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Autore: elenatmnt    24/04/2023    1 recensioni
Questa ff è un ‘cosa è successo nel mentre’ della mia storia “Questo è il mio Biglietto”; era una parte che avevo lasciato un po’ all’immaginazione del lettore, sebbene avessi un’idea chiara in testa. Tuttavia, molti mi hanno chiesto di sapere ‘COSA E’ SUCCESSO?’ e ora (purtroppo per voi XD) eccola qua!
Genere: Drammatico, Generale, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo è il mio biglietto - NEL MENTRE

 


John sorrise.

 

Non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui il suo viso apparisse sereno e gentile. E nonostante tutto, andava bene così. Sherlock era vivo e lo sarebbe stato ancora per molto tempo.

Non ci fece nemmeno caso quando tutto intorno divenne ovattato, sfocato, senza alcun odore.

Ad un certo punto, qualcuno lo scosse per le spalle.

 

Chi era e quando era arrivato? Non gliene fregava niente. La vita si spense, tutto divenne buio e in quel buio, la pace.

Nel buio, lei. L’Oscura Signora.

 

“Pren…di…me…”.

 

 

***

 

 

“...oh..n..”

 

Suoni incomprensibili.

 

“John…”

 

Suoni più chiari.

 

“John svegliati. Coraggio, sei ancora nel mondo dei vivi”.

 

Suoni limpidi.

 

Una voce conosciuta risuonò alle sue orecchie, ancora prima di aver aperto gli occhi; non restava che farlo. La luce acuminata attraversò le iridi azzurre di John, troppo tempo chiuse nel buio dell’oblio.

Flebo di soluzione fisiologica collegata alla mano destra, sacca di sangue nel braccio sinistro, mascherina d'ossigeno sul volto; con il passare dei secondi, il dottore prese maggior coscienza di dov’era e di chi ci fosse con lui.

 

“My…” il fonema che ne uscì fu appena un sibilo ovattato “My…croft…”.

 

L’uomo con l’ombrello gli era seduto accanto con la solita espressione impassibile e che, a modo suo, lo incoraggiava a svegliarsi.

 

John Watson si prese ancora qualche istante prima di formulare la domanda che si era fatta strada nella sua mente confusa; con un movimento lento e stanco, si abbassò la mascherina dal viso e guardò Mycroft negli occhi.

 

“Watson, non credo sia una buona idea…”

“Dov’è Sherlock?” lo interruppe. Sebbene la sua voce fosse debole, la determinazione di John era più salda che mai.

Mycroft sorrise ironico, poteva significare mille cose ma a John non importava, bramava solo una risposta.

 

“Immaginavo che questo sarebbe stato il tuo primo pensiero; Sherlock è vivo, grazie a te”.

 

L’ex soldato tirò un tale sospiro di sollievo che fu più rumoroso delle sue precedenti parole.

 

“Suppongo di doverti ringraziare, senza di te mio fratello sarebbe sicuramente morto”. Mycroft si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza.

 

“I dottori mi hanno raccontato com’è andata. Mi hanno detto che per questioni morali, data la sua passata dipendenza, Sherlock era esonerato da eventuali trasfusioni di sangue così hai deciso di fare di testa tua, mettendo in atto un’idea sconsiderata”.

 

“Non era sconsiderata, era geniale” John tentò una blanda battuta e sorrise sghembo.

 

“Sherlock non poteva ricevere sangue, ma tu sì. Il tuo piano si basava sulla speranza che i dottori sfondassero la porta in tempo per salvarti e darti il tempo di dare la giusta quantità di sangue a Sherlock, giusto?”. Non attese una risposta, “se siamo qui a parlare e mio fratello sta bene, posso dire con certezza che la tua idea sconsiderata ha funzionato”. Mycroft ammise indirettamente che effettivamente quella fosse stata un’ottima idea; John gli rivolse solo uno sguardo compiaciuto. “Ad ogni modo mi incuriosisce sapere perché hai rischiato di morire dissanguato, pur di salvare la vita di Sherlock. Una domanda attanaglia la mia mente da qualche tempo, cosa provi per lui John?”.

 

Quella domanda arrivò pungente come un secchio di acqua ghiacciata; cosa provava veramente John per Sherlock?

Senza il detective, per due anni, John Watson aveva quasi mandato a puttane la propria moralità e la propria dignità; aveva allontanato tutti, si era abbassato a fare le peggiori azioni inumane. Prostitute, risse, violenza erano diventati il suo pane quotidiano e tutto perché aveva perso Sherlock.

 

E già, a questo punto doveva fare i conti con sé stesso. Cosa provava veramente per Sherlock?

