Anno 850
Leda
La porta dell’aula di tirocinio si spalancò di colpo, facendole cadere di mano gli attrezzi che aveva appena finito di sterilizzare.
<< Dannazione, il dottor Croix stavolta mi caccia davvero dalla clinica ! >> Leda si lamentò ad alta voce senza mascherare la sua frustrazione << Avevo appena finito di riallestire la sala dopo le esercitazioni! Mi auguro che tanto slancio sia per qualcosa di serio! >>
<< La missione è rientrata! Jaeger e Finger sono tornati a casa! >>
A quella notizia Leda si girò di scatto verso la sua compagna di corso, con un movimento talmente rapido che il suo collo schioccò rumorosamente. Come una furia si lanciò verso la ragazza che era appena entrata nella sala rovesciandole addosso un fiume in piena di domande: “quando?” “sono già arrivati?” “a quale molo attraccheranno?” “chi è rientrato?” “Pieck sta bene?” “stanno tutti bene?”
Senza neanche aspettare una risposta, Leda si precipitò fuori dalla stanza e dalla clinica per gettarsi nella folla di persone dirette verso il porto, lo stesso porto dal quale cinque anni prima era salpata la prima spedizione, mai rientrata, dei tre cadetti scelti per infiltrarsi nell’isola dei Demoni. Il fiume di persone che avevano invaso le strade del quartiere di Liberio le impediva di vedere oltre al suo naso, quasi schiacciandola nell’impeto e l'euforia di poter riaccogliere a casa gli eroi di Marley, la spingeva e trasportava allo stesso tempo e Leda si lasciava guidare dagli astanti senza porre resistenza, scivolando di tanto in tanto tra una schiena e l’altra, per cercare di assicurarsi un posto migliore per guardare la nave attraccare.
<< LEDA! >> Una voce maschile la stava chiamando da una delle macchine ferme sulla strada, anch’esse bloccate dalla miriade di persone scese in strada. Leda faceva fatica ad alzare la testa in direzione della voce che la stava chiamando, ma dopo qualche sforzo riuscì ad issarsi ad un cancello di una delle case e alzarsi leggermente da terra per guardare nella direzione dalla quale la stavano chiamando.
Dalla macchina, sporto fuori dal finestrino, Porko stava agitando le braccia per farsi vedere dalla ragazza:
<< Vieni con noi, stiamo andando a riprendere tutti al porto!>>
Leda si portò una mano a coppa vicino alla bocca e ignorando l’invito di Galliard chiese a gran voce:
<< Sai qualcosa? Come stanno tutti? >>
Porko non rispose alla domanda, rientrando nella macchina richiamato dal conducente. Il cuore di Leda le sprofondò nello stomaco, le braccia le iniziarono a tremare e istintivamente si mosse in direzione dell’automobile, spingendo e strattonando con veemenza i passanti per farsi strada nella via affollat. Mentre cercava di avanzare, la sua mente si arrovellava sul perché Porko non le avesse risposto, temeva che il peggio fosse accaduto e che una volta arrivata le aspettasse l’inevitabile notizia che la missione fosse fallita. Del resto Zeke e Pieck erano via da mesi ormai e le speranze erano più che rade.
Mentre ragionava così, alzò di nuovo lo sguardo in direzione della macchina: Porko si era appoggiato allo schienale e guardava nella sua direzione stando attento a non coprire con il suo corpo quello di Gabi, anche lei seduta nella vettura, che la stava salutando con viso raggiante.
La vista della ragazzina le risollevò immediatamente il morale: se anche lei era lì insieme a tutti gli altri, non c’era assolutamente possibilità che non fossero rientrati tutti sani e salvi, nessuno avrebbe permesso a una bambina ancora così giovane di esporsi pubblicamente a delle notizie così brutte.
O almeno così doveva credere; dopo cinque anni di attesa passati a scrutare ogni viso dei passeggeri a bordo delle navi in rientro alla ricerca di quello dei suoi amici, non sarebbe riuscita a sopportare nessun finale diverso, non lo avrebbe potuto accettare.
