Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Giorgi_b    22/05/2023    10 recensioni
“Quindi Levi – l’assassino, il criminale, la feccia – è inginocchiato di sua spontanea volontà ai piedi del tredicesimo comandante del corpo di ricerca e questa improvvisa consapevolezza lo fa bestemmiare mentalmente. Non si era mai piegato davanti a nessuno prima di conoscere Erwin Smith. Eppure ormai dovrebbe averci fatto l’abitudine: il proprio corpo in presenza di questo stronzo fa cose strane. Suda, arrossisce, palpita, trema, si inturgidisce.
Ora, per esempio – nell’istante dilatato all’infinito in cui Levi, il soldato più forte dell’umanità, vorrebbe ritirarsi a vivere per sempre, fanculo tutti e tutto – non può fare a meno di domandarsi perché si senta come un moccioso che sta per infilare la lingua in bocca alla sua verginella, in un tripudio di batticuori e pelle d’oca di merda.”
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: In questa what if Levi non ha ancora scoperto di essere un Ackerman.
 
 
 
 
Battaglia di Shiganshina, anno 850
 
 
 
 
È un pensiero sciocco che galleggia con frivola leggerezza sullo strazio delle urla, un fiocco di polline che fluttua tra i sibili dei cavi d’acciaio mentre fendono l’aria; una bolla di sapone iridescente che si solleva sul fetore delle viscere fumanti dei corpi che fino a pochi istanti fa erano figli, fratelli, sorelle, amici, compagni, soldati e ora sono solo brandelli di carne putrescente strappata dalle ossa. 
Un pensiero che risuona come unghie su una lavagna mentre la terra di Shiganshina trema, collassando sotto i colpi di quella pachidermica, pantagruelica, mostruosa aberrazione.
Ma se per un momento può concedersi di chiudere gli occhi e fuggire almeno una volta denudandosi di questa divisa, di questa pelle, di questa vita, il capitano Levi pensa:
 
Merda. Sembra una proposta di matrimonio!
 
E sarebbe da mettersi a ridere se non fosse per alcuni pezzi di vetro e pietrisco conficcati nel ginocchio che lo tengono ancorato lì con un dolore sottile, ma persistente, quasi premuroso nell’impedirgli di allontanarsi troppo con la fantasia, trasportato dall’odore di cavallo, sudore e cazzo che i pantaloni luridi di Erwin sprigionano. Sente l’impulso di strapparglieli di dosso e strofinarli con quel sapone buono che conserva per le grandi occasioni, Levi la sguattera, Levi il maniaco della pulizia, ma si rende conto che persino lui e i suoi vestiti, in questo squarcio di inferno sulla terra, hanno visto tempi migliori. 
Quindi Levi – l’assassino, il criminale, la feccia – è inginocchiato di sua spontanea volontà ai piedi del tredicesimo comandante del corpo di ricerca e questa improvvisa consapevolezza lo fa bestemmiare mentalmente. Non si era mai piegato davanti a nessuno prima di conoscere Erwin Smith. Eppure ormai dovrebbe averci fatto l’abitudine: il proprio corpo in presenza di questo stronzo fa cose strane. Suda, arrossisce, palpita, trema, si inturgidisce.
Ora, per esempio – nell’istante dilatato all’infinito in cui Levi, il soldato più forte dell’umanità, vorrebbe ritirarsi a vivere per sempre, fanculo tutti e tutto – non può fare a meno di domandarsi perché si senta come un moccioso che sta per infilare la lingua in bocca alla sua verginella, in un tripudio di batticuori e pelle d’oca di merda.

Sei inginocchiato ai suoi piedi e sembra una cazzo di proposta di matrimonio, ecco perché.

