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Autore: Neamh Moonstar    10/04/2023    5 recensioni
Galeotta fu la pioggia a farli avvicinare.
L'aria aveva un odore diverso, mai sentito prima, ma ad Aziraphale piaceva. Si chiese se sarebbe successo altre volte da quel giorno in poi, ma qualcosa gli disse di sì, risollevandogli un pochino il morale.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Prima e dopo la fine del mondo'
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Ha tuonato stanotte, e mi sono ricordata che era da tanto tempo che volevo scrivere questa cosina molto introspettiva. Se mi è tornata la voglia, è solo merito di Ineffable e genius_undercover, perciò: grazie✨. Può sembrare una cavolata, ma per me significa tanto.

Con amore,

- Neamh


**


A una goccia ho parlato di te.

Lei non ha mantenuto il segreto.

Ora tutta la pioggia, ripete il tuo nome.

- Giancarla Gallo




Galeotta fu la pioggia a farli avvicinare.

L'aria aveva un odore diverso, mai sentito prima, ma ad Aziraphale piaceva. Si chiese se sarebbe successo altre volte da quel giorno in poi, ma qualcosa gli disse di sì, risollevandogli un pochino il morale. Aveva smesso ormai di tenere d'occhio gli umani mentre si allontanavano, spaventati ma perlomeno un po' più sicuri.

Sempre meglio che lasciarli andare via disarmati, si disse per la milionesima volta in un mantra che non cessava di ripetersi nella sua testa. 

Almeno non era da solo. 

Certo, sarebbe dovuta essere una magra consolazione, si disse, osservando di sottecchi la scura figura alla sua sinistra. Se ne stava lì, sotto la sua ala, a fissare l'orizzonte con uno sguardo concentrato e pensoso. Crawly non se n'era andato dopo la loro breve conversazione, il che era strano; davvero tanto strano. In effetti, aveva accettato il riparo con un solo, unico, microscopico attimo di esitazione.

E poi nulla: solo il silenzio rotto dal ticchettare della pioggia sul muro; la sabbia sempre più umida, la vegetazione alle loro spalle, l'intero pianeta a loro disposizione.

E nessuno venne a dire niente. Né dall'alto, né dal basso.

Strano. Molto, molto strano.


Accettando che qualche goccia gli scendesse sulla fronte, l'angelo continuò a volgere qualche occhiata fugace all'essere tutto ciocche scombinate che avrebbe dovuto detestare. In fondo, un po' era colpa sua se adesso era in quella situazione, no?

Ma le iridi dorate del demone non incontrarono le sue nemmeno una volta, troppo impegnate com'erano a fissare le dune e l'ala candida sopra di loro.

Aziraphale si chiese cosa gli passasse per la testa, ma durò un secondo. Si disse che non gli doveva importare. La pioggia sarebbe finita e loro non si sarebbero rivisti mai più.


E infatti, la pioggia finì.

Il sole fece capolino dalle nubi, l'ala del biondo tornò al suo posto e l'orizzonte rimase completamente vuoto ora che Adamo ed Eva erano lontani.

Anche il silenzio finì.

    «Beh, angelo» esordì il rosso con un sorriso incredibilmente sincero. «Ci vediamo.»

Aziraphale sulle prime non seppe che rispondere. Era combattuto: da un lato avrebbe voluto ribattere dicendo che no, non si sarebbero rivisti; dall'altro gli dispiaceva doversi separare.

Cercò di sembrare il più distaccato possibile, ma sapeva di aver ricambiato il sorriso senza volerlo. Annuì e osservò quella strana creatura dalle ali corvine allontanarsi senza mai smettere di gettare occhiate curiose verso di lui.

Dimenticalo, si disse, passandosi una mano sulla testa completamente asciutta.



Contro ogni pronostico, si rividero. Anzi: Aziraphale scoprì che si sarebbero dovuti rivedere spesso da adesso in poi.

Prese la cosa con infinito senso del dovere. Ovviamente avrebbero dovuto agire l'uno contro l'altro, era ovvio.

Crawly, dal canto suo, sembrava non aver capito bene la situazione. Gli sorrideva spesso, chiacchierava, parlottava del più e del meno - angelo di qua, angelo di là...

E faceva domande. Una marea di domande. Domande a cui Aziraphale rispondeva, poiché non gli erano mai rivolte con intenti malevoli - quindi non c'era effettivamente motivo di ignorarle.

Poi, quando ricominciava a piovere, il rosso tornava alla ricerca della sua ala protettrice. Non lo chiedeva espressamente, si avvicinava e basta, sapendo che l'angelo lo avrebbe accontentato con uno sbuffo poco convinto e un leggero scuotimento del capo.

