Hardy. Forse perché era la prima volta che glielo proponeva lui? Forse perché non c’erano i bambini? O forse perché mentre gliel’aveva chiesto aveva visto la paura negli occhi di lui, come se fosse sull’orlo di un precipizio?
Quel misto di emozioni durarono poco, fino a quando non alzò lo sguardo sulla scalinata e vide Tom, seduto, ad osservarla con gli occhi gonfi.
“Va in camera tua, non ho nulla da dirti.” Ribattè lei, stancamente, dirigendosi in cucina.
********
Il cielo plumbeo della sera si stava screziando di rosso, all’orizzonte, mentre Alec percorreva la strada verso casa a piedi, con un incredibile senso di leggerezze in petto. I passi stanchi affondavano nell’erba alta, mentre il suo cuore pareva volesse scappargli dal petto e volare fino a toccare quel cielo infinito che si apriva di fronte a sé.
Ci era riuscito e lei aveva accettato.
Tutte le sue paure, come la faccia di Brain sparirono, improvvisamente, lasciandolo solo con quel piacevole tepore in petto.
Si sentiva stupido ed emotivo, come quando aveva 16 anni e aveva avuto la sua prima cotta per una compagna di classe, eppure i suoi polmoni parevano respirare per la prima volta.
Il vento gli soffiava contro, lasciando i suoi capelli spettinati e ribelli, ma a lui non importava.
Nulla era più importante, perché Ellie Miller aveva accettato di cenare con lui, senza passare un’altra serata da solo in quella casa sulla collina.
Ed improvvisamente un altro pensiero si insinuò nel suo cervello complesso: e se fosse stato lui l’uomo che Ellie Miller meritava? Ne sarebbe stato all’altezza?
 
********
Arrivato a casa mandò un messaggio alla collega, dicendole di arrivare per le otto, che prima non sarebbe riuscito a preparare nulla di decente.
Ed è così che la figlia, poco prima di uscire per andare alla festa, lo trovò: nella più profonda confusione.
“Papà, stai bene?”
“Ho invitato Miller a cena.” Rispose seccamente, continuando a cercare una ricetta da un vecchio libro che gli aveva regalato sua madre prima di morire.
“Oh mio dio! Dici sul serio?!” esultò la ragazza, andando ad abbracciarlo.
“Ehi, ehi! E’ solo una cena… tutto qui.”
“E tu sei terrorizzato.”
“N-non sono terrorizzato… non so solo che fare.” Rispose irritato, sfilandosi gli occhiali dal naso.
“Perché non le cucini le tue linguine alle acciughe? Questo pomeriggio Chloe me ne ha portate alcune pescate del giorno, da parte di sua madre Beth.”
“Oh, dici sul serio?”
“Sì!” ripose la ragazzina, baciandolo dolcemente sulla guancia, sciogliendo del tutto il vecchio detective.
“Va bene, allora, linguine siano!”
********
Per un attimo pensò che fosse stata una pessima idea andare a cenare con Hardy proprio quella sera.
Esausta, aveva preparato la cena, dando istruzioni al padre, che come sempre non la stava ad ascoltare, troppo concentrato a guardare la partita. Fred, ormai di 5 anni, se ne stava seduto tranquillo a colorare un disegno appena fatto.
“Dov’è Tom?” chiese il bimbo, ingenuamente.
“In camera sua. Ha fatto arrabbiare la mamma.”
“Perché?”
“Perché a volte tuo fratello non pensa, tesoro. Allora, che cosa hai disegnato?”
“Un aeplano!”
“Un aeroplano?! Oh, ma è bellissimo tesoro!” esultò commossa, accarezzandogli i capelli biondi e soffici “Senti, Freddie, stasera la mamma non ci sarà a cena, ma tu farai il bravo, non è vero?” il bambino annuì, mentre la guardava dolcemente.
“E mi prometti che mangerai tutto e non farai arrabbiare il nonno per la nanna?”
“Sì, va bene”.
“Bravo il mio ometto.” Le baciò i capelli e lo strinse forte a sé “Lo sai che la mamma ti vuole bene, vero? E che non ti lascerebbe mai e poi mai per niente al mondo?”