 

“Quanto tempo sono stato incosciente?” ignorò volutamente la domanda del maggiore degli Holmes.

 

Un secondo sorriso beffardo si fece strada sulle labbra dell’elegante inglese, comprendendo l’intenzione del malato di cambiare discorso.

 

“Circa ventiquattro ore. Ora se non ti dispiace, rispondi alla mia domanda”.

 

“Amicizia” disse immediatamente.

“Amicizia?”.

“Già. Peccato tu non sappia cosa sia. Perché tu non hai amici, vero?”.

“Hai colto nel segno Watson, io non ho amici. Tuttavia, dubito fortemente tu abbia rischiato, e per poco non ci riuscivi, di morire per semplice amicizia”.

“Se voglio bene a Sherlock come fosse mio fratello, a te che importa?”.

“Come un fratello?”.

“Cosa c’è? Non mi dirai che sei geloso”.

“No, tutto il contrario. Sono felice che il mio fratellino abbia qualcuno su cui poter contare. Io e lui abbiamo un rapporto, come dire, un tantino controverso. Non per questo non lo amo. Io gli voglio bene, solo che lo dimostro a modo mio e i miei modi non sono mai stati graditi da Sherlock”.

 

John fu sorpreso di vedere Mycroft spingersi oltre i suoi limiti, una tale dichiarazione di affetto era qualcosa che andava ben oltre il concetto del possibile.

 

“Cosa ci fai qui Mycroft?”. L’ex soldato andò al dunque, cercando di cancellare quella conversazione che stava prendendo una piega fastidiosa per i suoi gusti. Non voleva tornare alle illazioni di poco prima.

 

“Mi stavo semplicemente assicurando che stessi meglio. Sono certo che sarai il suo primo pensiero quando si sveglierà. Per quanto non sappia nulla della tua azione eroica...”.

 

“No! Gli dirai che sono morto”.

 

La frase che uscì dalle labbra di John, per Mycroft fu come una ventata d’aria gelida.

 

“Come prego?”.

“Tu sapevi che Sherlock era vivo?”.

“Si”.

“Chi altri?”.

“La signorina Hooper e alcuni senzatetto”.

“Invece io come un idiota sono stato lasciato fuori”.

“Mi dispiace John, ma è stata una decisione di Sherlock, per proteggerti”.

 

John strinse i pugni, fino a sentire l’ago fargli male. Era felice che Sherlock fosse vivo, ma la rabbia tornò rovente a scorrere nelle sue vene. Non era giusto, Sherlock lo aveva fatto soffrire come un animale in cattività e conoscendolo avrebbe fatto passare la questione come qualcosa di nessuna importanza. Avrebbe preso quei due dannati anni di dolore e li avrebbe trasformati in cenere, lasciando nell’anima di John la puzza sgradevole del fumo di resti di una battaglia durata due lunghi anni.

No, non lo poteva accettare.

Per una volta, per una sola misera volta, Sherlock doveva capire e per farlo doveva provare quel dolore sulla propria pelle.

 

Vendetta? Forse. In fondo, perché no.

 

John Watson era una persona buona e pacata; ma anche un agnello sa trasformarsi in lupo e John lo era diventato. Tutto quel tempo senza Sherlock, con l’immagine di lui che si gettava da un tetto, lo avevano trasformato in una bestia.

 

 

John sentì un improvviso calore e senso di nausea, qualcosa nel suo corpo non andava e gli mancò l’aria. Mycroft subito si accorse del repentino malore di John e gli si avvicinò.

 

“Che succede John?”.

“O…Ossi…geno…” rantolò il dottore a fatica.

“Ti avevo detto che non era una buona idea toglierti la mascherina” lo rimproverò saccente Mycroft, mentre gli rimetteva l’oggetto sul viso. “Su fai dei bei respiri profondi, io vado a chiamare qualcuno”.

 

Fece a malapena un passo che si sentì bloccato dalla stretta impetuosa di John sul suo braccio. Tutta la sua determinazione sfociava nella sua mano.

 

“N…no… Aspetta…”.

 

Mycroft non capì il motivo del gesto, per cui la curiosità prese il sopravvento e tornò a riporre l’attenzione sul dottore.

 

“Cosa c’è?”.

“Sher… Sherlock non deve sapere che sono vivo” affermò a fatica lasciando la presa su Mycroft, ormai aveva tutta la sua attenzione.

“Perché?”.

“Perché se lo merita...”.

“Ascoltami Watson, non voglio fare l’avvocato del diavolo, devi capire che...”

“Me lo... devi... Mycroft!” non era un grido, tutt’altro, erano parole pronunciate a fatica, ma alle orecchie dell’Holmes arrivarono forte e chiaro.