Aziraphale smise persino di guardarlo, ma mai di ascoltare. Si limitava a fissare qualsiasi cosa avesse davanti, sperando così che Crawly iniziasse a percepire il distacco che avrebbero dovuto avere. Pensò a far sì che le gocce non gli bagnassero i capelli, non gli si infilassero negli occhi e non cadessero tra le pieghe della sua tunica.

Erano fredde e davano fastidio, a differenza della parlantina della sua controparte.



Più il tempo passava, più l'angelo si chiedeva se Dio si rendesse conto della situazione. Era una considerazione stupida, se ne rendeva conto, ma legittima. Finora, l'ultima cosa che l'Altissima aveva fatto era stato sgridarlo fuori dalle mura dell'Eden.

Il suo dubbio trovò risposta nel diluvio universale.

Fu come assistere ad una specie di scherzo. Lui e Crawly avevano passato tantissimo tempo a parlottare sotto la pioggia, e adesso la pioggia stessa sembrava volerli inghiottire.

La verità era che a loro non sarebbe accaduto niente. Le onde si alzavano, inondavano quel poco che rimaneva di terraferma e umanità, ignorando le due figure ferme sul pelo dell'acqua. Una era bianca, aveva le mani poggiate in grembo e un'ala alzata a proteggere l'altra, alta, nera, crucciata e visibilmente arrabbiata.

Per la prima volta, infatti, Crawly non disse una parola.

    Fu Aziraphale a farlo. «Mi dispiace per i bambini, davvero. E, beh, per gli unicorni» balbettò.

Si sentì uno stupido, anche perché il demone non lo degnò di uno sguardo. Anche stavolta i loro occhi non si incontrarono mai e all'angelo dispiacque in modo quasi doloroso.

Avrebbe voluto chiedergli perché fosse così di cattivo umore. Anche la prima volta che avevano parlato del diluvio, il rosso l'aveva presa male... Ma non tanto come adesso.

Avrebbe dovuto essere felice, no?

Forse.

Rimasero in silenzio, fermi a guardare l'unica imbarcazione presente: l'arca che solcava quelle onde anomale senza vacillare nemmeno un secondo.

    «Sai, angelo» sospirò Crawly dopo un tempo che all'altro parve interminabile, «sono queste le cose che mi fanno ricordare perché non sono più dalla vostra parte.»

Era strano sentirgli dire certe cose. Fino ad allora, il demone era stato il ritratto dell'ingenuità e della nonchalance. Ancor più strano e sconvolgente, però, fu guardarlo mentre si allontanava, seguito da un leggero scrosciare sotto i suoi passi.

Aziraphale osservò quell'ombra farsi sempre più piccola, ma non disse nulla anche se avrebbe voluto. Alla fine, conscio del fatto che non l'avrebbe vista tornare, abbassò l'ala e sospirò.



Il mondo cambiò, l'umanità anche e Crowley - così si chiamava adesso - si fece sempre un po' più cupo, buio come gli angoli di mondo in cui presero ad imbattersi.

Non importava se uno dei due fosse di cattivo umore o se lo fossero entrambi: alla fine si ritrovavano sempre a parlare, lontani da sguardi indiscreti, perennemente preoccupati dal fatto che chiunque avrebbe potuto beccarli. A dirla tutta, Aziraphale continuò a sentirsi l'unico con quel timore, dato che la sua controparte era sempre la prima ad attaccare il discorso.

Presto, il rosso prese ad avanzare un'idea bizzarra che prevedeva loro in una collaborazione al limite del suicidio.

Ovviamente, l'angelo la rifiutò spesso. Anzi: adesso che l'umanità si era fatta numerosa, Aziraphale aveva smesso di tirare fuori le ali - che ci fosse la pioggia o meno, che ci fosse Crowley o meno. Perciò, si ritrovò molte volte ad allontanarsi quando questi veniva da lui e il cielo si metteva a piangere. Non aveva più riparo da offrirgli, in fondo. Non aveva più motivo di fermarsi a parlare.

Eppure continuò a farlo. 

Ben presto, si accorsero entrambi di una cosa: che la compagnia l'uno dell'altro gli faceva bene. Aziraphale, dal canto suo, iniziò persino a lasciare andare un po' delle preoccupazioni che tanto faticosamente nascondeva dentro. Se ne pentì spesso e volentieri, ma non smise mai di confessarle davanti agli occhi dorati che adesso Crowley si preoccupava di nascondere. Forse erano proprio quegli specchietti neri a dargli sicurezza: una piccola barriera tra lui e quello sguardo indagatore.

Era più forte di loro: sembravano destinati a cadere nella loro stessa trappola.

Ci volle molto, moltissimo tempo, ma alla fine l'angelo cedette e capì che forse poteva correre il rischio. Smisero di vedersi nelle zone d'ombra e presero a considerare anche quelle così luminose ed evidenti da passare inosservate.

