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Autore: A_Typing_Heart    20/05/2023    0 recensioni
Due morti accidentali identiche. Dubbi, sospetti e insabbiamenti. Una chiesa che cela gelosamente i suoi segreti e i suoi tesori. E una richiesta silenziosa che Mikaela, sopravvissuto a una pericolosa setta, non può lasciare inascoltata.
* segue Il Vampiro di West End *
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Crowley Eusford, Ferid Bathory, Krul Tepes, Mikaela Hyakuya, Yūichirō Hyakuya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'La spada di Dio'
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Crowley guardò il cielo, una stesa grigio fumo uniforme. Una miriade di piccole macchie chiare svolazzavano nell’aria come le più piccole delle fate d’Irlanda e si scioglievano quasi all’istante a contatto con la sua pelle. Nevicava e tutt’intorno a lui baluginavano lampeggianti rossi e blu.

L’angolo destro della sua bocca ebbe una sorta di spasmo all’idea di raccontare a Krul di aver visto quel momento molto tempo prima, quando un mattino una colazione a base di porridge preparata da Ferid gli aveva riportato alla mente gli stralci di un sogno confuso.

«Crowley…»

Abbassò la testa di scatto e si alzò dal cofano per andare incontro a Ferid, che avvolto in quella coperta isotermica era quasi del tutto d’argento, come lo gnomo fortunato che si regalava ai matrimoni ai tempi dei suoi nonni a Dublino.

«Ehi» gli fece, con un sorriso.

«Ehi» gli rispose lui, con l’aria sfinita.

Lo strinse in un abbraccio, anche se la coperta che scricchiolava rendeva il tutto più ridicolo che tenero. Ferid doveva pensarla allo stesso modo, perché ridacchiò e l’avvolse con quel mantello argentato come una mamma pipistrello.

«C’è spazio sotto il mio mantello dell’invisibilità.»

«Non direi» scherzò Crowley, che vi stava sotto solo con le braccia e poco altro. «Adesso siamo in due, ti serve tutto grande il doppio…»

«O forse il triplo…»

«Se le taglie sono adatte a te, sì, me ne servono due solo per me.»

Ferid non sorrideva più. Gli sembrava persino più pallido, ma era difficile esserne certi nella luce innaturale dei lampeggianti.

«Non sembri stare bene… andiamo in ospedale a fare i controlli. Io ti seguo con la macchina.»

«No… quello… quello aspetterà» mormorò lui.

«No che non aspetterà, idiota. Sei ancora freddo come il ghiaccio.»

«Devo parlarti di una cosa.»

«Parleremo dopo. Non dovrebbe essere un problema, abbiamo passato più tempo insieme in ospedale che insieme a casa, nella nostra storia.»

«Crowley» fece lui, stoico. «Se ora muoio… ci sono delle cose che dovrai fare per me.»

Crowley si accigliò. Non gli piaceva che dicesse qualcosa del genere dopo lo spavento che si era preso, neanche per paranoia.

«Smettila, non morirai.»

«Se mi succede qualcosa devi pensarci tu» insistette Ferid, aggrappandosi al suo braccio. «Per questo non posso aspettare a dirtelo.»

«Non… aspetta… che stai dicendo? A dirmi che cosa?»

Ferid serrò le labbra e guardò a terra, come se cercasse lì le parole che non aveva.

«Io… accetterò qualsiasi reazione da te, Crowley. Capisco bene la portata delle mie azioni e… anche del dolore che ti arrecheranno. Però lo devi sapere.»

«Cielo, Ferid, chi hai ammazzato?»

«Beh» fece lui con una vocina sottile che quasi non capì che era lui a parlare, «in realtà, ecco… forse… cioè, è l’esatto contrario.»

A un momento di confusione subentrò una comprensione che arrivò sotto forma dell’ormai familiare immagine del lingotto nello stomaco.

«No, scusa… che cosa hai fatto?»

