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Autore: MollyTheMole    09/04/2023    0 recensioni
Londra, 1934: il crimine di Londra ha un nuovo James Moriarty. Quest'uomo, però, ha una nemesi: il nuovo ispettore capo di Scotland Yard, per il quale ha in serbo una triste ed amara sorpresa.
Londra, 1936: il rinnovato castello sul lago Loch Awe, in Scozia, apre i battenti ai turisti. Il passato, però, è come la ruggine: incrosta ed imprigiona. Gli ospiti del castello si troveranno, loro malgrado, a fare i conti con esso, con l'oscuro futuro ormai alle porte e con lo spettro di un criminale che infesta i loro ricordi.
Genere: Mistero, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Londra, alba del 16 marzo 1934. 

 

Si era aspettata una sfuriata, ed invece Somerset era perfettamente calmo. La cosa non la turbò più di tanto. Non c’era niente che potesse turbarla più, in quel momento.

Nonna Helga lo diceva sempre.

Ricordati, cara: quando ti sembrerà che tutto vada a rotoli, quando penserai che niente potrebbe essere peggio di così, quando crederai di aver toccato il fondo, non potrai fare altro che risalire. Lentamente, ma risalire. Tornerai felice, tesoro, da’ tempo al tempo.

Se non era il fondo quello, Danielle si chiese che cosa potesse esserci di peggio.

Già guardarla in quel momento, probabilmente, avrebbe dato l’idea dell’inferno che aveva appena passato. Il polso sanguinava ancora, bendato alla meno peggio, e doleva moltissimo, ma lei non lo sentiva. Era sporca, spettinata e macchiata di sangue rappreso, anche se non era il suo. 

Era stata una catastrofe.

Somerset, invece, a parte l’aria annoiata, era bello pulito, apparentemente sereno, seduto alla sua scrivania.

- Cole è in carcere. L’Avvocato è fuggito. Nicholson è morto, ed io ho bisogno di cure mediche. Turner ha un graffio sul fianco sinistro, ed Evans ha preso una brutta botta in testa. Li ho fatti visitare da Scott, ma credo che abbiano bisogno di un medico…-

- L’operazione è fallita, ispettore.- fece quello, prendendo la penna e mettendo una firma su un foglio, senza nemmeno guardarla in faccia.- Che cosa ha da dire a sua discolpa?-

Danielle aggrottò le sopracciglia, cercando di controllare la rabbia e di restare lucida.

Si sentiva svenire.

- Ho richiesto quindici uomini. Non sono mai arrivati. Ho proposto un piano alternativo, più sicuro, in cui prevedevo di arrestare solo Rodney Cook. Lei lo ha rifiutato. Ho fatto quello che potevo con quello che avevo. Nicholson è morto.-

- Ed era sotto la sua responsabilità, ispettore.-

- Responsabilità da cui lei mi ha sollevato.-

Somerset si alzò in piedi e si avvicinò a lei, sorridendo. Si appoggiò alla scrivania e la squadrò, i suoi occhi serpentini pieni di falso buonismo.

- Come, scusi?-

Danielle aveva freddo, un freddo che non va via con una coperta, o una carezza. Un freddo dentro che ti gela le ossa, quella sensazione che significa che stai sprofondando nell’abisso, che il peggio che lei si potesse aspettare stava accadendo, e che lei, per una volta, aveva le armi spuntate.

- Lei mi ha detto che si assumeva ogni responsabilità dell’azione, che si sarebbe svolta sotto la sua autorizzazione, che si sarebbe impegnato per sapere dove fossero finiti i rinforzi.-

Ma Danielle, dentro di sé, ormai sapeva che non aveva più senso parlare.

- Lei farnetica, signorina.- le disse, con tono mellifluo.- Non avrei mai detto niente di simile. Deve aver frainteso le mie parole. A volte alle signore sotto pressione questo capita. Deve essere molto alterata, povera cara, dopo tutto quello che ha dovuto vedere. Sì, credo che le chiamerò un medico, su questo ha perfettamente ragione.-

La mente di Danielle sembrava congelata, ma in verità stava annotando ogni singola parola che il questore stava dicendo. Quella voce avrebbe tormentato i suoi sogni in futuro, quelle parole avrebbero risuonato nel suo cervello come grida, negli anni venturi, ma lei, questo, non poteva saperlo. 

