Videogiochi > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: Teony    25/04/2023    1 recensioni
[Elden Ring]
Quando si viene a conoscenza della malformazione di Miquella, Malenia comprende che Leyndell non sarà più la loro casa.
Stralci della vita dei due gemelli prodigio, prima di fondare l'Haligtree
.
[...]Casa, per lei, è dove c’è Miquella.
Che sia un vicolo, un bosco, una riva di un fiume.
Casa era la stanza del gemello, nel momento in cui, al giungere della notte, sgattaiolava per i corridoi e s’infilava nel suo letto di nascosto.
Casa era diventata la sua stessa camera, quando lui, di punto in bianco aveva deciso di rivelare l’unico segreto che si era venuto a creare fra loro due, incrinando ancor di più il legame di lei con tutto ciò che era Leyndell. [...]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Incest
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Midnight Games


La verità è che Malenia è da sempre stata consapevole di guardare il suo gemello in uno specifico modo. Lo osserva come non dovrebbe. L’ha sempre saputo, che il suo petto vibrava, nel prendergli la mano, nel poter giocare con lui, nel potergli dormire affianco, senza che nessuno avesse motivo di separarli.
Ed ogni gioia di Miquella è sempre stata anche la sua, ogni sorriso, ogni iniziativa, ogni segreto. Sarebbe capace di tutto, pur di poter ascoltare la sua voce per sempre.
Ciò che prova, anche solo nel poterlo affiancare, è nettamente diverso da quel che percepisce per Godwyn, ma rabbrividisce, nel momento in cui qualcuno glielo sottolinea implicitamente.
«Voi due siete davvero inseparabili.»
Il loro fratello maggiore aveva spesso scherzato su questo ed ogni volta Malenia aveva desiderato sparire dall’esistenza o sotterrarsi in qualche fossato distante anni luce dall’Albero Madre. Miquella, come se ciò non bastasse, era solito rigirare il dito nella piaga, sottolineando con un soffice sorriso sulle labbra e la voce più pacata e consapevole possibile che è assolutamente vero.
La verità è che hanno da sempre giocato troppo, ad essere come un’entità singola, ingiustamente divisa, eppure ad entrambi è sempre piaciuto così.
Miquella è la mente, lei è il corpo.
E separarli è solo una brutale violenza, o almeno per Malenia lo è sempre stato, sin dalla prima volta in cui una decisione più drastica ha voluto sottolinearle che, di fatto, un simile scenario può accadere. Da quando non hanno più potuto dormire insieme, nello stesso letto, perché in fase di crescita ed il vedersi privata così drasticamente della compagnia fisica di suo fratello, dei suoi ritmi, del suo respiro dormiente sul collo, delle loro confidenze, dei loro ingenui scherzi, prima di scivolare nel sonno, era stato per lei come il sentirsi staccare un arto di netto.
Non aveva opposto alcuna resistenza per il semplice fatto che Miquella aveva aderito all’idea senza troppo controbattere ed in fin dei conti, per quanto le pesasse ammetterlo, lei stessa sentiva che era meglio così.  Perché al suo sviluppo fisico si aggiungevano gradualmente sensazioni più nitide a quelle provate in passato, nel vederlo cambiarsi davanti a lei senza inibizione, nel poterlo stringere nel letto, nel solleticarlo a mo’ di gioco.
Non ha mai avuto il coraggio di chiederglielo: “Cosa provi, quando ti sfioro la pelle, quando ti bacio sulla guancia, quando ti accarezzo le mani, quando ti guardo intensamente per lunghi minuti e non riesco a smettere?” ma lui non le ha mai lasciato intendere che quell’ingenuo toccarsi, stringersi, fissarsi, lo ha mai infastidito.
Ad entrambi è sempre piaciuto prendersi cura dell’altro, anche a costo di escludersi dalla realtà circostante per un po’. Specialmente quando la malattia aggrediva Malenia con maggiore impeto, obbligandola a letto con spasmi di dolore. Era in quelle occasioni che Miquella tentava di tagliare fuori il mondo, si rinchiudeva nella stanza con lei, le stringeva saldamente la mano e le prometteva che avrebbe studiato anche di più, si sarebbe impegnato al massimo, sarebbe stato disposto a liquefarsi su quei libri, pur di scoprire un modo di guarirla.
Perché dev’esserci un modo.
Anche se Radagon non lo crede possibile, anche se a Marika non interessa che ne sarà di lei ed anzi, probabilmente la ucciderebbe, nel caso lei fosse vicina ad ascendere come Dea della Marcescenza, anche se Godwyn non sa come aiutarla.
Ma c’è una cosa che Miquella non ha ancora capito di lei: il solo poterlo guardare, il poterlo sentire così vicino, il vederlo disperarsi, piangere, struggersi per lei, perché dilaniato dalla paura di perderla, è sempre stato la sua più efficace medicina.
«Non c’è nulla che mi renda più felice del restarti affianco» gli aveva detto una volta, appena gli spasmi di dolore le avevano concesso un attimo di tregua.
«Allora non morire» le era stato ordinato in risposta, da quella voce che vibra come nessun’altra è capace di fare. Tremava, perché timoroso di perderla. «Resisti per me, perché io non ho intenzione di lasciarti andare.»
Miquella.
Il suo caro gemello, colui che è a lei più simile, eppure completamente opposto.
L’ultima ed unica speranza della stirpe di Marika, il bocciolo meglio riuscito, il più perfetto, il più glorioso e per questo il più amato.
Malenia, per quanto così vicina a lui, così intenzionata a restargli ancorata addosso, pur di non perderlo di vista, ha notato come una distanza tendeva a frapporsi tra loro.
Perché lui era luce, guida, ispirazione, per Leyndell, come per l’intero Interregno.
Lei era la sua ombra malriuscita, cosa di cui, non fosse per la marcescenza, neanche si cruccerebbe.
Miquella è ispirazione per gli altri, da sempre. Ma in molti non sapevano che è anche un eterno ed indomabile ribelle, inafferrabile, sfuggente, indecifrabile. Ed è anche per questo che Malenia ha temuto di non sapergli stare al passo.
Se dovesse perderlo, cosa rimarrebbe di lei?
Godwyn l’ha forzata a chiederselo, in passato. Durante una delle trasgressive cavalcate per l’altopiano, oltre le mura della capitale. Era stato Miquella a chiedere loro di evadere da Leyndell, con il suo tipico modo di fare a cui non ci si può proprio opporre. «È stata una giornata intensa per noi tutti, dovremmo concederci un breve momento di svago, non credete?» ed eccola la sua arma letale: sorriso mesto, eppure velato da una nota malandrina, sopracciglio destro inarcato verso l’alto ed occhi sprizzanti di ribelle entusiasmo.
«Un giorno andrai via» le aveva detto Godwyn, appena il più giovane prodigio dell’Ordine Aureo era partito a galoppo su Torrent, come se travolto da un istintivo brio di libertà. Il tono del fratellastro le era risultato velato da profonda malinconia, ma anche chiara consapevolezza.
«Non capisco cosa tu intenda» era stata pronta a rispondergli, eppure il petto aveva preso a batterle all’impazzata. «Dove dovrei andare? Leyndell è casa mia» si era sentita in dovere di aggiungere, incapace se stesse affermando il vero o piuttosto cercasse di convincere se stessa.
Lo aveva sentito sospirare, abbozzando un sogghigno. «Anche se Miquella decidesse di partire?»
