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Autore: _p_ttl_    29/04/2023    1 recensioni
In questa esplosione di vitalità la natura si era risvegliata e ad ormai più di un mese dall’equinozio era nel pieno del suo vigore. L’avvicinarsi di Beltane aveva dato ulteriore spinta alla serpeggiante gioia dei sudditi, tutti impazienti di prendere parte alle festività di maggio. Beltane rappresentava la rinascita della natura, l’arrivo della stagione calda, la fertilità della terra e l’augurio dell’abbondanza, ma anche l’umana gioia, vitalità e fertilità.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti! Anche quest'anno è arrivata la primavera e tra pochi giorni sarà il primo maggio. Oggi qui in Italia si festeggia le festa dei lavoratori, un po' di tempo fa (per qualcuno ancora oggi) in molte zone d'Europa si festeggiava Beltane. Chi sta seguendo la mia long probabilmente penserà che avrei potuto impiegare il tempo speso appresso a questa storia (anche se per questo primo capitolo devo dire che non è stato molto) scrivendo un nuovo capitolo, ma non potevo proprio lasciar passare così questa giornata di festa che arriverà a brevissimo. Come avrei potuto ignorare le celebrazioni di Beltane a Camelot? E quindi eccoci qui col primo capitolo di questa mini-long che complessivamente ne avrà due. Originariamente doveva essere una oneshot, ma piuttosto che scriverne una molto lunga, ho preferito dividerla nonostante ne sarebbero venuti fuori due capitoli piuttosto brevi. Una questione di fruibilità, principalmente. Non tutti amano i testi troppo lunghi. A Camelot si celebrava Beltane? Non ne ho idea! Però facciamo di sì. Le celebreazioni descritte corrispondono a quelle effettivamente tradizionali, ma in alcune modalità sono frutto della mia immaginazione, quindi storici, filologi, antropologi, archeologi o chicchessia non me ne vogliate per le imprecisioni! Un bacio a tutti e buona lettura!

La festa del fuoco - Il palo di Maggio


Con l’arrivo della primavera tutto il villaggio sembrava essere risorto a nuova vita. La cittadella era diventata molto più accogliente, con le mura e il grande spiazzo antistante il castello illuminati dal sole sempre più caldo. Non c’era finestra del castello che non fosse stata decorata con vasi di fiori di campo, colti direttamente dalle serve incantate dal risvegliarsi della natura. Si percepiva la vita tutt’intorno, con le rondini che facevano i nidi e le farfalle colorate che volavano sui davanzali in fiore. Persino i rapaci allevati dal falconiere di corte sembravano aver assorbito nuova energia, mangiavano e obbedivano ai comandi con più gioia. La città bassa si era riempita di colori, dai fiori sparsi anche lì in ogni dove – nemmeno le famiglie più povere avevano rinunciato ad intrecciare ghirlande da appendere alle porte delle loro modeste abitazioni – alle stoffe e alle spezie stese sui bancali dei mercati. Odori e suoni, profumi e voci, si fondevano a creare un’atmosfera vibrante, ci si sentiva vivi solo a camminarci in mezzo a quelle strade, dove ovunque si vedevano miele, focacce e formaggi. Con Ostara si era entrati nella parte luminosa dell’anno e il clima era stato mite fin da subito. In questa esplosione di vitalità la natura si era risvegliata e ad ormai più di un mese dall’equinozio era nel pieno del suo vigore. L’avvicinarsi di Beltane aveva dato ulteriore spinta alla serpeggiante gioia dei sudditi, tutti impazienti di prendere parte alle festività di maggio. Beltane rappresentava la rinascita della natura, l’arrivo della stagione calda, la fertilità della terra e l’augurio dell’abbondanza, ma anche l’umana gioia, vitalità e fertilità. Girava voce che il palo quell’anno sarebbe stato ancor più alto dell’anno precedente e che il re avesse deciso di farlo ergere quasi al limitar del bosco, per godere ancor di più della forza rinvigorente della natura. Era compito degli uomini preparare quel simbolo maschile. Il tronco veniva accuratamente ripulito dai rami e la base doveva essere appuntita per poterlo fissare nel terreno. Nessuna donna sapeva se sarebbe stato di pioppo o betulla e nessun marito era intenzionato a rivelarlo prima del tempo. Le donne preparavano i nastri da legargli attorno e le giovani in cerca di marito intrecciavano viti ed edera a cui legare viole, biancospino e fiori di campo per preparare la corona che doveva scendere e salire attorno al palo durante le danze. I giovani uomini erano però più impazienti della parte finale delle celebrazioni, quando, dopo i rituali del fuoco, ci si nascondeva nei boschi per dare sfogo a tutta la vitalità e la passione che la primavera infondeva. La parte sessuale dei riti di maggio era per i giovani la cosa più intrigante, così sacra e misteriosa. Durante quella notte era lecito giacere sotto la luna con chi si voleva, anche per le donne nubili che potevano così concepire e donare la vita ai cosiddetti figli dell’uomo della foresta o figli di maggio.

