Film > Pacific Rim
Ricorda la storia  |      
Autore: Quella Della Pasta    27/03/2023    0 recensioni
Newt fa sempre più incubi, dopo aver sventato l'apocalisse. Hermann non ne può più.
-
Partecipa al COW-T #13 (quinta settimana) col prompt: Missione 4 (corse contro l’inaspettato) - corsa contro il tempo.
Genere: Angst, Song-fic, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermann Gottlieb, Newton Geiszler
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(ispirata da questa fic di Will P.)
(titolo da Tutta la voglia di vivere, di Fabrizio Moro; citazioni, invece, da Little Dark Age, dei MGMT.)


 

Breathing in the dark

Lying on its side

The ruins of the day

Painted with a scar

 

C’è di più, in una connessione neurale come quella tra di piloti di Jaeger, che non sia il solo galleggiare tra i ricordi l’uno dell’altra persona.

C’è molto, ma molto di più, nel drift che va a crearsi interconnettendosi a un kaiju. Newt avrebbe dovuto saperlo – e lo sapeva, grazie tante – da tutti i suoi studi, ché non ha immerso le proprie braccia fino ai gomiti e se le è poi tatuate anche per nascondere le cicatrici da acidi, solo per finire a fare la pedina dei grandi e grossi alieni invasori da cinema, anche se erano pura realtà, nemmeno pochi anni dopo che avevano cancellato l’apocalisse, per dirla col caro, vecchio Pentecost. Che ora se ne stava buono buono sul fondo dell’oceano, quel che restava della sua carcassa nuclearizzata a dar da mangiare a plancton che sarebbe inevitabilmente mutato, visto che in quel cazzo di mondo le cose, a quanto pareva, andavano esattamente come in uno di quei film che, prima della prima fine del mondo, Newt adorava. E immaginava a ben ragione che Hermann detestasse. Prima di scoprire il cofanetto extra-lusso di tutti, ma proprio tutti, i film di Godzilla che quel geniaccio teneva nascosto sotto il letto.

Ma non è per uno di quei film, che Newt s’è svegliato ansante, a sbattere gli occhi contro il buio della sua stanza. Deve ripetersi almeno dieci volte che è al sicuro, nel suo letto, che nessun mostrone assurdo lo strapperà via da lì, che la breccia è chiusa per sempre, che.

Ma ogni mattina si guarda allo specchio, e vede l’occhio cicatrizzato dal suo primo drift con quel pezzo di cervello alieno, e vede che non è ancora guarito e non guarirà probabilmente mai e, anche se è irrazionale e lui lo sa benissimo, non riesce a non sentirsi in pericolo, sul costante chi va là, come quando la breccia era ancora aperta e lui a sezionare pezzi di kaiju come fossero pomodori per un’insalata ed Hermann a scrivere equazioni come un forsennato su tutte le superfici disponibili.

Sta arrivando, Newt si ritrova a pensare ogni mattina, sulla scia degli incubi da cui non fa che risvegliarsi di continuo. Poi si convince che la realtà è ben diversa, e si incammina verso il suo adorato lavoro di dottore con un Nobel per la pace a suo carico. Finché non si ritrova a sognare quell’assurdo conto alla rovescia per l’ennesima notte, e sprofonda nello sconforto e nel terrore più totale. Fino al mattino dopo.

 

And the more I straighten out

The less it wants to try

The feelings start to rot

One wink at a time

 

Era da tempo, che Newt non aveva tic di qualunque tipo. Ora, se l’occhio con la cicatrice non gli brucia e lui non finisce per storcere la testa pur di resistere al prurito, almeno sei volte al giorno, evidentemente la sua corteccia cerebrale non è contenta. Dannato sistema parasimpatico che fa i capricci. Newt lo tiene a bada come può, consumando un film di Godzilla dopo l’altro, soltanto per ritrovarsi Hermann tra i piedi a urlargli contro di non toccare la sua roba, non importa che l’apocalisse fosse stata sventata, e così distrarsi un altro po’. Ma forse sono i film apocalittici, il problema. Così Newt passa alle commedie romantiche, poi ai buoni, vecchi inseguimenti all’americana, con le automobili e le ragazze in bikini, poi si mette a scavare tra i film esistenziali italiani, russi e sudafricani, in cerca di un tasto di reset che non troverà. E, razionalmente, lo sa pure.