Davanti alla colpevolezza che aveva scritta in faccia Crowley chiuse gli occhi per sopportare un dolore strisciante e ritrasse le mani da lui.

Neanche una parola detta da Krul lo aveva preparato e non c’era assolutamente niente che lo potesse riparare da quel colpo di cannone in pieno petto.

 

****

 

Da lontano, sulla seconda ambulanza arrivata sul posto, Mikaela li guardava, avvolto in una coperta rossa e con una tazza di tè caldo in mano come se tutto il trambusto intorno non lo riguardasse. Non li sentiva parlare ma non ne aveva bisogno: i gesti frenetici che faceva Ferid con la mano, il modo in cui Crowley piegò la testa indietro, la distanza che cercavano di aumentare o accorciare tra loro gli dicevano tutto quello che aveva bisogno di sapere. Sapeva che Ferid stava dicendo a Crowley di Estelle e della sua gravidanza.

«Oh, ma guarda.»

Contro ogni sua previsione Crowley lo strinse in un abbraccio che durò molto. Troppo, per pensare che ne sarebbe seguita una rottura. Mika sorrise e prese un sorso di tè. Non l’aveva previsto ma era felice di essersi sbagliato, in questo caso.

«Zeke!»

Mika vide Lucky avvicinarsi di corsa e bloccarsi bruscamente a pochi passi da lui. Aveva l’espressione sperduta, come se si fosse reso conto che correva incontro a uno sconosciuto che aveva scambiato per un amico.

Suo malgrado gli accennò un sorriso, mentre raddrizzava la schiena e si tirava indietro i capelli; con l’acqua si erano arricciati di più.

«Io… stai bene, Zeke?»

«Sì. Io sto bene.»

Vedeva il suo disagio, ma la missione a Bluefields era conclusa: non era più Mikael Maguire né Ezekiel, non aveva motivo di comportarsi diversamente da come avrebbe fatto a casa sua a New Oakheart… almeno, così pensava.

«Sei… ho sentito parlare alcune persone, e la polizia ha preso padre Nereus… è vero? È vero che sei un agente sotto copertura?»

«Sì. Sono un agente della polizia di New Oakheart. Un agente di pattuglia.»

«Sei… un poliziotto…»

Lucky emise una risata incredula e nervosa, passandosi la mano sulla faccia.

«Accidenti… ci ho creduto proprio. Sembravi così solitario, così… ingenuo… Mi hai fregato in tutto, Zeke… ah… non ti chiami neanche Mikael, allora?»

«No.»

«Accipicchia… è davvero… ah, mi sento così stupido!»

La freddezza di Mikaela si incrinò a quelle parole. Era pur sempre davanti a un ragazzo che gli aveva chiesto di mollare tutto e scappare insieme, che aveva detto di essere pronto a dedicargli il resto della sua vita.

Si spostò di lato facendogli posto.

«Siediti un momento, Lucky. Per favore.»

Il ragazzo esitò, poi gli obbedì. Aveva l’aria di un bambino costretto a sedere accanto a un parente di cui ha paura.

«Non avevo previsto di fare quello che ho fatto quando sono arrivato a Bluefields. Dovevo entrare e dare un’occhiata in giro, e riferire… doveva essere una questione di qualche settimana, un mese al massimo. Poi sono successe delle cose…»

«Ed è arrivato tuo… non è tuo fratello davvero, immagino» fece lui, lanciando un’occhiata a Ferid. «Un altro poliziotto?»

«È un libraio» fece Mika, pur sapendo di spiazzarlo. «Ed è mio amico.»

«Capisco.»

C’era un’immensa amarezza in quell’unica parola. A Mika dispiaceva, gli doleva davvero dargli quelle delusioni.

«Però vorrei dirti una cosa, Lucky: quello che è successo tra di noi non era programmato né serviva a un qualche scopo investigativo… non sospettavo di te, non… non mi servivi. Questo voglio che tu lo sappia.»

«Non è che mi conforti tanto… ho… comunque amato una bugia.»

