Fumetti/Cartoni europei > I Dalton
Segui la storia  |       
Autore: Niky_94    20/04/2023    0 recensioni
In ogni famiglia ci sono alti e bassi, e i Dalton non sono certo da meno. Niky è stanca di non essere mai presa sul serio dai fratelli, che la considerano troppo giovane ed inesperta. Ma quando un pericolo minaccerà Joe, Jack, William e Averell, toccherà a Niky partire alla ricerca dei fratelli, mettendo in gioco il tutto e per tutto per salvare la sua famiglia.
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I DALTON - NIKY FA DA SE'

CAPITOLO 1 - 
LA GITA



NIKY:
 

Era una mattina come tante altre al penitenziario. I raggi del sole che filtravano attraverso le spesse sbarre della cella si posarono sul mio viso, caldi e abbacinanti. Mi svegliai, infastidita dalla luce intensa, e mi stropicciai gli occhi, ancora impastati dal sonno. Con uno sbadiglio, mi stiracchiai e mi tirai a sedere. Le coperte si scostarono, scivolandomi sulle gambe, ma non ci feci troppo caso, assonnata com’ero. La mattina, per me, arrivava sempre troppo presto, e quel giorno non faceva eccezione. Borbottando, mi lasciai scivolare giù dalla branda. La panca di legno verde inchiodata al muro cigolò sotto il mio peso, ma anche questa volta non mi allarmai: come il resto dell’arredamento, anche i letti lasciavano a desiderare. Ma del resto, come il direttore era solito ricordare a chiunque presentasse una qualsiasi lamentela: quello era un penitenziario, non un albergo.

Dopo essermi stiracchiata ancora una volta, presi un asciugamano, lo spazzolino da denti ormai consunto ed uscii dalla cella, diretta verso il bagno comune. Per fortuna, l’ora della doccia dei detenuti era già passata da un pezzo, così potei lavarmi senza dovermi preoccupare di ricevere occhiate indiscrete. Come sempre, l’acqua che uscì dai tubi sconquassati era a malapena tiepida, e mi strappò un urletto di sorpresa. Ora perlomeno ero sveglia! Una volta terminata la doccia uscii alla svelta e mi affrettai ad asciugarmi e rivestirmi. Ravviai con una mano il lungo ciuffo castano che nonostante i miei sforzi continuava a scivolarmi davanti all’occhio sinistro, e dopo aver dato una rapida controllata al lungo abito verde per controllare che tutto fosse in ordine, radunai le mie cose e lasciai il bagno.

Due minuti più tardi stavo attraversando il cortile della prigione, diretta al refettorio. Appena varcai la soglia, venni accolta dal clamore dei detenuti che chiacchieravano entusiasticamente, masticando a bocca aperta pur di non privarsi neppure di un solo momento di conversazione. Socchiusi gli occhi dietro agli occhiali e scrutai la sala gremita di persone. Non ci misi molto ad individuare quattro uomini seduti ad un tavolo solitario, in fondo alla sala. Joe, Jack, William e Averell Dalton, i quattro banditi più temuti del selvaggio West. Ricercati in ogni stato d’America in cui avessero messo piede, terrore dei banchieri, flagello delle diligenze e dei treni portavalori… nonché i miei fratelli maggiori.

«Ah, eccoti qui, finalmente!» esclamò Jack quando mi vide.

«Alla buon’ora...» borbottò Joe, come sempre di pessimo umore fin dal mattino.

«Scusate il ritardo, ragazzi» replicai, mentre prendevo posto tra Joe e Jack «Stamattina non riuscivo proprio a scendere dal letto!»

«Come tutte le mattine» ribatté Jack con un’alzata di spalle.

William annuì. Notando il cipiglio che stava iniziando a formarsi sul suo viso, mi abbandonai ad un impercettibile sospiro. “Ecco, ci siamo…”

«Vai a letto troppo tardi, la sera» sentenziò infatti mio fratello «E la mattina non riesci mai ad alzarti!»

«Oh, mi alzo eccome!» risposi, scuotendo la testa «È svegliarsi, il problema!»

Averell, dall’altro capo del tavolo, ridacchiò ed imburrò una fetta di pane duro e secco.

William alzò gli occhi al cielo con aria esasperata, e mi porse una grossa tazza di latta tutta ammaccata.

«Grazie» Afferrai la caraffa di caffè riscaldato e ne versai una generosa quantità nella tazza, godendomi il profumo che si sprigionò quando il liquido scuro venne liberato dalla caraffa. Un piccolo sbuffo di vapore bianco si sollevò e mi riscaldò le guance, quando incontrò il mio viso nella sua risalita verso il soffitto.