Mancavano ormai pochi giorni a Beltane e si respirava un’aria pregna di aspettative anche tra le mura del castello, pieno di giovani serve e valletti impazienti di poter danzare e cantare assieme ai signori. I giovani cavalieri erano eccitati all’idea dei festeggiamenti e anche Artù e Morgana, per quanto si sforzassero di mostrarsi indifferenti, erano contagiati dall’euforia generale. Beltane era l’unica occasione in cui il re si recava direttamente sul luogo delle celebrazioni ed anche il principe e lady Morgana partecipavano ai festeggiamenti del villaggio, assieme ai mercanti e ai contadini. Questo creava grande entusiasmo tra i sudditi, che si sentivano più vicini ai loro sovrani, ed anche al principe faceva bene stare in mezzo alla sua gente. Si sentiva amato e cresceva in lui il senso di responsabilità verso quel popolo che aveva il compito di proteggere e guidare.
“Artù, dovete ancora firmare quei comunicati ufficiali!”, “Artù, ancora non siete vestito!”, “Artù, non starete esagerando col sidro?”, “Artù, state mangiando come un bue!”. Ormai quelli che Merlino rivolgeva al principe erano più rimproveri e richiami che altro. Ma invece di spazientirsi, il servitore sorrideva divertito a quegli eccessi e all’umore distratto di Artù, ben consapevole che l’aria di primavera facesse quell’effetto a cui nemmeno lui era totalmente indifferente. Spesso lo prendeva in giro, chiedendogli quanto tempo perdesse, guidato dal risveglio primaverile degli ormoni, dietro alle giovani serve che giravano per il castello. Artù sbuffava e gli colpiva una spalla con un pugno, intimandogli di non essere sciocco e di pensare a svolgere il suo lavoro, dato che, guarda caso, aveva trovato l’armatura non ben lucidata o una macchia su vestiti che avrebbero dovuto essere già lavati. “Quanta pazienza ci vuole”, si diceva Merlino, aggrappandosi all’idea del futuro di Albion per trovare la forza di sopportare quell’asino.

Il giorno della festa era arrivato e quando Merlino, Artù, Gwen e Morgana erano arrivati nel luogo dei festeggiamenti, le donne avevano già scavato la buca, simbolo femminile, per contenere il palo di Maggio.
“Artù, guardate!”, aveva esclamato Merlino indicando le donne e gli uomini che eseguivano la danza tradizionale, in cui le prime scacciavano i secondi dalla buca, fino poi, dopo varie insistenze, a permettere loro di inserire il palo, simbolo del maschile.
Artù era contagiato dall’entusiasmo e dalla gioia di Merlino, che col dito puntato rideva allegro. Gli occhi sembravano più blu del solito ed erano così luminosi da far provare al principe una felicità incontenibile. Sentiva che in quel momento avrebbe potuto mettersi a ridere e a saltare e a urlare e che a tutti sarebbe sembrato perfettamente normale. L’euforia generale era palpabile e persino Morgana, di solito così contenuta, aggrappandoglisi a un braccio lo aveva tirato in avanti per avvicinarsi al punto in cui il palo era stato fissato. Si era creata una folla enorme mentre la corona di fiori veniva poggiata sulla cima e i nastri rossi e bianchi, anch’essi a richiamare la forza del maschile e l’energia del femminile, venivano fissati in un’alternanza dei due colori. Gli uomini tenendo il nastro rosso e le donne tenendo il nastro bianco avrebbero così danzato attorno al palo per simulare l’unione del Dio e della Dea e per prevedere l’abbondanza del raccolto.