Fu come prendere una scossa. Pur con tutte le belle parole dette e le sue attenzioni, con tutti i gesti che l’avevano suggerito Lucky non gli aveva mai parlato di amore.

Questa volta era Mika che si sentiva a disagio. In imbarazzo, ma anche riscaldato dall’interno, come se gli avesse dato da bere qualcosa di più confortante del tè.

«Non sono così fantasioso come impostore. Ho un padre che ha davvero provato a uccidermi, e che ha ucciso mia sorella maggiore quando eravamo ancora bambini. Ho una madre che non ha provato a impedirglielo perché era la volontà del leader della loro setta. Sono veramente una persona solitaria, ho davvero paura dei rospi, non ho davvero idea di come le pannocchie arrivino già bollite al supermercato, e ho davvero litigato con tre datori di lavoro.»

Lucky lo guardò con uno dei sorrisi più malinconici che avesse mai visto, e gli fece una carezza esitante sulla mano.

«Ma non è vero che non hai un posto dove tornare… quindi non pensavi di venire con me.»

Mika gli prese la mano senza esitazione.

«Ho un posto dove vivo e… persino un ragazzo, questo sì. Però io ho pensato a te… a quello che mi hai offerto. Ti giuro che ci ho pensato con tutta la serietà del mondo. E… che non so che cosa voglio fare.»

Forse era la persona meno adatta a cui confidare i dubbi che aveva, ma se Ferid aveva il coraggio di parlare a Crowley di una faccenda così grande da distruggere dei matrimoni di lunga vita lui non vedeva la ragione di essere schivo.

Lucky non era ferrato nel linguaggio del corpo ma come aveva già dimostrato qualche volta era capace di leggere parti di lui che Mika non conosceva. Lo strinse in un abbraccio.

«Se ti dovesse stancare questa vita vienimi a cercare» gli sussurrò all’orecchio. «Jonathan Murray, 2241 Mountain road, Harfork.»

Mika passò il braccio libero dietro la sua schiena.

«Jonathan Murray, 2241 Mountain road, Harfork… Kentucky.»

Senza aggiungere altro Lucky gli lasciò il bacio di un bambino sulla guancia e si allontanò. Mika rimase a guardarlo finché non scomparve dietro un’auto della polizia, sentendosi più solo che mai.

Girò lo sguardo alla ricerca di Ferid e Crowley, ma prima di trovarli incrociò un paio di occhi verdi che non aveva davvero voglia di vedere, tanto meno dopo un momento così personale.

«Che cosa fai qui anche tu?»

Ismael gli si avvicinò e lo avviluppò come un boa constrictor. Mika spillò un po’ di tè nel tentativo di districarsi.

«Non mi toccare! Ma che vuoi?!»

Gli sussurrò all’orecchio poche parole, ma bastarono a spegnere le sue proteste. A occhi spalancati ascoltò quel mormorio, sempre più incredulo.

«Come fai a saperlo?»

Ismael lo lasciò andare. Il suo sorriso aveva un che di demoniaco, ma durò un attimo soltanto.

«Quando ci rivedremo te lo dirò.»

«Non… non penserai che me la beva, Maguire!»

Lui si fermò a pochi passi di distanza, infilandosi le mani nelle tasche del cappotto. L’aria allegra che aveva in faccia dopo aver detto qualcosa di tanto angosciante lo rendeva raccapricciante come il più inumano dei sociopatici.

«Angel Face, io non penso niente! Ma tu te la senti di scommettere sulla possibilità che io stia solo scherzando?»

Non attese una risposta. Fece una risata frizzante, di gioia, mentre se ne andava senza voltarsi. Mikaela rabbrividì a quel suono, fuori luogo quanto lo sarebbe stato tra i cadaveri di un campo di battaglia.

 

****

 

Ferid sperava che fosse in arrivo il pranzo quando sentì camminare in corridoio, ma invece del carrello dei vassoi fece il suo ingresso una strana cornucopia di vimini, tracimante di tralci di vite, uva, bacche di bosco e fiori rossi. Sbigottito si spostò a destra e a sinistra nel tentativo di trovare un volto a cui rivolgersi.

