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Autore: Quella Della Pasta    11/04/2023    2 recensioni
La rabbia era un incantesimo molto, ma molto più potente di qualsiasi magia arcana Rothbart potesse piegare al suo volere.
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Ha partecipato al COW-T #13 (sesta settimana) (...ed ultima) col prompt: Missione 3 (uniti per le cronache) - 49. incantesimo.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rothbart
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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(Il titolo è tratto da quello originale de La voce dell'amore, per me la canzone romantica più bella di tutti i tempi. Anche se credo che Rothbart avrebbe da ridire pure su questo.)



 

La rabbia era un incantesimo molto, ma molto più potente di qualsiasi magia arcana Rothbart potesse piegare al suo volere. Bridget, sciocca com’è sempre stata, l’ha sempre ignorato; Clavius, l’utile Clavius, ha soltanto intravisto quella antica verità, annebbiato com’era dalla nebbia fitta del suo ego smisurato quanto il suo talento; mentre Zelda, la brillante Zelda, vi si era immersa con entrambe le scarpe, e impulsiva com’era, se n’è lasciata completamente impadronire. Fino al suo totale annichilimento. E Rothbart non aveva bisogno di allievi così incompetenti, aveva bisogno di cavie. Su cui testare la potente magia arcana delle Arti Proibite, vietate in quanto incantesimi estremamente a portata di chiunque, poiché alimentati dalla più antica e potente delle fonti di magia. La rabbia, per l’appunto.

Tolto di mezzo Clavius e congedata senza ritorno Zelda, Rothbart è partito dal suo villaggetto natale – tre case come tozzi di pane secco, la tomba di una famiglia che non l’aveva mai amato e l’odiosa chiesetta in cui tre preti, a ripetizione, avevano provato ad esorcizzarlo. Inutilmente, si capisce – per dirigersi verso una più giusta sistemazione, almeno nella sua testa. Una testa che necessitava di una più giusta corona ad adornarla. E non c’era incantesimo a sua disposizione, ormai, che non potesse essergli funzionale allo scopo.

 

Rendere infertile la regina non era stato più difficile che mandare a ramengo i raccolti degli odiosi contadini che avevano condannato al rogo suo padre per stregoneria. Un incantesimo semplicissimo, che Rothbart aveva imparato da giovanissimo, in un momento di rabbia – per l’appunto. Sua madre non avrebbe mai avuto la figlia che tanto aveva desiderato al posto del suo unico figlio dannato. E la sposa di re Guglielmo non avrebbe mai visto la propria, di figlia, crescere e diventare la donna più bella del mondo. Oltre che l’unica erede di un casato sufficientemente grande da diventare il trampolino di lancio per Rothbart: da lì, con l’influenza della corona di Guglielmo, si sarebbe preso tutti i regni circostanti. Poi quelli confinanti. E infine, si sarebbe preso il mondo intero.

La brillante Zelda, troppo intelligente per non capire che Rothbart li avrebbe usati, spolpati fino alle ossa e poi gettati nel suo calderone, lo aveva accusato – arrivando alla verità, in effetti – di avere un abisso nero al posto dell’anima. Rothbart voleva, voleva e ancora voleva, e mai gli sarebbe bastato. Non sarebbero serviti tutti gli incantesimi del mondo, di tutti i mondi che la magia aveva permesso loro di intravedere tra le maglie della realtà, per colmare quel vuoto che l’avrebbe portato a divorare tutto ciò che esisteva, strisciava e respirava. Rothbart aveva riso di lei, prima di privarla dei suoi poteri e cacciarla dal suo covo. A calci. E aveva firmato col sangue la promessa di non permettere a nessuno, mai più, di rivolgerglisi in tal modo. Di osare anche solo sfidare la grandezza della sua magia, e la lunga ombra gelida che avrebbe gettato su tutti i suoi sudditi. Su tutto il mondo, in pratica. Non esisteva alcun incantesimo che gli avrebbe garantito un dominio simile.

A Rothbart non era importato, perché se l’è creato da sé.

 

Non c’era mai stato alcun incantesimo in grado di forgiare l’amore, pure. Il vero amore. Quello che i suoi genitori, né nessun altro che Rothbart aveva mai incontrato, avevano mai provato.

Convincere la bellissima Odette sarebbe stato un po’ più complicato del previsto. E la magia ha regole ben precise. Meglio prenderla col miele, che circuirla a suon di lividi sul suo bellissimo viso. E se non avesse funzionato…be’, Rothbart conosceva pur sempre ogni incantesimo adatto a ferire, se non direttamente uccidere, il suo adorato principino imbranato. Troppo coraggioso per non buttarsi a capofitto nel pericolo, troppo nobile di cuore per non resistere al richiamo della sua bella innamorata. No, sfortunatamente non esisteva incantesimo che avrebbe mai tenuto i due piccioncini ad una solida distanza. Le regole ancora più arcane della dannata magia, l’amore che era una forza potente tanto quanto la rabbia.

E altrettanto poteva durare per sempre.

 

Rothbart è sempre stato convinto che le Arti proibite erano la risposta all’incantesimo ultimo che ogni mago o strega ha sempre sperato di creare: l’immortalità, la chiave d’oro che li avrebbe legati per sempre alla catena dell’esistenza. Creare, distruggere, cambiare: i tre incantesimi alla base della creazione del mondo, di ogni mondo. Avrebbe potuto accontentarsi di quelli, l’aveva recriminato Clavius, prima che Rothbart lo gettasse dalla finestra della sua torre, rendendolo storpio per sempre. Un perfetto riflesso della sua anima più vera. Avrebbe potuto accontentarsi dell’infinito potere che era riuscito a strappare alla fonte diretta della magia, invece che incancrenirsi con la corona di re Guglielmo, con lo sposare la sua futura figlioletta e procedere così, uno snervante passo alla volta. Tutto e soltanto per dimostrare la sua immensa forza, e guadagnare il vero plauso che la sua anima nera bramava: la paura dei suoi sottomessi. La dimostrazione che era diventato per davvero il mago più potente di tutti i tempi.

Rothbart non l’ha mai negato, in fin dei conti. A che serve conquistare un tale potere, se poi non ci si può nemmeno divertire un po’, ad usarlo?

Ma non ci fu nessun incantesimo a salvarlo dalla freccia di Derek. E nessun amore che l’avrebbe riportato in vita. Solo una rabbia eterna che si è spenta allo spegnersi del suo ultimo soffio vitale, tramutato per sempre nella bestia che l’aveva reso il suo ultimo incantesimo – la promessa di una vendetta. L’unica certezza che Rothbart aveva sempre avuto, in vita. E che si sarebbe ripercorsa sui suoi nemici, a dieci, cento o mille anni di distanza dalla sua scomparsa. Perché la rabbia è forte quanto l’amore, in fin dei conti. E un incantesimo, dopotutto, non è che un figlio della magia che lo ha generato. E finché la magia stessa non morirà, nemmeno quella promessa di vendetta lo farà, se vi è legata. Per sempre.

   
 
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