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Autore: Striginae    08/04/2023    3 recensioni
[FrUK + brevissimi accenni GerIta e PruHun - AU!Human]
«Hai già deciso tutti i dettagli senza di me?»
«Certo. Tra di noi sono io quello con un po' di buon gusto. La tua opinione non è necessaria.»
Arthur sbuffò, per mascherare una mezza risata.
«Fottiti, puoi domandarmelo quanto ti pare, ma se continui così non ti sposerò mai.»
«Forse, ma non dimenticare che sono testardo tanto quanto te. Continuerò a chiedertelo e tu, mon amour, mi dirai di sì... prima o poi.»

Oppure anche:
Le cinque volte in cui Arthur ha detto di no e quella in cui ha detto di sì.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tu m’as dit 


Cinq

Arthur ricordava alla perfezione la prima volta che aveva incontrato Francis. 

Il piccolo inglese frequentava ancora la terza elementare e la prima metà dell’anno era già stata superata quando una delle sue insegnanti aveva introdotto alla classe intera un nuovo compagno. 

Arthur, seduto all’ultimo banco, non era interessato. Per nulla, era troppo concentrato sul suo libro e sulle bellissime illustrazioni di creature fantastiche al suo interno per preoccuparsi di quella presentazione. E, inoltre, essere amichevole non era mai stata la sua più grande qualità. Che se ne faceva di amici reali, quando poteva stare sempre in compagnia del suo amico immaginario, Flying Mint Bunny? Un coniglietto verde volante era molto meglio di qualsiasi persona in carne ed ossa!

«Date il benvenuto a Francis, si è da poco trasferito da Parigi e starà in classe con noi.»
Aveva appena finito di dire la maestra mentre il bambino, sorridente, salutava con un gesto della mano ricambiato in coro dagli altri piccoli studenti meno che Arthur, che teneva ancora gli occhi fissi sulla pagina che stava leggendo e continuava a non prestare attenzione.

«Sono sicura che ti troverai bene qui... ti puoi sedere laggiù, accanto ad Arthur.»

Sentendosi chiamato in causa, Arthur sollevò la testa di scatto. Cosa? Ah no, ad Arthur non piacevano le persone che non conosceva. E, se per questo, neppure quelle che conosceva. Il suo disappunto doveva essere ben visibile sul suo viso e, come se la maestra gli avesse letto nel pensiero, aggiunse a mo’ di avviso:

«Arthur, mi raccomando

Nel frattempo, Francis si era avvicinato ad Arthur e gli si era seduto accanto, guardandolo con curiosità. Arthur si imbronciò e scrutò il suo nuovo vicino. All’istante, sentì un irrazionale moto di antipatia nei suoi confronti.

Francis, infatti, era esattamente quanto di più diverso potesse esserci da Arthur. Aveva i capelli biondi, così come quelli di Arthur, ma al piccolo francese arrivavano alle spalle ed erano molto più luminosi e curati dei suoi e Arthur stesso non riuscì a spiegarsi perché avesse così tanta voglia di tirarglieli. Voleva solo che il nuovo compagno la smettesse di guardarlo così insistentemente! Forse sperando di convincerlo a guardare altrove, anche Arthur continuò a fissarlo. Francis aveva un viso dai lineamenti delicati e se Arthur non lo avesse saputo, lo avrebbe scambiato per una bambina. Sembrava quasi un angioletto, al contrario di Arthur che, per citare suo fratello maggiore, assomigliava ad un “ratto bagnato”. L’espressione poi, non poteva essere più diversa. Francis gli stava sorridendo apertamente mentre Arthur era ogni secondo più infastidito. L’inglese stava ancora meditando sul tirare per davvero i capelli al nuovo arrivato per mettere in chiaro fin da subito che non gli stava simpatico, quando notò due grandi occhi blu incredibilmente vivaci e Arthur sentì le guance arrossarsi.

Sconfitto, fu proprio Arthur a spostare lo sguardo per primo.

«Coucou
Disse Francis in francese e Arthur fece una smorfia.

Cucù?


«Cosa sei, un orologio?»

«No... ti stavo solo salutando.»

Il marcato accento francese di Francis risultò ad Arthur più che mai sgradevole.

«Che cos’hai in faccia?»
Riprese Francis indicando le spesse sopracciglia di Arthur, che si indispettì.

«Non ho proprio un bel niente in faccia!»

«Sembri un bruco peloso.»

Se fino a quel momento Arthur aveva semplicemente sospettato che Francis gli stesse antipatico, ormai aveva ricevuto tutte le conferme di cui aveva bisogno.

«Non mi parlare!»

«Chenille

Arthur non aveva la minima idea di che cosa signifiasse quella parola, ma stabilì che qualsiasi cosa fosse, non gli piaceva.

«Smettila!»

«Perché? I bruchi sono carini.»
Affermò con disarmante sincerità Francis ma Arthur stava cercando nei meandri della sua giovane mente un insulto per rispondere a tono a quella mancanza, almeno a suo dire, di rispetto.

«Sai cosa sembri tu invece? Una brutta rana. Frog.»

Francis sollevò un po’ il capo e voltò la testa, offeso. Arthur se ne compiacque.

«Antipatico.»

Ribatté Francis ma la risposta di Arthur non si fece attendere.

«Tu sei antipatico!»


E fu con quelle parole, non molto lusinghiere, che cominciò la loro bizzarra amicizia.


Con il senno del poi, era facile intuire che il loro era sempre stato destino ma, a quel tempo, nessuno dei due poteva saperlo. Ma era pur vero che i segnali che quella strana amicizia fosse destinata a durare furono da subito evidenti.

Prima che se ne accorgessero, i due bambini cominciarono a passare la maggior parte del tempo insieme.

Da un lato Arthur era considerato insopportabile e scontroso, per questo i suoi compagni di classe tendevano ad escluderlo da tutti i giochi. Dall’altro Francis per ragioni incomprensibili ad Arthur, sembrava essere l’unico che ricercasse la sua compagnia, nonostante i suoi tentativi di allontanarlo. Arthur lo trovava un comportamento stupido, in quel modo ad essere lasciati in disparte sarebbero stati in due e Arthur non capiva proprio perché Francis fosse così interessato a giocare con lui. Ma, sebbene Arthur facesse di tutto per nasconderlo, era bello avere un compagno di giochi.
Un amico, addirittura.

Arthur pensava che Francis lo avrebbe lasciato stare dopo qualche settimana, invece, dopo tre mesi interi e quasi alla fine dell’anno scolastico, Francis sembrava ancora non essersi stufato di lui. Contro qualsiasi previsione erano invece diventati inseparabili, come avevano una volta notato le maestre.

I due bambini non si facevano troppe domande in merito, preferendo invece pensare che la fine della scuola era ormai prossima e che dovevano godersi tutto il tempo possibile insieme prima delle vacanze. Si sarebbero rivisti soltanto ai primi di settembre e, dalla prospettiva di un bambino di otto anni, quei due mesi sarebbero stati infiniti. Dovevano approfittare di ogni momento, così non avrebbero sentito la mancanza l’uno dell’altro.

Era un pomeriggio assolato di giugno e i due bambini stavano guardando Cenerentola in televisione. Dopo aver eletto Jaq e Gus-Gus i personaggi migliori del cartone e aver cantato a squarciagola le canzoni, erano arrivati quasi alla fine, quando la principessa riusciva a sposare il principe. E fu a quel punto che Francis glielo chiese per la prima volta.


«Ho un’idea!»
Aveva esclamato Francis, prendendo con una manina quella di Arthur, mentre l’inglese si faceva attento, impaziente di sentire di cosa si trattasse.

«Quale?»

Con la mano libera, Francis aveva indicato lo schermo della televisione. Proprio in quel momento, Cenerentola e il Principe Azzurro si stavano scambiando un bacio e Arthur proprio non riusciva a capire dove Francis volesse andare a parare. Ci pensò Francis stesso a chiarirlo.


«Dobbiamo fare come loro.»

Arthur fece finta di non capire.

«Ma non abbiamo una fata madrina! Però posso chiedere ai miei fratelli di fare le sorellastre, sono odiosi uguale.»
Soppesò Arthur ma ottenne soltanto un cenno di diniego. Francis strinse un po’ più forte la mano di Arthur nella sua, facendole ondeggiare insieme.

«No, non questo. Dobbiamo sposarci!»

Francis gli si avvicinò, per potergli stampare un innocente bacio sulla guancia. Il viso di Arthur andò a fuoco e Francis, imperterrito, continuò:

«Va bene, quindi? Se non vuoi fare la principessa ti lascio fare il principe!»

«Ma sei fuori?!»
Sbottò invece il piccolo Arthur che per motivi non del tutto chiari, si sentiva più in imbarazzo che mai.