Restò immobile in piedi, di fronte a Somerset, incapace di spiccicare parola. 

- Ci saranno delle conseguenze, non serve che glielo dica.- le disse, dandole la schiena e tornando alla scrivania a firmare carte, come se lei non fosse nemmeno lì.- Quel poliziotto è morto, del resto. Qualcuno dovrà pur risponderne, e l’idea è stata sua, ispettore.-

- Nicholson. Si chiama Eric Nicholson.-

Somerset la guardò di sottecchi, come se fosse una recluta alle prime armi che gli stesse dando molto fastidio.

- Certo. Come vuole. In ogni caso, è morto.-

Gli occhi di Danielle erano fissi e vitrei, fermi su Somerset, una parte di lei incredula per ciò che stava sentendo. 

- Veda lei come intende rimediare alla situazione. Io non ho intenzione di allontanarla, ma sappia che, dopo questo fallimento, non ritengo che i suoi servigi siano ancora necessari, e l’opinione è condivisa da molti, a cominciare dai suoi uomini. Credo che vi siano elementi ben più validi di lei, e questa occasione lo ha dimostrato. Se deciderà di restare, io non la sosterrò, glielo dico chiaramente e in completa amicizia. Adesso vada a riposare. Ha bisogno di cure. Il medico sta arrivando. Si faccia trovare nel suo studio. Arrivederci, signorina Peters.-

Danielle uscì, senza nemmeno ribattere. Non avrebbe mai saputo se non dopo molto tempo che, in quel momento, un telegramma da parte del capitano Collins stava bruciando dentro al cestino della carta straccia del questore Somerset. 

Non aveva nemmeno la forza di immaginarselo.

Era chiaro, ormai. 

Era tutto finito.

 

- Attenti, sono armati!-

Spuntarono come funghi. Li presero alle spalle. Danielle e i suoi uomini si trovarono compressi tra l’Avvocato e il Ragioniere, armato di pistola, e un manipolo di uomini di Van Allen, che li avevano rinchiusi in una sacca, con armi da fuoco piuttosto pesanti. A poco erano servite le perquisizioni e gli appostamenti di quel pomeriggio. Erano troppo pochi per poter controllare tutte le vie di accesso, e Danielle aveva dovuto lasciare praticamente sguarnite le retrovie. Quando aveva udito il fischio di allarme, era stato troppo tardi.

Erano spuntati persino un fucile da caccia e una grossa mannaia. Il Macellaio doveva essere stato tra di loro.

Accidenti. 

  • Alle spalle, ispettore!-
  • State giù! State giù!-
  • Spostati, Evans, mettiti al riparo!-
  • Turner, via di lì!-

I proiettili rimbalzavano da tutte le parti. Un colpo di fucile distrusse una pietra d’angolo sopra la testa di Evans, mandando schegge ovunque. Il ragazzo rimase stordito, reggendosi il casco da poliziotto, ma continuò a sparare in direzione dei malviventi. Turner, invece, aveva ingaggiato una lotta corpo a corpo con il Macellaio, o almeno pensava che fosse lui, a giudicare dalla sua destrezza con le lame. Evitò per un soffio di essere colpito al fianco, ma la punta della mannaia gli tranciò i pantaloni e la pelle, lasciandolo piegato a sanguinare per un secondo, prima di riprendersi e ricominciare il combattimento. 

Danielle stava facendo fuoco sul Ragioniere, provando a disarmarlo. Eric, dietro di lei, le copriva le spalle cercando di colpire il tizio con il revolver nascosto dietro l’angolo del vicolo. 

Poi, tutto andò sottosopra. 

Le grosse casse di legno dietro le quali Danielle era nascosta caddero sotto un colpo di rimbalzo del fucile, che la mancò per miracolo. Precipitò a terra, ma si riebbe giusto in tempo per prendere la mira con la mano sinistra e sparare un colpo in direzione del Ragioniere, che nel frattempo aveva puntato la pistola contro di lei. 