Quando il palo fu adorno, gli uomini e le donne se ne allontanarono. Era il momento del discorso del re. Uther Pendragon camminò lentamente, con la schiena dritta e l’andatura fiera del sovrano e del condottiero, seguendo il percorso che la folla aveva spontaneamente creato, allargandosi per lasciargli spazio. La gente urlava e applaudiva, ovunque si sentivano “Viva il re!”, “Lunga vita al re!”, la gioiosa atmosfera di festa era presente in ogni voce e in ogni grido. Una madre tirò a sé un bambino che col braccio teso si stava avvicinando un po’ troppo al sovrano.
Quando Uther fu davanti al palo di Maggio si girò verso i sudditi e iniziò il suo discorso.
“Popolo di Camelot”, i suoi occhi vagavano tra la folla, guardando tutti e guardando nessuno, lo sguardo scorreva da un lato all’altro della piana verde ancora illuminata dal sole. “In questo giorno di festa onoriamo la vita. Beltane celebra la rinascita, la primavera della natura e dello spirito. Nel giorno della festa del fuoco si balla, si accendono i fuochi sacri, ci si nasconde nei boschi per onorare l’unione tra uomo e donna e generare vita. In questo giorno ci auguriamo salute e prosperità, i riti sono volti a proteggere il bestiame dalle malattie e a donare alle giovani coppie buona salute. Questo è un tempo propizio per i matrimoni…”
Artù non ascoltava le parole di suo padre. Fremeva e si guardava intorno con aria febbrile. Per quelle celebrazioni si sarebbe mischiato tra la folla e i contadini avrebbero ballato assieme a lui come suoi pari. Morgana accanto a lui sorrideva gioiosa e stringeva il braccio di Gwen. Si girò a guardare Merlino. Il suo servitore ascoltava le parole del re, ma si vedeva che anche lui era irrequieto e impaziente. Gli occhi gli brillavano e aveva stampato sul viso un ampio sorriso che mostrava tutti i denti. Ad Artù si strinse il cuore. Pensò che fosse davvero bellissimo, così spettinato dalla corsa, con la giacchetta scesa da una spalla che tirava giù anche la blusa. Era tutto scombinato e, oltre il fazzoletto che portava sempre al collo, una spalla fuoriusciva quasi completamente dal colletto della blusa tirato. Artù si costrinse a distogliere lo sguardo, non era normale sentirsi emozionato di fronte a quella visione. Non era normale che, ormai da qualche tempo, si sorprendesse a indugiare un po’ troppo con lo sguardo su Merlino che puliva gli stivali, o che riordinava i suoi vestiti, o che controllava con cura la temperatura dell’acqua per il suo bagno. Quando tornò, preda di un certo disagio, a concentrarsi sulle parole di suo padre, lui stava chiudendo il discorso, augurando a tutti felice Beltane e dando inizio ai festeggiamenti. Ci fu un lungo applauso e fischia e ancora grida, mentre il re coi suoi consiglieri si ritirava sulla tribuna allestita appositamente, da dove avrebbe assistito alle celebrazioni.
“Artù, vi siete incantato!?”
Merlino lo prese per un braccio e lo tirò verso il palo. Il principe era confuso e sentì uno strano brivido partire dal punto in cui le mani di Merlino lo avevano stretto. Gwen e Morgana erano già in prima fila a guardare uomini e donne alternati attorno ad esso, ognuno con in mano il suo nastro. I musicanti avevano iniziato a suonare e la folla teneva il ritmo con battiti di mani e cantando canti tradizionali per accompagnare la danza del fiore. I ballerini, posti l’uno di fronte all’altro a coppie, con una mano tenevano un’estremità del nastro e con l’altra ne regolavano la tensione. La danza iniziò. Gli uomini giravano in un senso e le donne in quello opposto, alternandosi uno all’interno e uno all’esterno, uno all’interno e uno all’esterno, gli uni alzavano il nastro, le altre ci passavano sotto, per poi invertire i ruoli. Il ritmo scandito dai tamburi era constante e continuo. Artù guardava rapito i nastri intrecciarsi attorno al palo, simbolo dell’unione tra il Dio e la Dea, e la corona di fiori scendere man mano che l’intreccio si infittiva. Quando la corona fu completamente scesa, la danza riprese in senso inverso. I nastri man mano si slegavano e la corona risaliva. Al termine della danza la corona era scesa e salita liberamente, l’intreccio era stato lineare e ciò, essendo auspicio di buon raccolto, scatenò applausi e risate festose. I danzatori si allontanarono, lasciando i nastri liberi per chiunque volesse ripetere la danza.
“Voglio farlo, Artù!”