«Dovresti anche smetterla di bere tanto caffè -» fu il nuovo ammonimento, questa volta da parte di Jack «- o finirà per farti male»

«Oh, insomma, volete finirla di preoccuparvi?» sbottai «Non sono più una bambina!»

William fece spallucce «Ci crederò quando smetterai di svegliarmi nel cuore della notte per chiedermi di aiutarti a finire i compiti che avevi “dimenticato”...»

Nonostante dovessi ammettere che non avesse tutti i torti, sentii il bisogno impellente di rispondergli per le rime. E lo avrei fatto, se una voce non mi avesse interrotta. Una voce acuta e penetrante, che avrei riconosciuto tra mille. Soprattutto perché solitamente quella voce, per me, significava guai.

«Buon giorno!» cinguettò la signorina Betty, avvicinandosi al nostro tavolo.

«Buon giorno, signorina Betty!» risposero Joe, Jack, William e Averell in coro, con un tono che ricordava tanto quello di un gruppo di bambini che salutano la maestra al suo ingresso in aula.

Scossi la testa «Sì… Buon giorno...»

«È una splendida giornata, non trovate?» continuò la donna, con un sorriso lezioso.

«Oh, sì, signorina. È davvero una splendida giornata!» le fece subito eco William, le gote di un’insolita tonalità di rosa acceso e un sorriso inebetito stampato in volto.

Senza farmi notare, sollevai gli occhi al cielo. Cosa ci trovava mai mio fratello, in una come lei? Certo, era una donna molto intelligente e forse, storcendo il naso, avrei anche potuto essere d’accordo sul fatto che fosse abbastanza carina: capelli color del fuoco, occhi azzurri, nasino delicato, ed un fisico alto e slanciato che si spostava con la grazia di una principessa. Un confettino delicato avvolto in una giacca bordeaux ed una lunga gonna rossa. Nah, decisamente non era il mio tipo.

La signorina Betty si portò una mano al viso con fare aggraziato, ridacchiando per qualcosa che aveva detto Averell.

Socchiusi gli occhi e lanciai alla donna uno sguardo dardeggiante. Non mi piaceva, il modo in cui William la guardava: come se non vi fosse altra donna sulla terra… E io, allora?! Ero la sua sorellina, per mille pistole! Infastidita, decisi di porre fine alla questione. «Che cosa ci fa qui, signorina Betty?» Speravo di essere riuscita a nascondere il tedio nella mia voce, ma a quanto pare non era stato così, perché Jack mi affibbiò un leggero pizzico sul braccio. «Comportati bene...» bisbigliò.

Trattenendomi dal fargli una linguaccia, mi voltai verso la donna, e le rivolsi un sorriso tirato.

La signorina Betty ridacchiò «Il signor Peabody mi ha chiesto di ricordare a tutti che oggi ci sarà la visita al villaggio dei Bracciarotte»

Sobbalzai, alzandomi in piedi di scatto «Ma… Allora oggi niente scuola?» domandai, sgomenta «Ma non è giusto, ho passato tutta la notte a preparare i bigliettin- ehm, a studiare per il compito in classe di Matematica!»

Lei scosse la testa «Se avessi prestato attenzione ieri in classe, avresti sentito mentre annunciavo che e lezioni di oggi sarebbero state sospese!»

«… Ah...»

William mi lanciò un’occhiataccia, ed io mi rimisi immediatamente a sedere, rossa in viso. “Oh-oh” mi dissi, “Qui si mette male!” Conoscevo fin troppo bene quell’espressione. Di tutti i miei fratelli, William era sempre stato quello più portato per lo studio, e si era sempre occupato della mia istruzione. E naturalmente, non appena il signor Peabody aveva deciso di aprire una scuola all’interno del penitenziario, utilizzando i fondi stanziati dal Governatore, il mio adorato fratellone era immediatamente corso a compilare i moduli per la mia iscrizione. Fin da quando ero piccola, mi aveva sempre aiutata con i compiti, assicurandosi che io dessi sempre il meglio a scuola… Anche se questo significava riempirmi di compiti extra o mettermi in punizione. Era già capitato che finissi nei guai per aver infastidito la signorina Betty durante le lezioni o non aver consegnato i compiti, ma prima di allora la mia insegnante non mi aveva mai rimproverata di fronte a mio fratello. Due contro uno: decisamente sleale!

Per mia fortuna, Joe attirò l’attenzione su di sé. «Detesto le gite scolastiche...» brontolò, bevendo un lungo sorso di caffè con un rumoroso risucchio.

«Oh, andiamo, Joe, sarà divertente!» assicurò la signorina Betty in tono carezzevole. Si guardò attorno, poi sorrise: «Beh, sarà meglio che vada, ora. Devo avvisare anche gli altri detenuti!»

I miei fratelli annuirono e sollevarono una mano per salutarla. Perfino Joe.