Dopo qualche istante di respiri profondi, John si tolse nuovamente la mascherina dal viso, ciò che aveva da dire era di fondamentale importanza e di certo non voleva apparire come un debole, stava parlando il soldato in lui “mi devi... un favore, lo sai” pronunciò solenne, con tutta la sua dignità.

 

Sì, lo sapeva.

Mycroft sapeva che il suo silenzio aveva contribuito a rendere la vita di John un inferno e sapeva che John era l’angelo custode di suo fratello, senza dubbio questo lo rendeva più che debitore nei confronti di Watson e da buon inglese, non poteva sottrarsi a questo dovere morale.

 

“Cosa vuoi che faccia?” disse serio, fissando John dritto negli occhi.

“Digli… che sono morto”.

 

Il maggiore degli Holmes rimase esterrefatto, non se lo aspettava.

 

“Vuoi vendicarti?”.

“No, voglio che capisca… voglio che capisca quanto faccia male”.

Alcuni secondi di silenzio resero ancora più enfatiche le parole del soldato.

 

“Credi che capirà?”

 

John sorrise amaramente. E se la vista non lo aveva ingannato, Mycroft poteva giurare che gli occhi di Watson si fecero rossi quasi in procinto di piangere, ma non accadde; il suo sguardo fu più chiaro di mille parole. Quello di John era l’ultimo atto di uno stronzo, era l’ultimo gesto sadico del Mr Hyde che era diventato; Sherlock doveva vederlo con i propri occhi.

“Sai che non mi crederà mai” affermò sicuro Mycroft, cambiando argomento; vedere piangere John era l’ultimo dei suoi desideri.

“Crederà a me”.

 

Mycroft lo guardò incuriosito e incerto.

 

“Dove sono i miei vestiti?”.

“Sono nell’armadio” lo indicò.

“Nei miei pantaloni c’è un biglietto, lo avevo scritto nel caso fossi morto. Daglielo, mi crederà”.

 

L’uomo fece qualche passo verso l’armadio e recuperò il pezzo di carta a cui John si riferiva.

 

“Posso leggero?”.

“Fai come ti pare”.

 

Ciao Sherlock, se stai leggendo questo biglietto significa che sono morto.

Ho provato a fare del mio meglio, a voltare pagina, a ricominciare a vivere; ma non ci sono riuscito. La verità è che sono un vigliacco e senza di te non ero niente. Non fare il mio stesso errore, vivi.

Goditi la vita in ogni piccolo dettaglio che sai cogliere, gioisci delle piccole cose, perché è in esse che risiede la felicità.

Come vedi, questo è il mio biglietto. È così che fanno le persone, giusto?

Addio Sherlock.

JW.

 

 

“Sì. Ti crederà”. L'espressione di Mycroft era indecifrabile, non era chiaro se fosse dispiaciuto o triste o indifferente; se c’era qualcosa che il maggiore degli Holmes sapeva fare, era nascondere i propri sentimenti.

 

“Mi giuri che lo farai?”.

“Hai la mia parola”.

 

John sembrò rilassarsi nell’udire quel giuramento.

L’uomo si avvicinò con fare deciso a John, conservò con cura il biglietto in una tasca e appurò alcuni dettagli di quella faccenda prima di andare via.

 

“Farò trasferire Sherlock in Baker Street, così tu avrai tutto il tempo di riprenderti e non starete nello stesso edificio. Parlerò di questa questione con la signorina Hooper, in modo tale che diventi anche tua complice e sarete pari. Lei non ti dovrà nulla”.

 

Mycroft, in un gesto quasi spontaneo rimise la mascherina sul volto di John e con fare lesto si avviò verso la porta per andarsene, non prima di aver recuperato il suo ombrello. Tuttavia l'irrefrenabile sensazione di dire un’ultima cosa lo fermò sulla soglia della porta.

 

“Sai John, ti sono sinceramente grato per la tua presenza nella vita di mio fratello. E capisco perché tu voglia mettere in piedi questa messa in scena, vuoi solo sapere se mio fratello ti ama. Bhe sì, ti ama John, come tu ami lui. Amore fraterno, amore di coppia, amore di qualsiasi entità, chi se ne importa. Vi amate e questo è quanto. Mi rende felice sapere che, qualsiasi cosa accada, ci sarai tu a vegliare su mio fratello. Per cui, John, grazie”.

 

Non permise nessuna risposta, con fare veloce, Mycroft uscì dalla stanza. Avrebbe mantenuto la sua parola.

 

Cosa provasse, John non lo sapeva. Prima o poi avrebbe fatto i conti con sé stesso e forse avrebbe trovato le risposte che tanto desiderava.

Se non altro, finalmente poteva piangere in pace.

 

   
 
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