Alla fine diventò un gioco in cui il biondo si era preso la parte di quello sempre dubbioso, poco convinto, volutamente distante, che si allontanava non appena iniziava a piovere. Quando invece era arrivato a sperare nell'apparizione improvvisa di quella chioma troppo rossa che spesso lo coglieva impreparato.



Senza nemmeno pensarci, Aziraphale decise di stabilirsi in uno dei luoghi del mondo dove la pioggia amava farla da padrona. Ovviamente, Crowley dovette seguirlo a ruota.

Ci fu un pomeriggio d'autunno, nebbioso e freddo, in cui Londra venne sorpresa da un acquazzone con i controfiocchi. Sotto il suo ombrello preferito, l'angelo percorreva le strade con passo affrettato.

Era in ritardo, ma non per colpa sua: agli arcangeli piaceva tirarla per le lunghe, alle volte. Fortunatamente, sapeva che Crowley avrebbe capito. Non era la prima volta che i loro incontri venivano deviati dai loro superiori: una prassi noiosa e fastidiosa, ma inevitabile. Dopo tutti quei secoli, ci avevano fatto l'abitudine.

Si ritrovarono davanti al ristorante che avevano scelto, ma ad Aziraphale venne un ipotetico colpo al cuore.

Il suo improbabile ma ormai consolidato collega se ne stava tranquillo sotto la pioggia battente, una nonchalance infinita in quella postura che era tutta un programma. Aveva la giacca costellata di goccioline, così come le lenti degli occhiali. Una ciocca sottile di capelli gli si era appiccicata alla fronte.

Non era da Crowley lasciare che il suo perennemente scuro e curato aspetto si sciupasse in quel modo. Se accadeva, significava che aveva decisamente altre cose a cui pensare; cose che gli impedivano di avere l'aspetto che avrebbe voluto.

    «Che stai facendo?» Lo riprese l'angelo, sorpreso e stranito.

    L'altro alzò un sopracciglio: «Non è ovvio? Ti stavo aspettando. Sei in ritardo.»

Un sorrisetto gli attraversò le guance sottili e Aziraphale si ritrovò a sbuffare. Stizzito, gli si piantò accanto e gli mise l'ombrello sopra la testa. Fu allora che capì il perché di quella scenetta e decise di stare al gioco.

    «Cambio di programma: vieni da me. È più caldo». "E più appartato" sarebbe stata un'ottima aggiunta.

    «Sai che potrei schioccare le dita e risistemarmi, vero?»

    «So anche che non lo farai.»

E infatti, Crowley non lo fece. Tirò fuori un altro sorrisetto e si lasciò accompagnare fino alla libreria che, da quel giorno, divenne il loro luogo di incontro preferito.

Mentre camminavano, Aziraphale si mise a spiegare il perché del suo ritardo. Fu liberatorio; la piccola cupola del suo ombrello, lo scrosciare della pioggia sull'asfalto, la confusione delle persone lo fecero sentire in una bolla che nessuno avrebbe potuto violare. Ogni tanto, una goccia riusciva a farsi strada e a finire nel colletto della sua giacca.

Era fredda e dava fastidio, a differenza della presenza del suo migliore amico.



Non disse mai quanto gli era mancato offrire a Crowley un riparo dalla pioggia, ma lo dimostrò offrendogliene moltissimi altri.

Spesso si ritrovò solo a fissare le gocce cadergli davanti alla faccia. Non tutto andava sempre come avrebbero voluto. Alle volte si scontravano, forte, tanto dal non volersi vedere per un tempo che poteva durare una settimana, un mese, svariati anni...

Ci sono tanti modi di fare la pace, alcuni più plateali di altri. Crowley era quello che salvava libri dalle esplosioni e dava passaggi fino in capo al mondo; mentre Aziraphale era quello delle parole ben pensate, messe al posto giusto come le pedine di una scacchiera. Era quello degli inviti: a pranzo, a cena, al parco... Era anche quello dei bicchieri di vino, delle tazze di tè, dei manicaretti e delle passeggiate. Soprattutto passeggiate sotto la pioggia.

Era anche quello che portava l'ombrello, dato che Crowley non ne aveva mai preso uno. Diceva di non averne bisogno, ma era abbastanza ovvio che volesse la sua ala protettrice - letterale o meno che fosse.

Il più delle volte, per evitare di bagnarsi, si tenevano a braccetto e stavano stretti stretti. Allora battibeccavano, perché perdonarsi completamente è ancor più difficile del fare la pace.



La storia dell'Apocalisse li tenne impegnati per giorni che parvero infiniti e che furono la chiave della loro libertà.

Nessuno di loro aveva mai veramente immaginato un risvolto simile, ma alla fine, in ogni caso, tutto volse in loro favore e nel più incredibile dei modi.