«Principessa, che diamine ci fai qui?»

«Oh, mi hai riconosciuta?»

«Ti riconoscerei ovunque… e non conosco nessun altro stramboide che mi porterebbe una cornucopia in regalo.»

Krul riemerse dalla cornucopia quando l’appoggiò in un angolo della stanza. Nonostante il sorriso aveva l’aria preoccupata e Ferid si chiese cosa avesse visto nelle sue conchiglie e cosa le avesse raccontato Crowley.

«Come ti senti?»

«Uhm… ho male alla schiena, dove ho colpito l’acqua… per il resto sto bene. Con uno zuccherino e un antidolorifico cammino bene, ma chinarmi è un po’ ostico.»

«Capisco…»

Si mise seduta accanto al letto. Ferid ricordò quando poco più di due anni prima era lui a sedersi con lei in ospedale a leggerle qualcosa, ma questa volta sentiva molto imbarazzo.

«Che cosa ti ha detto Crowley?»

«Di venire subito» replicò lei, lasciandolo stupito. «Mi ha… detto del problema. Per il momento, però, non l’ho detto a Liam. Lui è a casa, non poteva prendere un permesso con così poco preavviso, ma ti manda i migliori auguri. Se vuoi lo possiamo chiamare.»

«Perdonami… ora… in realtà non ho voglia di parlargli. Non ho molta voglia di parlare con qualcuno… non ne vedo il senso, se poi…»

Ferid non riuscì a finire la frase e strinse la coperta con entrambe le mani. Krul, con un gesto di affettuosità senza precedenti, chinò la testa appoggiandola sul suo addome e le mani sulle sue.

«Non hai pensato che sei già pronto per affrontare questo?»

«Come si può affrontare una cosa del genere?»

«Con i tuoi diari… hai dimenticato quanto eri meticoloso a tenerli? Hai la capacità di vincere il tuo nemico. E poi, mi ha detto che migliorerà.»

«È quello che Crowley vuole credere, povero caro… chi può accettare in silenzio un fardello così? Neanche un cristiano come lui ci riuscirebbe.»

Krul sospirò.

«Quante lagne, Ferid. Con tutto quello che hai fatto per gli altri, tutto quello che sei riuscito a ottenere anche nel mare di guai della tua vita, ti vuoi abbattere proprio adesso che tutti noi ti diciamo che lo supererai?»

Non aveva la forza mentale per discutere, figurarsi per combattere. Restò in silenzio, fermo finché lei non sollevò di nuovo la testa.

«Mi hai portato la busta?»

«Quale busta?»

«Non fare la finta tonta» l’ammonì lui. «Sai di che busta parlo. E quando è successo ho finalmente capito che cosa c’era scritto… che cosa stavi cercando di restituirmi.»

«O hai qualcosa da raccontarmi oppure hai preso un granchio reale.»

«Avresti dovuto ragionare prima di fare un incantesimo simile. Quello che hai fatto non poteva che mettersi di traverso tra me e Crowley.»

Krul rise di gusto, dondolando sulla sedia.

«Da quando credi così tanto alla mia magia? Ti sei sempre fidato delle mie predizioni, ma hai sempre guardato i miei braccialetti runici e i miei sacchetti di buona sorte come se pensassi che fossi una povera stupida.»

Ferid preferì non rispondere: avrebbe dovuto fare un voto di fiducia nella magia e implicare che non aveva avuto controllo sul suo destino, oppure ammettere che era il solo responsabile della sua debolezza. Non voleva sbilanciarsi in nessuna di quelle due scomode posizioni.

«Com’è lei?» domandò Krul, confermando così la sua intuizione.

«Una strega.»

«Non ne hai trovata una meglio?»

«No, intendo dire una strega vera. Una strega verde. È una wiccan come te.»