Il proiettile di Cole la colpì al polso, e la vista si offuscò per il dolore.

Era a terra, inerme e ferita, la pistola che rimbalzava lontano da lei. 

- Danielle, no!-

Fu in quel momento che Cole, con un ghigno tremendo, alzò la pistola, mirando oltre il corpo di Danielle, e sparò.

Uno, due, tre colpi.

 

Se sapeva che avrebbero provato ad attaccarli?

Sì.

Se sapeva che non erano in numero sufficiente per un’operazione del genere?

Sì.

Se sapeva che la responsabilità era tutta sua?

Sì.

I suoi superiori, il capitano Collins, la gente avrebbe saputo che era stata costretta a farlo, eseguendo gli ordini?

No, e non l’avrebbero saputo mai.

E se lei si fosse difesa? Se avesse lottato, ancora una volta, per ribadire un principio di verità e giustizia?

Non avrebbe mai funzionato.

Non era sciocca, sapeva perfettamente che Somerset l’aveva messa con le spalle al muro. Avrebbe dovuto fare di testa sua. Avrebbe dovuto arrestare l’Avvocato, come aveva programmato fin dall’inizio, seguendolo e prendendolo quando ormai sarebbe stato solo. Dieci uomini sarebbero bastati. 

Avrebbe però perso il Ragioniere, Somerset le avrebbe chiesto spiegazioni, l’avrebbe messa in cattiva luce un’altra volta. Avrebbe rischiato un procedimento per insubordinazione e avrebbe dovuto dare le dimissioni comunque.

Almeno, però, Eric sarebbe sopravvissuto.

Forse. 

Tornerai felice, tesoro, da tempo al tempo.

Mai come allora quelle parole le erano sembrate inverosimili.

Prese in mano la penna e la caricò. Mise da parte tutti i suoi giornali e tutti i fascicoli che aveva sparsi sulla scrivania e si ricavò uno spazio d’ordine in mezzo al caos delle ultime ventiquattro ore. 

La decisione era una sola. 

Il foglio bianco giaceva intonso davanti a lei. Posò la penna, e cominciò a scrivere.

 

"Io, Danielle Peters, non essendomi dimostrata all'altezza delle aspettative della Signoria Vostra, essendo stata la morte del poliziotto Eric Nicholson causata da un mio errore di valutazione, non ritengo di dover prestare ulteriormente i miei servigi alla polizia di Sua Maestà il Re. Intendo quindi con la presente inoltrare alla S.V. le mie dimissioni dalla carica di Ispettore Capo di Scotland Yard…”

 

- NO!-

Non sentiva più niente. Il polso non le doleva. I proiettili filavano sopra la sua testa e  lei nemmeno se ne accorgeva. Raccolse la pistola di Eric dal terreno, mirò e sparò, dritto al petto dell’uomo armato di revolver che in quel momento stava puntando proprio a lei. 

L’uomo cadde a terra con un tonfo, oppure era il suono delle sue ginocchia che impattavano contro il suolo accanto al corpo di Eric. 

Non aveva mai ucciso, prima.

In quel momento, non se ne accorse nemmeno.

Il caos lentamente finì. I rumori si attutirono. I passi si fecero più vicini, e presto tutti furono attorno a lei. 

Ciò che non avrebbe mai dimenticato, però, fu tutto quello che accadde in mezzo.

Lo sollevò e lo prese in braccio, lasciandolo riposare sulle sue ginocchia. 

Si guardarono, come solo loro due sapevano guardarsi. 

Era unico, il suo Eric.

E non potevano nemmeno dirsi addio.

Gli strinse forte le mani, gli parlò, cercando di dargli un motivo per non andarsene, per restare con lei, ma sapeva che non avrebbe mai funzionato. La guardava con i suoi occhioni azzurri, belli come il cielo d’Irlanda, macchiati della cianosi tipica di chi non ha ossigeno. Cercava di parlare e di respirare, ma il sangue gli ostruiva la gola ed usciva lento, un rivolo vermiglio dalle labbra che Danielle aveva tanto amato. 

- Ella.- riuscì a dire. 