«Sì o no?»
Insistette Francis, inclinando lateralmente il capo.

«Non si può! Solo le persone che si amano possono sposarsi.»

Obiettò Arthur e si accorse che Francis ormai aveva le guance rosse tanto quanto le sue.

«Ma io ti amo.»
Proclamò il piccolo francese, in maniera candida e ingenua, con una purezza che solo un bambino di otto anni poteva possedere.

Quella volta, Arthur credette che Francis stesse scherzando e che volesse soltanto prenderlo in giro. Infatti, con un gesto stizzito del capo, volse lo sguardo di lato, mentendo spudoratamente.


«E... io no!»

Quatre

La seconda volta che Arthur ricevette una proposta di matrimonio fu al liceo. Dopo aver frequentato insieme le elementari e le medie, Francis e lui erano ancora compagni di scuola e, con la loro classe, erano in gita di una settimana per il loro ultimo anno. Doveva essere una grande esperienza, un momento indimenticabile dopo cinque anni passati insieme ma, in quel momento, Arthur si sentiva più miserabile che mai.

Erano in Spagna, faceva un caldo indescrivibile e tutta la classe era arcistufa di girare per musei, per quanto fossero interessanti le visite guidate. La sfortuna voleva che Madrid fosse perfettamente al centro di quello “stupido quadratone assolato” che era la Spagna, per riportare le parole esatte di Arthur, e non potevano neppure passare una giornata in spiaggia. Non che Arthur impazzisse dalla voglia di prendersi una scottatura, ma almeno non avrebbe dovuto patire quel caldo asfissiante. Per fortuna non avrebbe dovuto sopportare quell’afa ancora per molto, sarebbero rientrati in Inghilterra in meno di quarantotto ore. 

Era venerdì e i professori avevano concesso alla classe una giornata tutta per loro e, lontano dai genitori e dagli adulti, i ragazzi potevano divertirsi liberamente. La mattina e il pomeriggio erano stati consacrati allo shopping e alla ricerca del miglior souvenir, oltre che ad un’ultima passeggiata nei luoghi più iconici della città prima di tornare nella grigia Inghilterra. E per lo meno, Arthur aveva potuto assaggiare i churros e altre specialità locali. Doveva ammettere che si mangiava bene in Spagna.

Tuttavia, se la prima parte della giornata l’aveva trascorsa gradevolmente, lo stesso non si poteva dire riguardo delle attività serali. Ovviamente il primo pensiero dei suoi compagni era stato quello di riunirsi nella camera più grande, sfortunatamente proprio quella di Arthur, ed improvvisare una festa.

Arthur, in verità, non ne poteva più di loro. Solo durante quella settimana erano nate almeno tre nuove coppie e l’inglese aveva l’impressione che entro il giorno dopo ne sarebbero spuntate come minimo altre due. Il punto era che, in fondo... molto in fondo, Arthur era un po’ invidioso della capacità dei suoi compagni di riuscire a dichiararsi. Segretamente, anche lui aveva sperato che durante quella settimana potesse accadere qualcosa di magico, se non un vero e proprio miracolo, e che magari sarebbe tornato a casa fidanzato con un certo qualcuno ma non era accaduto niente del genere ed ogni secondo che passava, Arthur ne era sempre più frustrato. Peggio ancora, gli sembrava che Francis si stesse godendo quella vacanza più che mai, com’era giusto che fosse, mentre lui continuava a dannarsi per delle fantasie che sarebbero rimaste semplicemente tali. Non erano neppure capitati in stanza insieme ed Arthur non reggeva più la vista di Ludwig e Feliciano che si ronzavano intorno senza riuscire a combinare nulla, nonostante fosse più che palese l’interesse reciproco. 

Neanche a dirlo e per prolungare ancora di più la sua sofferenza, l’intera comitiva si era radunata in cerchio per giocare al gioco più stupido mai concepito dall’umanità: il gioco della bottiglia. E chissà come poi, qualcuno era riuscito pure a procurarsi dell’alcol senza farsi scoprire ed immediatamente Arthur si era impossessato di una bottiglia cioè la sua unica consolazione della serata.

Per tenersi occupato, controllò il cellulare. Nessun messaggio, nessuna chiamata, niente di niente. Dopo aver impiegato trenta secondi buoni a fissare lo schermo scuro, Arthur notò il suo stesso riflesso. Era nel bel mezzo della sua fase punk e, dato che in gita non era costretto ad indossare l’uniforme, Arthur aveva dato libero sfogo alla sua voglia di esprimersi e per quella sera non era stato da meno. Pantaloni in tartan rosso e strappati sulle ginocchia, combat boots, choker stretto al collo, borchie, anelli, giacca in ecopelle nera nonostante ci fossero quasi quaranta gradi e sotto di essa, la sua amata maglietta dei Sex Pistols riportante la ben nota copertina del singolo God save the Queen. Mentalmente Arthur ringraziò che l’eyeliner fosse waterproof o a quest’ora si sarebbe trovato con due occhi neri simili a quelli di un panda, ci mancava poco che sudasse pure l’anima. Si passò una mano tra i capelli, tinti in verde, per spostarseli dalla fronte e scompigliandoli di conseguenza.

Sospirò.

A dirla tutta, Arthur era seduto lì con gli altri solo perché non voleva essere etichettato come il solito guastafeste ma era fermamente deciso a non prender parte a quel gioco infernale. Non aveva intenzione di sprecare il suo primo bacio dandolo a qualcuno che potenzialmente disprezzava e le possibilità in questo senso erano altissime dato che Arthur disprezzava quasi tutti lì dentro. Per non parlare dell’eventualità ancora peggiore, che Francis baciasse qualcuno di fronte ai suoi occhi. Arthur bevve un sorso di birra. Sperava che la tortura finisse il più in fretta possibile.


«Che schifo.»
Commentò Arthur, allergico a qualsiasi forma d’affetto, mentre osservava Ludwig e Feliciano divorarsi la faccia dopo che la bottiglia li aveva scelti. Che caso, tutti in classe sapevano che quei due fossero cotti l’uno dell’altro. Arthur in verità nutriva il dubbio che la coincidenza che la bottiglia li avesse indicati non fosse affatto una coincidenza e tanto meglio per loro, finalmente si sarebbero messi insieme una volta per tutte. Le sue previsioni sulla formazione di altre coppie si stavano fin subito rivelando corrette. Decisamente una magra consolazione, considerando che l’unica coppia che Arthur voleva si formasse era ben lungi dal mettersi insieme.

«Chenille, dici così soltanto perché non hai nessuno.»
Replicò Francis, seduto a gambe incrociate accanto a lui. Arthur roteò gli occhi. No grazie, non aveva bisogno che Francis gli ricordasse quanto penosa fosse la sua vita sentimentale, ne era già al corrente.

«Sta’ zitto Bonnefoy e non starmi così attaccato.»

Ribatté Arthur che sperava che Francis non si allontanasse affatto. Francis pensò bene di passare un braccio attorno alle spalle di Arthur e, dopo una poco convinta resistenza, quest’ultimo dovette accettare che Francis non avrebbe mollato facilmente la presa.

«Sei tu che hai deciso di sederti qui.»

«Solo perché non c’erano altri posti dove potermi mettere.»

Non era una bugia ma neppure la verità, se Arthur non avesse voluto sedersi accanto a Francis avrebbe potuto benissimo chiedere a qualche compagno di fargli largo da un'altra parte.

«Huh. Che peccato, se non ci fosse stato spazio ti avrei fatto sedere volentieri tra le mie gambe.»
Lo provocò un po’ Francis, facendo arrossire Arthur fin sulla punta dei capelli. Per quella reazione, avrebbe convenientemente dato la colpa al caldo.

«Piuttosto sarei rimasto in piedi.»

Mentre loro discutevano, la bottiglia continuava a girare, soffermandosi su una delle loro compagne. Arthur, con sguardo vagamente afflitto, seguì la bottiglia girare ancora e ancora e puntare nella direzione opposta alla loro. Socchiuse gli occhi, rilasciando un respiro che non si era neppure accoro di star trattenendo.

Francis lo dovette notare, dato che per qualche motivo, rafforzò la presa intorno alle sue spalle e l’immaginazione di Arthur doveva star galoppando dato che quasi gli sembrò che pure Francis fosse sollevato dal non essere stato scelto dalla bottiglia.

«Mi sembri teso.»
Fece Francis, facendo borbottare Arthur.

«Trovo solo che sia un gioco stupido.»

«Perché hai deciso di partecipare allora?»

Arthur non rispose. Oh no, non gli avrebbe detto le sue vere motivazioni. Francis allargò un sorrisetto sornione.