«Ci vediamo più tardi!» disse la donna, e riprese a vagare tra i tavoli del refettorio.

«E così non prestavi attenzione, eh?» domandò William, guardando verso di me.

Avvertii un brivido lungo la schiena, che feci del mio meglio per ignorare. Inaspettatamente, iniziai a sperare che la signorina Betty tornasse. Mi strinsi nella spalle e spalmai un po’ di marmellata di fragole sul pane. «Hai paura che la tua fidanzata si arrabbi?»

«C-cosa?!» William impallidì all’instante, ma ben presto il suo viso riacquistò colore, fino a quando non iniziò ad assomigliare alla mia marmellata.

Sogghignai: una piccola rivincita per aver fatto gli occhi dolci a quella smorfiosa.

Mio fratello si guardò attorno per accertarsi che nessuno lo sentisse e si sporse oltre il tavolo, verso di me. «Lei… NON è la mia ragazza!» sibilò, diventando più rosso ad ogni parola.

Ridacchiai malignamente, addentando la fetta di pane. «No… ma ti piacerebbe, non è così?»

William mi lanciò un’occhiata assassina «Falla finita!»

«Ehi, sta’ calmo, Romeo...» ribattei, alzando gli occhi al cielo «Non arruffare le piume, stavo solo scherzando!»

«Non è affatto divertente, Niky!»

«Forse per te» ghignai «Io mi sto divertendo un mondo!»

«VOLETE DARCI UN TAGLIO, VOI DUE?!» intervenne Joe in tono seccato, interrompendo il nostro battibecco. Incrociò le braccia sul petto, sbuffò, e scoccò un’occhiata severa a nostro indirizzo «Se avete tanta energia, usatela per pensare ad un piano per evadere!»

A quel punto toccò a me sbuffare «E perché?» domandai con un’alzata di spalle «Tanto alla fine si fa sempre a modo tuo...»

«Non ha *chomp!* tutti i torti sai, *chomp!* Joe?» intervenne Averell, masticando di gusto l’ennesima fetta di pane che si era cacciato in bocca.

«Sta’ zitto, imbecille!» ordinò Joe in tono brusco, per poi voltarsi verso di me «E tu, non so cosa ti sia preso oggi, ma ti conviene smetterla di fare tanto l’impertinente, se non vuoi finire in guai seri!»

William, che aveva ripreso a guardarsi intorno con circospezione, si voltò verso di me ed annuì con aria seria.

Mio malgrado, fui costretta ad arrendermi «Ah, d’accordo...»

In quel momento, le porte della mensa si spalancarono, lasciando entrare il signor Peabody, come sempre scortato dalle sue guardie di fiducia, Pete ed Emmett. Il direttore, un omino basso e dal mento prominente, si schiarì la voce e prese ad agitare le braccia nel tentativo di richiamare l’attenzione dei chiassosi prigionieri. «Attenzione! Detenuti, un attimo di attenzione, prego…! … OH, INSOMMA, FATE SILENZIO!»

Tutti interruppero immediatamente le loro attività e si voltarono verso di lui. Improvvisamente il refettorio piombò nel più assoluto silenzio. Perfino il ronzio delle mosche sembrava essersi acquietato.

«Grazie» borbottò il signor Peabody, lisciandosi la giacca verde scuro. Si schiarì nuovamente la voce e proseguì: «Siete pregati di raggiungere il cortile. Il carro patirà tra cinque minuti, e non vogliamo perdere tempo perché qualcuno è rimasto indietro»

Gli occhi scuri di Joe scintillarono improvvisamente «Ehi, ma questa è una grande idea!» esclamò sottovoce, e si voltò verso di noi con fare cospiratorio «Fingeremo di salire sul carro, e quando quei babbei avranno lasciato il penitenziario - »

«Mi riferisco soprattutto a voi, fratelli Dalton!» la voce del direttore interruppe la spiegazione di mio fratello, tagliente come un rasoio.

Mi voltai, e vidi Peabody lanciarci un’occhiata sospettosa.

«GRRR!» ringhiò Joe digrignando i denti «Che iella, era un piano perfetto!» si lamentò, scuotendo la testa. Serrò i pugni e si avviò dietro agli altri detenuti diretti verso il cortile, pestando i piedi ad ogni passo in segno di protesta.

Scossi la testa. Nonostante fosse il più grande di noi, Joe sapeva essere davvero infantile. Mi alzai in piedi pigramente e seguii i miei fratelli fuori dal refettorio.