Si ritrova a non sapere più perché, tutt’a un tratto, ha iniziato a segnare in rosso i giorni sul calendario. O con qualunque cosa si ritrovasse sotto mano, persino una pennellata della tinta blu dei capelli della signorina Mori. Newt strappa ogni mese una pagina, convincendosi di essersi dimenticato il perché di quel conto alla rovescia esattamente così come dimentica tutto il resto, tra cui di aver portato le magliette dell’ultimo concerto dei redivivi Fall Out Boy giù in lavanderia, da una settimana, di aver prestato il CD dei Rise Against alla buon’anima di Chuck Hansen (e che ancora non si fa ridare da suo padre, ma Newt si placa dicendosi che è per una buona causa), che fra tre giorni è il compleanno di Hermann e merda merda merda. Forse ha appena scoperto il perché di quelle stanghette da carcerato in attesa della buona condotta.

Newt si precipita nelle cucine, il nome di Tendo Choi a rimbalzargli nella testa già fin troppo occupata a stilare due liste della spesa ben distinte: quella degli ingredienti per la cena a sorpresa che intende preparare, e quella di tutto l’occorrente che serve per festeggiare la nascita del ricercatore più bizzoso dei cinque continenti, un elenco che spazia dai festoni con su impresse formule matematiche a quelle trombette da stadio che Newt è assolutamente certo che Hermann detesterà. Il solo pensiero gli mette le ali ai piedi. Deve ordinare tutto in tempo, anche se quei giorni esigui sono palesemente contro i suoi piani, ma è sicuro che Choi riuscirà a trovare almeno metà del casino che ha in testa e…

Newt perde l’equilibrio e batte la testa a terra. Nelle orecchie, che supera di gran lunga le esclamazioni di spavento dei tecnici lì di passaggio, gli risuona per ultimo un rumore stridente e gutturale insieme, che sperava di non sentire mai e mai più. Oltre che nei suoi incubi.

 

Forgiving who you are

For what you stand to gain

Just know that if you hide

It doesn't go away

 

Newt perde completamente la testa, dopo quella caduta. Si dà malato, poi in viaggio per andare a trovare una vecchia zia, e finisce per non tornare in laboratorio per più di un mese; non organizza più nessuna festa di compleanno a sorpresa per Hermann e si becca persino un suo messaggio in segreteria, offeso per la mancanza se non altro degli auguri, dovuti perché lui si era ben ricordato del suo, di genetliaco, anche sotto i kaiju che spaccavano quelle muraglie della speranza di carta velina, e credeva che per Newt fosse lo stesso.

Newt si rifiuta di uscire dai suoi appartamenti – cazzo, persino dal suo letto, se non dovesse recarsi al bagno e mangiare come tutti gli esseri umani funzionanti. Ma lui non mangia, non beve più se non caffè ogni due ore e mezza, seguendo una routine che ha scoperto avere il potere di farlo dormire per non più di cinque minuti alla settimana. In quel modo, gli incubi non vanno certo via, ma almeno si fanno più leggeri. E lui torna a respirare, pian piano alleggerito da quell’opprimente senso di corsa contro il tempo con cui si svegliava, andava a lavorare e tornava a casa ogni santissimo giorno.

La sua routine improntata al terrore della pur minima ombra viene disturbata da quel rompiscatole di Hermann Gottlieb in persona, bussando alle tre del pomeriggio con quell’irritante bastone da passeggio che si tiene ancora dietro, una reliquia uscita dritta dritta dai romanzi di Poirot. Newt avrebbe voluto regalargliene uno in fibra di carbonio, una sciccheria che non si sarebbe mai spezzata sotto il suo peso (non che sarebbe servito, ora che l’apocalisse non c’era più – davvero, Newt? – e nessuno doveva più correre a rotta di collo per salvarsi la pelle o le chiappe al mondo e a quei disperati che andavano a morire in robottoni ipertecnologici ma pur sempre di latta – per adesso, Newt, solo per adesso la situazione è cambiata, lo sai, lo senti che non resterà così ancora a lungo ). Si era poi detto che era un regalo tutto sommato poco rispettoso e che avrebbe avuto tutto il tempo per pensare ad un’alternativa, organizzandosi all’ultimo minuto come aveva sempre fatto. E poi, di tempo non ce n’era stato più.