Una lacrima scivolò via dai suoi occhi, prima che la luce si spegnesse per sempre.

Lo chiamò. Lo scosse. Lo implorò, ma ormai era finita. Non c’era più nulla da fare.

Una mano si posò sulla sua spalla, e Danielle urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

 

Appallottolò il foglio sbavato dalle lacrime e cominciò a scriverne un’altro dopo essersi asciugata gli occhi. 

Aveva troppe cose da fare. Doveva chiamare il fioraio. Prenotare la chiesa per il funerale. Doveva chiamare il dottor Scott, il medico legale, e chiedergli di andarci piano, anche se sapeva che di lui si sarebbe potuta fidare. 

Eric non aveva nessuno. Avrebbe dovuto fare tutto lei. 

Non aveva tempo di pensare al domani, a che cosa sarebbe accaduto una volta a casa, sola, quando avrebbe realizzato tutto quello che era successo. Il pensiero la terrorizzava. Non voleva fermarsi. Aveva troppe cose da fare.

Sì, dare le dimissioni era l’unico modo per uscire bene da quella storia. Se avesse ingaggiato un braccio di ferro con i suoi superiori, l’avrebbero distrutta. Se ne sarebbe andata a testa alta, ferita, ma non umiliata. Chissà se, forse, qualche animo buono avrebbe inteso quello che le era davvero successo. Non ci credeva molto, ma la speranza era l’ultima a morire.

Eric avrebbe saputo consigliarla bene. Lo faceva sempre. Era i suoi occhi e le sue orecchie, le stava vicino e le riferiva quanto lei non poteva sapere. I pettegolezzi tra i ragazzi del suo gruppo, l’invidia di Baldwin West e le sue boccacce, e grazie a lui Danielle sapeva sempre comportarsi di conseguenza. Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire una lacrima, un’altra ancora, che asciugò subito con il polso bendato.

Qualcuno bussò alla porta. 

Danielle non rispose. Non voleva vedere nessuno.

Un altro sonoro colpo alla porta.

Doveva ricomporsi. Era a Scotland Yard, non a casa sua. 

- Avanti.-

Evans, la testa bendata e la divisa impolverata, si fece avanti con una terribile faccia da funerale.

- Mi dispiace disturbarla in questo momento, ispettore, ma temo che ci sia qualcosa che deve vedere.-

Danielle alzò un sopracciglio. Non aveva voglia di indovinelli.

L’agente Evans si fece da parte e lasciò che nell’ufficio entrassero almeno una decina di uomini, se non di più, in condizioni pietose. Uno più pallido dell’altro, uno con gli occhi più pesti di quello accanto. 

Se avesse avuto un po’ di senso dell’umorismo in quel momento, Danielle avrebbe detto ad alta voce quello che pensava, ovvero che avevano sbagliato indirizzo ed avevano spedito i panda a Scotland Yard e non allo zoo. 

Evidentemente, però, era la realtà ad avere del senso dell’umorismo.

- Non me lo dite.- disse, sollevando una mano come per farli tacere.

Evans tacque, osservando la donna mentre affondava la testa in una mano e cercava di trattenere l’esplosione di rabbia distruttiva che la stava assalendo. 

- Ci dica che cosa dobbiamo fare, ispettore.- disse uno di quegli uomini, così stanco che sembrava aver dormito su una balla di carbone almeno tre notti prima. 

- Come sarebbe a dire che cosa dovete fare?-

- Come, non ci ha chiamati lei?- fece un altro, evidentemente spazientito.

- Se vuole il mio parere - si era fatto avanti un uomo massiccio, dall’aria navigata, uno che era in polizia da anni e si vedeva.- le consiglio di rimandare qualunque cosa voglia fare a domani mattina. Non stiamo in piedi dal sonno.-

L’indomani mattina.

Danielle rise amaramente.

- Mi dispiace avervi fatto fare un viaggio a vuoto, ma è stato deciso che l’operazione dovesse farsi lo stesso, anche in vostra assenza. Sono desolata, ma siete arrivati troppo tardi. Potete andare a riposare, adesso, almeno voi, che ci riuscite.- 

Quei poveri disgraziati si guardarono, perplessi, ma preferirono imboccare l’uscio ed andarsene prima che l’ispettore cambiasse idea. 