«Ma non mi dire, speri di essere scelto così da poter baciare qualcuno che ti piace?»
Lo punzecchiò Francis con l’espressione di chi sapeva di aver centrato nel segno. Ad Arthur piaceva sempre meno la piega che stava prendendo il discorso e quella particolare enfasi sulla parola qualcuno non la apprezzò affatto.
Si affrettò a negare.

«Che cazzata! E poi non mi piace nessuno.»

«Suvvia Arthur, a me puoi dirlo. Di chi si tratta?»

Arthur avrebbe preferito morire in quell’istante piuttosto che confessare a Francis che qualcuno che gli piaceva c’era eccome. E poi perché tutta quell’insistenza? Francis ci doveva tenere parecchio a prenderlo in giro se ne era così interessato.

«È della nostra classe? Umh, deve esserlo per forza, altrimenti avresti cercato un contatto con quelli delle altre sezioni.»

Arthur si chiese perché dal nulla Francis si stesse improvvisando Sherlock Holmes. Sperava non possedesse le stesse doti intuitive.

«È un ragazzo o una ragazza? No, no, deve essere un ragazzo per forza, non ti ci vedo a provarci con una ragazza. Non le guardi nemmeno.»

Arthur avrebbe tanto voluto ribattere qualcosa, ma negare l’evidenza fino a quel punto era troppo pure per lui. Francis però non aveva ancora finito con le sue supposizioni e Arthur lo lasciò continuare, un po’ curioso e un po’ terrorizzato per come le cose stessero andando.

«Gilbert? Antonio? Yao? Non, non... li escludo, nessuno di loro è il tuo tipo.»

«Che ne sai tu di chi è il mio tipo?»
Sbottò infine Arthur e, per uno spaventoso istante, lui e Francis si fissarono. Il francese sgranò gli occhi, come se fosse stato colpito da un’illuminazione divina e quando Arthur notò quel sorrisetto diabolico sulle sue labbra, seppe di essere finito.

«Oh putain. Sono io?»

Merda. Arthur desiderava ardentemente che un fulmine lo colpisse all’istante e terminasse la sua esistenza. Arrossì violentemente e scosse con forza la testa, stava andando tutto male e non era affatto quello che voleva.

«Tu? Come ti salta in mente una cosa del genere, non c’è nessuno al mondo che io odi più di te!»

La sua reazione però era più eloquente di qualsiasi discorso e Francis non era un idiota, nonostante Arthur non facesse altro che definirlo tale. 

«Oh là là, se volevi così tanto baciarmi avresti potuto semplicemente chiedermelo.»

Francis non aveva ancora smesso di sorridere e vi era un pizzico di affetto in esso, ma Arthur pensò di starselo solo immaginando. Cercò invece di recuperare la calma e, per una volta, rischiò una domanda di cui temeva la risposta.

«Ah perché, avresti accettato in quel caso?»

Francis scosse il capo, facendo ondeggiare qualche ciocca bionda e Arthur sentì il proprio cuore sprofondare.

«Non, non, non funziona così Arthur.»
Francis gli sollevò il volto con una mano, così da poter fare incrociare i loro sguardi.
«Hai un solo modo per scoprirlo.»

Arthur fissò Francis, la bocca dischiusa, e per un attimo gli mancò il fiato. La tentazione di chiedergli di baciarlo, lì ed ora, era quasi irresistibile. Vi era però una vocina maligna, nel retro della sua mente, che gli suggeriva che quello non fosse altro che un modo di Francis di scherzare e che, anche se lo avesse baciato, non vi era nessuna buona ragione per credere che ricambiasse i suoi sentimenti.

Arthur tornò con forza con i piedi per terra e, quasi a fatica, spostò lo sguardo altrove.

«Non vedo perché avrei dovuto domandarti qualcosa che non voglio. Per rispondere alla tua domanda, l’unico motivo per cui ho deciso di partecipare a questo giochino del cazzo è perché tra tutti i posti possibili, hanno deciso di farlo proprio nella mia stanza.»

«Ci si può sentire soli pur essendo in compagnia, non lo sai?»
Fece Francis, con serietà ed Arthur si irrigidì. Da quando in qua Francis sapeva leggerlo così bene?

«Solo perché non sto con nessuno non vuol dire che io sia solo.»

Francis si fece pensieroso e per un po’ non aggiunse altro. Erano passati almeno due minuti abbondanti, Arthur si era tranquillizzato, restando appoggiato alla spalla del francese dato che questo non lo aveva ancora lasciato andare, quando Francis continuò il discorso di poco prima, come se non lo avessero mai interrotto.

«Non preoccuparti, Arthur. Da persona generosa quale sono, ho la soluzione alla tua altrimenti ineluttabile solitudine.»
Affermò Francis, sfilando la bottiglia di birra dalla mano di Arthur, portandosela alle labbra e bevendo. Arthur seguì in silenzio i suoi movimenti. Non era sicuro di volergli domandare cosa avesse in mente. Pentendosene ancora prima di farlo, alla fine, si costrinse a chiederglielo.

«Sarebbe a dire?»

Francis gli rivolse un sorriso inaspettatamente sincero, avvicinando il viso al suo orecchio così che solo Arthur potesse sentire le sue parole.

«Se tra dieci anni sarai ancora triste e solo, mi sacrificherò e ti prometto che ti sposerò io. Che ne pensi?»

Questa volta il cuore di Arthur saltò un battito. Ah, era così crudele da parte di Francis prendersi gioco di lui in quel modo.

«Penso che sia la cosa più stupida che tu abbia mai detto.»

Con uno strattone Arthur si liberò finalmente da quel mezzo abbraccio, riappropriandosi subito dopo della sua birra, ne aveva dannatamente bisogno. Francis rise e mentre il gioco intorno a loro continuava, assorto nei suoi pensieri Arthur abbassò lo sguardo sulla bottiglia che teneva in mano. Furtivo, Arthur osservò Francis e, con un sospiro appena accennato, poggiò le labbra sulla sua bottiglia, prendendone un altro sorso.

No, non c’era nulla che volesse chiedergli.

Ed un bacio indiretto era pur sempre un bacio, no?


Trois

Dopo il liceo, per qualche misteriosa ragione, Arthur e Francis si ritrovarono a condividere lo stesso appartamento. Entrambi frequentavano l’università sebbene si fossero iscritti in due facoltà diverse. Arthur, ormai superata la sua fase punk, studiava Letteratura e Francis andava all’Accademia di Belle Arti e, nel tempo non occupato dallo studio, lavoravano part-time: l’unico modo che avevano per pagare l’affitto.

La loro convivenza era... tranquilla. Avendo orari quasi sempre incompatibili, era abbastanza raro che durante il giorno si trovassero nell’appartamento per più di un’ora. E la sera, solitamente, erano entrambi talmente stanchi da non trovare le forze per litigare, così da poter condividere lo stesso spazio senza troppe discussioni. Ogni tanto capitava addirittura che guardassero qualcosa insieme seduti sul divano, in silenzio, fino a quando uno dei due non si ritirava in camera. Nientemeno, avevano pure una loro routine: Francis si occupava di preparare i pasti per entrambi e, per sdebitarsi, Arthur si occupava delle pulizie. Le uniche due regole erano, in ordine di importanza, non fare rumore dalla mezzanotte alle sei di mattina e non invadere lo spazio personale dell’altro. Quest’ultima regola però veniva spesso infranta dato che capitava sempre più frequentemente che l’uno entrasse in camera dell’altro e prendesse in prestito qualcosa. A conti fatti, nulla era veramente off limits fino a quando veniva chiesto il permesso.

Arthur doveva essere sincero, non immaginava che tra di loro i rapporti potessero essere così rilassati. Ben inteso, continuavano a litigare per ogni piccola questione ma quello non era altro che il loro modo di comunicare. Quando Arthur aveva accettato quella convivenza, si aspettava che Francis organizzasse un giorno sì e l’altro pure feste a casa loro o portasse ogni settimana una delle sue nuove conquiste, dato che non era un segreto per nessuno che Francis fosse piuttosto popolare. Invece, non era successo nulla di tutto ciò e... Arthur ne era davvero rincuorato. Sia perché sarebbe stato insostenibile per lui vivere in un ambiente del genere, sia perché la sua infatuazione per Francis era più forte che mai e la sola idea di vederlo insieme ad un’altra persona gli faceva accartocciare lo stomaco.


Arthur sapeva che non avrebbe potuto continuare così ancora a lungo e che prima o poi sarebbe scoppiato, ma il pensiero di dichiararsi era francamente terrificante. E se fosse stato rifiutato? Sarebbe stato strano per entrambi proseguire con la convivenza e l’inglese non poteva proprio permettersi un appartamento da solo. L’unica soluzione era far finta di nulla e sperare che quei sentimenti passassero da soli.

Magari gettarsi a capofitto nello studio lo avrebbe aiutato a tenere la mente impegnata.