«Dottor Newton Geiszler! Se non vieni ad aprire questa maledetta porta entro meno di due minuti, sappi che chiamerò direttamente la Marshall Mori e le chiederò di intervenire di persona!»

Oh, per quel che lo riguardava, Hermann poteva starsene a starnazzare quanto voleva, chiuso dietro un portellone d’acciaio che Newt si era fatto spedire dallo Shatterdome di Hong Kong, asportato direttamente da uno degli appartamenti che, ormai, non servivano più a nessuno – fino alla prossima volta, Newt, ché quei cosi dannati non sono morti come credevamo, dopotutto, se ne stanno nell’ombra a strisciare e complottare e ad aspettare che noi dall’altra parte sgraniamo in tutta tranquillità i giorni che ci restano prima che–

«Newt, maledizione! Apri questa dannata porta!»

Una crepa nel tono di voce di Hermann fece far capolino alla testa di Newt dal piumone di Buzz Lightyear, prima ancora che l’altro ammettesse, in tono ben diverso dal perentorio di poco prima: «Comincia a farmi male la gamba, tra l’altro. E gradirei sedermi su qualcosa di diverso che i gradini ghiacciati di casa tua, se non ti dispiace e la tua cortesia non è ancora morta…».

Ah, cavoli. Ché quando persino il dottor Gottlieb iniziava ad usare il sarcasmo, erano fatti seri.

 

When you get out of bed

Don't end up stranded

Horrified with each stone

On the stage

 

Newt si costringe a stare in piedi tanto da preparare persino il tè. Con quelle bustine di deteinato che gli sono rimaste. Ormai si nutre solo di caffè e crackers salati. E delle paure che non se ne vanno mai davvero via, neanche a girarsi e rigirarsi nel letto, e ad aver fatto sparire tutti i calendari, le sveglie e gli orologi da polso da casa sua. Nemmeno accende più il cellulare, poi. Avrà un milione di mail non lette per tutto il tempo che non è sceso in laboratorio, ma pazienza. Né Mako né Herc Hansen lo licenzieranno per quello, non dopo aver salvato il fottuto mondo grazie al suo incomparabile genio. E a quello di Hermann, già. Ché Newt mica se lo scorda.

Hong Kong, il kaiju che voleva ucciderlo, i dieci minuti buoni che era stato nella testa del suo collega, con flash della sua vita che gli mulinavano davanti agli occhi, simili ai panni stesi da sua nonna su una vecchia corda logora e che lui da piccolo si divertiva ad agitare, fingendosi Godzilla all’attacco. Hermann non aveva mai avuto quel tipo d’infanzia, invece. Newt aveva avuto il cervello, se non altro, di non chiedergli mai niente a riguardo. Erano colleghi, si erano conosciuti come tali e tanto gli bastava. Gli doveva bastare.

Collega e drift partner che ora se ne sta tranquillamente seduto al tavolo del cucinino di casa sua – un’altra sciccheria per la quale Newt aveva non tanto legalmente requisito un pezzo del compianto Cherno Alpha – e si guardava intorno con palese disapprovazione, la mano destra ben aggrappata all’impugnatura del suo insopportabile bastone ticchettante. Anche se era seduto e non doveva scattare a correre da qualche parte, a incrociare numeri su numeri per tentare di far quadrare l’ennesimo attacco alieno prima che sterminasse una nazione intera.

Bei tempi, eh, Newt? Le vecchie abitudini non cambiano mai. Ed è un bene. Non sai mai quando potrebbero tornare utili. Quando loro torneranno.

