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Autore: Quella Della Pasta    11/04/2023    0 recensioni
Nessuno di loro aveva mai pensato davvero a cosa volesse dire avere una casa, nel senso più materiale del termine.
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Ha partecipato al COW-T #13 (sesta settimana) (...ed ultima) col prompt: Missione 3 (uniti per le cronache) - 26. attentato.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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(La canzone in citazione è La casa, di Sergio Endrigo.)




 

Era una casa molto carina

Senza soffitto senza cucina…

 

Nessuno di loro aveva mai pensato davvero a cosa volesse dire avere una casa, nel senso più materiale del termine. Nathan ne aveva ancora una tutta sua, dopotutto, ma a cui non tornava quasi mai (e vallo a spiegare alla sua ex ( ma-poi-non-tanto-così-ex ) moglie). Sophie avrebbe potuto permettersi la suite più stellata dell’hotel più rinomato, come pure la baracca più insospettabilmente eco-tecnologica di tutt’America. E Hardison poteva fare lo stesso, anche se non sarebbe mai stato come da sua Nonna. Parker, dalla sua, sapeva che, per qualunque ragione, le sarebbe bastato seguire un percorso di vicoli che conosceva a memoria fino a raggiungere uno dei suoi segretissimi rifugi. Quanto ad Elliot, al contrario, una casa l’aveva pure, ma non voleva ritornarci. Era una questione di cui preferiva non parlare mai. Come, be’, non voleva parlare mai del resto della sua vita, d’altra parte.

Per cui, quando il loro affidabile hacker di quartiere se n’era uscito con «abbiamo una bat-caverna tutta nostra, adesso!», con la faccia di un bambino davanti alla pignatta di caramelle più grande del mondo – o di Parker davanti alla pignatta più grande del mondo da prendere a martellate, ché tanto era la stessa cosa – nessuno, nel team, neanche il pragmatico Nathan o l’insospettabilmente fiduciosa Sophie, l’avevano preso sul serio.

Prima di fare un giro turistico del plurilocale che Alec aveva ricavato da quel monolocale sopra il pub, una volta stabiliti tutti definitivamente a Boston. In sostanza, finirono tutti per cambiare volontariamente idea. A parte Hardison, certo, ché lui avrebbe continuato a gongolare fino alla fine del mese per la riuscita della sua brillante ultima impresa (okay, forse un po’ più di un mese, ma chi le contava più), e cioè di aver installato un super-impianto di spionaggio in quello che era l’ex-salotto dell’appartamento di Nathan. Diavolo, avevano a disposizione un occhio quasi onniveggente, pari solo a quello di FBI e Pentagono messi insieme, per acciuffare i cattivoni per i capelli e recuperare i preziosi beni dei loro clienti, pur se fossero stati nascosti entrambi fin nel profondo della fossa delle Marianne. Chi li avrebbe fermati più, a quel punto?

 

Ci avrebbe pensato quel pazzoide di Chaos e la bomba che avrebbe gentilmente piazzato in casa della povera Sophie. Finendo, come scoppio di ritorno, per far saltare in aria non solo casa della loro leader non ufficiale (e Nathan non volesse loro male, tuttavia era parecchio difficile prenderlo sul serio, quando lui per primo si buttava in missioni suicide nonostante tutti i discorsi che imponeva loro sull’evitare vittime laterali, eccetera) ma avrebbe finito per mandare in pezzi il loro neonato covo e, perché no, anche quei mattoncini che stavano iniziando a mettere pian piano l’uno sull’altro. Come una vera squadra.

Ed erano bastate una miccia elementare e un paio di microspie uscite fuori dagli anni Settanta a scatenare un attentato in piena regola.

 

Non si poteva entrarci dentro

Perché non c'era il pavimento…

 

Non potevano più tornare all’appartamento di Nathan, sia lui che Elliot erano stati categorici: sicuro come la morte (che avevano miracolosamente scampato non una, non due, ma ben dieci volte almeno in quell’unico mese - ed era un bene che non ci facessero l’abitudine, visto il simpatico regalino di quel dannato Chaos) le macerie di quel palazzo, ormai del tutto distrutto nella parte superiore - e per pura fortuna, l’appartamento di Nathan si trovava all’ultimo piano, senza altri inquilini attorno - erano piantonate da agenti di ogni settore governativo, dalla sicurezza nazionale alla commissione straordinaria sui prodotti agrari. In effetti, il loro team aveva pestato loro i piedi come ultima missione, prima che saltasse tutto in aria. Avrebbe avuto perfettamente senso.

Restava il fatto che Elliot era il solo ad essere mai passato per quell’esperienza. E aver conservato un briciolo di sanità mentale. Per tutta la settimana conseguente all’attentato all’appartamento, Parker non aveva più toccato le sue corde, Nathan non aveva dato fondo alla dispensa di bottiglie (un lato positivo, avrebbe commentato Elliot, se solo la situazione non fosse stata al meglio del tragico) e lo stesso Hardison, per quanto avrebbe potuto gongolare del videomessaggio lasciato agli stronzi che pensavano di gabbarli con quelle microspie datate al Watergate, si era cacciato in un mutismo decisamente inaspettato per il suo carattere. Sophie avrebbe avuto una buona parola per tutti, ma Sophie non c’era. Doveva restar nascosta finché non avrebbero messo le manette a chi avesse sguinzagliato Chaos per farla fuori, e finché non avessero pure imbrigliato Chaos in una camicia di forza così stretta che gli sarebbe passata la voglia di toccare un qualunque tipo di tasto, persino quelli del pianoforte.

Stress post traumatico, fu la diagnosi lampante di…be’, tutti loro. Non che non ne avessero mai sentito parlare. Non se la sentivano di restare tutti in un unico posto, dato il pericolo che potessero attentare a farli saltare in aria persino lì, ma si erano scoperti a non voler neppure allontanarsi l’uno dall’altro: Elliot, perché era l’unico con un minimo d’esperienza della situazione e sapeva cosa tenere sotto controllo; Parker, perché era incazzata con Chaos e voleva fargli pagare di aver provato a ucciderli e mandato in fumo la sua scorta segreta di banconote in serie; Hardison, perché in ogni caso si era tenuto un cellulare non tracciabile, e perché non poteva tornare da sua Nonna a mettere la sua famiglia adottiva in pericolo; e Nathan, perché non aveva comunque un posto a cui voleva tornare.

Non avevano attentato soltanto al loro covo, era stata la diagnosi generale. Avevano minato lo stesso germe della loro squadra in boccio, e così reciso tutte le radici delle sicurezze che avevano iniziato a germogliare. Li avevano distrutti, fin nel profondo, così come quelle microcariche di esplosivo avevano fatto coi muri dell’appartamento, coi computer di Hardison, i coltelli di Elliot, i cereali preferiti di Parker e i DVD dei melodrammi di Sophie, che era riuscita a nascondere nella libreria di Nathan. Quanto a Nathan, era riuscito a portare in salvo soltanto il disegno di suo figlio. Tutto il resto, era andato bruciato nell’esplosione. Compreso l’album di fotografie che ritraeva ancora l’ultimo sprazzo della sua vita felice.

Non avevano più un covo segreto, vero. Ma, forse, quel che nessuno si azzardava ancora ad ammettere, era che non avevano più nemmeno una casa.

 

Ma era bella, bella davvero

In via dei matti numero zero

   
 
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