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Autore: Giorgi_b    22/05/2023    6 recensioni
Scritta per il contest #mayiwrite2023 #giorno20 #fuorichallenge del gruppo fb Non solo Sherlock.
 
«Scusa Shō se te lo chiedo, ma davvero questa è stata la prima volta che vi siete baciati?»
Annuisce mesto, la testa abbandonata tra le mani. Singhiozza, si tira su e Hitoka, per l’ennesima volta nell’ultimo quarto d’ora, cerca di non sussultare alla vista di quella faccia disastrata: gli occhi annegati di lacrime, il labbro inferiore gonfio, un baffo di sangue rappreso che, partendo dal naso, punta come una freccia sullo zigomo già livido. 
Sente il cuore stringersi, vorrebbe deglutire quel nodo alla gola che l’amico le ha passato contagiandola come un virus, un fardello condiviso e necessario a confermare che lo sono davvero, amici del cuore. 
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Yachi Hitoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il contest #mayiwrite2023 #giorno20 #fuorichallenge del gruppo fb Non solo Sherlock.
Prompt: Lentiggini; SOS; devo salvarl*; come due estranei + immagine: aula scolastica.

 
 
***


Ai capelli rossicci,
intrecciati in una piccola corona a sommo del capo
e scendenti in larghi boccoli sugli orecchi,
s’intonava la pelle bianchissima e delicata
cosparsa di piccole efelidi
 
Thomas Mann
 
 
 

 
 