“Sì” ridacchiò il piccolo Fred, nel suo abbraccio che durò poco, perché appena vide Tom affacciarsi alla cucina, gli corse in contro, urlando “Tom, Tom, Tom!”
“Ehi, Freddie!” lo prese in braccio il fratello maggiore.
La donna era tornata cupa, appena lo aveva visto entrare “Tra poco esco, vi ho preparato la cena, mi raccomando, non fate tardi.” Aveva sbiascicato, sistemando gli ultimi piatti appena lavati.
“Dove vai?” domandò il ragazzo, preoccupato.
“Da Hardy, mi ha invitato a cena.” Rispose seccamente, mentre si asciugava le mani allo strofinaccio appeso alla parete.
“Oh…” rispose Tom, titubante “E’ un appuntamento?”
Ellie si poggiò al piano della cucina, straziata “No, Tom, è solo una stupida cena. Per favore, non parlarmi fino a domani mattina, okay? Sono… sono troppo delusa per…” la voce stava tornando a spezzarsi nuovamente, attirando l’attenzione anche del padre in salotto “per stare a cena a casa… ho bisogno di prendere un po’ d’aria da tutto… questo.”
Il primogenito posò il fratellino e si avvicinò alla madre, cercando di evitare movimenti bruschi. La donna piangeva, poggiata al piano in legno, curva su sé stessa, in cerca di riuscire a soffocare quei singhiozzi straziati che non riusciva a calmare.
“Mamma…” la chiamò piano il ragazzo “…Hardy mi piace, è bravo.”
Gli occhi scuri e colmi di lacrime della donna si spalancarono andando a posarsi sul volto del figlio, colpita.
“Tu…credi?”
Il figlio annuì, tristemente. Tutta la durezza della donna crollò in un istante e non potè resistere oltre.
“Oh, vieni qui…” mugolò, stringendo forte il ragazzo tra le sue braccia, come se fosse il tesoro più prezioso al mondo. “Oh, Tom…” sussurrò, tirando su dal naso “Lo sai che ti voglio bene, vero? E… che tutte quelle cose cattive che ho detto oggi, non le penso? Oh, tesoro… se solo sapessi quanto mi fa male vedere tutto che si distrugge sempre a causa di-“ la frase si interruppe tra le lacrime di entrambi.
Restarono a lungo abbracciati e quando si lasciarono, Ellie si sentì più leggera.
Doveva andare a quella cena, era la sua unica occasione per riuscire a provare a fidarsi nuovamente di qualcuno.
***********
Alle 8 in punto, Ellie Miller bussò  alla porta della casa sulla collina.
Quel ritmato rumore fece sobbalzare il detective, che rischiò di far cadere un intera bottiglia di vino nel sugo di acciughe.
Agitato ed ansimante, si diresse verso la porta a vetro e la spinse, per farla entrare.
“Miller.”
“Buonasera signore.” Sorrise dolcemente la donna. Sul suo volto era ancora evidente lo strazio del’intera giornata, ma c’era una luce che pareva nuova nei suoi occhi scuri. Lui la scrutò intensamente, notando ogni piccolo particolare dei suoi abiti. Aveva sempre in dosso quella terribile giacca vento arancio, ma da sotto spuntava un maglione azzurro cielo e un paio di pantaloni in velluto blu.
“Accomodati pure” fu tutto quello che riuscì a dire, teso come una corda di violino.
“Ho portato del vino e dei dolcetti, che se non mangi, beh, mangerò io. Ma che cos’è questo odore?” ridacchiò, mentre si toglieva la giacca vento.
“Alici” ribattè secco Alec, mentre le prendeva la giacca, per appenderla nell’armadio. “Linguine alle Alici.”
“Ma allora è vero che sai cucinare!” scherzò la donna, andando verso i fornelli per curiosare, ma il detective la tenne indietro.
“Cos’è, hai paura che ti avveleni il cibo?”
“No, vorrei evitare di ustionarti mentre scolo la pasta, tutto qui.” Ribattè burbero, mentre prendeva la pentola colma d’acqua bollente.
“Lo sai Hardy, il grembiule da cuoca ti dona!”