Aveva trattenuto il fiato, come se pronta a resistere ad una percossa. «Lui non vorrebbe mai andarsene.» Non ne avrebbe motivo. La capitale lo adora, Marika lo ha già accettato come suo legittimo erede e le sue doti sono a tal punto incredibili che l’Ordine Aureo non può far altro che chinarglisi di fronte. Alle volte Malenia ha la sensazione che venerino più lui di Radagon stesso.
Non c’è motivo per cui debba andarsene.
«Sai, oggi ha minacciato di lasciare i Fondamentalisti.»
Lei aveva sgranato gli occhi. In un istante aveva percepito il timore di vedere ogni sua stabilità e certezza ridotta in polvere ed il dubbio di vederlo sparire si era fatto brutale. La notizia non era stata tanto dissimile dal ricevere uno schiaffo in pieno viso. «Perché mai…?»
Aveva potuto leggere la risposta sulle sue labbra, prima che Miquella li invitasse a raggiungerlo.
Malenia aveva guardato verso Est, dove poteva osservare la sagoma del suo nobile gemello in controluce: una matassa di lunghe ciocche d’oro al vento, cornici di un gracile corpo, eppure schiumante di pericolosa energia. Sorrideva, fiero, impavido, libero, felice. Era percepibile che non temesse neanche per un istante la conseguenza della loro momentanea fuga da Leyndell e la punizione che li avrebbe attesi al ritorno. Eppure l’amara notizia aveva permesso a Malenia di cogliere in quel viso sereno una nota stonata: profonda disillusione, verso in tutto ciò che è sempre stato spinto a credere come verità assoluta, verso ogni realtà conosciuta.
«Per te» aveva mormorato Godwyn e lei si era congelata sul posto. La discussione era finita lì, perché anche lui era partito a galoppo, lasciandola indietro, confusa, eppure vergognosamente felice.
 
Il primogenito della stirpe di Marika aveva avuto ragione da sempre, nello spingerla ad accorgersi che non percepiva Leyndell come la sua vera casa.
Casa, per lei, è dove c’è Miquella.
Che sia un vicolo, un bosco, una riva di un fiume.
Casa era la stanza del gemello, nel momento in cui, al giungere della notte, sgattaiolava per i corridoi e s’infilava nel suo letto di nascosto. Capitava spesso quando l’ansia la coglieva impreparata. La sensazione che la malattia si stesse propagando al suo interno le imponeva di cercare il suo saldo aiuto e gli si stringeva addosso, provando un dolce piacere nel percepire il suo calore.
Casa era diventata la sua stessa camera, quando lui, di punto in bianco aveva deciso di rivelare l’unico segreto che si era venuto a creare fra loro due, incrinando ancor di più il legame di lei con tutto ciò che era Leyndell.
«Ho lasciato l’Ordine.»
La voce si era sparsa in fretta, a tal punto che nella capitale non c’era uno solo che non ne fosse già informato. Lei stessa sapeva, ma il sentirlo dire direttamente dalle sue labbra faceva un effetto inconsueto, quasi innaturale.
Gliel’aveva riferito solenne, con una coscienza che mai lei sarebbe stata in grado di dimostrare. Una parte di lei era ferita dalla sua così drastica decisione, perché sapeva che Radagon non l’avrebbe più guardato con gli stessi occhi e Marika avrebbe smorzato ancor di più l’attaccamento nei confronti dell’unico figlio che ancora accettava. Non voleva che Leyndell lo accusasse di presunzione o fosse oggetto di alcun tipo di calunnia.
Forse le era sfuggita una lacrima incontrollata, perché lui le si era subito avvicinato, le aveva cinto il collo e l’aveva abbracciata con forza.
Quello era stato il primo momento in cui si era accorta di essersi fatta un po’ più alta di lui, anche se non ci aveva dato peso, non era importante. Lo aveva stretto a sé timidamente, percependo ancora, con amaro imbarazzo che la sua vicinanza la inebria.
Il suo odore, il suo respiro, la sua pelle.
«Immagino tu abbia risentimenti, per questo. Come tutti gli altri.»
Aveva scosso il capo con forza. «Non potrei mai e poi mai detestarti. Qualsiasi scelta farai, io sarò dalla tua parte.» e gli aveva accarezzato i capelli. Le è sempre piaciuto farlo, poter affondare le dita tra le sue folte ciocche d’oro. Un lato di sé glieli invidia ancora, perché essi sono il chiaro segnale di quanto lui sia un legittimo figlio della regina Marika l’Eterna.
Malenia, invece, è maledetta: dai giganti e dalla marcescenza. Ed è anche per questo che non ha mai sentito di avere davvero un posto nella famiglia reale di Leyndell.
Lei non è come Godwyn, che per quanto anch’egli non è più accettato dalla loro madre, continua ad essere stimato ed amato nella capitale degli eroi.
E lei non è certo come Miquella.
Lei combatte, ma senza aspettative per se stessa. Ha sempre avuto il fine di permettere al suo caro gemello di riuscire dove Godwyn ha fallito, senza che i figli di Rennala potessero interferire.
L’aveva pensato tante volte: Quanto sarebbe bello se ci fosse lui, al posto di Marika. Ma in quel momento aveva ben inteso che un simile sogno era già in polvere. Aveva momentaneamente perso la ragione per cui combatteva, non poteva giustificare la sua presa di posizione come guerriera a servizio di Miquella, se non la semplice ed inconfessabile ragione del volergli stare affianco.
Lo aveva stretto più forte e nel medesimo modo lui aveva ricambiato. Aveva percepito la consistenza dei suoi capelli sugli avambracci. Ad entrambi il cuore batteva frenetico, per quanto, sicuramente, per motivazioni ben diverse.
Poi Miquella si era ritratto, le aveva accarezzato il viso, poi aveva abbassato gli occhi. Era all’apparenza sereno, ma lei era riuscita a cogliere dell’amarezza nel suo sguardo. «Non sono stati in grado di darmi le risposte che cercavo» le aveva detto. «Non ho più motivo di restare con loro.»
«E se cercassero di costringerti a rimanere?»
«Non possono obbligarmi» nel dirlo era stato a tal punto fermo, che Malenia non aveva dubitato fosse vero.
E poi quella domanda, che aveva cercato di trattenere sino all’ultimo, le si era formulata spontanea sulle labbra. «Perché?» il suo era stato un tremito di voce. «Perché hai deciso di andartene?»
In realtà, aveva temuto di sentirgli dire la stessa risposta rivelatale da Godwyn. Nel caso le avesse detto le stesse identiche due parole, lei avrebbe confessato ogni cosa, gli avrebbe rivelato ogni sentimento provato ed a stento represso, avrebbe ammesso a se stessa e a lui che anche solo respirare, lontano da lui, le diventa impossibile.
Miquella aveva abbassato gli occhi, aveva stretto le labbra, prima di sfregarsi le dita. Era chiaro che non volesse risponderle. Pareva temesse che quella verità fosse troppo dolorosa, per essere pronunciata. Aveva esitato, anche quando Malenia si era fatta più insistente.
«Non è necessario che tu lo sappia.»
«Invece è fondamentale» era stata pronta a ribattere.
Lo aveva visto ritrarsi, poi voltarsi di lato, come se timoroso che lei potesse cogliere la risposta anche solo guardandolo negli occhi. Era stato uno scatto ingiustificato a farla agire come mai si sarebbe aspettata da se stessa. Era stato forse un inspiegabile timore di perderlo o la pura e semplice necessità di eliminare per sempre il cocente dubbio, che le vorticava nella mente da settimane.