Ad Aziraphale, almeno all'inizio, la cosa parve strana - ma strana in modo piacevole. Si sentiva un po' distaccato, come se qualcuno avesse finalmente tagliato la cordicella che lo teneva appiccicato al Paradiso, la stessa che molte volte aveva sentito tirare e lo aveva spinto a dire "no" a molte delle cose che avrebbe voluto fare.

Un'uggiosa mattina, dato che aveva ben poco da fare - e aprire era fuori questione - decise di uscire a fare una passeggiata. Si fece strada nel solito traffico, fino a raggiungere il St.James, quello che ormai aveva adottato come uno dei suoi luoghi preferiti. Era sempre pieno di persone, scoiattoli ed anatre; un via vai continuo tipico delle aree verdi della sua città prediletta.

Rimase in piedi accanto al parapetto di un ponticello, fisso su nulla in particolare. Ad un certo punto, una goccia di pioggia lo colpì in testa, subito seguita da un'altra, un'altra ed un'altra ancora.

Fece per prendere l'ombrello, ma si accorse di non averlo. Sospirò: si vedeva che era distratto, ultimamente. Persino Crowley se n'era accorto: alle volte doveva ripetergli le cose, ricordargliene altre... Era una specie di effetto collaterale della libertà. Dopo anni passati in una gabbia, il mondo al di fuori è capace di spaesarti.

Eppure, se qualcuno gli avesse chiesto se fosse felice, Aziraphale avrebbe detto di sì. Assolutamente sì. Era felice come non lo era mai stato prima di allora.

Respirò l'aria che odorava di acquazzone: un odore che sin dall'inizio aveva avuto il potere di tirargli su il morale. Le gocce di pioggia gli scombinarono i riccioli, gli entrarono nella giacca e lo inzupparono nel giro di pochi minuti.

Erano fredde, ma non davano fastidio. Anzi, gli piacevano: sapevano di nuovo inizio.

    «Che stai facendo?» Lo riprese una voce alla sua sinistra.

Aziraphale sobbalzò: Crowley era lì, l'espressione confusa e un ombrello sopra la testa.

Avrebbe voluto giustificarsi in qualche modo, anche perché, si accorse con imbarazzo, doveva proprio sembrare un disastro. Lui che mai avrebbe lasciato che il suo perennemente curato aspetto si sciupasse in quel modo. Se accadeva, significava che aveva decisamente altre cose a cui pensare... E in effetti...

Non fece in tempo, però. Si ritrovò il demone accanto e la testa coperta; le gocce di pioggia smisero di sbattergli addosso e il calore dell'altro, ora ad un non nulla da lui, si fece evidente e piacevole.

    Prese a torturarsi le mani. «Pensavo fossi a casa» disse, guardando di sottecchi le persone che passavano loro accanto senza però prestargli attenzione.

    «Potrei dire lo stesso di te.»

    «Mi dispiace. Avevo bisogno di una boccata d'aria.»

    Crowley fece una smorfia: «Beh, menomale che so sempre come trovarti. Qualcosa non va?»

In realtà non c'era assolutamente niente che non andasse. Alzando per bene lo sguardo, l'angelo si ritrovò davanti al suo stesso riflesso. Oltre quegli specchietti neri che una volta aveva visto come una fortuna, poteva intravedere gli occhi che per tanto tempo aveva cercato il primo giorno. Erano a pochi centimetri dai suoi. A dirla tutta, in quel momento tutta la sua felicità era ad un non nulla da lui.

    Si lasciò scappare una mezza risata: «Non hai uno strano senso di deja-vu?»

    Il rosso sorrise: «In effetti sì, e ti confesserò una cosa». Con la mano libera si tolse gli occhiali dalla faccia e li appese al bavero della giacchetta di pelle. Dopodiché indicò l'ombrello con un cenno della testa: «Era da tanto che volevo ricambiarti il favore.»

    «E direi che alla fine lo hai ricambiato egregiamente.»



Rimasero l'uno di fronte all'altro per un attimo, senza dire altro. La pioggia aveva preso a scrosciare insistente, riversandosi attorno a loro e creando una fitta cortina che separava il mondo dai suoi improbabili salvatori.

Erano assieme adesso. Lo sarebbero rimasti.

Si mossero nello stesso momento, come spesso sarebbe accaduto da quel momento in poi. Le loro labbra si incontrarono con naturalezza, come se fossero nate apposta per toccarsi.

Si baciarono a lungo, separandosi per poi ritrovarsi. Nessuno poteva vederle, ma le loro ali c'erano eccome, nascoste, invisibili; entrambi ne avevano alzata una sola affinché proteggesse l'altro dalle gocce di pioggia che, imperterrite, precipitavano verso terra.

Erano fredde ma non davano fastidio.

Niente avrebbe potuto dar loro fastidio, ormai.


   
 
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