La voce allegra di Merlino lo riscosse da quello stato sognante. Lo guardò come se non avesse afferrato bene il senso delle sue parole.
“Andiamo, venite anche voi!”
Merlino gli si posizionò dietro e mettendogli le mani sulle spalle lo spinse verso il palo.
“Ma che fai!? Non voglio!”
“Andiamo, che noia sei. Anche io voglio ballare.”
Morgana si era avvicinata per dare manforte a Merlino, fortemente intenzionata a prendere parte attivamente ai festeggiamenti.
“Ma il ballo è a coppie!”, protestò Artù. “Non posso di certo fare coppia con Merlino! Bisogna essere un uomo e una donna!”
“Non credo che farete fatica a trovare una compagna! Quello che dovrebbe preoccuparsi forse sono io!”
“Non dire sciocchezze! Di certo poi non posso fare coppia con Morgana, è la figliastra del re!”, ma Merlino aveva la voce sorridente e Artù si ritrovò suo malgrado a cominciare ad aver voglia di ballare, tutte le sue resistenze vane persino per sé stesso. L’energia della festa era così contagiosa!
“Tranquillo Artù, non ho alcuna intenzione di fare coppia con te. Farò coppia con Merlino.”
“Davvero!?”
Merlino guardava Morgana con occhi grati e colmi di affetto, lei annuii prendendolo per un polso.
“Andiamo, Artù perché non fai coppia con Gwen? Anche lei vuole ballare!”
“Oh, no lady Morgana, io non…”, ma Artù la interruppe, prendendole la mano e avviandosi verso il palo.
Tutt’intorno ci fu grande fermento, si sentivano da ogni parte voci maschili e femminili che dicevano “c’è il principe! Voglio ballare col principe e lady Morgana!”. I nastri intorno al palo furono tutti occupati in men che non si dica. Gwen era di fronte ad Artù e Merlino di fronte a Morgana, dalla parte opposta. Girandosi di lato potevano vedersi. Il tamburo iniziò a battere e la musica si diffuse tutt’intorno. Artù passò sotto il nastro di Gwen e poi alzò il suo per farci passare una ragazza dai capelli biondi, intrecciati in una complessa capigliatura. Doveva essere la figlia di un contadino o di un pastore, a giudicare dal semplice abito chiaro che indossava. Di certo non era la figlia di un mercante.
Su giù, dentro fuori, su giù, dentro fuori. Per i primi minuti Artù restò estremamente concentrato sui movimenti, il ritmo, l’alternanza dei passi. Era terrorizzato all’idea di sbagliare e sembrava fosse ad uno degli allenamenti coi cavalieri piuttosto che a ballare a una festa. Quando si trovò di fronte a Morgana lei, notando la sua espressione concentrata e trovandola estremamente buffa, non poté fare a meno di punzecchiarlo.
“Ehi, rilassati! Divertiti!”, e passando sotto il suo nastro “Non sei ad un torneo!”. Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo, ma quando si girò a guardare Merlino gli mancò il fiato. Il servitore sorrideva con tutto il viso, saltellava e alzava il nastro e lo abbassava e passava sotto a quello di qualche ragazza e muoveva la testa a ritmo del tamburo. Era un’esplosione di vitalità, faceva venir voglia di andare avanti con quella danza all’infinito. Artù era stregato, non riusciva a distogliere gli occhi dal suo viso. Ormai saltava, passava sotto, alzava il nastro, all’esterno, poi all’interno, tutto con movimenti automatici, imitando Merlino a specchio. A un certo punto, quando la corona si fu abbassata e tutti girarono su sé stessi per riprendere la danza al contrario, Merlino si voltò a guardarlo. Incontrò i suoi occhi che erano ancora fissi su di lui e per un secondo tornò serio, l’espressione assunse un che di interrogativo. Durò solo un attimo, poi Merlino gli rivolse un sorriso enorme che mandò il principe in confusione e iniziò a ballare tenendo gli occhi fissi nei suoi. Anche Artù lo guardava e si ritrovò a sorridere a sua volta, una strana stretta alla bocca dello stomaco. Mentre continuava la danza gli sembrò che tutto intorno le figure diventassero sfocate e i suoni ovattati. Esistevano solo loro due che ballavano guardandosi negli occhi. Ad Artù sembrò che la sua danza intrecciata a quella di Merlino, occhi negli occhi, durasse un'eternità eppure troppo poco.
  
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