Salì in macchina a fatica e durante lo spostamento Porko e Gabi la informarono delle voci che avevano sentito nel quartier generale dell’accademia militare: la missione a Paradis aveva avuto un esito disastroso a conti fatti; avevano perso sia il Femmina che il Colossale, quasi perso il Corazzato e non erano riusciti a rubare il potere del Fondatore ma, al pubblico sarebbe stato taciuto tutto questo; la narrativa che invece sarebbe stata venduta alla popolazione si sarebbe concentrata sull’aver recuperato il Mascella e identificato il vero nemico dell’umanità, tale Eren Jaeger, attuale possessore del titano d’Attacco.
Leda ascoltava il discorso di Porko di come al quartier generale avessero appreso da Zeke della cattura di Annie, del furto del gigante Fondatore alla famiglia reale, la morte di Berthold e anche quella di Marcel, mordendosi le labbra e tormentando l'orlo della sua divisa con le mani; si lasciò scappare a bassa voce :
<< Annie Leonhard, Berthold Hoover… >> ripeté lentamente i loro nomi, con tono grave << e Marcel Galliard…sono andati in missione per Marley e non torneranno mai indietro, hanno avuto più coraggio di ognuno di noi e non useranno neanche più i loro nomi per parlare di loro? >> Porko girò gli occhi al cielo << Leda non ricominciare, ti prego. >> l’ammonì << Dovresti solamente essere contenta che almeno uno di loro sia tornato indietro. >> Con lo sguardo le fece un cenno nella direzione di Gabi che parlava emozionata con gli altri passeggeri del veicolo, per poi posare nuovamente gli occhi gelidi sul viso di Leda.
Era chiaro che soffrisse, lui probabilmente più di chiunque altro, del resto era suo fratello quello che non aveva fatto ritorno dall’isola, non aveva bisogno che lei gli sottolineasse che, sebbene Marley la pensasse diversamente, erano amici, fratelli e sorelle quelli che stavano perdendo e non semplici armi nelle mani del Governo: lo sguardo freddo e ammonitorio che le aveva appena rivolto ne era la prova più assoluta.
Leda sapeva quali parole si nascondessero dietro all’invito di Galliard di tacere e quella tagliente occhiata che le aveva appena rivolto: “ se solo non fosse stato scelto quell’incapace al mio posto” e ancora “ lui è tornato a casa, ma non Marcel”, non c’era bisogno di dirle ad alta voce perché la ragazza le potesse sentire, come non c’era bisogno di esporre Gabi a quello che realmente Porko pensava. Finirono il resto del tragitto in silenzio.
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Reiner
Anche se erano passate settimane in mare aperto, Reiner non riusciva proprio ad abituarsi all’oscillare della nave questa volta. Eppure, dopo gli addestramenti estenuanti affrontati nel 104esimo reggimento reclute per imparare ad utilizzare l’equipaggiamento del movimento tridimensionale, il banale rollio della nave non avrebbe dovuto dargli alcun fastidio: non credeva di essere davvero così malconcio.
Gli ultimi mesi dopo l’attacco di Trost erano stati sfiancanti per lui e quasi si era sentito vicino al voler mollare tutto e tornare a Marley, abbandonando la missione e lasciandosi tutto alle spalle. Certe volte il senso di oppressione e sfinimento lo avevano portato a perdersi in una fitta nebbia nella quale non riusciva a vedere nulla e agiva solo per l’inerzia della sua volontà.
Non aveva fatto altro che ricevere disgrazie e delusioni, incessantemente per settimane, mesi forse anni e lui, Reiner, ormai si sentiva spezzato a metà incapace di reggere anche un solo ultimo colpo.