“Lui tiene a te, tanto quanto tu tieni a lui.”
È innamorato di te, Malenia.
Come tu sei innamorata di Miquella.
Nati dalla regina Marika e la stessa sostanza che la compone e forse destinati a ricongiungersi nella stessa,
Gli aveva afferrato il polso, lo aveva stretto a sé con forza. Erano così vicini dal poter percepire il suo cuore batterle contro lo sterno ad una celerità inaudita.
Aveva avvertito un tremito, nel sentire le forme di lui pressate contro di sé: era una sensazione piacevole, invitante, dolce, eppure velenosamente pervasiva, che l’aveva posta in imbarazzo. E d’improvviso era giunta persino a dimenticarsi della loro discussione, non le importava.
Le importava solo di quanto le labbra del suo gemello la stavano richiamando, come a voler essere salutate da una sua carezza: una dolce carezza protratta sino alla fine dei tempi.
Ma l’attimo di sospensione era stato brutalmente rotto, perché Miquella era tornato a parlarle. Gli occhi gli si erano fatti lucidi, nel fissarla e quel che aveva deciso di rivelarle le era risultato come una pesante condanna a morte: «Non esiste alcuna legge, nell’Ordine Aureo, in grado di guarirti.»
Buio.
Ecco cosa le era parso di vedere innanzi agli occhi, nell’apprendere l’amara verità: un istante di puro nulla, in cui la vista ha rifiutato di funzionare.
Malenia lo aveva lasciato andare di getto, si era fatta indietro, si era seduta sul letto e lo sguardo le si era ancorato semplicemente in avanti. «Allora morirò.»Si era ammirata in quel momento, aveva dimostrato un’incredibile fermezza e distacco, da quelle parole, forse perché non riusciva davvero a concepirle o forse perché pensava che, in fin dei conti, era meglio così. Malenia non è necessaria. Non è necessaria per nessuno.
Ma Miquella si era lasciato sfuggire un singulto, prima di abbracciarla di nuovo. «No!» e l’aveva stretta con forza. «Io troverò un modo. Dev’esserci un modo.»
«L’Ordine Aureo detiene le leggi del mondo, se non c’è nulla, in esso, che mi consideri, allora non c’è soluzione» aveva sostenuto, atona, nell’incrociare di nuovo il suo sguardo.
«Se l’Ordine Aureo non è in grado di aiutarti, io creerò un nuovo Ordine» il suo non era stato un semplice sfogo blasfemo, ma una convinta sentenza, che quasi suonava di minaccia.
«Ma cosa stai dicendo?» se qualcuno avesse udito le sue parole, la morte sarebbe stata l’ultimo dei suoi problemi.
«Io ti guarirò, sorella mia. E se per farlo mi è richiesto l’impossibile, allora io farò l’impossibile.» era stato così fermo nel dirlo, che lei non aveva saputo recriminare. Era rimasta immobile, congelata sotto il suo abbraccio, col suo viso ad un’esigua distanza. Chiunque l’avrebbe tacciato come pazzo, ciarliero, esagerato, arrogante; Malenia, invece, si era sentita scottare con nuova speranza.
Era stato un pensiero elaborato a bruciapelo a spingerla ad un nuovo atto istintivo.
Miquella era disposto a tutto, per lei.
Si era avventata sulle sue labbra di scatto, tirandolo a sé dalla nuca. Era stato un semplice bisogno fisico a farla agire in quel modo e si sarebbe sciolta, sotto quel tocco, se fosse stato possibile. Il contatto con la sua bocca le era apparso come l’aver toccato con mano una sacrilega eppure afrodisiaca verità. Aveva avvertito il suo respiro di miele sospendersi di scatto, per via del gesto improvviso.
Non avrebbe dovuto, Malenia lo sapeva bene, e per questo si era ritratta subito, coperta di vergogna. «Scusami. Non so cosa mi sia preso.» eppure non aveva rimpianto di avergli strappato quel bacio immorale neanche per un istante.
Miquella l’aveva fissata scettico, prima di battere le ciglia e menare un’occhiata all’uscio della stanza.
Era stato subito dopo che le si era avvicinato all’orecchio. Nel sentire il suo fiato carezzarle l’udito, senza alcun filtro, mentre pronunciava l’ultima cosa che aspettava di sentirsi dire, la giovane Semidea non aveva potuto proibirsi di fremere.
«Possiamo dormire insieme, stanotte.» Si era fatto indietro. «Come in passato.»
Malenia aveva sentito il volto infiammarsi, per quanto non riusciva davvero a motivarsene la ragione. «Ma… se ci scoprissero? Nostro padre è restio a riguardo.»
«Non lo saprà nessuno. Stanno già dormendo tutti.»
All’epoca lei non era in grado di comprendere come lui potesse esserne così certo, ma si era fidata, specialmente perché il gemello l’aveva incalzata ancora. «Non voglio vederti svanire, Malenia.»
Quella notte non era stata come le altre, non solo, per lo meno; ma lei era stata in grado di capire perché Radagon avesse tenuto a separarli. Perché nell’infilarsi entrambi tra le coperte, qualcosa aveva assunto una nota decisamente diversa.
Rispetto a quando erano bambini.
Una nota che non era stata in grado di spiegarsi, per quanto Miquella si fosse semplicemente scostato come in passato, sul lato del letto, per lasciarle spazio.
Le era venuto naturale abbracciarlo, sentirne il suo delicato odore. Si erano guardati, intrecciando le dita. Era passato troppo tempo, dall’ultima volta in cui avevano potuto fissarsi in quel modo, poggiati sul cuscino, nella penombra della notte, illuminata dagli ampi rami dell’Albero Madre.
Oro.
Tutto è oro quando si tratta di Leyndell, della Volontà Superiore, della famiglia reale.
Tutto è oro, quando si tratta di Miquella.
Si sente così diversa da lui, per quanto condividano i tratti del volto, il colore dell’iride ed il sangue. Per quanto lui sia parte di lei e lei parte di lui. Non ha l’impressione di guardarsi allo specchio, nel poterlo osservare. Piuttosto vede una proiezione più perfetta di se stessa o come sarebbe dovuta nascere, per essere accettata da Marika.
Non prova invidia nei suoi confronti, né il rimorso del non essere al suo posto, perché una vita senza Miquella è una vita insensata e vuota.
E con questi medesimi sentimenti gli aveva accarezzato una guancia, lo aveva visto sorridere con dolcezza. Forse erano stanchi entrambi, per la giornata appena trascorsa, eppure avevano parlato a lungo, spinti dal desiderio che quella notte non finisse mai: sugli allenamenti di Malenia, sulle folli imprese di Godwyn con il suo singolare amico Fortissax, sulle interminabili e stressanti ore di studio di Miquella, sorvegliate da un padre che gli riservava una particolare attenzione. E quando non avevano avuto più niente su cui discutere o ridere, erano tornati a fissarsi.   
E quel desiderio di baciarlo ancora era tornato a tallonare la semidea con insistenza. Forse sarebbe stato meglio per lei voltarsi dall’altro lato del letto ed imporsi di dormire, ma l’idea non l’aveva sfiorata neppure. Piuttosto, pur di tenere a freno il sacrilego impulso, si era decisa ad agire in un modo ben più infantile: anch’esso, tuttavia, aveva assunto ben presto note del tutto differenti rispetto al passato.