Al centro del cortile ci aspettava un grande carro di legno. Due cavalli dall’aspetto sano e veloce raspavano la terra con gli zoccoli, impazienti di partire al galoppo. Mi avvicinai per carezzare loro il muso, e non potei fare a meno di pensare a Stracciatella. Pensai con nostalgia ai brevi momenti tra una figa di prigione e l’altra, quando potevo tornare a casa da Ma’ e cavalcare la mia giumenta per le praterie sconfinate. Sospirai. Mi piaceva vivere con Joe, Jack, William e Averell, ma svevo rinunciato davvero a molto, da quando io e Ma’ avevamo pregato il signor Peabody di permettermi di restare al penitenziario con i miei fratelli. Ad un tratto, una cantilena gioiosa interruppe il corso dei miei pensieri.

«Che bello, andiamo in gita!» canticchiava Averell, al settimo cielo. Montò sul carro con un balzo, le braccia cariche di cibo. Quando prese posto accanto a Joe, lui sbuffò: «Che diavolo ci fai con tutta quella roba, imbecille?» domandò, spazientito.

«Ho portato uno spuntino per il viaggio!» rispose Averell in tono allegro «Gradisci un biscotto al cioccolato, Joe?»

«No...» borbottò lui, scuotendo la testa.

«Io sì!» mi intromisi mentre raggiungevo l’ultimo posto libero, dietro di loro. Adoravo, i biscotti al cioccolato!

«Ecco qui, sorellina!» cinguettò Averell, porgendomi un biscotto dall’aria invitante.

«Grazie, fratellone!» risposi con un sorriso, ed addentai di gusto il biscotto. Mmh, delizioso!

«Non dovresti mangiare durante il viaggio» mi redarguì Joe, voltandosi per guardarmi in viso «Sai che potresti sentirti male!»

“Accidenti, che pizza!” Sbuffai e scossi la testa «Vuoi rilassarti? So quello che faccio!» borbottai, e feci sparire l’ultimo boccone. Che bontà!

Joe scosse il capo a sua volta «D’accordo, ma poi non venire a lamentarti, se ti verrà la nausea!»
 

A dispetto delle previsioni di Joe, il viaggio fu piacevole. I detenuti cantavano tutti insieme alcune vecchie canzoni dei minatori. Mi unii a loro per un po’, ma quando il signor Peabody decise di rispolverare il repertorio musicale della sua gioventù, mi arresi. Ero troppo giovane per conoscere quelle canzoni, ed ero certa che nemmeno mia madre le avesse mai sentite in vita sua. Il che, era tutto dire. Tentando di scacciare dalla mia mente l’immagine del direttore che cavalcava un brontosauro, lasciai vagare lo sguardo sui miei compagni di viaggio. La signorina Betty era in piedi in mezzo agli ergastolani; muoveva le braccia come un direttore d’orchestra, dirigendo il coro improvvisato con il solito sorriso entusiasta. Stavo per unirmi nuovamente al coro, quando notai che William la stava osservando nuovamente, gli occhi semichiusi come chi sta avendo un sogno ad occhi aperti, e l’ormai familiare sorriso ebete stampato in volto.

“Ecco, ci risiamo!” pensai, indispettita “Di nuovo con quello sguardo da triglia. Se va avanti così, gli spunteranno le branchie e dovremo trovare il sistema di incastrare un acquario nella cella…” In fondo, però, dovevo ammettere che un po’ invidiavo William. Anche se la signorina Betty non conosceva i suoi sentimenti per lei, mio fratello aveva la possibilità di vedere ogni giorno la persona di cui era innamorato. Io ero stata abbastanza fortunata da prendermi una cotta per qualcuno che corrispondeva i miei sentimenti, ma la legge ci teneva separati. Billy the Kid era rinchiuso nel penitenziario di Danver, in Colorado, a molte miglia di distanza da quello dove erano stati incarcerati i miei fratelli. Non essendo una detenuta, sarei potuta uscire per andare a fargli visita, ma Joe non me lo avrebbe mai permesso. Così, l’unico modo rimasto per comunicare con Billy erano le lettere. Billy non sapeva leggere o scrivere, ma era sempre stato molto abile a, ehm, persuadere altri a farlo per lui, e rispondeva con puntualità, ogni secondo mercoledì del mese, quando il carro postale arrivava al penitenziario. Ovviamente, dovevo sgraffignare le sue preziose missive prima che i miei fratelli le notassero. Non avevano mai approvato la mia relazione con Billy, e sapevo che se mi avessero colta in flagrante, di certo avrei passato uno spiacevole quarto d’ora sulle ginocchia di Joe. Ma cosa non si fa, per amore?

Uno sbalzo violento e improvviso mi riportò alla realtà. Mi guardai attorno, e mi resi conto che eravamo giunti a destinazione. Il guidatore tirò le redini, arrestando i cavalli. I prigionieri iniziarono a scendere, scortati da Pete ed Emmett, all’erta come sempre.