Era un sabato di novembre e Arthur lavorava ancora alla sua relazione di Letteratura Contemporanea da consegnare entro e non oltre il lunedì successivo. Avrebbe potuto benissimo scriverla domenica mattina ma non aveva sonno e, comunque, di notte era sempre stato più produttivo. Si costrinse a ricacciare in un angolo della sua testa quanto fosse triste lavorare ad una stupida relazione di sabato sera mentre tutto il mondo lì fuori si divertiva, ma Arthur non aveva nessuno con cui uscire e comunque non gli importava. O almeno, così si ripeteva per potersene convincerne.

Era steso sul sofà di fronte alla televisione, il portatile sul busto e la testa scomodamente poggiata sul bracciolo del divano. L’unico rumore nella stanza era causato dal suo picchiettio frenetico sui tasti, interrotto di tanto in tanto da qualche sbuffo seccato.

Era... tremendamente noioso. Necessario, ma noioso.

Che fortuna che l’universo sembrasse avere altri piani per salvarlo da quel tedioso tormento che si era auto-inflitto!

Ormai mancava poco all’una e mezza quando, finalmente, qualcosa accadde.


«Arthur, ci sei? Daiii, aprimi!»

Qualcuno bussò alla porta e Arthur sapeva già di chi si trattasse, la voce di Francis era inconfondibile. E, dal suo tono, non era necessario un grande intuito per capire che il suo coinquilino fosse ubriaco. Arthur non accennò a muoversi dal divano.

Non è un mio problema.

Dopo qualche secondo, Arthur percepì Francis armeggiare fuori dalla porta, poi avvertì una serratura scattare ed infine dei passi che si trascinavano fino al loro soggiorno, ed ecco che Francis fece capolino nella stanza.

«Aha, ce l’ho fatta da solo!»

Annunciò il nuovo arrivato, con un certo compiacimento e Arthur piegò il capo all’indietro sul bracciolo per poter sincerarsi in che stato si trovasse il suo compagno di stanza. Anche se la sua visione era rovesciata, notò che Francis aveva le guance un po’ più rosee del solito, evidente indizio che avesse bevuto e, a parte l’aria un po’ sfatta, sembrava potersi reggere in piedi da solo.

Arthur si odiò per aver pensato che, pure in quelle circostanze, Francis fosse splendido con quel blazer color crema su un maglione bianco a dolcevita, che gli conferiva un aspetto delicato, puro quasi, in netto contrasto con il sorrisetto malizioso che gli increspava le labbra su quel viso incorniciato da lunghi capelli biondi. Francis avanzò un po’ instabile verso di lui, fino a quando non gli fu alle spalle. Distese una mano con la quale gli sfiorò il viso e Arthur sentì un brivido.

«Potevi venirmi ad aprire ed accogliermi come si vede. Quel con

Mormorò Francis, la sua voce vibrante e con difficoltà Arthur tornò a concentrarsi sulla sua ricerca.

«La prossima volta farò in modo di bloccare la porta e lasciarti fuori.»
Replicò in maniera non molto convinta, mentre Francis si mosse verso l’altro capo del divano, facendo scorrere la mano sul braccio di Arthur e poi sul fianco, fino a quando non gli sollevò le gambe per potersi sedere. Arthur istintivamente piegò le ginocchia, così da lasciare più spazio a Francis che lo guardava con tutta l’aria di chi aveva qualcosa in mente. E dato che il francese continuava a rimanere in silenzio, Arthur con falsa indifferenza, chiese:

«Fammi indovinare. Sei stato con quegli idioti dei tuoi amici, dico bene?»

Francis sbuffò in maniera drammatica.

«Non sono degli idioti!»

«Ma ho indovinato. Quindi, cosa è successo?»

«Gilbert e Antonio hanno fatto a gara per stabilire dopo quanti shot sarebbero crollati e ho partecipato anch’io.»

Questo sicuramente spiegava molte cose. Arthur di sicuro non gli avrebbe fatto la predica su quanto bere fosse dannoso, dato che spesso e volentieri, quello che alzava troppo il gomito e diventava il classico ubriaco molesto era proprio lui. Inoltre, Francis tollerava l’alcol molto meglio di lui perciò Arthur non aveva proprio niente da rimproverargli.

«Hai vinto?»

«No.»

Nel frattempo, Francis un po’ a fatica si era tolto le scarpe e la giacca. Arthur sollevò gli occhi dal computer per poter adocchiare il suo coinquilino di soppiatto. Purtroppo per lui, Francis lo stava a sua volta tenendo d’occhio e quella sbirciatina non gli era affatto sfuggita. Protendendosi verso di lui, Francis poggiò una mano sullo schermo del portatile che chiuse lentamente, così da potersi stendere quasi del tutto su Arthur.

«Basta studiare.»
Mormorò Francis, mettendo il computer da parte, e Arthur non riuscì ad opporsi né a proferire parola.

«Sai me ne sono accorto, mi guardi davvero tanto.»
Continuò Francis, la sua voce dolce come il miele e ormai con il corpo completamente posato su quello di Arthur, i loro volti soltanto ad una manciata di centimetri.

«Non è così.»
Riuscì a ribattere debolmente l’inglese non appena ritrovò la voce. Francis aveva ragione, Arthur spesso si trovava a rubargli delle occhiate, spesso senza neppure accorgersene. Era più forte di lui, i suoi occhi, i suoi sensi, cercavano Francis senza che Arthur potesse fare nulla per impedirlo. Era come se Francis fosse un magnete del quale Arthur era irrimediabilmente attratto.

«Ah no? Quindi vorresti farmi credere che non ti piace quello che vedi?»
Chiese in maniera retorica Francis dato che Arthur era sicuro che conoscesse già la verità: Francis era bello e Arthur non gli riusciva a togliere gli occhi di dosso.

Francis si fece ancora più vicino e Arthur chiuse gli occhi. Percepiva il respiro di Francis su di sé, mescolarsi al suo, sarebbe bastato un niente per ridurre a zero le distanze...
Passarono i secondi, ma non accadde niente.
Arthur, confuso, riaprì gli occhi trovandosi davanti Francis, ad occhi chiusi, che si massaggiava le tempie. Mortificato il francese gli fornì una spiegazione. 

«Mi sta girando la testa.»

Arthur si sentiva in subbuglio. Come se avesse inserito il pilota automatico, posò entrambe le mani sulle spalle di Francis e lo aiutò a rimettersi dritto, poi si alzò ed andò in cucina, ritornando con un bicchiere d’acqua fresca che gli porse.

Arthur prese un respiro profondo e volse lo sguardo su Francis e questa volta lo esaminò attentamente. L’inglese si diede dello stupido, Francis era ubriaco, non avrebbe dovuto prendere le sue parole e le sue azioni così sul serio. Sforzandosi nel fingere che non fosse accaduto nulla, aiutò Francis a rimettersi in piedi, prendendogli un braccio e passandolo intorno alle sue spalle, per poterlo sorreggere.

«Che idiota. Forza, vai a dormire. Voglio proprio vedere in che stato sarai domani mattina.»

Francis non ebbe nulla da obiettare. Si appoggiò a lui e percorsero i pochi metri che li separavano dalla stanza del francese. Arthur aprì la porta e lo accompagnò all’interno, guidandolo fino al letto. Aiutò Francis a sedersi e per qualche istante, Arthur rimase fermo impalato di fronte a lui. Avrebbe dovuto aiutarlo a spogliarsi? Il solo pensiero lo faceva andare in tilt e la sua mente non aveva bisogno di ulteriori e impossibili scenari su cui fantasticare. Arthur decise perciò che da quel punto in poi, Francis poteva cavarsela da solo.

«Dormi, ti farà bene. Se hai bisogno di me, umh... non avere bisogno di me e basta.»

Arthur gli diede le spalle e fece per allontanarsi. Francis, però, non era d’accordo.

«Arthur, aspetta.»
Lo chiamò, recuperando le ultime energie e lottando contro i capogiri si rimise in piedi ed afferrò Arthur per il polso.

«Sei impossibile, dovresti riposar... eh?!»

Arthur aveva mosso a malapena un passo e fu a sorpresa che si ritrovò incastrato tra Francis e il muro. Il suo primo istinto fu quello di scappare, il suo povero cuore non sarebbe riuscito a reggere un altro confronto come quello di poco prima. Ben presto si rese conto di non poter fuggire. Semplicemente perché non voleva, sebbene fosse l’unica cosa logica da fare.

«Non te ne andare.»
Lo implorò Francis, prendendogli il viso tra le mani. Arthur notò che Francis aveva le pupille dilatate e, per l’ennesima volta, la vocina nella sua testa gli ricordò che quello non era altro che un errore dovuto al troppo alcol. Eppure, Arthur voleva credere che Francis dicesse sul serio, che voleva davvero che lui restasse.

