Guardai il corpo della donna accanto a me dormire profondamente, prima di alzarmi e sospirare, scendendo nella camera degli ospiti nel seminterrato.
Dalla quarantena, durante il periodo del Covid, le cose non erano migliorate, anzi, tutto era crollato come un castello di carte, peggiorando con lo stare praticamente attaccati giorno dopo giorno, fermi senza poter far altro che "godere" della presenza dell'altro, peggiorando,finchè non eravamo arrivati al punto in cui, purtroppo, eravamo arrivati alla conclusione che forse, "Ma forse, non dico che fosse sbagliato, a quel tempo!" diceva lei, ci eravamo sposati troppo in fretta.
Guardo le foto dei bambini, quelle del rinnovo delle promesse e mi chiedo dove sia andato quel ragazzo che, dopotutto, aveva parecchi sogni da seguire con la propria metà, quando una cosa a tre gli sembrava la cosa più eccitante ed invece non aveva fatto altro che minare quel rapporto già fragile, allontanando per sempre quelle due anime che non avevano trovato mai un vero e proprio appiglio.
Forse era stato il solito stupido, seguendo un desiderio di sua moglie, forse aveva solo sperato, dopotutto che altro poteva fare, di tornare ad avere il solito rapporto che aveva avuto con sua moglie, ed invece lo aveva preso in culo perchè sua moglie si era innamorata di quella ragazza, però poi era rimasta incinta, forse per dare a lui il contentino, per due volte, e lui si era ritrovato bloccato in quella relazione che iniziava a stargli stretta.
Perchè se lei si era innamorata di quella ragazza, lui si era innamorato di Jensen, il periodo migliore che avesse mai passato in quegli anni a Vancouver, tra le risate e le sveltine nei bagni, tra gli sguardi e le convention in cui le fan ti arrivavano con foto modificate, fanart (ed alcune erano così belle che certe volte gli prendeva un colpo che qualcuno li avesse scoperti) e richieste per i photo op un pò strani.
Jensen gli diceva sempre che Dani, sua moglie, era felice che si fosse trovato un amante, diceva che non lo sopportava molto a casa, e poi sapeva della loro amicizia, del sentimento che li legava.
Misha si buttò sul letto e prese il telefono, componendo il numero di Jensen prima di riattaccare dopo il primo squillo. Non poteva, magari era sul set di The boys, magari era alla birreria. Sospirò e si stese sul letto, chiudendo gli occhi mentre delle lacrime scendevano libere dai suoi occhi.
Ritrovarsi alla soglia dei cinquanta bloccato in una storia che, essenzialmente, è morta, con due bambini piccoli a cui non poter dire nulla per non turbare la loro felicità era un dramma, sinceramente. Non poteva dir loro nulla, ma ai suoi genitori, fratelli e amici aveva raccontato la verità. Aprì gli occhi quando il suono di una chiamata in arrivo lo riscosse, prendendo la chiamata.
«Jen, scusami se ti ho distur» inizi quando lui ti zittisce, lo senti che stava dormendo, e questo ti fa aumentare i singhiozzi
«Cazzo è successo? Tu stai bene?» lo senti dire, ora più sveglio, dalle voci sai che si è svegliata anche Dani, mentre senti che Jensen si è alzato, dopo averla rassicurata che era lui, dicendole di tornare a dormire, sentendolo uscire dalla stanza, o almeno lo immagini perchè senti la porta che si chiude.
«Non penso Jen, io non sto bene, sinceramente» lo senti sospirare dopo quella frase e abbassi la testa, quasi come se potesse vederti.
«E' ancora per la storia con Victoria? Lo sai che se vuoi puoi venire qui qualche giorno, anche se sappiamo che sei piuttosto occupato, stavolta» guardi il soffitto, buttandoti di nuovo steso a letto, sospirando.
Dirlo è come se lo rendesse reale, e di questo ha paura.
«Vorrei divorziare, Jen. Avere due figli in questo momento mi pesa, sinceramente e sai quanto ami West e Marie» sospiri mentre senti il silenzio dall'altra parte, quasi a confermare le tue paure.
Non sai nemmeno perché glielo hai detto, sai solo che per te era un peso sullo stomaco che, da tre anni a questa parte ti stava logorando, togliendoti il sonno e la voglia di sorridere.
«Vieni qui qualche giorno, Mish» sorridi a quel soprannome, solo Jensen poteva darti un soprannome al soprannome «Sai che i ragazzi sarebbero felice di avere lo zio qui, poi magari possiamo chiamare Jared e boh, farci una maratona Supernatural e fare a gara a chi si ricorda più battute» e non sai perché ma quelle parole ti fanno sorridere, iniziando a prendere la valigia, buttandoci dentro qualche vestito, accendendo l'IPad per comprare un biglietto aereo per Austin.
Una di quelle cose che, se fatte a venti anni sono avventurose, ma se fatte a quarantotto hanno la capacità di farti sentire un ladro.
«Ok, parto alle cinque da qui, arrivo in Texas per le sette, un taxi e sono da voi in un'ora, vi dispiace se farò colazione con voi?» senti la sua risata e sai che ti stai innamorando ancora di più.
«Non esiste che tu prenda un dannatissimo taxi, ti vengo a prendere io, Mish. Sarai ospite da noi quanto vorrai, ora fammi tornare a dormire queste quattro ore, per favore. Ci sentiamo quando sei a metà strada, ok? Ti aspetto, Mish»
Lo saluti, poi sali nelle camere dei bambini e saluti anche loro, recuperando computer, caricatori e quanto ti possa servire, entrato in camera solo per lasciare un biglietto a Vicky, sospirando quando vedi che nemmeno si è accorta che te ne stai andando.
Sospiri ed esci da quella casa, prendendo un Uber per andare in aeroporto.
E forse no, non ti sembra più una fuga da vigliacco, quella che stai facendo.