- Un secondo solo. Lei, sì, lei. Mi dica, da dove venite?-

- Da Tarragona, signora. Ci hanno mandato lì, ma ci deve essere stato un errore, e siamo stati riportati a Londra.-

Fu la coltellata finale.

Danielle congedò con un cenno del capo anche l’ultimo poliziotto e rimase da sola, chiusa dentro il suo ufficio come in carcere. 

Il suo istinto autolesionista la spinse ad afferrare il tagliacarte e a farsi male, ma le sue mani, che ancora rispondevano alla ragione, afferrarono il calamaio vuoto sull’angolo della scrivania e lo lanciarono con tutta la forza che avevano contro la parete di fondo, mandandolo in frantumi ed accompagnando nella sua rovina, senza volerlo, anche un ritratto di Buckingham Palace. 

Voleva solo scomparire. Raggiungere Eric. Andarsene da quel luogo crudele e senza cuore. 

Era sopravvissuta così a lungo in quel posto, lottando con le unghie e coi denti. 

Era tutto finito. Non era rimasto niente. 

La sua carriera, la sua vita privata. 

Tutto distrutto. 

Si prese la testa tra le mani, disperata, e con l’ennesimo moto di stizza scaraventò a terra con una mano sola tutto ciò che giaceva sulla sua scrivania. 

Le pagine del giornale della sera fluttuarono in aria. Il volto di una bambina sorridente ingombrava la prima pagina, che ne dichiarava la morte. Danielle non guardò, o almeno credette di non guardare. Ricadde sulla sedia, esausta. 

Un bussare metodico e preciso la distrasse di nuovo.

- Fuori dai piedi!- urlò.

In tutta risposta, la porta si aprì e rivelò il dottor Scott, il buon medico legale che avrebbe dovuto aiutarla a martoriare il meno possibile il corpo del povero Eric. 

- Scott, stavo per chiamarla.-

- Mi ha chiamato Somerset. Mi ha detto che c’erano ancora un paio di punti da dare. Mi vuole spiegare che cosa ci fanno tutti quei giornalisti là fuori? Mi hanno detto che vuole dimettersi. Mi dica che non è vero!-

Dopo la sparatoria, lei stessa aveva chiesto a Scott di prestare ai suoi uomini il primo soccorso. Lei stessa lo aveva chiamato, per aiutarla con Eric. Le aveva fasciato il polso, prima di andarsene e di lasciarla da sola nell’ufficio di Somerset.

Lo stesso Somerset che aveva detto di volerle chiamare un medico, e che invece aveva semplicemente richiamato Scott. 

E i giornalisti, a cui aveva detto che si stava dimettendo dalla sua carica, anche se lei non glielo aveva confermato. 

Danielle scoppiò a ridere, scuotendo il capo, come se tutto fosse molto divertente.

Scott entrò e chiuse la porta alle sue spalle. A chiave. 

Si avvicinò, prese una sedia dalla scrivania e si sedette accanto a lei, lasciando che Danielle, che piangeva e rideva allo stesso tempo, si sfogasse sulla sua spalla.

 

LA TANA DELLA TALPA

 

Molly chiede venia, ma è una perfezionista. 

Purtroppo si è trattato di un periodo umanamente molto intenso, che non mi ha lasciato lo spazio necessario per dedicare alla pubblicazione di questa storia il tempo che meritava. Così, ho dovuto decidere per una sospensione momentanea delle pubblicazioni, che mi permettesse di rivedere con coscienza il contesto storico in cui è calata la narrazione, per non scrivere fesserie.

Sarà davvero molto complesso per me cercare di rendere al meglio tale contesto, ma spero di non disattendere, date le circostanze, le aspettative di ognuno.

Grazie mille per la vostra pazienza e l’entusiasmo che mi avete manifestato. Riprenderò a pubblicare ogni sabato come in precedenza. 

Colgo l’occasione per augurare a tutti voi Buona Pasqua. 

Ci vediamo prossimamente,

 

Molly.

  
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