Krul batté le mani per la gioia, come una bimba a cui viene regalata una bella bambola.

«Ah, perfetto, stupendo! Bene, almeno tuo figlio avrà due visioni diverse della spiritualità. Avrà una mente aperta, questo è molto importante.»

Il suo commento cadde nel silenzio. Dopo un po’ si decise a fare una domanda che, secondo Ferid, avrebbe dovuto porgli molto prima, se non addirittura porsela da sé prima di pensare di prendere delle iniziative non richieste.

«Crowley come l’ha presa?»

«Crowley è la migliore persona che potrei mai incontrare in questo mondo… si è risentito, questo lo so. Ma ha fatto l’impossibile per non farmelo vedere. Ha detto che è felice per me, che merito di diventare padre… ma io… non ne sono così sicuro.»

«È un diritto che ti è stato tolto dalle scelte egoiste e distruttive di qualcun altro. Io ti ho solo restituito quel diritto… e non ho pilotato nulla, non ho scelto per te. Io volevo che tu potessi crescere un figlio, ma non ho chiesto che tu ne procreassi uno. Solo che lo ottenessi

Ciò non migliorò come si sentiva con se stesso, perché aggiunse il senso di colpa per averla accusata.

Krul picchiettò la sua mano in un tiepido gesto incoraggiante.

«Avete idea di come organizzarvi?»

«No… ma Estelle non ha una famiglia che sarebbe felice di riprendersela incinta di un uomo che sta con un altro uomo, quindi… penso che verrà con me quando torno nel West End. Se è così… immagino terremo il bambino a giorni alterni, o… non lo so. Ora non riesco neanche a chiamarla per decidere…»

Krul sospirò e prese a frugare nella sua borsa a sacco con ricamo di pipistrelli.

«Un passo alla volta, con calma… intanto vediamo cosa possiamo fare per sistemare la tua aura. È agitata come acqua che bolle in pentola.»

Ferid sospirò a sua volta, chiudendo gli occhi. Al momento la sola cosa che sentiva agitata era la sua coscienza e non conosceva erba, cristallo o persino libro che fosse in grado di acquietarla.

 

****

 

 

Mikaela lasciava vagare lo sguardo sui tavolini del locale, sulla gente che camminava al di là della vetrina e sul traffico della Madigans. Si sentiva ancora spaesato, dopo tanto tempo passato a Bluefields, dove arrivava ovunque se solo era disposto a camminare per un po’ sotto il sole o al freddo e c’erano sovrumani silenzi, come li aveva definiti una volta Ferid citando un famoso poeta.

Eppure questi erano il mio ristorante preferito… il mio tavolino preferito… e il mio uomo preferito.

Davanti a lui Yuu stava farcendo con la consueta pignoleria il panino che ordinava più spesso, quello doppio con il bacon e due tipi di formaggio. Lo aveva ritrovato come l’aveva lasciato: spontaneo, sincero, energico, allegro, innamorato… eppure lui non vedeva lo stesso ragazzo di prima.

O forse sono i miei occhi che non sono uguali a prima…

Yuu concluse la sua minuziosa operazione e rimise il pane in cima, pronto a mangiare. Gli lanciò uno sguardo e un sorriso.

«Allora, stavamo dicendo… quel padre Vann, come si chiama…»

«Mackham… Emil Mackham.»

«Ha raccontato tutto quanto all’FBI?»

«A partire da quando da giovane quel suo amabile fratello l’ha incastrato filmandolo con una spogliarellista che in realtà aveva sedici anni» confermò Mika. «Con quel video l’ha costretto a fargli incontrare una ragazza che gli piaceva, nella comunità di Nashville. Quando è andato per denunciare la cosa al suo superiore quello gli ha detto di far pagare il servizio agli amici di suo fratello.»

«Che tizio schifoso! E vanno in giro a dire che sono preti? Gilbert li riempirebbe di botte.»