Aveva aggredito Miquella d’un tratto, solleticandogli i fianchi, con un sorriso provocatorio e lo aveva visto reagire all’istante.
Quanto le è sempre piaciuto sentirlo ridere. Quanto le era piaciuto sentirlo ridere anche allora, mentre si dimenava convinto e la supplicava di lasciarlo andare, col respiro contrito. Era stato in quel momento che si era accorta di quanto il corpo di lui la attraesse, quanto le piacesse vederlo muoversi subito sotto di lei, reattivo ad ogni suo stimolo. Aveva raggiunto quella particolare consapevolezza gradualmente, col protrarsi dell’ingenua ed infantile provocazione e poi si era fermata, permettendogli di riprendere fiato. Non si era neanche accorta di come si era posizionata d’istinto fra le gambe divaricate del gemello, in ginocchio, mentre Miquella ansimava, supino sul letto, con gli occhi punti dalle lacrime, per le troppe risa.
Una sensazione unica l’aveva solleticata di un inusuale piacere e l’aveva obbligata ad arrossire d’imbarazzo: avvertiva ogni pulsazione concentrarsi tra le sue gambe, fremente di un istintivo desiderio. E con la stessa naturalezza, lo sguardo le era scivolato lungo tutto il corpo del gemello, contemplandoglielo come mai aveva fatto prima. Aveva desiderato scoprirgli il petto, senza che ne comprendesse la ragione, aveva sperato in segreto che quella stupida camicia da notte sparisse e le permettesse di vederlo davvero.
Lui non aveva cercato di richiamare la sua attenzione, eppure si era portato una mano al petto ed aveva stretto maggiormente le gambe, come se in grado di cogliere ogni pensiero di lei. Quella sua reazione era bastata a spezzare di netto il vergognoso attimo di contemplazione, così che Malenia era tornata a guardare Miquella negli occhi. Percepiva il corpo bollire confuso, eppure aveva provato a smorzare la sospesa atmosfera. «Soffri ancora il solletico.» ma il gemello era tornato a tingere le note di quella notte con toni tutt’altro che infantili, che fosse voluto o meno. «Puoi baciarmi ancora, se vuoi.» era stato il suo sguardo, persino più delle sue parole a pietrificarla, col cuore in gola.
Lei sapeva che non avrebbe dovuto.
Eppure era tornata sulle sue labbra, prima cauta, come se intimorita di vederlo svanire. Poi, più decisa.
Erano state semplici carezze, fra le loro bocche, che iniziavano a conoscersi come mai avrebbero dovuto fare. Erano soffici e piccoli baci, inibiti da un ignoto inspiegabile, ma protratti svariate volte a causa del desiderio.
«È solo un gioco… non devi sentirti in colpa» le aveva mormorato Miquella sulle labbra, anche se lei aveva avuto l’impressione che stesse cercando di convincersi lui stesso, delle proprie parole. «È solo un gioco.» aveva ripetuto ancora, quando Malenia aveva avvertito come una scarica di adrenalina aggredirla, nell’accarezzargli ancora le labbra, nel poter percepire il suo fiato. Gli si era stesa al di sopra, fra le sue gambe divaricate. Ed ora poteva percepire chiaramente ogni sua forma. Si era chiesta se lui fosse in grado di avvertirla nello stesso modo, se anche lui sentisse quell’insolita eppure assuefacente sensazione brulicargli nel basso ventre. Lei stessa aveva l’impulso di aprire le gambe, ma le teneva ben strette. Perché sentiva che, ciò che si stavano concedendo non era affatto un gioco, ma era qualcosa che non poteva comprendere affatto.
E temeva.
Temeva che quel gioco le sarebbe piaciuto così tanto, che avrebbe posto entrambi in pericolo. Era stato questo pensiero che l’aveva indotta a smettere, però non aveva potuto fare a meno di domandarglielo, coperta di vergogna. «Giocheremo ancora?»
E lui le aveva sorriso, dolce. «Quando vorrai. Sarà il nostro segreto.»
 
Un segreto, come quello tra Marika e Radagon: i due gemelli sono risultato di un rapporto ben oltre l’incesto, ma che coinvolge un’unica e sola matrice.
Un segreto che li ha voluti legare anche più di prima e che ha spinto Malenia a mostrarsi sempre più iperprotettiva e gelosa.
Un segreto che le ha dato forza per resistere alla Marcescenza ad ogni costo e che, anzi, appena saputo del misterioso nomade cieco, risultato vincitore contro la Dea della Marcescenza Scarlatta stessa, l’ha indotta ad avvicinarlo, sceglierlo come suo insegnante ed allontanarsi da Leyndell, pur di seguire le sue lezioni.
Tutto questo, perché Malenia ama Miquella: verità che ha avuto il coraggio di maturare gradualmente, senza il bisogno di riferirla ad alcuno.
Un segreto che l’ha spezzata in due, nell’aver ricevuto quella concisa lettera da Godwyn, chiedendole di tornare a Leyndell nell’immediato.
 
Miquella è deforme.
 
Non c’è stato bisogno di riferirle altro, per spingerla a salutare il proprio maestro e partire a galoppo verso la capitale, col cuore in tumulto.
Miquella è deforme.
I dubbi erano iniziati a sorgere già da qualche tempo, nel notare che avesse fatica a crescere, che mentre lei si slanciava sempre di più, s’irrobustiva fisicamente, maturava i propri tratti somatici, lui restava sempre lo stesso, immutato nel tempo.
Miquella è deforme.
Come lei.
I due gemelli, considerati il prodigio di Marika, la più pura essenza dell’Ordine Aureo, sono nati storpi. Sono inadatti per gli standard di Leyndell e della stessa regina.
Miquella è deforme: proprio lui, che è sempre stato considerato il fiore più puro della dinastia, la perfezione assoluta, l’unico in grado di detenere il trono, dopo che Godwyn ha smesso di essere accettato, perché figlio del Lord ripudiato. Dopo che lei si era scoperta preda della Marcescenza.
Ha ringraziato se stessa di essersi trattenuta ad Altus, in questo periodo, così che ha avuto bisogno solo di mezza giornata di viaggio, prima di tornare a quella che ancora fatica a chiamare casa.
La notizia ha scosso l’intera capitale, tanto che per le strade non ha sentito parlare d’altro.
Miquella è un’altra mela marcia. Non ha neanche avuto la forza di provare rabbia, nel sentir parlare in questi termini del suo amato fratello, perché ogni energia le si è concentrata nell’unico pensiero di rivederlo, di parlargli, tentare di porre rimedio ad uno stato di totale confusione in cui sicuramente adesso si trova.
La reggia versa in una condizione anche più pietosa dell’esterno. C’è un subbuglio generale, come se d’improvviso il tanto amato ordine di Leyndell si sia sgretolato, lasciando posto alle pure leggi del caos.
Il primo volto caro che rivede, nella confusione, è quello di Godwyn. Lo abbraccia con forza e viene prontamente ricambiata.
Il solo sentire le sue salde braccia sostenerla, le offre l’occasione di tirar fuori il turbamento che la scuote dall’interno. Non riesce a capacitarsi di questa così terribile verità.
Non vuole che Miquella subisca lo stesso trattamento ostile a lei riservato, lo trova semplicemente ingiusto.
Godwyn deve condividere i suoi stessi pensieri, perché nell’accarezzarle dolcemente i capelli, freme appena.
Ogni speranza è persa.