Solo in quel momento si rese conto di non essersi tolto il grembiule rosa con i gattini che la figlia usava quando cucinavano insieme. Preso alla sprovvista si sentì avvampare e sobbalzando, uno schizzo d’acqua gli finì sulla mano, facendolo imprecare.
“Oddio, Hardy, stai bene?” corse lei, preoccupata.
“Cazzo, sì… è solo un po’ d’acqua.” Rispose, mentre terminava di scolare la pasta.
“Fa vedere, perché se ti sei ustionato dobbiamo medicarlo subito.” Disse, con il suo unico tono apprensivo.
Alec sospirò e gli porse il palmo della mano, mostrandole un paio di macchiette rosse sul polso sottile.
La donna lo cinse, con la paura che potesse romperlo se lo avesse stretto troppo forte; al cupo scozzese quel contatto piacque, tanto da dover stringere le labbra per evitare di dire qualcosa di sbagliato.
Ellie prese uno strofinaccio imbevuto d’acqua e lo tamponò dolcemente, con cura.
“Sai, anche Tom si brucia ogni volta che scola la pasta, non riesco a capire come mai.” Raccontò, con un sorriso sul volto “Penso che sia perché è sempre tra i suoi pensieri, un po’ come te, forse.”
L’uomo deglutì, mentre la fissava, osservando i ricci morbidi sul suo capo e le lunghe cigli scure leggermente truccate.
“Potremmo chiamarci per nome per stasera.” Esordì lui, inaspettatamente.
“Credevo non ti piacesse farlo.” Disse, alzando gli occhi su di lui.
“Beh, stasera siamo a cena, no? E… e tu hai detto che preferisci quando ci si chiama per nome, anche se, beh, siamo solo io e te quindi sai che sto parlando con te, non hai bisogno che ti chiami, però forse è meglio, per stasera- “ restò a bocca aperta, con le parole a mezz’aria, cercando di capire perché si fosse nuovamente agitato tanto con la questione dei nomi.
Ellie lo guardava sorpresa, intenta a soffocare una risata. E’ così adorabile quando si blocca, pensò.
“Va bene, Alec. “ rispose soltanto, sorpresa di quanto suonasse bene quel nome tra le sue labbra.
La pronuncia del suo nome lo rilassò, annuendo, mentre ritirava il polso.
“Accomodati pure” la invitò, mentre si sfilava il grembiule “tra poco è pronto.”
Nel frattempo la donna aveva stappato il vino e riempito due bicchieri.
Alec aveva preparato i piatti ed ora erano lì, seduti, uno di fronte all’altro, indecisi su cosa dire esattamente.
La stanchezza della giornata rendeva Miller incredibilmente rilassata ed a suo agio, nonostante fosse evidente che per Hardy la situazione fosse molto più complessa.
Teneva le mani strette intorno alle posate e ogni tanto notava il suo sguardo scuro e triste, fissarla con molta più intensità con cui non avesse mai fatto.
Aveva bevuto il primo bicchiere con bramosia, lasciandola piuttosto sorpresa, ma decise di lascialo fare e di iniziare a mangiare in silenzio.
“Cazzo, è buonissimo!” si lasciò scappare la donna, con la bocca ancora piena “Scusa… ma non sono riuscita a trattenermi.”
“Meglio così, almeno non avrò il terrore che non ti piaccia.” ed  accennò appena un sorriso.
“Oh mio dio, hai davvero sorriso?”
“Che cosa? No, certo che no!”
Miller arricciò il naso, in un sorriso divertito “E invece lo hai fatto Mr. Hardy non sorride mai
“Hai intenzione di continuare?”
“Sì, ma non lo faccio, perché poi smetti di parlare e non voglio.”
“Bene.”
E cadde il silenzio.
Il nervosismo nello stomaco dell’uomo non lo aiutò a riuscire a terminare il piatto, riuscendo solo a bere altri due bicchieri di vino.
“Non ti ho mai visto bere tanto.” Disse lei, mentre si puliva la bocca.
“Sono… sono solo un po’ nervoso.”
“Perché?” domandò allora, guardandolo dolcemente.
“Lo sai… il perché.”
“No, invece.” Continuò, accennando un sorriso “A volte non comprendo i tuoi nervosismi. E’ a causa mia?”
“Sì, cioè, no… è la situazione.”