Finisce per schizzare tè dappertutto, nel poggiare le tazze sul tavolo. Nemmeno si cura di aver rischiato di scheggiare quella con su impresso il logo di The Dark Side Of The Moon, una rarità per la quale aveva dovuto sborsare tre stipendi e mezzo.

Hermann riporta il suo sguardo torvo su di lui. «Be’? Che sta succedendo, Newt?» E prende un sorso di tè. Rigorosamente senza zucchero.

Newt inghiotte a vuoto un paio di volte. Resistendo all’urgenza di sfregarsi l’occhio con la cicatrice, e dunque storce il collo in quel suo tic ormai abituale. Ma che fa quasi saltare Hermann sulla sedia, ecco, questo lo nota fin troppo bene. «Herm, io…non mi sento bene. Non sto bene. Tutto qua.»

Beve un sorso di tè e lo trattiene in bocca perché rischia di vomitare. Poi lo sputa daccapo nella tazza, e corre a vomitare sul serio.

Torna alla realtà con l’insistente ticchettìo del bastone di Hermann che si fa sempre più vicino, sempre più vicino…

«Newt», gli fa il suo collega, e la sua mano ferma sulla schiena è l’unica cosa che impedisce a Newt di scaraventarlo a terra e correre via. «Devi farti vedere da qualcuno. Uno bravo. E non lo dico perché mi esasperi, come ogni santo giorno che abbiamo trascorso in quel laboratorio puzzolente.»

«Se ne sono accorti tutti, eh…?» La voce gli esce gracchiante, pare quasi quella di un kaiju in lontananza. Che si avvicina, si avvicina, e non hanno più molto tempo per mettersi al sicuro…

«Diciamo che avevo dei sospetti.» Hermann lo aiuta a tornare in cucina. Bella ironia, visto che è zoppo. Newt resta in silenzio solo perché è davvero troppo stanco, nonostante tutti i suoi caffè e il forzarsi a restare sveglio. «Poi ne ho parlato con la Marshall Mori. Che mi ha detto di parlare col Marshall Beckett. E mi hanno detto tutt’e due la stessa cosa.» Lo aiuta perfino a sedersi, e sprofondano insieme sui cuscini del divano sfondato. «Hai ancora addosso lo stress post-traumatico del tuo primo drift. Probabilmente. Perché sei un pazzo che non ascolta mai le direttive sulla sicurezza generale, Newton, e anche perché ho dovuto forzare il tuo rientro dal drift. E quindi, come per il Marshall Beckett con suo fratello, ti è rimasto un po’ del mind meld con quel kaiju nell’inconscio. Tutto qui.»

«Cosa devo fare, Herm…?» Perché questa cosa non si ferma, avrebbe voluto invece dirgli Newt. Perché ho come un conto alla rovescia impazzito in testa, che mi dice che stanno tornando, quei mostri stanno per tornare, e noi non abbiamo più tempo per fermarli, che non ce la faremo mai, che sarebbe solo meglio arrendersi al flusso e lasciarsi andare…

«Devi tornare dal tuo psicologo. E sul serio, ‘stavolta, non come quando hai mentito per farti ammettere allo Shatterdome di Hong Kong.» Hermann gli dà pure una pacca sulla schiena, wow. Il massimo del cameratismo, per lui. «Se non ce la fai a sollevare una cornetta, ti fisso io un appuntamento. Ma devi parlargli di questa cosa. Elaborarla. E tornare a funzionare come una persona normale, che ne dici?»

Newt annuisce, ma non ne è convinto. Per niente.

L’orologio di guerra che è nella sua testa, nel frattempo, continua a girare. Dicendogli con voce stridula e gutturale insieme che ha sempre meno tempo, sempre meno tempo…

E non posso nemmeno salvarli tutti.

 

And the engine's failed again

All limits of disguise

The humor's not the same

Coming from denial

 

Hermann si è sempre definito un uomo pragmatico. Attento ai dettagli, più che ai ridicoli voli pindarici che tanto appassionavano invece il suo collega.