È questa la sensazione che si diffonde per i corridoi.
Marika ha fallito, col suo progetto di perfezione.
«Lui dov’è?» gli chiede, appena ha la forza di sollevare gli occhi e guardarlo ancora.
«In giardino. Ha allontanato tutti.»
«E mio padre?»
Godwyn scuote la testa, rifiutando di offrire una risposta che forse Malenia non vorrebbe sentirsi dire affatto.
«Vado da lui» ma il fratellastro la trattiene ancora.
«Ne sei sicura? È molto scosso… ha bisogno di tempo per metabolizzare.»
«È mio fratello gemello, Godwyn. E come lui c’è sempre per me, nei momenti difficili, io devo esserci per lui.» Non aggiunge altro, si allontana spedita.
Ignora servitù e soldati, che la salutano lungo il tragitto e le chiedono di sfuggita se la sua permanenza lontana da casa sia stata serena. È ferma sul proprio obbiettivo, forse sa anche cosa dirgli.
Ma ogni certezza crolla, nell’inquadrare la sua figura.
Dà le spalle all’ingresso del giardino, è seduto sulla panca di pietra, semplicemente immobile.
Gli sono cresciuti i capelli, questa è la prima cosa che Malenia può notare: una meravigliosa matassa di ciocche e trecce bionde, che gli ricade lungo tutta la schiena, per poi aggrovigliarsi sulla panchina. Ma è minuto, esattamente come l’ha lasciato.
Quando si tratta di lui, ogni cosa risulta d’improvviso eterea, magnifica, intoccabile ed il solo vederlo lì congelato, immerso nella natura, le fornisce come la sensazione del non volersi avvicinare affatto, pur di non interrompere la piacevole visione.
Eppure avanza.
Il rumore dei suoi passi, sui fili d’erba è abbastanza per farlo sussultare e voltarsi appena.
Si guardano.
Il suo volto candido, immutato nel tempo, non presenta alcuna particolare emozione. Sembra quieto, ma Malenia può cogliere nei suoi occhi una nota di disincanto.
“Mi sei mancato” è ciò che vorrebbe dirgli all’istante, eppure le parole le muoiono in gola e l’amarezza l’aggredisce, perché Miquella si volta di nuovo, senza dire niente.
Non riesce ad esprimersi neanche lui.
Gli si avvicina con cautela, finge che non ci sia niente che non vada, che quel mancato saluto in realtà non nasconda la profonda tristezza, che adesso sta aggredendo il suo gemello con forza. Gli si siede accanto e lui non la discosta.
Può avvertire il suo respiro regolare, mentre seguita testardamente a rimanere immobile, con le mani congiunte, poggiate sulle cosce e lo sguardo inchiodato semplicemente in avanti, disperso in un punto indefinito.
Restano lì, per un po’ semplicemente in silenzio. Forse sono in due a pensare come sia meglio cominciare la conversazione e nel mentre si fossilizzano sulla natura che li circonda, in boccio.
Malenia lo realizza ben presto, nel sorvegliare di sbieco il fratello: lui non ha intenzione di parlare. Non ne ha la forza, aspetta che lo faccia lei. Così tira un profondo respiro, solleva gli occhi, trova un misero conforto nell’osservare il cielo, illuminato dall’Albero Madre. «Sai, ho imparato una nuova tecnica di recente.» inizia a dire.
Ancora Miquella non mostra alcuna particolare reazione. Il suo respiro è ancora calmo, stabile, confortante. «Il maestro dice che potrei persino superarlo, nell’eseguirla» ammette, scherzosa e finalmente trova la forza di fissarlo direttamente. «Si chiama Danza dell’Acqua.»
Lui guarda ancora in avanti, batte appena le palpebre, ingoia e Malenia spegne il fragile sorriso, perché l’amarezza la travolge di nuovo. Non è questo il modo migliore per smuoverlo, però ne conosce uno infallibile, per quanto brutale, specialmente in una condizione così critica. «Marika dov’è?» non l’ha mai chiamata madre, non ne ha mai percepito un legame sufficientemente stretto per poterlo fare, ma ha fatto centro.
Miquella, di fatto, una reazione la ha. S’intirizzisce, trattiene il respiro e sgrana gli occhi, poi stringe le dita delle mani e riprende fiato. «Si è chiusa in camera sua. Nessuno l’ha più vista, da quando…» la voce gli trema. «da quando ne abbiamo avuto certezza
«Non devi corrucciartene, lei ha sempre fatto così» che pessimo modo di consolare qualcuno, pensa.
Il gemello scuote di poco il capo. «Lo so bene. Che lei mi rifiuti non è importante.» ma Malenia non è sicura di quanto lui sia convinto della sua stessa affermazione.
Il silenzio torna puntuale, pesante, insostenibile, urla di una freddezza che lei non riesce a gestire ed anzi, la confonde. Lo fissa ancora, riservata: il suo profilo affilato è ancora disteso, la sua apparente calma è rasserenante, ma nel contempo intimidatoria. Deve chiederglielo, per quanto le pesi farlo, per quanto lei stessa sappia che forse non sia la cosa migliore da fare. «Tu come stai…?» il suo è un debole filo di voce, timoroso di ledere delicatissime corde, che per nulla al mondo devono essere spezzate.
Infatti Miquella stringe maggiormente le mani ed abbassa lo sguardo. Si morde le labbra ed ora è visibile come il dolore lo stia struggendo dall’interno.
È ancora incredulo, sconvolto, incapace di elaborare come la realtà che ora sta vivendo sia la sua unica possibile e Malenia non riesce a sopportare di vederlo in simili condizioni. Sente di bruciare delle medesime emozioni ed è per questo che l’impulso di agire, di confortarlo, prima di scorgere le prime lacrime nei suoi occhi, la impone di gettarsi in ginocchio subito di fronte a lui.
Gli prende le mani, gliele bacia, più volte, ma Miquella non le mostra ancora alcuna decisa reazione. Non subito. D’un tratto singhiozza sommesso, mentre le prime lacrime gli sfuggono dagli occhi e lei si arresta, lo fissa di nuovo. “Ci sono io per te. Qualunque cosa accadrà da ora in avanti. Tutto ciò non mi imporrà di amarti.” Socchiude la bocca, eppure da essa non filtra alcun suono.
È per ciò che gli legge nello sguardo: timore, incertezza, confusione, rammarico e lei non sa come porvi rimedio. Ad assestare il colpo definitivo ad ogni suo migliore proposito è Miquella stesso, che ritrae le mani, seppur con delicatezza. È il suo invito a lasciarlo andare e ciò la devasta. «Ho bisogno di riflettere» le dice a voce fioca.
Lei lo richiama, incerta, ma il gemello si alza e si allontana, senza voltarsi indietro e Malenia avverte una sensazione insostenibile: il pericolo di perderlo per sempre.
 
Non riesce a dormire, non potrebbe chiudere gli occhi neanche se lo volesse. Si sente sperduta, come se strappata da ogni certezza. Contempla il soffitto arabescato, laminato in oro e cerca sui complessi motivi floreali una risposta al più cocente quesito.
Che ne sarà di loro, adesso?
Che ne sarà di lei?
Sin dal principio ha impugnato la spada per un solo e semplice motivo, ma che l’ha sempre sostenuta: combattere, perché potesse vedere Miquella salire sul trono e divenire nuovo re di Leyndell. Resistere alla marcescenza solo per vedere quel miracolo compiersi: così che lui potesse cambiare l’Ordine Aureo, così che potesse fondare nuove leggi e guarirla.