Ma sempre qualcosa lo aveva fatto rialzare e in quella nebbia fitta, gli sembrava di vedere degli sprazzi di una vita sconosciuta e allo stesso tempo famigliare: le caserme piene di commilitoni, le panche dove tutti consumavano i pasti chiassosamente, i volti dei suoi compagni e quelli dei suoi comandanti. Ma quei visi e qui momenti si perdevano velocemente nella nebbia della confusione della sua mente e faticava a mantenere vivida l’immagine dei ricordi che andavano e venivano.
Si ricordava della ragazza che durante il primo giorno di addestramento era stata scoperta a mangiare una patata bollita, del ragazzo con la faccia da cavallo che desiderava entrare nella gendarmeria e di quel trio di amici inseparabili che si completavano a vicenda per intelligenza, carisma e talento; poi si ricordava di una ragazzina con i capelli scuri e gli occhi del colore del miele che lo seguiva, che lo rimproverava ogni volta che dopo un allenamento troppo intenso rientrava nella sua stanza coperto di lividi e gli medicava i tagli e le ferite…no, gli sembrava di star perdendo il filo dei suoi pensieri, non erano andate così le cose, quella bambina non poteva essere esistita e di sicuro lui non aveva mai avuto bisogno di essere medicato…a parte quella notte durante l’assedio…non era Christa quella ragazzina? Christa aveva i capelli scuri?
Reiner si prese la testa tra le mani e si poggiò con i gomiti al parapetto della nave mentre cercava di fare ordine nella sua mente. Chiamò piano il nome di Berthold sperando che ancora una volta, in qualche modo, il suo amico sarebbe accorso ad aiutarlo a ritrovarsi, Reiner sentiva che si stava perdendo di nuovo, non sapeva più di chi fossero quei ricordi.
Fu Pieck a rispondere al suo richiamo di aiuto. Gli poggiò una mano sulla spalla mentre si avvicinava a lui con passo malfermo, sostenuta da una stampella.
<< Braun, tutto bene? Ho sentito che chiamavi Berthold, hai bisogno di parlare? >>
Reiner senza alzare il capo dalle sue mani si limitò a dire:
<< No, ho solamente bisogno di fare chiarezza su una cosa che mi è appena venuta in mente: tu ti ricordi di Christa? >>
Pieck corrucciò le sopracciglia inclinando la testa da un lato evidentemente confusa, senza rispondere.
Reiner continuò con un tono leggermente allarmato e confuso:
<< Una ragazzina che era sempre con noi all’epoca dell’addestramento, non scelse il nostro stesso corpo di guarnigione, non era fatta per il combattimento, la ricordo bene! Capelli lunghi, occhi ambrati…era testarda e chiaccherona, lei ed io eravamo praticamente inseparabili, viveva con la nonna accanto a casa mi..>> Si interruppe quando girandosi notò lo sguardo preoccupato sul viso di Pieck.
<< Reiner, intendi Leda? >>
Leda. Quel nome gli scavò un solco nelle viscere. Come aveva potuto confondersi così? Aveva davvero sovrascritto il ricordo della sua amica d’infanzia con quello di Christa? Un vago senso di imbarazzo gli pervase lo stomaco.
Come un fulmine, la lucidità tornò nella sua mente e il pensiero gli si fece più chiaro: si ricordava di Leda, anzi, non l’aveva mai realmente dimenticata.
Reiner ricordava che Leda quella sera pianse mentre gli diceva che avrebbe fatto meglio a cedere l’occasione a Porko, più meritevole di lui, ricordava anche che da quel giorno iniziarono a parlarsi sempre di meno ma senza mai realmente smettere di starsi vicini e cercarsi nei momenti più difficili.
Quando era partito cinque anni prima lei era andata comunque a salutarlo e gli aveva sorriso.
Questo lo ricordava perfettamente.
L’odore del mare cominciava già a confondersi con l’odore delle ciminiere del porto e dopo un lungo momento Reiner alzò lo sguardo verso la città che si andava delineando all’orizzonte.
<< Sto tornando a casa, so chi sono: sono Reiner Braun il Guerriero di Marley. >>