«Pensa che Emil Mackham ha scritto a padre Maim, il pezzo grosso su in Michigan, per farglielo sapere. E per bella risposta gli ha detto di gestire l’affare.»

«Ora che ci penso, anche io li riempirei di botte.»

Mika sorseggiò la limonata mentre Yuu aggiungeva qualche dettaglio cruento poco appropriato alla bocca di un agente di polizia.

«E quel ragazzo… quello che ti somiglia… è un suicidio, allora?»

I toni di entrambi si abbassarono un poco.

«Sì. Il Bureau ha scoperto che Lanius conosceva bene Madison. Aveva scoperto alcuni degli abusi, forse aveva qualche registrazione o delle lettere, ma gliele hanno prese prima di ammazzarlo. Madison ha detto a un detective di insistere, che non era un incidente, ma non gli hanno dato retta… forse per questo non si è fidato ad andare alla polizia a denunciarli.»

«Dev’essersi sentito molto solo.»

«E obbligato ad agire perché Lanius non fosse dimenticato… ha avuto un incredibile coraggio. Ha bevuto, assunto ketamina, e ingoiato la capsula con il nome di James Beam per dare al prossimo investigatore tutti i pezzi del puzzle… ma la ketamina causa vomito, e l’ha rigettata prima di buttarsi in acqua. Non è riuscito a rimandarla giù.»

«Mi fa tanta compassione… se solo qualcuno come te si fosse interessato al caso laggiù, le cose sarebbero andate diversamente.»

«Senza il suo sacrificio non ne sarebbe venuto nulla… e forse l’avrebbero ammazzato loro in un banale incidente. È stato bravo a trovare una strategia con probabilità più alte di vendicare il suo amico e fare giustizia… peccato che il sacrificio fosse necessario.»

Yuu gli lanciò un’occhiata critica che conosceva bene.

«Non mi piace quando parli come se la vita fosse una partita a scacchi… nella vita dovresti giocare per non perdere i pezzi, non per fare scacco matto.»

«Hai ragione… scusami.»

Scrollò le spalle, come a minimizzare il colpo.

«L’FBI ti ha detto anche cos’hanno trovato, mentre eravate là?»

«Per lo più cose da indagine, quelle che controlla anche Crowley: conti bancari, il passamano delle presunte donazioni… soldi che hanno preso per strani servizi di tipo religioso, extra tasse, ovvio.»

«Un po’ come Al Capone?»

«Un po’ come Al Capone. Pensavano che il primo emendamento li avrebbe protetti anche dalle indagini per frode… poi il tranello ha fatto il resto. Nereus ha spiattellato quasi tutto quello che aveva combinato a portata d’orecchio di un agente del Bureau… le cause private per danni che i membri coinvolti muoveranno alla Chiesa finiranno di distruggerla.»

«E così finisce il sogno di dominio di un’altra setta.»

«La Chiesa dell’Acqua non è una setta» lo contraddisse Mika, incapace di celare un sorrisino. «Aveva a capo qualche testa marcia… ma il suo credo non è malato. Non mira alla distruzione dell’individualità, né alla manipolazione dei membri… il suo culto è pulito. Ma immagino finirà per essere spazzato via dallo scandalo…»

Yuu mise giù il mezzo panino rimasto e si pulì per bene le dita. Lo guardava con un’aria seria che non gli fece presagire qualcosa di buono.

«Sai, non sembri il mio Mika.»

Una stretta allo stomaco gli impedì di deglutire il boccone.

«Sei così… uh… non so se ho la parola giusta… però, insomma, prima ti arrabbiavi per tutto. Il traffico, il disordine, io che non mi vesto quando mi alzo la mattina… ora sembra quasi che non t’importi di niente. Ho bevuto il tuo kefir dalla bottiglia davanti a te, stavo tutto nudo e non hai detto una parola.»

«Sei il mio ragazzo» replicò lui, alzando le spalle.

«Lo sono sempre stato, ma strillavi come un’aquila quando bevevo dalla bottiglia del latte… e poi ogni tanto guardi dalla finestra con l’aria stordita. Non so se sei a posto.»

