Incubi di ghiaccio e odio
Isaac
distolse lo
sguardo dal suo riflesso nello specchio e contò i suoi
respiri.
Uno.
Non
sono sotto il
ghiaccio.
Due.
Io
non sto
affogando.
Tre.
Esalò
un respiro e
il suo cuore rallentò. Una fitta dolorosa gli
serrò il petto, poi scomparve e
il mondo intorno a lui smise di soffocarlo e tornò alle sue
dimensioni naturali.
Respirò di nuovo, l'aria fresca entrò nei suoi
polmoni e li riempì. Un altro
respiro e la paura si ritirò. Era come un polpo con lunghi
tentacoli neri che
lo trascinavano nell'acqua ghiacciata.
Un
braccio gli circondò
i fianchi. «Di nuovo l'incubo?»
Isaac
si voltò
verso Sorrento e annuì, poi si lavò il viso
sudato. L'acqua fresca portò via
gli ultimi resti del sogno, ma non poté fare lo stesso con
quella orribile
cicatrice. Quanto la odiava...
Si
asciugò il viso
con un asciugamano e finalmente si girò a fronteggiare
Sorrento, sperando che
la sua espressione non fosse troppo turbata; non poteva sopportare il
pensiero
di preoccuparlo.
«Stai
bene?»
Sorrento gli sfiorò la guancia. «Sei
pallido».
Isaac
sospirò. Ovviamente
se ne sarebbe accorto; non era affatto uno sciocco e lo conosceva fin
troppo
bene.
«Sto
bene, più o
meno, non preoccuparti.»
Sorrento
gli sorrise,
ma sembrò finto. «Forse puoi parlarmi di questo
incubo.»
Scosse
la testa. «No,
è meglio se non lo sai. E non riesco nemmeno a
ricordarmelo.»
Un'altra
bugia. Lo
stava ingannando di nuovo e fingeva che tutto stesse andando bene
quando non andava
bene per nulla.
Sorrento
aprì le
labbra ma non disse nient'altro. Abbassò lo sguardo e
annuì. «Allora vieni a
letto?»
Isaac
lo osservò
per qualche secondo: la camicia gli cadeva larga sulle spalle, i
capelli
arricciati sulla nuca erano umidi per il sudore della notte.
Sentì solo una
pugnalata al petto. Forse la passione dei primi tempi si era spenta,
forse quel
polpo di oscurità che si nascondeva nel suo cuore lo stava
trascinando sempre
più lontano dall'unica persona che poteva amare. Stava
cadendo di nuovo in
quegli abissi di rabbia e di odio in cui si era crogiolato anni prima,
al tempo
della guerra contro Atena, ma questa volta non era solo: stava
trascinando con
sé anche Sorrento. Che uomo infelice era diventato.
Aggrappato
a quei
pensieri, lo raggiunse a letto e si costrinse a fingere ancora una
volta che la
loro relazione non stesse naufragando.
«Forse
dovremmo
parlare.» Fu Sorrento ad avere il coraggio di fare quel passo
in avanti.
«Su
cosa?»
«Su
di noi. Su di
te.» Lo guardò. «Ti stai allontanando di
nuovo, lo sento, e voglio fare
qualcosa per impedirlo.»
Isaac
sospirò e
gli voltò le spalle. «Sto bene, era solo un brutto
sogno.»
«Allora
perché non
vuoi dirmelo?»
«Non
è niente di
che.»
«Non
sto
scherzando.» La sua voce tremò. «Hai
avuto incubi per settimane, non sarà
importante per te, ma per me lo è eccome.»
«Sono
solo dei
sogni, Sorrento.»
«Sogni
che ti
stanno allontanando da me!»
Isaac
si voltò a
guardarlo stupito: era la prima volta che lo sentiva alzare la voce.
«Qual è il
tuo problema?"
Sorrento
si tirò a
sedere. «Il mio problema è che il ragazzo che amo
mi tiene a distanza e voglio
sapere perché.»
Isaac
si accigliò.
«È solo la tua impressione.»
«Isaac!»
Gli
diede le
spalle. «Non volevi dormire?»
«Voglio
parlare.»
«Facciamo
domani,
va bene?»
Sorrento
lo
afferrò per la spalla e lo girò verso di lui.
«Invece parliamo adesso.»
I
suoi occhi
bruciavano di rabbia e determinazione; due sentimenti che si
scontravano con la
calma che aveva adornato le sue parole. Anche se continuava a parlare
con pacatezza,
si vedeva che era furioso, e Isaac si sentì di nuovo in
colpa. Non voleva farlo
preoccupare, ma non voleva nemmeno turbarlo. Voleva solo che quegli
incubi lo
lasciassero in pace, riposare tra le sue braccia ed essere cullato
dalla sua
musica. Poter riavvolgere il tempo e tornare a prima che il loro
rapporto si
incrinasse.