Adesso quel sogno è perso per sempre. Era irrealizzabile sin dall’inizio, ma entrambi ne erano all’oscuro.
Certo, il suo desiderio di proteggerlo con tutta se stessa è ora solo aumentato, ma come può proteggerlo dal dolore che questa nuova consapevolezza gli sta procurando?
E quel modo di allontanarsi da lei… si rigira su di un lato, aggrappandosi al cuscino.
Forse non la vuole più affianco, dato che è incapace persino di confortarlo.
Si è allontanata per troppo tempo, questo si rimprovera. Se solo non fosse partita, se solo si fosse accorta prima della realtà dei fatti.
Miquella è la sua guida, la sua fonte di luce, se lui dovesse sparire…
Vede solo dolore. Solo marcescenza. E quella temibile voce, che talvolta le pare di sentire: una lingua arcaica, che vuole spingerla ad autodistruggersi, pur di veder marcire ogni cosa, compresa la Volontà Superiore.
Serra gli occhi, si rigira ancora nel letto, eppure li riapre all’istante. Ha paura del buio, in questo momento.
Teme la solitudine. Una vita senza Miquella è inconcepibile.
Passa a sedere, grattandosi la nuca. È consapevole che trascorrerà una lunga notte senza chiudere occhio, nel caso non si decidesse ad avvicinarlo di nuovo e parlargli. Deve dirgli che va tutto bene, che il suo difetto ai suoi occhi non lo rende imperfetto, ma anzi, più speciale. Le dà l’impressione che ora lui sia in grado di comprenderla anche più di prima. Non oserà mettere piede fuori dalla capitale, prima di essere riuscita a parlargli come desidera.
Ha uno schiumante bisogno di vederlo ancora ed il desiderio di sgattaiolare nella sua stanza si fa sempre più impellente. Riesce a resistere all’impulso di alzarsi dal letto, ma solo per un altro paio di minuti.
Si ritrova in piedi quasi senza volerlo e subito si avvicina alla porta. Nello sfiorare la maniglia, tuttavia, esita ancora. Si chiede se stia dormendo, se sia preda di qualche incubo o al contrario, i sogni lo stiano distraendo di un minimo dalla realtà.
Non ha bisogno di formulare nuove ipotesi, perché nel socchiudere l’uscio se lo ritrova direttamente davanti, in procinto di bussare.
Si osservano increduli, prima che Miquella si strofini le braccia e distolga lo sguardo. «Sapevo che eri sveglia» mormora.
Malenia ingoia un groppo in gola, in segreto. Sarà a causa del periodo trascorso lontano da casa, o il semplice fatto di rivederlo ancora, nonostante l’inconcludente dialogo avvenuto nel pomeriggio, ma non può fare a meno di meravigliarsi nel vederlo, ancora una volta, di fronte a lei, in vestaglia da notte.
«Posso entrare?»
Lei non perde tempo a discostarsi. Lo lascia passare e richiude la porta. Lo osserva avanzare al centro della camera, preso da chissà quale pensiero. L’atmosfera si fa subito suggestiva, forse anche a causa della luce dell’Albero Madre, che filtra dalla finestra, sulla parete frontale.
Di nuovo Malenia sa che ha il dovere di cominciare la conversazione. Ha così tanto da chiedergli, così tanto da confessargli, ma Miquella la batte sul tempo. «Sono felice che tu sia tornata.» nel dirlo le offre ancora le spalle.
«Lo avrei fatto a prescindere.»
Lo vede sorridere appena, perché piega di poco il viso verso di lei. «Lo so, ma sono comunque felice che tu sia qui, ora. Mi è di conforto.»
«Miquella…»
«Non c’è bisogno che tu dica nulla, sorella mia. So bene che ti saresti aspettata tutto, fuorché una notizia simile.»
Lei abbassa gli occhi. Non può negare che ciò sia vero. «Ma per me non è cambiato nulla…» confessa a filo di voce.
Miquella si volta. Ciò che sta pensando o provando in questo momento è impossibile da intuire: il suo volto è semplicemente serio, fermo, maturo e stona fortemente con i lineamenti ancora adolescenziali.
«Ciò che possono pensare gli altri d’ora in avanti, non mi sfiora neanche. Non mi interessa. Non mi importa di quello che pensa Marika, di quello che pensa Radagon, di quello che possono pensare le Due dita o la Volontà superiore.»
«Malenia.»
Il come pronuncia il suo nome la fa fremere. Il suo tono è intriso di consapevolezza, le risulta persino severo, come se la stia rimproverando o mettendo alla prova. Poi è obbligata a sbarrare gli occhi e congelarsi sul posto, perché lo vede sfilarsi l’abito dalle spalle e lo lascia ricadere a terra.
Sostiene il suo sguardo per poco, perché non riesce a proibirsi di osservarlo nella sua interezza. È nudo, davanti a lei, così d’improvviso che la mente non sa elaborare a dovere quale delle tante sensazioni stia prevalendo sull’altra.
Poi anche Miquella smette di sostenere il suo sguardo, forse per un senso di vergogna che lo aggredisce. Infatti si copre pube e petto con le braccia, prima di menare gli occhi sulla sinistra.
C’è una cosa che lei non ha difficoltà a comprendere in tutto questo, specialmente nel sentirlo parlare di nuovo: lui ha ponderato molto prima di agire in quel modo ed il farlo gli ha richiesto una forza di volontà incredibile. «Continui davvero a credere alle tue parole, pur sapendo che questo corpo non crescerà più?»
Lei non riesce ancora a reagire. Sta accadendo tutto troppo in fretta.
«Abbi la forza di dirmi che per te non è cambiato nulla, anche se sei consapevole di questa verità.» è adesso che torna a fissarla. «Ma non mentirmi. Mi pesa molto meno sapere che cambierai atteggiamento nei miei confronti, piuttosto che vivere nell’illusione che i tuoi sentimenti siano immutati.»
Malenia gli si avvicina. Ora ha finalmente intuito quale dubbio lo stia turbando più di ogni altro, quale sia il timore che gli sta impedendo di accettare consapevolmente la situazione.
Entrambi hanno paura di perdersi.
Ed è per questo che, ad ormai neanche un passo da lui, gli accarezza dolcemente la guancia. È ormai ben visibile la differenza di altezza tra i due, a tal punto che Miquella è costretto a sollevare il capo, pur di guardarla. C’è una cosa che vorrebbe dirgli più di ogni altra, nel perdersi nelle sue iridi d’ambra, nell’accorgersi, per un’ennesima volta, di quanto lo trovi magnifico.
“Ti amo.” «Non è cambiato nulla» gli dice tuttavia ed il suo tono, adesso è fermo, perché privo di ogni tipo di vergogna. In realtà crede di amarlo anche più di prima, nel caso questo sia possibile. Lo cinge a sé con delicatezza e lui glielo permette.
Può sentire il suo cuore batterle frenetico contro la pelle.
“Ti amo” pensa ancora, nello scivolargli sulla nuca con la mano, nel sentire le sue ciocche fra le dita. Si arcua su di lui e lo bacia teneramente. Un brivido la percorre, nel poter percepire il suo corpo nudo così chiaramente.
Anche quelle labbra le sono mancate all’indicibile, ed il suo alito, il suo respiro soffice.