«Disturbo da stress post traumatico, forse. Non farci caso» biascicò Mika.

Yuu unì le punte delle dita in un modo che gli ricordò molto Ferid.

«Non mi parli ancora di quell’altro?»

Gli sfuggì la forchetta e annaspò inutilmente per riprenderla. Cadde a terra, ma nessuno dei due la degnò di attenzione: Yuu lo fissava con un vago sorriso, Mika si sentiva come se invece di cadergli di mano la forchetta gli si fosse bloccata in gola.

«Quell’altro chi?»

«Lo sai l’altro chi… Mika, pensavi che non me ne sarei accorto?»

La gola gli si prosciugò in un attimo. Non aveva idea di come potesse essersi reso conto che l’aveva tradito. Iniziò a pensare a totali assurdità, come l’avere un altro odore o dei segni permanenti, visibili a tutti ma non a lui.

«Conosco ogni tuo gesto… tutto quello che ti piace. Pensavi che non mi sarei accorto che ti sei abituato a un corpo diverso dal mio?»

«Questo non è vero» replicò in modo quasi automatico.

«Certo che è vero. Eri disorientato da me… e anche… annoiato, mi sembrava. Mi sa che l’altro è più bravo di me.»

Bastò abbassare le palpebre e in quella frazione di secondo rivide Lucky, risentì il peso del suo corpo addosso, la forza con cui lo stringeva. Quando li riaprì non aveva neanche un appiglio per mentire.

«Mi dispiace, Yuu… non… non sapevo come dirtelo.»

L’ammissione non cambiò molto nell’espressione del suo ragazzo, se non una piccola traccia di fastidio che dissimulò rapidamente.

«Non fa niente, Mika… può succedere… sono circostanze speciali, quindi regole speciali, no? Tieni, prendi la mia forchetta. A me non serve.»

Allungò la mano per prenderla, ma il cibo non aveva più la minima attrattiva. Non l’aveva quel ristorante, non l’aveva New Oakheart, e per quanto gli dolesse ammetterlo non l’aveva la sua intera vita. La sua frustrazione gli fece schiantare la forchetta sul tavolino anziché appoggiarla.

«Ehi… Mika?»

«Mi dispiace. Mi dispiace, Yuu, io… non volevo parlarti di quel ragazzo, non te lo volevo dire. E pensavo che tornare a casa avrebbe sistemato tutto, ma tu hai ragione, e io non sono il tuo Mika. Non lo sono più.»

Finalmente Yuu smise di sorridere.

«Che t’è preso, adesso?»

«Io non sono più lo stesso che è arrivato a Bluefields con uno zainetto e un piano con più buchi di un colapasta. Ho conosciuto delle persone, ho vissuto una vita che… che non credevo neanche potessi avere. Ho conosciuto una realtà che non mi aspettavo. Non…»

Mika inspirò profondamente per trattenere l’emozione. Al di là del vetro New Oakheart era un caotico alveare di api laboriose con il loro lavoro da portare a termine e il loro piccolo mondo in cui vivere… ma lui ora si sentiva una rondine, e l’inverno incombeva.

«Questa vita non è quella che voglio.»

«Andiamo… Mika… sei tornato da pochi giorni! Devi ancora scrollarti di dosso quell’esperienza, passerà… appena tornerai al lavoro vedrai che tornerai in te.»

«Yuu, ti sto dicendo che non sono felice qui.»

Yuu spostò il piatto coi resti del panino e incrociò le braccia sul tavolo.

«Intendi dire che vuoi andare davvero a Quantico?»

«Non credo di volerci andare, no.»

La rabbia iniziava a intaccare Yuu, e Mika ne fu sollevato, perché da lui cercava delle reazioni che potesse soppesare.

«E allora si può sapere che cos’è che vuoi? Vuoi andartene con quell’altro?»

Mika girò la testa, come se gli fosse volata una mosca sul naso.