Ma
non poteva
farlo.
«Non
ne voglio
parlare. Scusami.»
«Pensavo
che ti
fidassi di me.» Ora, nelle sue iridi, la determinazione era
evaporata,
lasciandosi dietro solo rabbia e una profonda delusione.
«Forse
ti sei sempre
sbagliato.» Isaac lo allontanò con il braccio, si
alzò dal letto e inghiottì un
brivido di freddo. «Forse avresti dovuto innamorarti di
qualcun altro migliore
di me.»
Sorrento
lo fissò
sorpreso, poi abbassò gli occhi e la sua espressione fu
nascosta dalle ombre
della notte. «Sei un bastardo a dirmi una cosa
così crudele.»
Isaac
ignorò il
senso di colpa che stava scavando nel petto e distolse lo sguardo.
Odiava farlo
soffrire, ma era la cosa migliore per entrambi. Tenere gli altri
lontani da lui
era sempre stata la cosa migliore da fare. Era stato uno sciocco a
credere di
poter soffocare la rabbia che lo aveva sempre animato sotto il calore
degli
abbracci e dei baci di Sorrento. L'amore non cambia le persone, e nel
profondo
della sua anima, lui ha continuato ad essere lo stesso stronzo che ha
preso a
calci un bambino e ha cercato di uccidere il suo migliore amico.
Scosse
la testa e
lasciò la stanza. Sorrento non lo seguì, ma se lo
aspettava. Quella era la loro
ultima discussione, qualunque filo li avesse uniti fino a quel momento
si era
rotto per sempre. E forse Sorrento aveva ragione; era cattivo,
perciò non
meritava la sua dolcezza.
Vagò
per i
corridoi neri del palazzo di Atlantide, un'ombra tra le ombre
più scure delle
colonne e degli arazzi. Dalle finestre, proveniva un bagliore latteo
debole,
probabilmente il riflesso della luna che penetrava sotto la superficie
del mare,
e il lento sciabordio del mare echeggiava nel silenzio. Anni fa avrebbe
odiato
quel suono, troppo simile a quello delle onde contro la calotta di
ghiaccio che
lo aveva quasi fatto annegare, ma ora non provava nulla. Era vuoto,
stanco e
impaziente. E forse anche un po' triste per aver distrutto qualcosa che
lo aveva
fatto stare di nuovo bene. Era davvero stupido ed era incapace persino
di
aggrapparsi all'uomo che amava. E si chiese cosa era successo al
vecchio Isaac,
a quel bambino che credeva che anche la persona peggiore e
più violenta potesse
essere buona e che tutti meritassero un po' di amore.
«Immagino
sia
annegato sotto il ghiaccio», mormorò,
più al silenzio che lo circonda che a se
stesso. O forse era morto sotto i pugni di suo padre e lui si era
sempre
aggrappato a un fantasma che non esisteva più da molto tempo.
«Isaac...»
Sorrento era dietro di lui. «Per favore, possiamo
parlare?»
«Non
ho nulla da
dirti. Mi dispiace.» Isaac fece per superarlo, ma il compagno
lo fermò
delicatamente per un braccio.
«Per
favore. Non
mi piace vederti soffrire così.»
«Forse
dovresti
abituartici. Non è bene che ti preoccupi per qualcuno come
me.»
Sorrento
sospirò,
lasciò andare il suo braccio e lo abbracciò
stretto.
«Sei
crudele»,
mormorò. «Sei crudele a pensare che possa smettere
di amarti solo perché lo ordini.»
Gli mise una mano sulla nuca. «E sei uno stupido a pensare
che possa lasciarti solo
perché hai fatto uno stupido incubo.»
«È
per il tuo
bene.»
«E
l'hai deciso da
solo senza chiedermelo, vero?» Sorrento lo guardò.
«Puoi fidarti di me e raccontarmi
qualunque cosa ti stia facendo soffrire. Sono un buon ascoltatore e
sono qui
anche per farti sentire meglio.»
Gli
accarezzò la
guancia solcata dalla cicatrice e Isaac trattenne un brivido. Gli
piaceva quel
contatto, sentire le sue dita morbide e delicate che sfioravano la sua
pelle
lacerata. Lo faceva sentire amato e apprezzato, e un po' meno mostruoso
di
quando si guardava allo specchio. Forse lo amava per questo:
perché Sorrento
aveva sempre visto oltre la sua rabbia e il suo odio ed era riuscito a
toccare
le note profonde e vere della sua anima. E poi, come un buon direttore
d'orchestra, le aveva tirate fuori, una per una, e aveva tessuto una
melodia
d'amore, silenzio e sospiri.