Per cui, si accorge che in Newton c’è qualcosa che non va a partire dal fatto che non parla più. Neanche mezza battuta ironica. Non un accenno ad una di quelle terribili canzoni rock che canticchiava mentre sezionava kaiju o cancellava per lui la lavagna quando la gamba zoppicante gli faceva più male del solito. Ed è inutile che gli chieda se è andato veramente dal suo psicologo, se sta seguendo il trattamento del riposo che gli ha prescritto, se.

Perché Newt ha cercato di ucciderlo, appena tre minuti fa. Tre minuti e un quarto, contando il tempo che Hermann ha impiegato nel correre in ascensore e chiudercisi dentro.

Non c’è più tempo, gli aveva gridato il suo…amico, okay, lo ammette. Corri pure quanto vuoi!

E gli aveva pure dato del topo da laboratorio! Oh, se ne sarebbe pentito. A partire dagli stronzi che lo stavano manipolando mentalmente. Quella non era insonnia normale, le buone, vecchie paranoie da deprivazione del sonno, Hermann ne è convinto. Ma ammetterlo ad alta voce…gli avrebbe costato la carriera e il marchio di scienziato pazzo. Come Newt, in effetti.

Deve farlo tornare alla normalità. Anche solo dandogli una sonora bastonata in testa e legandolo al letto. E non ha tempo, già che c’è.

 

Giddy with delight

Seeing what's to come

The image of the dead

Dead ends in my mind

 

Newt stava urlando. Probabile che fosse convinto di stare ancora sognando. Hermann è circondato da timer, ognuno di essi che scatta a ricordargli che sta correndo verso una meta impossibile. Che deve riportare alla normalità il suo amico prima che possa commettere qualche pazzia. Come presentarsi allo Shatterdome armato di pistola. O buttarsi dalla finestra per impedire a se stesso di ucciderli.

Puoi farcela, si ripete in testa, distillando quel che sa dagli intrugli sottovuoto che Newt, per fortuna, non ha buttato dai tempi di Hong Kong. Se lo vedesse adesso, ne riderebbe. Hermann spera di vederglielo fare molto presto. Devi farcela!

L’ennesimo timer scatta, trillando nel silenzio della cucina in cui Hermann s’è rinchiuso. Dopo aver effettivamente preso Newt a bastonate in testa e averlo effettivamente legato al letto.

Spalanca la porta con un calcio e, armato di bastone, beverone di cervello di kaiju e defibrillatore che ha scovato in ripostiglio assieme a quel set da piccolo chimico strapagato, si precipita nella camera di Newt.

«Tanto moriremo tutti», non fa che ripetere Newt, annuendo a se stesso, lo sguardo stralunato.

«Risparmiati la predica per dopo», lo rimbrotta Hermann, trovando la forza da chissà dove. Forse dal fatto che non ha più molto tempo per mettere in atto quel suo folle piano. Collega due elettrodi alle loro fronti, e immerge gli altri due capi nel becher contenente quel molto poco rassicurante fluido viola.

L’ultimo timer scatta in cucina, trillando come un pazzo.

Hermann fa scattare il defibrillatore, e in un istante è risucchiato nella testa di Newt.

Sperando di trovare lì la soluzione per riportarlo alla normalità, altrimenti sarebbero tutti morti per davvero.

 

If you get out of bed

And find me standing all alone

Open-eyed

Burn the page

My little dark age

 

«Stavo davvero per morire», mormora Newt, quattro giorni dopo, una tazza di tè in mano e chiappe affondate nel suo sempre più sfondato divano.

«Mh-hmm», si limita a constatare Hermann, bevendo. Oh, lui è soddisfatto come non mai, per quel che gli riguarda. Ha salvato il mondo una terza volta e può chiedere a Newt tutti i favori che vuole. A cominciare dal silenziamento del suo stereo in laboratorio.

«E stavo anche per ucciderci tutti.»

«Sì, Newt, proprio così. Ora, ti dispiace concentrarti su pensieri meno lugubri? Vorrei finire di bere il mio tè in pace, a meno che tu non abbia in mente di ammazzarmi una seconda volta.»

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Pacific Rim / Vai alla pagina dell'autore: Quella Della Pasta