Saltai giù dal carro e mi guardai attorno: Lupo Pazzo, il capo indiano, era in piedi di fronte a noi sullo spiazzo erboso, circondato da un manipolo di possenti guerrieri, che avrebbero intimorito perfino il più ardito dei pionieri. Le punte delle lunghe penne bianche e nere del grande copricapo che indossava il capo tribù si piegavano e contorcevano delicatamente, solleticate dalla brezza. Accanto a lui Vero Falco, lo sciamano, il cui volto era perennemente coperto da una imponente maschera rituale dai colori sgargianti, ci salutò con un ampio gesto della mano. «Augh, visi pallidi con il costume da ape!» I Bracciarotte si avvicinarono per osservarci, restando rispettosamente dietro il loro capo. Un comitato di benvenuto in piena regola.

«Aaah, respirate, ragazzi...» disse Joe con aria sognante, una volta balzato giù dal carro «È il profumo della libertà!»

Jack, William ed io lo imitammo, inspirando a pieni polmoni. Improvvisamente, tutti e quattro iniziammo a tossire.

«Cos’è questa puzza?!» gemette Jack, tappandosi il naso.

«L’aria deve essere contaminata!» esclamò William, in preda al panico «Moriremo asfissiati!»

«TRATTENETE IL FIATO, BABBEI!» ordinò Joe, impallidendo.

Obbedii e cercai di trattenere il respiro il più possibile. Mi guardai in giro, allarmata, ma mi accorsi che nessuno, tranne noi, sembrava essersi accorto di nulla. «Ma… Cosa…?»

«Ehi, ma che vi prende?» domandò Averell, facendo capolino alle nostre spalle.

«Trattieni il fiato, idiota!» bofonchiò Joe «Vuoi soffocare?»

«Ma di cosa stai parlando, Joe?» chiese Averell, sbattendo le palpebre.

Lo guardai con attenzione, e il mio sguardo si posò sul piattino che teneva in mano. Era forse…?

«Averell...» dissi, con aria sospettosa «Che cosa stai mangiando?»

«Oh, questo?» domandò lui, sollevando il piatto perché potessimo vedere «Tartine al gorgonzola. Sono deliziose, volete favorire?»

«Gorgonzola?!» ripeté Joe con voce strozzata «Ecco da dove veniva la puzza!»

«Altro che gas asfissiante!» disse Jack, incrociando le braccia sul petto e lanciando un’occhiataccia al gemello.

William avvampò e gli rivolse un sorriso imbarazzato.

Cercai di trattenermi, ma quella situazione era troppo divertente, e alla fine mi abbandonai ad una fragorosa risata.

Joe, invece, era tutt’altro che che divertito. In un attimo balzò addosso ad Averell e gli strappò il piattino di mano, scagliandolo lontano.

«Ma – Il mio gorgonzola…!» piagnucolò Averell, osservando quel che restava del suo saporito spuntino precipitare al suolo.

Joe lo afferrò per la casacca a strisce gialle e nere e lo strattonò verso di sé per guardarlo dritto negli occhi. «Ascoltami bene, Averell: questa potrebbe essere la nostra occasione per scappare. QUINDI CERCA DI NON FARE COSE STUPIDE!» Mollò la presa, ed Averell cadde a pancia in giù sull’erba. «Questo vale anche per te, signorina!» aggiunse poi in tono severo, voltandosi verso di me.

Sobbalzai «Ma, Joe – Io non ho fatto niente!»

«Per ora...» borbottò lui di rimando, cacciandosi le mani nelle tasche dei pantaloni gialli «Forza, andiamo!»

Incrociai le braccia al petto, arrabbiata. Non era affatto giusto! Colpii una zolla di terra con la punta dello stivale, calciandola lontano. Ero talmente stizzita che non mi accorsi che William mi si era avvicinato.

«Dai, Niky, non prendertela… Sai com’è Joe, quando si arrabbia...» disse dolcemente, cingendomi le spalle con un braccio.

Sospirai. «Sì, lo so... È solo - … Uff, non importa. Hai ragione, non devo prendermela troppo... »

Lui annuì e mi baciò piano la fronte. «Coraggio, Pulce. Raggiungiamo gli altri»

Gli sorrisi. Impossibile non farlo. «Okay» annuii, e lo seguii docilmente fino al gruppo, sempre accoccolata al suo fianco.

«Il tour inizia da questa parte» stava dicendo Vero Falco «Seguitemi, prego...»