Se fosse il momento giusto, se fossero da soli nella sala ufficiali davanti alle braci quasi spente di un camino a notte fonda, rilassati e leggermente alticci, come è successo altre dieci, cento, mille volte, di nuovo ci sarebbe da ridere a raccontargli l’immagine che gli è baluginata nella mente: se stesso in una ridicola calzamaglia azzurra, un cappello con la piuma trattenuto con le mani sul petto, mentre si china su quel pezzo d’uomo di Erwin nei panni di seta e mussolina della bella addormentata nel bosco, con tanto di trecce, mazzolino di fiori in grembo e tutto il resto, in attesa di essere risvegliato con un bacio. 
Farebbe ridere di più se non fosse che, sotto sotto, Levi lo scorbutico, l’irascibile, lo sboccato, ha davvero sempre pensato che gli occhi di cielo limpidi e penetranti e i capelli di grano maturo orditi di sole e fili di seta dorata del suo comandante potessero appartenere solo al personaggio di una di quelle stronzate di fiabe che nessuno ha mai raccontato a Levi, il bastardo dei bassifondi, il figlio di Kuchel la puttana. 
Del resto, da dove viene lui le favole non esistono perché non ci sono bambini a cui raccontarle, si nasce già grandi o si muore. 
Eppure, da qualche parte in questo mondo in superficie devono esistere per forza, perché è evidente che Erwin Smith appartenga a una di quelle fottutissime fiabe.
Una sadica, nera e cattiva forse, ma pur sempre una fiaba.
Levi il nano lo ha sempre saputo, dal primo momento in cui ha alzato lo sguardo incrociando quegli occhi che erano come finestre su un cielo di cui aveva solo sentito parlare, nella città sotterranea dove il pallore dei lampioni a olio ingoia i colori sbiadendo la pelle, le iridi, i capelli e i sogni. Dove puoi nascere, crescere e morire senza la dignità di un nome perché appartieni al buio e non sei altro che una sfumatura evanescente di un’interminabile notte. 
Quindi, ponendo il caso che questa sia davvero una proposta di matrimonio, se anche Erwin lo volesse, Levi l’ombra non avrebbe nemmeno un cognome da offrirgli in dote.
Ed è questo il momento in cui, come un coglione, si lascia trasportare dal suo cuore e si distrae, raccontandosi una favola.
Gli torna in mente una cosa che ha letto in uno dei polverosi libri di Erwin, una frase che era stata sottolineata con un inchiostro verde dal suo proprietario: siamo tutti costretti, per renderci sopportabile la realtà, a coltivare dentro di noi qualche piccola follia.
Ma parliamoci chiaro, qui non si tratta di una “piccola follia”, questa è proprio una macroscopica stronzata e, mentre si maledice, non riesce non pensarla - la cazzata - e non ripeterla ancora e ancora nella propria mente, ossessivamente. Il suono è così dolce che se lo rigira sulla lingua come una zolletta di zucchero. 
 
Levi Smith.
 
Lo sussurra al suo cuore come un piacere segreto e colpevole: Levi Smith.
Lo assapora tra i denti tenendosi per sé il retrogusto fruttato di un altro possibile modo di vivere, Levi Smith, lontano dai giganti e dal corpo di ricerca, Levi Smith; e sta davvero per mettersi a ridere al pensiero ridicolo e folle di una vita tranquilla con l’uomo che ha sempre ______ e che per il resto dei suoi schifosissimi giorni (fossero anche solo ore, minuti, secondi) continuerà ad ______. 
Non c’è dubbio che sia molto pudico, molto stupido o forse molto vigliacco se ancora non riesce a dire nemmeno a se stesso che ______ profondamente, ______ perdutamente, ______ disperatamente Erwin Smith. 

Un branco di cavalli in fuga alza un polverone che lo fa tossire e l’incantesimo come è iniziato finisce.
Che scherzo di merda gli ha fatto la testa. Ingoia la propria delusione e per distrarsi, farsi forza o punirsi si conficca le unghie nella carne delle cosce a sangue.
Ed eccolo, il soldato più forte dell’umanità, mentre torna con lo spirito davanti al rottame del suo comandante, mentre cerca di non sgretolarsi in mille pezzettini al suono della supplica bassa e incerta, un’inflessione finora sconosciuta della voce di questo bastardo egoista che gli sta affidando la salvezza della sua anima. 
Che cazzo, ciò che Erwin gli sta chiedendo è molto più di una vita insieme, di ingrigire sotto un portico al lento incedere delle stagioni, di godere del calore del corpo dell’altro, di carezze ruvide, di barba del mattino, di lenzuola fresche di bucato dove riposare insieme, di milioni di tazze di tè davanti a una scacchiera. Quelle cose non sono per lui, per loro. Per loro c’è questo: sognare e morire.
Inspira ed è stranamente calmo quando apre la bocca e sussurra una sentenza di morte che è la più grande dichiarazione d’amore di cui è capace.
L’unico anello che può permettersi di regalargli.
Il movimento della testa, le spalle che si alleggeriscono, il sorriso sereno che riceve in cambio infesteranno il resto della sua vita come uno spettro. 
Gli occhi che dicono sì, lo voglio lo fanno volare alto per l’ultima volta.
Infine Erwin distoglie lo sguardo dal suo e il cielo lo abbandona per sempre.
 
«Grazie Levi.»
 
Solo Levi, Levi e basta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Siamo tutti costretti, per renderci sopportabile la realtà,
a coltivare dentro di noi qualche piccola follia.”
 
Marcel Proust, "Alla ricerca del tempo perduto"
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[Ho buttato giù questa storiella di getto e solo alla fine mi sono ricordata che Levi scopre di essere un Ackerman prima di Shiganshina… ma come ho potuto?! Sono pessima, lo so, scusate. Mi sono disperata, incazzata, ho parcheggiato questa os per un bel po’ prima che AmiPond88 e Drisinill mi convincessero a pubblicarla comunque. Grazie!
Un abbraccio anche a Orikunie, Tiger e Moira che mi su(/o)pportano sempre, anche se in questo caso non gliene importa un fico secco di aot!]
   
 
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