Il suo cuore fece una capriola quando si accorse che Francis si era di nuovo avvicinato a lui, così tanto da far sfiorare le loro labbra.  


«Fermo, non sai quel che...»
Protestò piano Arthur, ma la frase gli morì in gola quando finalmente Francis poggiò con delicatezza le labbra sulle sue. E, ah, quanto Arthur aveva agognato quel bacio. Lo ricambiò, come se ne dipendesse la sua stessa vita. Le labbra di Francis avevano ancora il sapore del liquore che aveva bevuto e Arthur se ne sentì inebriato.

La testa iniziò a girargli, anche se non per le stesse motivazioni di Francis. Faticava a credere che tutto ciò stesse realmente accadendo ma... se se lo stava soltanto sognando, sperava di potersi svegliare il più tardi possibile.

«Sono serio, mon cher
Gli assicurò Francis, quando si separarono per riprendere fiato. Con delicatezza, Francis poggiò la fronte sulla sua spalla, le braccia allacciate ai fianchi di Arthur che, invece, aveva affondato le dita tra i capelli di Francis e gli stava accarezzando lentamente la nuca.


«Per quanto tempo ancora dobbiamo fingere di non provare niente l’uno per l’altro?»
Chiese il francese e Arthur percepì i battiti farsi più veloci. Davvero quelle non erano le parole di un ubriaco?

«Ti amo tanto... e so che mi ami anche tu.»
Continuò Francis, dolcemente, senza sciogliere quell’abbraccio. Arthur lo sentì rilassarsi tra le sue braccia mentre Francis lasciava che il suo corpo si posasse del tutto contro quello di Arthur.

«Da sempre... so che non mi hai mai creduto, ma ogni cosa che ti ho detto la pensavo veramente.»
La voce di Francis era appena un sussurro mentre il suo viso era ormai nascosto nell’incavo del collo di Arthur, un segno di pura fiducia nei suoi confronti. Arthur non aveva mai visto Francis così vulnerabile e non dubitò neppure per un secondo della sincerità delle sue parole.

«Anche... anche quando ti ho promesso che giorno saresti diventato mio marito, non stavo scherzando. Lo voglio davvero e te l’ho già chiesto così tante di quelle volte... quindi mi sposerai, Arthur?»


Seguì un lungo silenzio, durante il quale Arthur non osò muoversi. Il respiro di Francis si era fatto più lento e regolare e, ancora stretto tra le sue braccia, doveva essersi addormentato.

Facendo attenzione a non svegliarlo, Arthur lo aiutò a stendersi sul letto. Gli sistemò una coperta addosso e gli sfiorò la fronte con un bacio.

«La prossima volta, domandamelo quando sarai sobrio.»


Deux

Dopo l'incidente, Arthur e Francis diventarono una coppia a tutti gli effetti. Erano stati bei tempi, quelli dell’università. Tra esami, tirocini e innumerevoli lavori saltuari, gli anni successivi erano passati in un batter d’occhio e poi, per entrambi, era arrivato il giorno della laurea e i festeggiamenti fino a tarda notte. Era stato bello, un momento di pura spensieratezza che metaforicamente, concludeva la loro gioventù. Avevano entrambi venticinque anni ed era arrivato il momento di entrare nello spietato mondo degli adulti. L’università era ormai terminata da sei mesi, stavano insieme da quattro anni e, tra alti e bassi, era arrivata la necessità di cercare un lavoro, pagare tasse e bollette e trasferirsi in una nuova abitazione. 


Più facile a dirsi che a farsi.

Sia Arthur che Francis fino a quel momento avevano tirato avanti con lavoretti part-time sottopagati per studenti ma trovare qualcosa di più serio era ormai una priorità. Tra l’imminente trasloco, l’invio spasmodico di CV, partecipazioni a concorsi e varie spese a cui far fronte entrambi ormai andavano avanti solo grazie alla forza della disperazione ed erano più stressati che mai.

E le ripercussioni erano evidenti anche nella loro relazione. Erano spesso nervosi e bastava anche una parola di troppo per scatenare infinite discussioni. Arthur urlava, Francis alzava la voce a sua volta e litigavano furiosamente. Ma sempre, sempre, dopo qualche ora tornavano l’uno dall’altro e facevano la pace, molte volte senza domandarsi scusa, non ad alta voce per lo meno. Si erano promessi che ne sarebbero usciti insieme e nessuno dei due avrebbe mai abbandonato l’altro, sebbene alle volte non arrabbiarsi fosse fin troppo difficile.

In un certo senso, quel momento di crisi poteva essere considerato un test per valutare quanto fosse solida la relazione. E, nonostante tutto, sia Arthur che Francis credevano fermamente nel loro amore.

Dovevano solo... tenere duro e il peggio sarebbe passato.

E grazie al cielo, anche quella lunghissima giornata era giunta al termine.

Come ogni sera prima di andare a dormire, Arthur aveva preparato le loro tisane rilassanti: una camomilla per se stesso e un infuso alla lavanda per Francis. Entrando in camera, con un sorriso stanco porse la tazza a Francis, poi si sistemò accanto a lui sotto le coperte, sorseggiando la sua camomilla bollente. Sperava che almeno quella riuscisse a distendere i nervi costantemente tesi.

Francis lo accolse a letto con un affettuoso bacio sulla guancia, ritornando poi a leggere qualcosa sul cellulare invece che chiacchierare con il suo compagno come al solito. Arthur prese ancora un sorso della sua camomilla e la poggiò sul comodino, afferrando invece il libro di Doyle che aveva iniziato qualche giorno prima. Cominciò indisturbato la lettura, ben sapendo che non poteva essere che una questione di tempo prima che Francis lo... distraesse, coinvolgendolo in ben più fisiche attività.

Quella sera doveva essere un’eccezione.

Arrivato alla fine della pagina e non essendo stato interrotto da Francis neppure una volta, Arthur aggrottò le sopracciglia. Mai nella sua vita avrebbe immaginato che riuscire a leggere più di cinque righe consecutive dovesse rappresentare per lui una tale delusione. Mise quindi da parte il libro e si voltò verso il francese, facendosi più vicino a lui per attirare la sua attenzione. Ancora una volta non funzionò, Francis si limitò a farsi un pochino più in là così da concedergli più spazio. Non quello che Arthur voleva.

Ah, questa sì che era nuova.

Un po’ indispettito, Arthur avrebbe tanto voluto strappargli via di mano il cellulare. Non lo fece per semplice autocontrollo ma allungò il collo, cercando di scoprire che cosa stesse architettando il suo fidanzato.

«Da quando in qua il cellulare è più interessante di me?»
Borbottò Arthur, riuscendo infine a guadagnarsi un’occhiata stupita da parte di Francis. Egli accennò una lieve risata e, pur non mettendo da parte quel maledetto telefono, circondò le spalle di Arthur con un braccio, posandogli un bacio leggero tra i capelli.

«Mon amour, so che è dura fare a meno della mia attenzione ma ti assicuro che è per una buona causa.»
La risposta di Francis non fece altro che confondere Arthur ancora di più. Francis se ne dovette accorgere, infatti, gli concesse un piccolo bacetto sulle labbra.
«Prometto che mi farò perdonare, ça va


Nella sua testa, Arthur decretò che per il momento poteva accontentarsi. Restò comunque appoggiato sulla spalla del suo compagno che, nuovamente, era tornato a leggere una pagina web. Un vero e proprio muro di testo, da quel che riuscì a scorgere Arthur.

«Mhm. Che leggi comunque?»

«Sono sul sito del governo britannico.»

Arthur capiva ogni secondo di meno qualsiasi cosa Francis avesse in mente. Il fatto che non gli stesse fornendo ulteriori dettagli, poi, insospettì Arthur ancora di più.

«Letture leggere prima di dormire.»

Francis si lasciò sfuggire un sospiro e inarcò un sopracciglio, quasi annoiato per quell’ennesima interruzione. Arthur era soddisfatto, magari in quella maniera sarebbe venuto a conoscenza di maggiori dettagli sulla questione, qualsiasi essa fosse. Si erano promessi che non ci sarebbero mai stati segreti tra di loro, cos’era quindi questa improvvisa ritrosia?

«Risparmia il sarcasmo, si tratta di una faccenda seria. È da un po’ che ci penso e potrebbe essere una soluzione.»
Replicò Francis e questa volta fu il turno di Arthur di scrutarlo con un’espressione decisamente poco convinta.

«Devo collezionare tutti gli indizi e dedurre come stanno le cose o me lo dici tu?»

Francis prese un sospiro e ad Arthur quella reazione non piacque affatto. Doveva forse iniziare a preoccuparsi?