Cazzo Alec, ripetè a sé stesso, sei un coglione. Hai una donna di fronte a te e non sai più parlare.
“E’ solo una cena, Alec, non è niente di spaventoso. Siamo solo io e te.”
Ecco, cazzo, per lei è solo una cena. Cazzo.
“Alec…” lo richiamò, posandole dolcemente una mano sull’avambraccio.
“Mi piace come lo dici.” Rispose.
“Davvero?”
“Sì… e mi … mi piacciono i tuoi capelli, intendo, così, stai… stai bene.”
“Beh, grazie…” arrossì appena.
L’uomo deglutì, rumorosamente, mentre osservava la pelle candida di Ellie tingersi di cremisi.
“E… mi piace stare con te, Ellie.”
“Alec, cosa stai cercando di dirmi?” domandò allora la donna, presa alla sprovvista da tutti quei complimenti così insoliti dal suo capo, nonostante tutti gli annui passati a lavorare insieme.
“Io…” iniziò, ma non ne trovò il coraggio.
Così, la donna si alzò, gli andò di fianco, mentre lui la seguiva incessantemente con lo sguardo; gli prese la mano e gli fece cenno di alzarsi. La figura esile e longilinea di Alec spiccava a fronte di quella minuta della donna, ma lei pareva una roccia, mentre lui un esile ramoscello che una qualsiasi folata di vento avrebbe potuto spazzare via.
“Alec…” sussurrò, dolcemente “lo sai che a me puoi dire tutto, non devi vergognarti o pensare che non possa capire, perché… sono e sarò sempre comprensiva, anche se a volte ti insulto o ti lancio le chiavi della macchina addosso.”
L’uomo sospirò, stancamente. Sono davvero un idiota. Un emerito idiota.
Si portò di scatto una mano alla fronte, cercando di calmare quella terribile nube caotica di pensieri.
“Oh, ma come faccio a dirtelo…”
Ansimava, rumorosamente, con una mano a coprirsi il volto e l’altra sul fianco, nella sua solita postura da poliziotto distrutto che non sa che diavolo deve fare.
“Non devi dirlo se non te la senti, non c’è una scadenza, okay?” cercò di rassicurarlo nuovamente.
“Ma… ma io devo dirtelo e voglio dirtelo è solo…” si passò una mano tra i capelli scuri, volgendo il volto dall’altra parte.
“Che cosa, Alec?”
“Io… io ho paura di ammetterlo, perché… perché tu mi hai sempre odiato, per il posto, per il fatto che ho arrestato tuo marito e rovinato la tua vita, perché… sì, io mi sento colpevole ogni giorno di tutto questo. E poi, siamo diventati amici, credo, o almeno per me lo sei stata, ma sei sempre stata dura e hai sempre cercato le distanze, così ho pensato che fosse inutile… ma poi ho capito, Miller… E-ellie..”
Gli occhi grandi della donna erano lucidi, fissandolo in quel tormentato turpiloquio che era certa fossero i sentimenti di Hardy. Sentiva il cuore esplodergli in petto, le orecchie tormentate da quel battito e le gambe tremare dalla paura. Alec si voltò a fissarla, intensamente, con la stessa espressione che rappresentava nel mezzo di un caso, la scoperta di un nuovo elemento elettrizzante, che avrebbe svolto l’intera storia.
“Ho capito che Daisy aveva ragione.”
Ellie battè le palpebre, confusa: “Non…non capisco.. Cosa c’entra Daisy?”
L’uomo le strinse le spalle, energicamente, scrollandola appena “C’entra che aveva ragione. Io… io non riesco ad uscire con altre donne, perché… Perché sono innamorato follemente di te, Ellie. Nessuna è come te, nessuna ha il tuo umorismo, il tuo caratteraccio, la tua risata, il tuo sorriso e… la tua dolcezza.”
L’aveva detto. Alec Hardy ci era riuscito, certo, ansimante, tremante, spaventato come un passero abbandonato, ma l’aveva fatto e ora sorrideva, con gli occhi lucidi, mentre la guardava, così sconvolta, paonazza e immobile.
Gli occhi di Ellie si riempirono di lacrime, la sua bocca divenne sottile in una smorfia di commozione “Oh, stupido… stupido, stupido, stupido Hardy.” Mugolò, posando una mano sul suo petto.