«Non
voglio che ti
preoccupi», mormorò, nel vano tentativo di
sfuggire di nuovo a quell'inquisizione.
Sorrento
distese
le labbra in un dolce sorriso. «Lo so, Engel.
Ma se te ne vai in quel
modo mi preoccupo ancora di più.»
Isaac
distolse lo
sguardo. Non poteva resistere se gli parlava in tedesco. Per molte
persone, era
una lingua rude e aspra, ma su quella bocca diventava qualcosa di una
dolcezza
unica. Una sinfonia morbida che aveva fatto sciogliere il suo cuore.
Fece
un respiro
profondo e decise che forse era il momento di dirgli tutto. Forse, in
quel
modo, anche il peso che gli gravava sul petto e gli dava l'impressione
di
essere sul punto di soffocare si sarebbe alleggerito un po'.
«Ho
sognato
l'incidente in Siberia. Hyoga si era tuffato, ma era nei guai, quindi
io cercavo
di salvarlo, ma a momenti annegavo. E c'era ghiaccio dappertutto, sopra
e sotto
di me. Mi schiacciava e mi impediva di muovermi». Si
fermò e cercò di
controllare il tremito nella voce. «E poi c'era acqua che
entrava nei miei
polmoni, ed era viscida e densa come l'olio.»
Sorrento
lo
abbracciò di nuovo e gli accarezzò la testa.
«E poi?»
"E
poi affogavo."
Isaac appoggiò la fronte sulla spalla e inalò
l'odore della sua pelle - note di
agrumi e sudore. «Ma non morivo. Semplicemente continuavo ad
annegare, ancora e
ancora e ancora, e Hyoga mi fissava da oltre quel muro di ghiaccio e
acqua e
rideva divertito per aver finalmente ucciso il suo rivale.»
Il
silenzio scivolò
tra di loro e si protrasse per qualche secondo.
«Cosa
ti spaventa
di più di tutto questo?» chiese Sorrento, mentre
continuava ad accarezzarlo. «L'annegamento
o la reazione di Hyoga?»
«Nessuno
dei due.»
Isaac si fece piccolo nel suo abbraccio. «È l'odio
che provo subito dopo che mi
spaventa, soprattutto perché mi accompagna anche quando sono
sveglio. Odio me
stesso, odio lui per quello che è successo, e temo di poter
iniziare ad odiare
te solo perché sei al mio fianco. Ma non voglio odiare
nessuno, sono stanco di
tutto questo risentimento. Temo che questa rabbia e questo odio mi
consumeranno
di nuovo e finirò per farti del male. Non voglio perderti,
ma non voglio nemmeno
ferirti.»
«Quindi
è per
questo che vuoi lasciarmi." Sorrento sospirò e gli diede un
bacio sui
capelli sudati. «Va tutto bene. Non sono arrabbiato, sono
solo preoccupato.»
Isaac
lo abbracciò
con tutta la sua forza e inalò ancora una volta l'odore che
gli aveva rapito il
cuore. «Mi dispiace, sono solo una persona tossica e la
nostra relazione è
incasinata.»
Sorrento
lo
guardò. «Non è assolutamente vero. Sei
una persona complicata, ma io so come
sei davvero sotto tutte queste mura che hai eretto per proteggerti
dagli altri.»
Gli accarezzò di nuovo la cicatrice.
«Perché non lasci che ti aiuti? Non puoi
abbattere queste mura da solo, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a
togliere
un mattone alla volta. Mi hai già permesso di vedere lati di
te che hai sempre
tenuto nascosti, posso aiutarti a gestire questa rabbia e questo
odio.»
«Sei
davvero-»
«Un
fidanzato
fantastico, vero?»
Isaac
soppresse
una risata. «Sì. Ma soprattutto, sei un uomo
migliore di me. Forse non ti
merito così tanto.»
Sorrento
scosse la
testa e lo baciò sulle labbra. «Anche tu sei una
brava persona, Isaac, fidati.
Dentro di te c'è un bambino buono e perduto, che sta solo
aspettando che
qualcuno gli illumini la strada di casa. Insieme, possiamo
aiutarlo.»
«Ne
sei proprio
sicuro?»
«Ti
fidi di me?»
Isaac
annuì e
Sorrento sorrise. Intrecciarono le dita delle loro mani.
«Allora
non hai
nulla di cui preoccuparti. Riporteremo a casa quel bambino spaventato.
Insieme.»
Era
una promessa
che anche Isaac poteva mantenere. Perché Sorrento non
l'avrebbe mai
abbandonato, adesso ne era certo. Insieme, potevano sconfiggere il
polpo nero
che lo stava trascinando di nuovo negli abissi e salvare la sua anima.
Insieme.