 
«Scusa Shō se te lo chiedo, ma davvero questa è stata la prima volta che vi siete baciati?»
Annuisce mesto, la testa abbandonata tra le mani. Singhiozza, si tira su e Hitoka, per l’ennesima volta nell’ultimo quarto d’ora, cerca di non sussultare alla vista di quella faccia disastrata: gli occhi annegati di lacrime, il labbro inferiore gonfio, un baffo di sangue rappreso che, partendo dal naso, punta come una freccia sullo zigomo già livido. 
Sente il cuore stringersi, vorrebbe deglutire quel nodo alla gola che l’amico le ha passato contagiandola come un virus, un fardello condiviso e necessario a confermare che lo sono davvero, amici del cuore. 
A dirla tutta vorrebbe tanto piangere anche lei, è una giornata piena di emozioni, ma deve farsi coraggio per Shouyou o finirà come al solito: con lui che consola lei. Tira su col naso, si schiarisce la gola e con un sorriso incerto tampona il sacchetto di ghiaccio sintetico dove Kageyama ha colpito più duramente. 
«Yacchan, lo so quello che avete sempre pensato tu, Tsukishima e Yamaguchi, ma non è mai successo niente, prima...» Chiude gli occhi e un lacrimone che era rimasto impigliato tra le ciglia cade giù, pesante come un macigno. «Sinceramente… non sapevo nemmeno di volerlo prima di oggi. Mi capisci?»
Hitoka sorride e lo accarezza sulla testa. Con Shouyou è sempre stato facile parlare, sebbene sia molto diverso da lei e si esprima per un buon trenta per cento con onomatopee, non ha mai fatto fatica a capirlo. 
E ora il senso di colpa le sta lacerando l’anima, si chiede se non sia stata una pessima amica non costringendolo ad aprire gli occhi su quello che per lei – per tutti – era così evidente. Avrebbe potuto evitargli tutto questo dolore? Avrebbe ragionato di più invece di lanciarsi con un bacio kamikaze?
Fin dal primo litigio a cui aveva assistito tra quei due, le era stato chiaro che Hinata non considerasse Kageyama uno qualunque. Quella stessa sera accompagnandola a casa le aveva praticamente confessato tra le lacrime che per lui era molto più di un semplice compagno di squadra, di un fenomeno della pallavolo o di un partner. Come aveva fatto in tutto quel tempo quel testone a non rendersi conto di quanto gli piacesse Tobio? Dopo tre lunghi anni in cui avevano vissuto in simbiosi, in cui si erano incastrati fisicamente come tessere di un puzzle, in cui si intendevano alla perfezione senza nemmeno parlarsi… come era possibile?! Non che lo spilungone fosse più sveglio, tutt'altro! Con Shouyou era un continuo di premure e attenzioni travestite da gesti sgarbati, di vezzeggiativi e frasi carine camuffati da parolacce, di sguardi di affetto nascosti sotto sopracciglia aggrottate, di tenere carezze mascherate da tirate di capelli.
Hitoka non riusciva proprio a spiegarsi come quei ragazzi potessero avere gli arti, la bocca, il cervello e il cuore tanto scollegati tra loro. Forse aveva ragione Tsukishima: semplicemente erano un po’ scemi. Tanto cari, ma comunque scemi. 
Hinata mugola qualcosa di incomprensibile e riprende a piangere.
«Oh, Shō… non fare così! Mi dispiace immensamente che abbia reagito tanto male…» Guarda il volto tumefatto di Shouyou. Male? Che diamine… “male” è un eufemismo, vorrebbe poter dire: di merda, ma è una ragazza ben educata e, nonostante la situazione lo consentirebbe, preferisce attenersi alle regole della manager posata che Shimizu senpai le ha lasciato in eredità. «Ma… insomma, lo sai com’è fatto Kageyama-kun… forse non era pronto… forse…»
Veloce e iperattivo come sempre, allo stesso tempo sospira, singhiozza, annuisce e farfuglia un triste: «Già. O forse… non era interessato! Forse ora gli faccio schifo! Cazzo! Ho rovinato tutto, Yacchan…» e in un tentativo di trattenere un gemito si morde a sangue il labbro già spaccato. In un moto di tenerezza Hitoka non può fare a meno di abbracciarlo. Se le sue compagne di classe la vedessero adesso, seduta sui gradini della palestra, aggrappata stretta stretta a Hinata, riderebbero come pazze prendendola in giro con quella stupidaggine che va avanti dal primo anno, cioè che ha una cotta per lui. Dicessero quello che vogliono quelle deficienti, pensa stringendo più forte, tanto è il giorno dei diplomi, tra qualche mese andrà a Tokyo a studiare Graphic design alla TDA e molto probabilmente non vedrà più nessuna di loro. E purtroppo nemmeno i ragazzi della squadra. O almeno, non con la stessa frequenza. 
Con Yama si vogliono un gran bene, è un ragazzo dolcissimo e da quando in terza è diventato capitano il loro rapporto si è fatto ancora più stretto. Anche Tsukki nonostante le apparenze le è molto affezionato, hanno la stessa passione per la letteratura europea ottocentesca, si scambiano libri e consigli e sicuramente continueranno a farlo anche dopo la fine delle superiori. 
Hinata si è dato un anno per prepararsi al Brasile, nel frattempo resterà a Ōsaki ad allenarsi, a studiare il portoghese e a lavorare per mettere da parte un po’ di soldi e lei ne è ben contenta: sotto sotto spera che Shouyou cambi idea, perché questa cosa di Rio la terrorizza. Kageyama, invece, ha firmato un contratto con gli Adlers e si trasferirà anche lui nella capitale tra un mese. Senza nemmeno saperlo, ha preso casa non troppo distante dal dormitorio universitario di Hitoka e quindi potranno vedersi spesso. Ne stavano giusto parlando con Hinata un paio di settimane prima in classe, tutti e tre seduti vicini intorno allo stesso banco mentre preparavano gli esami finali. 
Se lo ricordava bene quel giorno perché aveva assistito a uno dei migliori siparietti che il duo bislacco le avesse mai offerto. 
Stavano affrontando gli appunti di giapponese moderno del professor Takeda, materia che generava ogni volta battibecchi e disquisizioni tra i due su chi fosse più stupido. E infatti, dopo qualche insolito minuto di silenzio tombale, insospettita Hitoka aveva sollevato lo sguardo dal proprio libro e aveva beccato Kageyama incantato a guardare Hinata che, sentendosi a sua volta osservato, aveva alzato gli occhi dal quaderno con fare interrogativo. L’altro, allora, con uno scatto l’aveva afferrato per il mento e, trascinandolo senza nessuna delicatezza verso di sé, se l’era avvicinato al viso fino quasi a sfiorare la punta del naso di Shouyou col proprio e, con l’imperturbabilità che lo distingueva, lo scrutava serio, girandogli il volto a destra e sinistra, incurante dell’imbarazzo di Hinata.
«CheccazzofaiKagey… mpfh!»
Col cuore che martellava sulle costole Hitoka aveva strabuzzato gli occhi quasi cadendo dalla sedia.
Cosa. diavolo. stava. succedendo. 