«Ti avverto, non ti piacerà.»

Evidentemente sì, doveva iniziare a preoccuparsi.

«Questo lascialo decidere a me.»

Arthur si preparò psicologicamente al peggio e attese che Francis chiarisse la situazione. Il francese accennò un sospiro e, con una punta di incertezza, infine disse:

«Marriage allowance

Arthur sbatté le palpebre, confuso.

«Eh?»

Francis mise il cellulare tra di loro, in modo tale che anche Arthur potesse leggere la pagina web in questione. Arthur si raddrizzò, per poter guardare meglio.

«Bref, se ci sposassimo avremmo diritto ad un bonus e pagheremmo meno tasse.»

Spiegò Francis e a quelle parole Arthur scosse il capo, fermamente.

«No.»

«Ero sicuro che lo avresti detto.»

Francis stava per tornare alla sua poco entusiasmante lettura, quando Arthur gli sfilò il cellulare dalle mani, lo spense e lo posò sul comodino dal suo lato così che Francis non potesse raggiungerlo. Ciò gli fece guadagnare un’occhiata stanca da parte di Francis che, forse, pensava di dover affrontare l’ennesimo litigio.

«Dai ridammelo, anche se non sei d’accordo non c’è bisogno di fare così!»

Arthur però non aveva voglia di litigare. Si trattava di una cosa seria ed era necessario mettere le cose in chiaro fin da subito. Infatti ritornò nella sua metà del letto e, a giudicare dalla sua espressione, Arthur sarebbe stato irremovibile su quell’argomento.

«No, no, ora sarai tu a sentire me.»

Francis, in attesa, volse lo sguardo verso il suo compagno e alzò le mani, per fargli capire che lo avrebbe ascoltato senza interromperlo.

«Non puoi chiedermi di sposarti così di punto in bianco! A stento riusciamo ad arrivare a fine mese e tu vuoi organizzare un matrimonio?»

«Proprio perché non riusciamo a farcela fino alla fine del mese dico che un assegno di milleduecento sterline in più ci farebbe comodo, ora come ora!»

«Quindi ci dobbiamo sposare solamente per i soldi, è questo che stai dicendo?»
Sbottò Arthur, lasciando spiazzato Francis. Arthur lo vide passarsi una mano sul viso, esausto, con un’espressione che lasciò l’inglese interdetto. Francis sembrava... ferito? Arthur assunse un’aria compunta, non voleva far male al suo compagno, ma non potevano trovare nessun compromesso. Non su quello, per lo meno.

La domanda di Francis che seguì lo sorprese.

«Mi ami, Arthur?»

«Ti pare che se non fosse così starei qui?»

«Rispondimi.»
Era raro sentire la voce di Francis così perentoria e, nel giro di pochi istante, Arthur ne rimase di nuovo preso alla sprovvista. Che Francis avesse iniziato a dubitare dei suoi sentimenti per lui? Era vero che Arthur non gli diceva spesso di amarlo ma contava sul fatto che le sue azioni parlassero per lui. Senza che Arthur se ne accorgesse, si erano allontanati già a quel punto da non avere più neppure la certezza dei loro sentimenti?

«Ti amo, Francis.»

Arthur sentì posarsi una mano di Francis sulla sua e sollevò gli occhi, incontrando lo sguardo sereno del suo compagno.

«Allora che cosa cambia? Se mi ami, perché non accetti la mia proposta?»

Arthur riusciva a capire le ragioni di Francis. E comprendeva che in parte avesse ragione e che, ancora una volta, dovevano essere le sue insicurezze a frenarlo. Eppure, Arthur non voleva sposare Francis, non in quel modo, non se dovevano esserci soldi di mezzo.

«Proprio perché ti amo non ti sposerò solo per una ragione economica.»
Disse infine Arthur, piano, ma con decisione. Non guardò Francis, non voleva vedere la delusione sul suo volto... soprattutto se a causarla era stata lui.

Francis non rispose ed un silenzio ingombrante riempì la stanza.

«Credo che sia meglio metterci a dormire.»
Disse Arthur allora, sentendosi impacciato.

Tenendo ancora lo sguardo basso, Arthur si girò di lato e diede le spalle a Francis. Non c’era niente altro da dire. Francis esalò un respiro incerto e, dal suo lato del comodino, riprese la sua tisana. Ormai fredda, la ripose nuovamente di lato. Per quella sera non avrebbe sortito nessun effetto calmante comunque. Francis guardò le spalle di Arthur e lo imitò, facendosi piccolo piccolo all’estremità opposta del letto, già anticipando che quella nottata sarebbe stata insonne. Aveva molto su cui riflettere. Inspirò e si costrinse a chiudere gli occhi.

«Non importa quale sia la ragione, troverai sempre una scusa per dirmi di no.»
Sussurrò Francis, la voce un po’ ovattata dal cuscino.

Arthur non trovò alcuna risposta con cui controbattere.

Ho solo bisogno di più tempo.
Pensò Arthur, con la testa ormai sepolta sotto le coperte.

Amaramente, si domandò se Francis sarebbe stato disposto ad aspettarlo.  

Un


Come spesso accadeva, fu il tempo a sistemare ogni cosa. Non era stato facile e i momenti di sconforto non erano mancati, eppure, ne erano usciti trionfanti.

Non solo la loro relazione si era dimostrata abbastanza solida da superare indenne la crisi ma si era addirittura rafforzata. Anche dal fonte professionale la situazione si era infine assestata e, ad un anno di distanza, Arthur e Francis avevano trovato delle buone opportunità di lavoro e terminato il trasloco.

Potevano finalmente godersi un po’ di tranquillità... ed ovviamente si faceva per dire, dato che in quel periodo, gli impegni come sempre non mancavano soprattutto quelli riguardanti la sfera privata.

La settimana precedente, i fratelli di Arthur avevano fatto loro visita perciò, da bravi padroni di casa, Arthur e Francis avevano passato la maggior parte del tempo con i loro ospiti che, era pure superfluo dirlo, avevano oberato la coppia con le solite domande da parenti. La più gettonata: “Ormai convivete da anni, a quando il matrimonio?” Ed era con orrore che Arthur aveva scoperto che Francis condivideva l’idea dei suoi fratelli, era evidente che i quattro si erano alleati contro di lui.

Parlare sempre più spesso delle loro non-ancora-convolate-nozze però non era un’esclusiva dei fratelli Kirkland. Infatti, pure gli storici amici di Francis, con cui Arthur ormai si vedeva regolarmente perché il suo fidanzato lo trascinava con lui in tutte le uscite, Antonio e Gilbert li prendevano amorevolmente in giro definendoli “una vecchia coppia sposata”. Molto ironico dato che non erano poi così vecchi (avevano solo ventisei anni!) e non erano neppure sposati.

Il punto più alto però si era toccato mesi e mesi prima quando durante un apéro, Gilbert, mano nella mano con la sua fidanzata, aveva annunciato il loro matrimonio. Non erano mancate le congratulazioni e i festeggiamenti poi però Antonio aveva detto una cosa che aveva fatto ridacchiare Francis e quasi fatto strozzare Arthur: “Ero convinto che nel nostro gruppo, i primi a sposarsi sareste stati voi due, questa sì che è una sorpresa!” Arthur per giornate intere si era domandato su quale base era stata fatta quella supposizione e, esponendo la sua confusione a Francis, da lui non aveva ottenuto altro che una risata divertita che lo aveva lasciato più perplesso di prima.

Ad ogni modo, il grande giorno del matrimonio di Gilbert e Erzsébet era alla fine giunto. Era una mite domenica mattina e, forse la crisi di mezz’età era arrivata prima del previsto, ma Arthur si sentiva strano.

Non era un mistero che non amasse particolarmente quel genere di eventi ma sentiva una strana pressione sulla sua coscienza... era strano vedere amici di vecchia data sposarsi per davvero, era come se tutto ad un tratto Arthur li vedesse sotto una nuova luce, come se finalmente fossero cresciuti una volta per tutte, lasciando lui indietro.

Arthur avrebbe tanto voluto affrontare l’argomento con Francis che già lo aveva rimproverato durante il tragitto perché: “Non ti permetterò di rovinare tutte le foto con quel tuo muso lungo!”, perciò quel pensiero era stato momentaneamente messo da parte. Durante la giornata poi, l’idea era stata del tutto dimenticata. La cerimonia in chiesa era stata abbastanza rapida e indolore mentre il ricevimento si era rivelato memorabile e, tra balli, buon cibo e dell’ottimo vino, anche Arthur era stato in grado di godersela. E, nonostante fosse stato uno dei matrimoni più divertenti ai quali avesse mai partecipato, Arthur era sicuro di aver visto Francis, Antonio e Gilbert con le lacrime agli occhi, probabilmente commossi per il grande passo compiuto da quest’ultimo.