Mentre seguivo la fila di detenuti che si era formata dietro allo sciamano, mi guardai attorno. Non avevo mai avuto occasione di visitare davvero il villaggio dei Bracciarotte. Mi era già capitato di andarci in compagnia dei miei fratelli, ma quando si sta fuggendo da un penitenziario, nel cuore della notte e con delle guardie armate a cavallo alle calcagna, non si ha molto tempo per badare ai dettagli. Il sole splendeva alto nel cielo, illuminando i teli variopinti dei teepee e le grandi stuoie intrecciate. Un gruppetto di bambini si divertiva a rincorrere una marmotta, sotto l’occhio vigile degli anziani. Le squaw erano alle prese con il cibo, mentre i guerrieri pattugliavano il campo e si occupavano delle pelli. Chiusi gli occhi per un momento ed inspirai profondamente l’aria della prateria. Quanto mi mancava, poter stare all’aria aperta! La vita in quel piccolo villaggio sembrava un sogno: spazi aperti, niente sbarre, niente mura…

Aprii gli occhi di scatto e sorrisi. Un’idea aveva appena attraversato la mia mente, veloce ed inaspettata come un fulmine a ciel sereno. Mi guardai attorno, alla ricerca di Joe. Dovevo assolutamente parlare con lui! Quando lo vidi, il mio viso si illuminò di gioia. «Ehi, Joe!» chiamai, correndogli incontro «Joe, devo dirti una cosa!»

«Che succede, Pulce, perché ti agiti tanto?» chiese lui, guardandomi come se fossi impazzita.

«Ho avuto un’idea, Joe! Un’idea -» mi guardai intorno con circospezione, e bisbigliai «- per farvi evadere!»

Joe sgranò gli occhi. Dopo essersi accertato a sua volta che nessuno stesse ascoltando, mi prese la mano e mi attirò a sé «Sentiamo...»

«Beh, qui non ci sono né sbarre, né mura, giusto?» domandai, con un sorriso. Finalmente, avevo la sua attenzione. Finalmente avrebbe ascoltato il mio piano, avrebbe visto che non ero inesperta e imbranata come pensava. Finalmente mi avrebbe permesso di aiutarlo!

«No, non ci sono...» replicò lui, scettico.

Non mi lasciai scoraggiare. Quella era la mia occasione. «Quindi una persona potrebbe evadere facilmente da qui...»

Gli occhi di Joe si spalancarono. Iniziava a capire. «Non funzionerà mai» affermò, scuotendo la testa «Peabody non acconsentirebbe mai a lasciarci qui. E le guardie ci stanno addosso, è impossibile riuscire a scappare senza che se ne accorgano»

Scossi il capo a mia volta «Non mi riferivo a voi, Joe, ma a me»

Lui mi guardò, confuso «Che vuoi dire?»

“Ci siamo!” mi dissi, al culmine dell’emozione. “È il mio momento!” Controllai rapidamente che non vi fosse nessuno in vista, e sussurrai: «Se io decidessi di rimanere al campo, Peabody non potrebbe opporsi, dato che non sono una detenuta» spiegai, sorridendo scaltra «E con quest’aria da brava ragazza, scommetto che nemmeno gli indiani mi sorveglierebbero!» dichiarai, e sbattei le palpebre, civettuola. Per una volta, essere giovane e di bassa statura avrebbe potuto rivelarsi utile. «Sarei libera di procurarmi armi e cavalli e tornare a prendervi!»

Joe spalancò gli occhi «Non se ne parla nemmeno!»

Rimasi a bocca aperta «Ma – Credevo fosse un buon piano...»

«Lo è...» mi assicurò lui, posandomi le mani sulle spalle «È un ottimo piano. Ma non posso lasciartelo fare»

«Cosa?» esclamai, guardandolo incredula «Ma – perché?»

«Sarebbe troppo pericoloso» rispose lui, secco.

“Ah, ci risiamo!” borbottai tra me e me. La solita, vecchia storia! «Oh, andiamo Joe!» protestai «Posso farcela, dico davvero!»

Joe scosse la testa «Ho detto “no”, Niky» rispose «Sei troppo giovane e inesperta. Ti cacceresti nei guai, come al solito»

«No, invece!» insistetti, decisa più che mai a non gettare la spugna. «Posso riuscire a farvi evadere! Dammi una possibilità, ti dimostrerò che ho ragione!»

«Non insistere, Pulce» mi interruppe lui, alzando la mano per farmi cenno di tacere «La risposta è “no”»

«Questo non è giusto!» mi lamentai. Ero così nervosa che battei un piede sul terreno con quanta forza avevo in corpo. Quando si trattava di teste calde, Joe non era certo la sola, in famiglia!

«Niky, ti avverto… -!» disse Joe, in un tono che mi era fin troppo familiare.