Da fuyoshi quale era, negli anni aveva goduto di tonnellate di materiale BL che quei due le avevano offerto costantemente, ma qui, kamisama, c’erano le premesse per un panel degno dei migliori shonen-ai della sua collezione, i top di gamma, le pietre miliari, quelli che aveva consumato a forza di leggere e rileggere. Avesse avuto un sacchetto di pop-corn si sarebbe messa a sgranocchiarli gongolando. 
Una vocina guastafeste però le aveva rovinato l’entusiasmo sussurrandole che forse avrebbero avuto bisogno di un po’ di privacy e che quindi sarebbe stato carino lasciarli soli… un’altra aveva ribattuto che, del resto, loro due per primi non si stavano preoccupando della sua presenza e quindi che male ci sarebbe stato se fosse rimasta?! No, no… doveva andar via! Come poteva però rinunciare ad assistere al momento epico del coronamento d’amore tra i suoi amici…?! Oddei, erano così belli! Diamine, che scelta difficile! Andare o restare? Restare o andare? 
Mentre lei si era persa nelle sue fantasie, Tobio intanto aveva intimato a Hinata di stare fermo stringendo ancora di più le sue guance, deformandogli le labbra in un fiore di carne umida e denti bianchissimi. 
«Ma che cazzo, boke! Hai la faccia piena di lentiggini, non ti sei messo la crema protettiva come ti avevo detto, quando l’altro giorno siamo andati a correre sotto al sole, vero? Quante volte ti devo dire di stare attento? Hai la pelle troppo chiara, abituati a usare la protezione, occhiali da sole e cappello, o in Brasile finirai bruciato vivo, coglione!»
Shouyou si era divincolato aggrappandosi ai polsi del suo aguzzino che non si era mosso di un millimetro, anzi, in un moto d’ira, aveva stretto ancora di più le dita, per poi mollare la presa, strattonandolo senza tanti complimenti. Schioccando la lingua e imprecando a bassa voce si era piegato e si era messo a trafficare nella propria borsa.
Massaggiandosi le guance arrossate e indolenzite Hinata le aveva lanciato uno sguardo frastornato di SOS. Che gli prende? Sembrava chiederle. Lei non aveva saputo fare altro che alzare le spalle e tentare un sorriso sghembo.
«Thó, boke, prendi queste.» e nel dirlo Kageyama aveva lanciato due flaconi sul banco come fossero granate.
Sempre più perplesso Shouyou si era voltato verso di lei cercando aiuto. «C-cosa sono?» le aveva chiesto mostrandole le confezioni. Hitoka aveva riconosciuto subito il logo della costosissima casa cosmetica del siero antirughe coreano che usava sua madre e che centellinava manco fosse oro liquido.
«Non saprei, sono scritti in coreano… sono… forse una crema solare e un dopo sole, Kageyama-kun?» aveva domandato dubbiosa.
«Esatto. Sapete che Miwa ha iniziato a lavorare in quel salone di bellezza a Sendai… beh, le ho chiesto di consigliarmi qualcosa e mi ha fatto comprare queste, dice che sono le migliori.»
«Ma… ma… ti saranno costate un occhio della testa!» le era sfuggito con uno squittio.
Lui aveva alzato le spalle con noncuranza. «Beh, per forza, sono le migliori. Te le regalo, boke, tu però usale!»
Shouyou era rimasto a osservare i due tubetti con le labbra sigillate, immobile, incapace di produrre un’espressione o un suono qualunque.
Devo salvarlo da questo imbarazzo, aveva pensato Hitoka, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Kageyama aveva preso il dopo sole, se l’era versato sulle dita e con il solito sguardo d’acciaio, in contrasto con un inedito, timido rossore delle guance, aveva mormorato: «Boke, mia sorella mi ha fatto vedere come si deve spalmare, c’è un modo particolare. Vieni qui.»
Shouyou aveva trattenuto il respiro per qualche frazione di secondo, poi si era sporto con il collo ubbidendo e offrendosi docile all’altro. Lo aveva guardato intensamente spillando oro e miele dagli occhi, poi li aveva chiusi e con un sospiro tremulo si era affidato alle mani di Kageyama. 
Tobio, bellissimo e assorto, labbra dischiuse e fronte aggrottata, aveva prima picchiettato con l’indice piccole noci di prodotto sul viso di Shouyou, poi, con movimenti lenti, delicati e simmetrici dei pollici, aveva distribuito il fluido sulle guance, sotto gli occhi, sulla fronte, tra le sopracciglia, nel lembo di pelle tra il naso il labbro superiore, sfiorando la bocca inerme e morbida di Shouyou un po’ troppo spesso per essere un caso, indugiando e massaggiando con una sensualità che Hitoka non avrebbe mai creduto possibile per quelle mani.
Una vampata di calore partita dalle piante dei piedi e arrivata fino alle punte dei capelli l’aveva arsa viva in una sola fiammata facendole capire di dover levare le tende… subito! Così aveva riportato in sede la propria mascella caduta chissà quando, deglutito almeno un litro di saliva e, farfugliando qualcosa a proposito di un appuntamento dimenticato, era fuggita via con la pelle d’oca e il cuore in gola. E loro non l’avevano nemmeno degnata di uno sguardo.
L’indomani in palestra avrebbe tanto voluto chiedere a Shouyou com’era finita, ma durante gli allenamenti i due scemi si erano comportati come sempre e delusa aveva immaginato che non fosse successo molto di più di quanto non avesse già visto, purtroppo.
«Shō, posso farti una domanda? Cosa avete fatto quel giorno in classe quando sono andata via?» Hitoka scioglie l’abbraccio, lo guarda un po’ imbarazzata dalla sua stessa intraprendenza.
«Quando?»
«Il giorno della crema.» Lui aggrotta per un secondo la fronte, poi lo sguardo si schiarisce, si passa il dorso della mano sotto al naso per raccogliere un rigagnolo di muco trasparente e accenna un sorriso. 
«Aaah, sì! Non abbiamo fatto niente di speciale, perché me lo chiedi? Kageyama ha continuato a spalmarmi la crema a lungo e… non lo diresti mai, Yacchan, ma quello stronzo ha delle mani delicatissime quando vuole. Allora dopo un po’ mi è scappato un sospiro e gli ho sussurrato che era molto bravo e che mi stava piacendo tantissimo, che avrei tanto voluto portarlo con me in Brasile anche solo per farmi mettere la crema tutte le mattine e tutte le sere e lui a quel punto si è bloccato. Con la voce più gentile che ho saputo fare, l’ho pregato di continuare, perché, credimi, era davvero bellissimo quello che stava facendo, avevo la pelle d’oca dovunque, ma lui è rimasto fermo con le mani strette intorno al mio viso e sentivo che non stava nemmeno respirando così ho aperto gli occhi per vedere cosa succedeva. E Kageyama era davanti a me, vicinissimo, tutto rosso, impalato come un coglione e… sai quando il cervello ogni tanto gli fa piuuuuum e si spegne? Ecco aveva quella faccia lì. Sconvolta.
E quindi ho sorriso, che ci potevo fare? Era troppo buffo! Ma lui come al solito si è arrabbiato e per ripicca mi ha ficcato le dita negli occhi accecandomi con la crema. Non puoi capire quanto bruciava, Yacchan. Ma… perché piangi? Ho detto qualcosa che…»
«Perché andrà tutto bene Shō, ora ne sono sicura. Prima o poi andrà tutto bene, fidati di me!»
 