Era quindi andato tutto bene. Ma, anche le feste più belle giungevano al termine e verso le dieci e mezza, Arthur e Francis si erano di nuovo messi in macchina, Francis alla guida ed Arthur stravaccato sul sedile del passeggero, diretti verso casa.

«È stato divertente, non è vero?»

Iniziò Francis, con la cravatta ormai allentata, la giacca abbandonata nei sedili posteriori e i primi bottoni della camicia slacciati. Per essere settembre, faceva maledettamente caldo.

«Ammetto che è stato molto meglio di quanto mi aspettassi. Ho mangiato così tanto che sto per scoppiare.»


Arthur notò che Francis stava sorridendo. A differenza sua, Arthur sapeva che a Francis piacevano i matrimoni, soprattutto se di persone a lui care. Come gli aveva raccontato una volta, li trovava estremamente romantici e significativi. Era il giorno in cui si celebrava l’amore tra due persone, poteva esistere un giorno più bello di quello?

«Sono sicuro che questo sarà un matrimonio felice.»
Aggiunse Francis dopo un po’ e Arthur ne convenne.
«Di certo quei due sono molto affiati.»

«Già. Invece, hai visto quando Antonio ha preso il bouquet? Era terrorizzato e incredulo allo stesso tempo. Pensi che si sposerà presto?»

Arthur ridacchiò al ricordo della novella signora Beilschmidt che lanciava il bouquet e, nonostante tutti gli sforzi di Francis per accaparrarselo, il mazzo di fiori era finito dritto dritto tra le braccia di Antonio che ci aveva messo più di un secondo per realizzare cosa fosse successo.
 
«Mi auguro di no, abbiamo già speso un occhio della testa per il regalo di Gilbert e Erszébet, spero di non dover ripetere tanto presto l’esperienza!»

Fu il turno di Francis di accennare una risata.

«Come sei scortese! Anche se, per questa volta sono d’accordo. Piuttosto...»

Francis osservò Arthur con la coda dell’occhio, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso. Arthur invece inclinò il capo di lato, in attesa che Francis lo rendesse partecipe dei suoi pensieri.

«Piuttosto?»

Se possibile, il sorriso di Francis divenne ancora più luminoso e Arthur non poté fare a meno di ammirare quanto il suo compagno fosse bello. Un pensiero fugace gli attraverso la mente e Arthur realizzò che se avesse potuto vederlo sorridere in quel modo ogni giorno della sua vita, sarebbe stato felice.

«Il nostro matrimonio sarà il più bello che tu possa immaginare! Sarà in un parco, in primavera e verrà servito il cibo migliore che tu abbia mai assaggiato e ci saranno fiumi di vino e champagne e musica dal vivo! E ovviamente, noi saremo la coppia più bella mai esistita.»

Come se ne fosse rimasto contagiato, anche Arthur si ritrovò a sorridere e, forse aveva bevuto troppo, ma la prospettiva del loro matrimonio gli scaldò il cuore, mandandolo su di giri.

«Hai già deciso tutti i dettagli senza di me?»

«Certo. Tra di noi sono io quello con un po’ di buon gusto. La tua opinione non è necessaria.»

Arthur sbuffò, per mascherare una mezza risata.

«Fottiti, puoi domandarmelo quanto ti pare, ma se continui così non ti sposerò mai.»

«Forse, ma non dimenticare che sono testardo tanto quanto te. Continuerò a chiedertelo e tu, mon amour, mi dirai di sì... prima o poi.»

Si scambiarono un sorrisetto complice.

E, per la prima volta senza nessuna incertezza, Arthur realizzò che Francis avesse ragione.

Zero


È l’otto aprile 2023 e Francis e Arthur sono in visita in Francia perché Francis è stato invitato ad un convegno sull’arte impressionista in cui è persino previsto un suo intervento. Perché quindi non allungare il soggiorno di una settimana, cosicché lui ed Arthur possano concedersi una meritata vacanza? Sono arrivati a destinazione solamente da un giorno e il convegno non si terrà che tra due, perciò la coppia ha tutto il tempo di esplorare la città come meglio preferisce.

Si trovano a Parigi ed è da anni che Francis non visita la sua città natale. Per di più è anche la prima volta che Arthur lo accompagna in viaggio: a detta di Francis è tragicamente comico che l’inglese non abbia mai visitato la Francia nonostante stiano insieme da ben sei anni ormai e si conoscano da venti.

Finalmente però Francis è riuscito a convincerlo, giocando la carta dell’impegno di lavoro e affermando con il suo miglior sguardo da cane bastonato che gli avrebbe fatto molto piacere se a sostenerlo tra il pubblico ci fosse stato anche il suo compagno.
Ha funzionato ed infatti, eccoli lì. E, nonostante Arthur stia mantenendo la sua classica espressione scocciata, Francis è sicuro che sotto sotto si stia godendo la visita.

Ad ogni modo, Francis è di ottimo umore. Stanno passeggiando a Champ de Mars e sono quasi arrivati alla fine del parco e Francis non può che considerare quanto sia romantica una passeggiata serale mano nella mano a Parigi. Chiacchierando del più e del meno e facendo qualche foto di tanto in tanto, si stanno avvicinando ad uno dei monumenti più iconici della capitale e anche loro meta finale per quella serata.

«Ah, la Torre Eiffel. Da lontano mi sembrava un palo della luce.»

È il primo commento di Arthur, accompagnato da un ghignetto. Francis è sicuro che lo abbia detto solo per dargli fastidio, conosce troppo bene Arthur e quei giochetti li sa riconoscere. Per il suo amato inglese deve essere fin troppo difficile ammettere che la torre illuminata è veramente uno spettacolo ma la sua espressione rapita è abbastanza da rendere chiara la sua vera opinione, soprattutto per lo sguardo attento di Francis. Questo però non significa che non avrebbe ribattuto a tono.

«L’audacia di dire una cosa del genere, quando il Big Ben non è altro che un ridicolo campanile!»

Ridacchia Francis, ammirando a sua volta la torre. Con tutte quelle luci è impossibile non restarne incantati. Francis si concede qualche altro secondo prima di guidare Arthur verso la biglietteria dato che hanno già deciso che sarebbero saliti fino in cima.
La vista dall’alto è imperdibile.

Prendere l’ascensore è un po’ vertiginoso ma, si ripete Francis nella sua mente, l’importante è non guardare giù. Perciò volge la sua attenzione su Arthur che, a sua volta, deve aver formulato lo stesso pensiero e si ritrovano ad osservarsi, scambiandosi un mezzo sorriso di intesa.

Per fortuna la salita termina abbastanza in fretta e Francis e Arthur, insieme a pochi altri turisti, si riversano all’esterno, subito accolti da un alito di vento gelido. Sia Francis che Arthur non ne sembrano turbati, sono entrambi abituati alle temperature londinesi, in fin dei conti non molto diverse da quelle di Parigi.

Arthur si avvicina alla ringhiera e rimane a bocca aperta nell’ammirare il panorama che si estende davanti ai suoi occhi.

«Devo concedertelo, la vista da quassù è...»

Francis aspetta pazientemente che Arthur finisca la frase. Grandiosa? Splendia? Eccezionale? Se Francis conosce bene Arthur, sa di non doversi aspettare nulla di tutto ciò.

«... è passabile, sì.»

A quelle parole, anche se un sorriso continua ad increspargli le labbra, Francis solleva gli occhi al cielo. Sa bene che Arthur apprezzi molto più di quanto dia a vedere.

«Mon cœur, non capisci proprio il significato della parola romanticismo.»

«Romanticismo, eh? È più da te che da me.»

Dopo aver scattato qualche foto di rito, sia da soli che insieme, si distaccano dal gruppo di turisti che sono saliti insieme a loro. Per fortuna trovare un punto isolato non è difficile. Francis cinge la vita ad Arthur e viceversa, rimanendo stretti in un mezzo abbraccio mentre ammirano dall’alto Parigi e le sue luci.

Francis contempla la bellezza della sua città, riflettendo quasi distrattamente come il titolo di ville lumière sia veramente azzeccato per essa.

«È bello qui, vero?»

Chiede Francis dopo un po’, spezzando quel confortevole silenzio, sebbene la sua voce sia appena un sussurro che rischia di esser portato via dal vento. Arthur fa un leggero cenno d’assenso con il capo e, per la prima volta in quella serata, risponde con sincerità.

«È straordinario.»

Francis, con lo sguardo perso di fronte a sé, non potrebbe essere più d’accordo. Gli piace stare lì in alto, se fosse sempre così silenzioso sarebbe il posto perfetto per lasciar scorrere i propri pensieri. Passano ancora i minuti e nessuno di loro due accenna a muoversi. È solo quando una folata di vento più forte delle altre sferza loro il viso che Francis è costretto ad infrange quel momento di pace. Sono parecchio in alto e da lassù, il freddo si fa sentire ed il francese non può proprio permettersi un mal di gola.