Sapevo che sarebbe stato meglio arrendermi all’evidenza: Joe non mi avrebbe mai permesso di fare le cose a modo mio. Per i miei fratelli ero solo una ragazzina imbranata che non sarebbe mani stata in grado di cavarsela da sola. Forse avrei fatto meglio a farmene una ragione. Prima mi fossi abituata all’idea, prima avrei imparato ad accettare come stavano le cose. Ma una voce dentro di me mi gridava che quanto stava accadendo non era affatto giusto. Una voce determinata a farsi ascoltare. «Non è giusto, Joe, e tu lo sai bene!» dichiarai, raccogliendo tutto i coraggio che avevo «Voglio aiutarvi, so di potercela fare! Ti prego, dammi una possibilità!»

Il cipiglio sul volto di Joe crebbe ancora di più «Niky...-»

«Perché non vuoi nemmeno lasciarmi provare?» domandai, la voce resa insolitamente acuta dalla rabbia «Facciamo sempre a modo tuo, e ogni volta finisce male! I tuoi piani brillanti falliscono sempre, perché vuoi sempre fare di testa tua e non ascolti nessuno. Ma forse, stavolta -»

«ORA BASTA!»

Prima che potessi reagire, mio fratello si sollevò in punta di piedi e mi agguantò per un orecchio. «AHI!» esclamai, mentre una pungente quanto familiare sensazione di fastidio si diffondeva dal punto in cui le dita di Joe mi avevano afferrata, fino alla base dell’orecchio. «Joe – lasciamo andare!»

«Non se ne parla neppure!» rispose lui in tono duro e, ignorando completamente i miei tentativi di liberarmi dalla sua presa, iniziò a camminare, tirandomi dietro di sé.

«Ahio! Joe, rallenta!» borbottai, afferrandomi a seguirlo «Mi servono, le orecchie!»

«E a cosa, visto che non ascolti mai?» mi rimbeccò lui in tono di rimprovero, continuando a camminare.

Avvampai. «Dove stiamo andando?»

Non dovetti attendere una risposta: Joe si fermò di fronte al carro di legno che ci aveva portati all’accampamento indiano. «Ora tornerai sul carro, da brava, e ci aspetterai a bordo...» Mollò la presa, ed io mi affrettai a raddrizzarmi, cercando di ricompormi e salvare almeno un po’ di orgoglio. «Coraggio, obbedisci! E non voglio sentire un’altra parola, o saranno guai, signorina!»

Feci per replicare, ma perfino il mio lato più combattivo doveva aver avvertito la tirata d’orecchi di Joe. La voce che poco prima mi incitava alla rivolta, ora mi suggeriva candidamente di obbedire, se volevo godermi l viaggio di ritorno da seduta.

Mio fratello incrociò le braccia sul petto e tamburellò impazientemente con il piede al suolo. «Sono stato sufficientemente chiaro?»

«Sì, Joe...» borbottai, arrendendomi. Dopo avergli lanciato l’ultima occhiata inviperita, salii sul carro e mi raggomitolai su uno dei sedili, stringendomi le ginocchia al petto. Non appena fui certa di essere sola, mi abbandonai ad un profondo sospiro. «Non è affatto giusto...» borbottai, strofinandomi l’orecchio «Joe dà sempre per scontato che mi caccerò nei guai! Invece sarei capace di farli evadere. Eccome, se ne sarei capace!» Sprofondai il viso nelle braccia e mi strinsi nelle spalle «Gliela farò vedere io!»

 

*****     *****     *****     *****     *****

 

JOE:
 

«Quella piccola impertinente…!» borbottai a denti stretti, mentre mi allontanavo dal carro. «I miei piani falliscono sempre, eh? Ma come si permette, quella piccola peste?» Con le mani nelle tasche e la testa bassa feci ritorno dai miei fratelli a passo di carica, nervoso come non mai.

«Ehi, Joe, eccoti, finalmente!» esclamò William appena mi vide «Ti abbiamo cercato dappertutto!»

«Guarda cosa ho comprato al teepee dei souvenir, Joe!» disse Averell in tono eccitato. Prima che potessi obiettare, mi mise sotto il naso un pelosissimo cappello di castoro «Non è carino?»

«Sì, Averell. Davvero stupendo.» risposi, senza nemmeno sforzarmi di suonare convincente.

«Che succede, Joe?» domandò Jack, avvicinandosi e scrutandomi con attenzione «Sembri nervoso...»

William si guardò attorno «Ehi… Dov’è Niky?»

«Sul carro.» tagliai corto.

«Come mai?» intervenne Averell, grattandosi la testa «La gita non è ancora finita, ci sono ancora tante cose da vedere!»

«Ehm, non l’avrai messa in castigo, eh, Joe?» si informò cautamente William. Si preoccupava sempre che fossi troppo severo con lei. Ma questa volta avevo tutti i motivi per essere furioso.

Annuii. «E sarà meglio che righi dritto per il resto della giornata!» Volsi lo sguardo verso Vero Falco che, in piedi di fronte ad una grande stuoia marrone, nera e rossa spiegava animatamente qualcosa ai detenuti. «Di che sta parlando, il pennuto?»