Miquella corrisponde al suo gesto con incertezza, prima che il movimento di labbra si faccia concitato, l’abbraccio più convinto ed inizino a strapparsi reciprocamente il respiro.
Così lui gemello la cinge dal collo, forzandola ad arcuarsi più in avanti ed i baci si fanno anche più intensi e disperati.
Malenia si è accorta di aver mentito, nel mordere con dolcezza la bocca del gemello ed avvertire l’eccitazione crescere. C’è qualcosa che è cambiato.
Tutto ciò non è più un gioco.
Entrambi non possono più mentire a se stessi che nel loro toccarsi, stringersi, baciarsi, ci sia un semplice intrattenimento, senza un preciso scopo.
Ed è sicura che anche Miquella ne sia consapevole, nel dischiudere spontaneamente le labbra, nell’umettarle la bocca con la punta della lingua, carezzandogliela appena.
Gli strappa un ansimo nello stringerlo con più forza, come a volergli impedire di sfuggirle e gli filtra tra i denti, avida. Nel saggiargli la saliva prova un brivido, si chiede se la sua abbia lo stesso sapore e se sia davvero consentito loro di scambiarsela reciprocamente.
Insieme, in un corpo unito, in un’unica essenza, come i loro genitori. Legati all’inspiegabile impulso di ritrovarsi, amalgamarsi, godere l’uno della presenza dell’altra.
Questo è ciò che prova Malenia.
Questo è ciò che di sicuro prova anche Miquella.
Perché si ritrovano entrambi a ricercarsi ancora, nello sdraiarsi sul suo letto, l’una sull’altro.
È stato un semplice atto istintivo, non c’è stato neanche bisogno di parole; vogliono essere lì, celati dalla notte, in un segreto che non può essere rivelato, esattamente come quello di colei che li ha generati.
Si abbracciano, dopo che la semidea si è scoperta il petto istintivamente, dimentica per un momento delle macchie della marcescenza sui seni. Ed ancora le loro labbra si cercano, in respiri che iniziano a spezzarsi.
Non è più un gioco, pensa ancora Malenia, nell’avvertire il corpo del gemello intirizzirsi sotto di lei.
Non è più un gioco, perché Miquella ansima appena, quando gli scivola dalle labbra, gli bacia la guancia, poi il collo. Gli succhia la pelle: quanto le piacerebbe marcare il suo corpo come proprio, così che nessun altro sentisse il diritto di avvicinarlo.
Non è più un gioco, perché percepiscono in maniera nitida il reciproco calore, esternano la propria estasi.
Non vogliono smettere, stavolta. Forse perché entrambi si sono accorti di essere molto più simili di quel che credevano, forse perché, semplicemente, non possono vivere l’uno senza l’altra.
Scivola sul suo inguine, lo sente trasalire, ma quello che emette è un piacevole suono consenziente, che anzi le chiede di prendersi ogni libertà che desidera. Lo istiga a divaricare le gambe e prende a strofinarlo senza fretta, nel mentre le viene spontaneo mordergli l’orecchio a mo’ di carezza. Non oserebbe mai fargli del male. «Mal» soffia lui, ma è costretto ad un gemito ammansito, perché Malenia gli giunge spedita sul petto e qui lo bacia. Sicuramente desidera chiederle qualcosa, ma lei è troppo presa dal momento per darci peso. Gli succhia la pelle fra i denti, senza risultare violenta, gli lambisce il capezzolo, glielo morde senza intensità.  Così lascia scorrere le dita fra le sue gambe.
Miquella la richiama, più convinto, ma ancora la lascia fare. Le permette di agire ovunque preferisca, di giocare con lui ovunque desideri. Un ansimo più deciso gli sfugge dalle labbra, nel sentirla sfiorarlo fra le natiche.
C’è qualcosa di magico in tutto questo, è una verità che sfiora Malenia, nel sentirsi bruciante di una piacevole frenesia.
È la dolcezza di quelle proibite carezze, la voce del fratello interrotta dai lamenti docili, il suo ventre che si solleva ad ogni respiro, via via sempre più rapido ed il suo corpo che la accetta, che anzi la vuole di più. Lo istiga ad aprirsi ancora, nel tornargli sulle labbra.
Sono tutte timide carezze, volute da un’inesperta ricerca dell’altro e guidate dal semplice impulso. Il gemello le sospira sulle labbra, appena Malenia gli scivola all’interno.
È il corpo di entrambi a vibrare, di una sensazione unica, che crea dipendenza. Ed è ancora l’istinto a suggerire alla semidea un preciso movimento da compiere, così dallo strappare a Miquella nuovi gemiti convinti, inebriati dal piacere fisico. Lo sfrega senza risultare brusca e la reazione desiderata non fatica ad arrivare.
Lui si aggrappa al cuscino, ansima, dischiude gli occhi. È confuso tanto quanto lei, nel vederlo reagire così piacevolmente ad ogni suo gesto. «Perché…?» riesce a chiederle d’un tratto, appena Malenia si fa più decisa.
Poi di nuovo le cinge il collo ed impositivo torna a baciarla, le ricerca la lingua disperato.
Geme, le si aggrappa alla nuca, le annoda i capelli con le unghie e lei lo pervade maggiormente. «Perché?» ha la forza di domandare ancora, quando la gemella si ritrae, per contemplarlo, perché stregata da lui, da ogni suo movimento, da ogni sua reazione.
Marika sbaglia a pensare che Miquella non sia il risultato più perfetto di ogni suo disperato tentativo: è ciò che la semidea pensa, nel poterlo osservare in simili condizioni.
Un corpo caldo, brulicante di passione, dai lineamenti più dolci ed appetibili che abbia mai visto, contornato dalle lunghe ciocche d’oro, che ora si diramano sul suo letto, come gli stessi lucenti rami dell’Albero Madre.
«Perché fai tutto questo, se sono imperfetto?»
Malenia si ferma, permettendogli di riprendere fiato e stavolta decide di esternare i propri pensieri, senza alcun filtro. «Io ti amo per ciò che sei, Miquella. Non per ciò che Marika vuole che tu sia.»
Lo vede mordersi le labbra, eppure non gli permette di lasciarsi andare alle emozioni, vuole obbligarlo al piacere.
Perché lei stessa dipende da questo.
Ed il gemello lo intuisce, ed è per questo che la invita a lasciarlo andare un attimo, prima di voltarsi autonomamente, offrendole la schiena. Si distende prono, sollevandosi di poco sulle ginocchia, si discosta i capelli dal collo, come per istigare sua sorella a morderglielo e baciarglielo, la fissa di sbieco, col respiro sottile e le iridi di miele luccicanti di tenue imbarazzo.
Malenia lo squadra ancora, incantata, nel vederlo offrirsi così spudoratamente, poi lascia che ogni istinto la controlli. Gli si arcua al di sopra, gli bacia la schiena, ne ripercorre ogni centimetro, lo sente fremere d’estasi, ma anche d’attesa e sta adorando troppo i suoi sussulti, misti ad ansimi concitati, per potervi rinunciare. Li udirebbe per sempre.
Se solo il tempo si fermasse, adesso, potrebbe sentirsi felice in eterno.
È nel baciargli la nuca che lo sente intirizzirsi nuovamente, prima che il corpo di lui, ora reattivo ai suoi gesti, cominci a sfregarsi appena contro di lei, nel momento in cui lo pervade di nuovo. Sono sempre carezze quelle che gli dedica, perché timorosa di fargli male ed anche insicura sul come l’istinto la stia spingendo ad agire. «Dimmelo se ti sto facendo male.»