Negli anni a seguire, ogni volta che si ritroverà a consolare l’uno o l’altro nelle lunghe call notturne su Skype o durante le cene a base di curry in un piccolo appartamento di Tokyo, Hitoka tornerà al pensiero fatto quel giorno: prima o poi andrà tutto bene.  
E così passeranno le stagioni, cambieranno città, nazioni, continenti, colori di maglia, compagni di squadra, compagni di vita. 
Finché una sera d’estate, sotto un ulivo secolare, in una splendida villa sul lago a Trevignano, poco prima dello scambio degli anelli, Hitoka, avvolta in un abito lungo di seta blu pervinca, si troverà a raccontare a una platea di amici vecchi e nuovi di quel lontano giorno del diploma, quando ha raccolto col cucchiaino Shouyou dopo il primo rifiuto di Tobio. Di come quest’ultimo negli anni successivi abbia metabolizzato e accettato i propri sentimenti, di come si siano rincorsi, sfidandosi, scontrandosi, evitandosi e ancora cercandosi. 
E dopo essersi trattati come due rivali, come due amici, come due compagni di squadra, come due amanti, come due estranei, eccoli finalmente insieme, uniti come fossero una cosa sola.
Al momento del bacio, da brava fuyoshi gongolerà e con le lacrime agli occhi si dirà: lo sapevo che sarebbe andato tutto bene
 
***

HITOKA YACHI UNA DI NOI!

Un grande grazie alla mia adorata Orikunie che fangirla con me scacciando ogni tristezza! 
E un GRAZIE a tutti voi che avete letto fin qui: fatemi sapere cosa ne pensate <3!
 
   
 
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