«Una vecchia leggenda sullo spirito di uno stregone fantasma» rispose Jack, infilandosi le mani in tasca.

«Secondo i racconti, lo spirito vaga per il villaggio di notte, e rapisce i bambini che non rispettano le regole della tribù o disubbidiscono ai loro genitori» continuò William, grattandosi il mento.

«Puah, che stupidaggine!» sentenziai, annoiato, scuotendo la testa.

«Joe, io ho paura!» piagnucolò Averell, stringendo al petto il cappello di pelliccia.

«Ma piantala, imbecille» lo rimbeccai «Non crederai a questo mucchio di idiozie -?»

«Beh, devi ammettere che ne abbiamo viste di cose strane, da quando siamo al penitenziario...» mi fece notare William. In effetti, non aveva tutti i torti. Ma uno spirito malvagio rapitore di bambini era semplicemente ridicolo, anche per gli standard del penitenziario. Prima che potessi replicare, però, la voce del signor Peabody riecheggiò per tutto il villaggio.

«Bene, signori, la gita è finita!» annunciò, sventolando le braccia «Tutti sul carro, si torna in prigione!»

«Ma come – di già?» domandò Averell, evidentemente deluso.

Tra le esclamazioni di disappunto e lamentele di ogni sorta, i miei fratelli e gli altri detenuti rimontammo sul carro, prendendo posto sui duri sedili di legno grezzo.

Una volta saliti sul carro, i miei fratelli ed io ci guardammo intorno, alla ricerca di Niky. Dopo qualche istante, scorsi una piccola sagoma raggomitolata su un sedile, avvolta in una coperta. Scossi la testa: Niky doveva essersi addormentata. Mi sedetti accanto a lei e la guardai per un momento. Era riuscita ad avvolgersi a tal punto nella coperta da non mostrare nemmeno il viso. A quella vista, un pensiero si affacciò alla mia mente: prima che Lucky Luke si mettesse sulla nostra strada, i miei fratelli ed io eravamo la banda più temuta del West. Nessuno osava sfidarci, e tantomeno metterci in prigione. A quei tempi potevo tornare a casa, la sera, e rimboccare le coperte alla mia sorellina. Niky rimaneva sempre sveglia ad aspettarmi, nonostante la mamma le raccomandasse sempre di andare a dormire. E ogni volta, al mio rientro, il piccolo fagottino si liberava dalle coperte che la avvolgevano, per correre a tuffarsi tra le mie braccia. Sospirai, travolto a tradimento dalla nostalgia. Scivolai silenziosamente più vicino a Niky, e le poggiai delicatamente una mano sulla testa, carezzandola attraverso la coperta. Certo, era una peste, ma era pur sempre la mia sorellina…

«Awww -!»

«STA’ ZITTO, AVERELL!»

 

Dopo circa mezz’ora, varcammo il massiccio portone del penitenziario.

«Forza, tutti giù, è ora di cena!» annunciò Peabody.

«Cena?» domandò Jack, grattandosi la testa «È davvero così tardi?»

«Siamo rimasti al campo indiano per tutto il giorno?» si stupì William.

«Incredibile come voli il tempo, quando ci si diverte, hmm?» intervenne Peabody, facendo capolino alle nostre spalle.

«Joe, io ho fame!» si lamentò Averell. Un lungo gorgoglio proveniente dal suo stomaco gli fece da eco.

«Sì, d’accordo...» borbottai, abbandonandomi ad una lunga stiracchiata. Mi voltai verso Niky e le posai una mano sulla spalla. «Ehi, Pulce, siamo arrivati...»

Lei non rispose.

«Niky?» chiamai ancora, scuotendola con maggiore fermezza «Coraggio, svegliati, è ora di cena»

La coperta scivolò di lato, e cadde sul pavimento del carro.

Sobbalzai. «Oh, no…!»

«Che succede, Joe?» chiede Jack, incuriosito.

«No, non è possibile…!» biascicai, incapace di distogliere lo sguardo dallo sconcertante spettacolo davanti ai miei occhi.

«Cosa “non è possibile”, Joe?» domandò William, avvicinandosi.

«Hai trovato qualcosa da mangiare?» fu la domanda di Averell.

I miei fratelli montarono sul carro e si radunarono attorno a me, ed abbassarono a loro volta lo sguardo. Non appena si resero conto della ragione del mio sgomento, gemiti di disappunto sfuggirono dalle loro bocche spalancate.

Sul sedile, dove avrebbe dovuto esserci nostra sorella, era stata ammonticchiata una pila di sacchi di grano.

«Niky...» mormorai, sconvolto «Niky è sparita…!»

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > I Dalton / Vai alla pagina dell'autore: Niky_94