Lui assente, fra gli ansimi, ma anziché fermarla la istiga a continuare, scivola più verso di lei, mordendo il cuscino e solleva ancora il bacino, divaricando spontaneamente le gambe.
Tutto questo la stimola senza una chiara motivazione, la istiga a sfregarlo da ambo i lati, obbligandolo ad una reazione più convinta.
È questo quindi, il gioco che avrebbero sempre voluto fare, ma che l’età li aveva istigati ad interrompere. Non c’è più logica che regga, nel momento in cui Miquella geme convinto, batte contro il suo palmo ad ogni nuova spinta, si aggrappa alle coperte con forza, nel momento in cui il suo inguine reagisce ad ogni sfregamento.
Il suo è un corpo magnifico: la semidea non può fare a meno di pensarlo e la voglia la brucia fra le gambe. Desidera obbligarlo a voltarsi, salirgli al di sopra, inghiottirlo.
Vuole mescersi al suo calore, al suo desiderio, specialmente nel sentire come lui la stia richiamando sempre più all’interno, senza neanche esserne consapevole.
«Basta» la ferma d’un tratto, col respiro serrato.
Lei lo lascia andare, eppure lo fissa ancora, fremente di desiderio. Lo vede rigirarsi su di un fianco a fatica. L’istinto le sta letteralmente urlando di afferrarlo per i polpacci e sfregarsi su di lui, eppure non osa muoversi.
Non potrebbe mai.
Perché lei è malata. La marcescenza divora continuamente ogni sua cellula. Si fida del suo corpo meno che di se stessa, figurarsi se si senta degna di fare proprio Miquella sino in fondo, rischierebbe solo di infettarlo.
È lei ad essere l’unica indegna e disgustosa, tra i due.
Ma lui, come se le abbia letto ogni riflessione negli occhi, aggrotta la fronte, affila lo sguardo e torna supino. «Prenditi ciò che vuoi, sorella mia.»
Lei sgrana gli occhi, scuote il capo, ma il gemello si tira a sedere, di nuovo le cinge il collo e torna a baciarla con dolcezza. «Voglio che ogni mio piacere sia anche il tuo.»
«Ma non posso rischiare—»
Lui la zittisce con un ulteriore bacio, più sensuale dei precedenti, le lecca le labbra, socchiude gli occhi. «Preferisco condividere la tua maledizione, piuttosto che temere di vivere una vita senza di te.»
Lei cerca di dissuaderlo, ma Miquella insiste. «Divorami.» le soffia e lo fa con quel tono a cui è impossibile ribellarsi. Le sfiora il viso. «Voglio essere tuo per sempre.»
È violenta, stavolta, forse perché un lato di sé si è sentito quasi sfidato, in quella richiesta. Forse una forza segreta al suo interno le sta sibilando che questo semidio deve imparare a temere la marcescenza, quanto fa lei stessa. Deve imparare a temerne la pericolosità.
O forse è solo il desiderio che la sta dilaniando.
Lo spinge brutale sul materasso e gli sale al di sopra, strappandogli un gemito. La docilità che le dimostra non fa altro che accrescere la sua eccitazione. Gli scivola sull’inguine con un fremito, sono in due a ribollire, adesso ed il piacere che la aggredisce, le pervade le interiora.
È un’intensa scarica d’estasi, che le fa formicolare la pelle. E non vuole smettere. Ha bisogno che quell’indescrivibile sensazione si protragga ancora, mentre Miquella ansima convinto e non osa muoversi, mentre l’impulso di graffiare la sua pelle, di morderlo, di consumarlo la dilania. Si sfrega su di lui con intensità maggiore ed entrambi non riescono a parlare.
Forse neanche a pensare.
Malenia, per lo meno, non vi riesce. Il suo sguardo è solo invaso dal viso e dal corpo del fratello, che brucia d’estasi assieme a lei. Ed è così magnifico.
Forse dovrebbero fermarsi, ma nessuno dei due lo desidera, piuttosto richiedono l’uno le labbra dell’altra, le lingue, il respiro, qualsiasi tipo di contatto.
È questo ciò che si prova nell’essere riuniti di nuovo ed è una sensazione che Malenia non vorrebbe dimenticare mai, anzi spera si ripeta.
Ancora.
Per sempre.
Fino a che non sarà polvere.
Ed i liquidi di entrambi si mescolano dentro di lei con forza, di getto, senza che lei possa realizzarlo. Si ritrovano entrambi ansanti, sfiniti, madidi di sudore. E si guardano come forse non hanno mai fatto prima. I fluidi corporei le scivolano dalle gambe, colano su di lui.
Malenia deve pensarlo: non sarebbe mai completa senza Miquella. Sarebbe disposta a compiere una strage, distruggere intere regioni, stravolgere il mondo, pur di averlo ancora per sé.
Pur di poterlo amare ancora.
Si sente sfinita, tanto che le viene naturale arcuarsi sul suo petto e godere del battito concitato del gemello: ha un suono così piacevole, è la musica più bella da lei mai sentita. Così riprende fiato. S’intirizzisce nel sentirsi accarezzare teneramente i capelli.
«Malenia…» la voce di lui è ancora spezzata da respiri profondi. Lei si limita al silenzio, vuole sentirlo ancora, però si fa tesa quando Miquella continua a parlarle. «Ho riflettuto a lungo in questo periodo e sono giunto ad una conclusione» inizia.
Poi la brutale notizia: «Lascerò Leyndell.»
Malenia raddrizza la schiena, si solleva di scatto sulle braccia e lo guarda. Troppo tardi si accorge che gli occhi le si sono già fatti umidi e la confusione l’ha aggredita con violenza. Il gemello, tuttavia, continua a sorriderle con dolcezza. «E dove vuoi andare…?»
«Lontano.»
Lei si morde le labbra. “Lontano” non è una risposta, vorrebbe dirgli, se ne avesse la forza.
«Lontano da qui. Dove non possa guardare l’Albero Madre.»
Troppo lontano.
«In un posto dove si possa essere liberi, dove non ci siano limiti. Un posto che accetti i diversi.»
«Esiste davvero un posto così?»
Lui scuote debolmente il capo «Lo creerò io» e lo dichiara solenne, tanto che Malenia ammutolisce. È in queste cose che la grandezza di Miquella si manifesta. La sua forza d’animo, il suo istinto di ribellione, sono così incredibili, che lei non può far altro che osservarlo con estrema ammirazione. «Sai, durante la tua assenza ho continuato le mie ricerche» le rivela. «E forse ho trovato qualcosa che può salvarti.»
Freme, perché troppe emozioni l’aggrediscono in una volta sola.
«Io devo andare via, Mal.»
Lei abbassa gli occhi, però si ritrova a guardarlo ancora quasi subito, perché lui la richiama. «Ma c’era una cosa che temevo di chiederti, prima di stanotte.»
Godwyn aveva ragione, pensa di nuovo Malenia. Aveva ragione a pensare che Leyndell non è casa sua. Che presto o tardi se ne sarebbe andata.
«Vorrei costruire questa nuova realtà assieme a te, se tu lo desideri.»
Lei gli sorride, commossa e lo bacia ancora. «Ovunque vorrai andare, io sarò con te. Non importa dove.»
Nulla potrà separarci.
Nulla.
E Miquella le sorride grato, prima di accarezzarle le labbra l’ultima volta, per questa notte.

 
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Teony