“Come puoi… come puoi pensare che io ti odi, cazzo.” Tirò sù dal naso, mentre si irritava nel vederlo sorridere in modo così bello. “Sei davvero un idiota… lo sai? Ora ti prego, abbracciami.”
E fu così che finalmente, dopo tutti quegli anni, il detective Hardy riuscì a guadagnare il suo tanto sofferto abbraccio. La tirò a sé, per poi stringerla, con tutto il calore che aveva in corpo, lasciandola che si aggrappasse alle sue spalle, che affondasse il volto nella sua camicia azzurra e la riempisse di lacrime. Il suo cuore batteva così forte che Miller lo poteva sentire a chilometri di distanza.
Posò una guancia sui suoi capelli mossi  e scoppiò a ridere; dopo poco anche il pianto della donna si trasformò in riso, senza riuscire più a smettere.
Si stringevano, cullandosi uno tra le braccia dell’altro, lasciando le loro mani stringere tessuto e regalare carezze.
“Oh, Ellie…” soffiò dolcemente Alec, sulla chioma ribelle, prima di posarle una scia di baci caldi sulla fronte.
Miller si sentiva come un koala, attaccato al suo albero preferito, così sottile, da riuscire a cingerlo con entrambe le braccia. Il pianto aveva lasciato spazio alla calma piacevole di quell’abbraccio e alla dolce sensazione di quelle attenzioni. Era sempre rimasta colpita da come il suo capo potesse essere così spigoloso eppure così affettuoso allo stesso tempo. Aveva pensato più volte a quanto Daisy fosse stata una ragazza fortunata ad avere un padre tanto premuroso.
E lì, con il volto bagnato, il trucco sciolto e gli occhi stanchi, salda in quell’abbraccio, Ellie sussurrò le tre parole magiche “Ti amo, Alec…”
La reazione dell’uomo fu un improvviso irrigidimento, accompagnato da un brivido.
“Miller” soffiò, con voce rauca “posso baciarti?”
Lei alzò lo sguardo, mordendosi nervosamente il labbro inferiore, con il terrore di incontrare quegli occhi così scuri, profondi, dove era così facile perdersi e chiedersi se fossero sempre stati così tristi o se il tempo li avesse resi tale.
I loro nasi si sfiorarono e Ellie chiuse gli occhi, in estasi, cercando di memorizzare tutti i particolari odori che percepiva. Il profumo di Alec era così forte ed inebriante, di una particolare aroma di pino silvestre, mescolata alla fragranza di tutto il vino bevuto. Lo sentiva respirare, sul suo volto, in un modo così caldo, piacevole e gentile. Sapeva che la stava osservando, scrutando, analizzando con quegli occhi, ma era così bello sentirsi amata.
A labbra socchiuse, percepì il tocco timido e lieve di quelle dello scozzese, morbide e tremanti.
Lo lasciò fare, si lasciò baciare, stretta tra le sue braccia, persa in quell’angolo di tempo e spazio solo per loro due. Dopo alcuni istanti il contatto si fece più profondo e lo sentì mugolare, con un verso roco e farsi più intenso, bramoso, desiderato e disperato.
La barba era morbida, a differenza di quanto aveva sempre immaginato , piacevole al contatto.
La dolcezza di Hardy si trasformò presto in passione, mentre le mani grandi e affusolate l’esploravano la schiena, lasciandola senza fiato, tra brividi e carezze.
Quando si divisero, restarono alcuni secondi a  fissarsi, sorpresi.
Alec aveva i capelli arruffati e la camicia completamente zuppa di lacrime ed Ellie, era un disastro con quel trucco sciolto.
“Io credo…” ridacchiò lei “che dovremmo darci una sistemata.”
Lui annuì, sconvolto, con un espressione persa e le labbra rosse “Forse… forse è meglio che mi vada a cambiare.”
“Io vado un attimo in bagno, se per te va bene.”
“Sì… sì, certo… è in fondo a destra.”
Quando la vide scomparire, si passò una mano sul volto, pensando Dio mio, è stato bellissimo.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Broadchurch / Vai alla pagina dell'autore: OmegaHolmes