«Dovremmo andare, non pensi?»

«Sì, comincia a far freddo.»
Ne conviene Arthur, calandosi il berretto sulle orecchie e poi sistemando meglio la sciarpa intorno al collo del suo compagno. Poi Arthur si avvia nuovamente verso l’ascensore e Francis lo segue, ma si ferma dopo qualche passo, accorgendosi di avere i lacci delle brogue allentati.

«Ehi Arthur, aspetta...»
Lo chiama Francis, ora in ginocchio, per potersi riallacciare le scarpe. Ogni sua intenzione viene però dimenticata nell’esatto momento in cui Arthur apre la bocca, per dire l’ultima cosa che Francis si sarebbe potuto mai aspettare da lui.

«Sì.»

Francis sgrana gli occhi e prima che possa chiedere ad Arthur cosa voglia dire quel sì, ecco che uno scroscio di applausi e di complimenti si leva dal piccolo gruppo di turisti che curiosamente li osserva. Per tre secondi buoni, il francese non comprende a cosa sia dovuta quella reazione. Si è solo inginocchiato per... oh.

È in quell’istante che Francis si rende conto della sua posizione. Sono in cima alla Tour Eiffel, uno dei luoghi più romantici di Parigi, e lui si è appena messo in ginocchio di fronte ad Arthur che senza alcuna esitazione gli ha detto di , facendo partire l’entusiasmo generale degli altri presenti che, a quanto pare, erano giunti alla stessa conclusione di Arthur.

Francis all’improvviso sente il cuore in gola e, quando solleva lo sguardo su Arthur aspettandosi una delle sue solite battute ironiche, trova invece uno sguardo innamorato che risalta sul suo viso arrossato e sicuramente non solo a causa del freddo. A sua volta, anche Francis sente le guance scaldarsi e una piccola speranza fa breccia dentro di lui.

Certo, si tratta di un fraintendimento. Ma quel è inequivocabile. Francis tuttavia ha bisogno di una conferma, sarebbe semplicemente troppo crudele se non stessero parlando della stessa cosa. 
 
«Scusa, come?»

«Ho... ho detto
Ripete Arthur, la voce tremante, porgendogli la mano per aiutarlo a rimettersi in piedi. Francis la accetta mentre Arthur aggiunge qualcosa che dipana qualsiasi dubbio e che fa accelerare il ritmo dei suoi battiti.
«Voglio sposarti.»

Francis teme che il cuore possa esplodere di felicità da un momento all’altro. Senza ulteriori indugi attira Arthur in un tenero abbraccio ed è come se in quel momento non esistessero che loro due al mondo. Anche se, veramente, Francis ancora non riesce a credere alle sue stesse orecchie.

«Dici sul serio?»

«Che razza di reazione è questa! Certo che dico davvero.»

Francis porta entrambe le mani sul viso di Arthur ed un ampio sorriso si allarga sul suo volto. Quel riecheggia ancora nella sua mente e non c’è verso che Francis riuscirà a pensare ad altro per tutto il resto della loro vacanza.

«È che non me lo aspettavo e... ah, lascia perdere! Aspettavo questo giorno da così tanto che non riesco a crederci!»

«Ma è arrivato, alla fine.»
Ribatte Arthur e nel suo tono Francis riconosce un pizzico di dolcezza. E Francis lo nota anche dai suoi occhi lucidi che Arthur è emozionato tanto quanto lui.

Francis vorrebbe solo urlare, ha aspettato anni per quel e come avrebbe potuto immaginare che sarebbe arrivato nel momento più inatteso? È sicuro che prima o poi Arthur lo farà impazzire e, diamine, quell’inglese può accettare di sposarlo quell’unica volta in cui non aveva programmato nessuna proposta? È inaudito!

Ciò resta comunque un pensiero secondario, tutto ciò che a Francis importa è che finalmente quel sia arrivato. Ed è pazzesco come abbia così tanto da dire ma allo stesso tempo non riesca a trovare le parole per esprimere il suo tumulto interiore. Non ha avuto neppure l’occasione di preparare un discorso come si deve! Ma come poteva Francis sapere che avrebbe fatto una proposta proprio quella sera? Più che per Arthur, in primis era stata una sorpresa per Francis!

«Ti amo.»
È l’unica cosa giusta da dire e Francis lo pronuncia in un sussurro, prima di unire le loro labbra in un tenero bacio.

«Ti amo anch’io.»
È la risposta che ne segue, sincera e commossa. I loro sguardi si incontrano nuovamente e Francis vorrebbe davvero baciare ancora Arthur fino a lasciarlo senza fiato ma l’orario di chiusura è ormai prossimo e... fortunatamente potranno continuare da dove si sono interrotti quando torneranno in hotel.

Per il momento Francis continua a sorridere, dando un lieve buffetto scherzoso sulla guancia del suo futuro marito.

«Anche se ce ne hai messo di tempo a dirmi di sì.»

Arthur non trattiene una leggera risata, deve riconoscere che Francis ha ragione.
«Divertente. Piuttosto, dov’è il mio anello?»

Questa volta, tocca a Francis esalare una risatina un po’ divertita e un po’ imbarazzata. Non dirà ad Arthur che non ha pianificato nulla. Chissà come avrebbe reagito Arthur se avesse saputo la verità. Sarebbe stato interessante vedere la sua reazione e Francis ha già deciso che gli dirà come stanno davvero le cose... ma solo dopo il loro matrimonio, non vuole correre il rischio che Arthur possa cambiare idea.

Per una volta, la sincerità può benissimo attendere. Quello che non può aspettare è una sua giustificazione all’assenza di un anello. Francis opta per una mezza verità, nella speranza che Arthur non voglia addentrarsi nei dettagli.

«Ah, in realtà... non c’è nessun anello. Per ora

Arthur scuote il capo, con falsa aria di disapprovazione.

«Sei incredibile!»

Francis lo zittisce con un altro bacio anche se ha già segnato in mente che non appena torneranno a Londra, andranno dal gioielliere più lussuoso della città per ordinare le loro fedi. Ah no, Francis non ha intenzione di badare a spese e c’è così tanto a cui pensare! I mesi a seguire saranno estremamente concitati, perché organizzare un matrimonio richiede un sacco di tempo e di impegno e, ah, Francis non vede l’ora di dare ai suoi amici la grande notizia.

«Ah ma guardati, stai provando a distrarmi! Cos’hai da dire in tua discolpa?»
Riprende invece Arthur, mostrandogli la mano sinistra. Nessun anello, appunto. Francis gli prende la mano e se la porta alle labbra, lasciando un bacio sul dorso di essa.

«Che... è anche per questo che mi ami.»
Risponde Francis e Arthur non ha alcuna intenzione di negare.

Sciolgono quell’abbraccio e si guardano negli occhi, le loro mani sono ancora unite e le loro dita si intrecciano. Si dirigono verso l’ascensore che li porta fino al piano terra e da lì si allontanano per le vie illuminate di Parigi, stretti fianco a fianco.

Insieme, come sono sempre stati.




Note finali
Buon 119° anniversario dell’Entente Cordiale aka il Matrimonio FrUK.
Prima di tutto, ringrazio tantissimo (e anche un po’ più sentitamente del solito, vista la lunghezza di questa shot) per aver letto fin qui. Concedetemi queste note per divagare un po’ perché ho davvero parecchie cose da aggiungere! Prima di tutto, la genesi di questa storiella qua. È da più di un anno che volevo scriverla, esattamente dal capitolo 419 del manga. Mi ci è voluto un po’, non riuscivo a trovare l’ispirazione giusta... poi qualche settimana fa ho visto questo meme, ed eccomi qui. Tra le altre cose, in originale avevo scritto questa storia in francese, quindi ho avuto bisogno del doppio del tempo per poi tradurla. Ma è stato un esperimento divertente. Secondariamente, le parti quatre e deux sono il mio tentativo di fare dei richiami al manga. Quatre per: “Voglio sposare la disperazione di Inghilterra” del capitolo 419 e duex per la ben nota questione della crisi per il Canale di Suez. Infine, per quanto riguarda la parte zero, no, non è un errore di distrazione il passaggio dal passato al presente. È del tutto intenzionale dato che cambia il POV ed è a tutti gli effetti ambientata oggi. Diciamo che volevo provare a dare un taglio netto con le parti precedenti ambientate appunto nel passato.
Bene, credo di aver detto tutto quello che avevo da dire.
Se vi va, come sempre, ditemi cosa ne pensate :)
Grazie ancora e alla prossima ❤️

   
 
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