«Non ha niente a che vedere con Lucky.»

«Ah, è così che si chiama, allora. Bene, se non è Lucky che altro c’è?»

«Non te la prendere con lui, Yuu. Mi ritengo abbastanza assennato da non pensare di rivoluzionare la mia intera vita per uno con un grosso pene.»

Yuu raddrizzò la schiena contro la sedia, ma le braccia si intrecciarono più strette.

«Sto aspettando che mi spieghi da dove ti viene quest’idea, se non è per questo tizio!»

«Perché ho visto un altro modo di vivere! E sono andato solo in un… buco, quattro edifici isolati in mezzo ai boschi del West Virginia! Che cosa ho perso? Quante cose ho visto senza guardarle? Ho vissuto con la morte di mia sorella sulla schiena come un macigno, aggrappato a te, per tutti questi anni, e adesso io… vedo che c’è un mondo… un mondo di posti, di persone e di cose che ho ignorato!»

La rabbia di Yuu si raffreddò e le braccia si districarono.

«E tu… vuoi che ti lasci andare. Vuoi andare a scoprirlo da solo, è questo?»

«Sì» gli rispose a mezza voce. «Ho bisogno di… sapere che non sono legato da catene… che non sono… obbligato a tornare.»

«Per… per la miseria, Mika…»

Yuu si passò le mani sulla faccia, stravolto. Era un flagello anche per lui dargli un dolore, ma continuare a fare finta di non essere mai stato a Bluefields non sarebbe servito a nessuno dei due se non riusciva neanche a farlo vivere in un confortante inganno. Cadde un silenzio lungo due minuti pieni, prima che Yuu risollevasse la testa.

«Finisce così… allora?»

«Yuu… senti… se tornerò a cercarti, io… voglio che sia perché non ho trovato niente, là fuori, che mi facesse stare bene come la vita che ricordo insieme a te. Ma non voglio arrivare a detestarti, fra qualche anno, perché mi sono sentito intrappolato da una scelta che abbiamo fatto da troppo giovani.»

«Oh, Mika, andiamo… sei capace di stare sveglio una notte a giocare a scacchi su Chessmaster e compri cose che non usiamo solo perché hai i coupon, perché devi iniziare a fare scelte mature piantando me?»

Mika non trovò niente da dire, anche perché non riuscì a capire se fosse serio o se volesse essere un tentativo di ironia. Yuu si passò la mano nei capelli con un sospiro.

«D’accordo… è… Capisco il tuo pensiero, dico davvero… è giusto… è… sì, ho sempre detto che ti dovevi aprire, che ti volevo felice. È ancora così.»

Tirò un gran sorriso, ma non riuscì a dissimulare del tutto che gli colava il naso.

«Se è quello che vuoi… allora fai quello che ti senti.»

Prese il telefono dalla tasca e si alzò dalla sedia.

«Io… sono stato invitato da Harry qualche volta, mentre non c’eri, per giocare a Need for speed. So che ha una stanza nel seminterrato per quando viene suo fratello in città, e… ti spiace se lo chiamo ora? Se può ospitarmi stanotte sto da lui… mi… mi farebbe troppo strano dormire insieme stasera.»

«Oh… no, io… lascia stare, Yuu. È colpa mia, me ne vado io… chiamo Ferid e gli dico che mi appoggio nel suo appartamento.»

«No, tu… tu hai da fare… le valigie. Mi faccio ospitare da Harry.»

Yuu uscì dal locale e Mika lo guardò telefonare dalla vetrina, con il senso di colpa che lo sbranava dall’interno. Era un comportamento egoistico, stava buttando via i sacrifici che avevano fatto insieme, tutto quello che erano stati… ma dentro di lui sapeva di non poter più essere quello che era stato. Non sapeva chi o cosa sarebbe stato felice di diventare e proprio perché non lo sapeva aveva la necessità di partire.

Nevicava su New Oakheart e, d’impulso, decise di andare verso sud.

   
 
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