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Autore: ImRebecca    28/05/2023    3 recensioni
Il fatidico, grande, giorno tanto atteso – quanto temuto – è arrivato, per la seconda volta.
Kala si sposa, sta sposando Rajan, e questa volta lo sta facendo davvero.
E Wolfgang lo sa, lo sa benissimo, perché i suoi pensieri, la sua mente, puntuali quanto prepotenti, ritornano lì, a vedere, a spiare.
È così che le cose sin dal principio dovevano andare, lo sa bene; solo che, stavolta, stare a guardare senza poter agire, fare qualcosa – qualsiasi cosa –, fa davvero un male cane.
Parole: 914. Tempo di lettura: circa 2 minuti.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Wolfgang Bogdanow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!     
Non è passato molto da quando ho esordito sia su EFP, sia in generale che nella sezione di Sense8, giusto due mesetti e poco più, ma rieccomi qui, di ritorno, anche se un po’ in ritardo visto che questa piccola oneshot sarebbe dovuta approdare da queste parti durante queste settimane. Però, se sono qui, è per due motivi: oggi, ho bisogno di staccare un po’ la spina, di distrarmi. E il secondo, è perché quel tesoro di Paige95 me l’ha chiesto in maniera molto sottile, quindi questa pubblicazione è tutta dedicata lei. ♥

In realtà, l’idea della scrittura di questa oneshot, avrebbe dovuto essere solo un lieve accenno presente in Tensione sensoriale. Ora, non ricordo in quale punto volevo avrebbe dovuto esserci. So solo che l’idea poi mi è rimasta in testa per giorni in attesa di essere sviluppata, pertanto si può benissimo considerare – se si vuole –, una sorta di prequel della precedente oneshot.     
La stesura originale era stata scritta al passato remoto, ma ho pensato che al presente sarebbe stata decisamente più leggera e d’impatto per il lettore dato che è una storia introspettiva nella mente di Wolfgang.

Spero che la storia vi piaccia.    
Buona lettura.
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Ci prova ancora, un’altra volta, l’ennesima, ma non ci riesce, non ce la fa.      
Il pensiero rimane lì, stabile, prepotente, tra le mura vulnerabili della sua mente.     
Si impegna nel tentativo di ignorarlo e seppellirlo nei più remoti, oscuri, meandri del suo cervello, eppure, sadico più che mai, ritorna a sbirciare, a vedere, a soffrire… a farsi del male.
Che masochista del cazzo!          
Non doveva guardare. Era peggio. Persino più di un proiettile scagliato nel cuore.   
Wolfgang scuote il capo, si rimprovera, e si affretta ad allontanare quella realtà così esatta dalla sua testa.
È giusto così, non può essere altrimenti, benché faccia un male cane. 
Non importa quanto si sia preparato nell’attesa di quel fatidico giorno, non è stato comunque abbastanza. Non lo sarebbe stato mai, è questa la verità.
Se solo non l’avesse conosciuta, se solo non gli fosse entrata in testa, se solo non fosse successo quel che è successo, a quest’ora non starebbe così.      
A quest’ora non si sarebbe dovuto preoccupare di niente.        
La mano con cui tiene il mozzicone di sigaretta tra le dita trema, agitata e nervosa, scandita anche dal piede che balla su e giù, schizofrenico.      
Si ricompone, torna a drizzare la schiena, rimasta troppo a lungo piegata sullo schienale della panchina, e si porta il rimanente di quella cicca tra le labbra, per aspirarne l’ennesima nota.
Chiude gli occhi un solo istante, e si abbandona al sapore del tabacco sul palato e del fumo su per il naso, nella forte speranza che quell’ennesimo tiro gli annebbi così tanto la mente da impedirgli di vedere, di soffrire.           
Nulla.
Wolfgang sospira, esausto, vinto dal dolore che si lascia cadere addosso come se fosse acqua, invano.         
È di nuovo lì, non ne può fare a meno. Ci è cascato di nuovo, ma agogna di vedere, anche se allo stesso tempo non vuole. Fa male, troppo male, cazzo.     
L’odore di incenso gli penetra, violento, nel cervello, stuprandoglielo, e poi nelle narici.
È talmente forte, nauseabondo, che gli viene voglia di sboccare.          
Il battito dei tamburi e lo scalpiccio dei cembali gli riecheggiano in testa, fastidiosi e tonanti, da farlo ammattire.    
Odia tutta quella pagliacciata.     
È insopportabile, forse persino peggio di una tortura, guardarla in lontananza, bellissima e in rosso, camminare intorno al fuoco, recitando quei falsi voti d’amore eterni, mano nella mano con lui.
Wolfgang china lo sguardo e scaccia quella nuova immagine impressa nella sua memoria, nell’inane tentativo di dimenticarla.
Non doveva guardare, non doveva farlo, cazzo.
Serra le palpebre e si porta due dita alle tempie che pulsano, esauste.
Una possibile emicrania sembra essere dietro l’angolo, pronta ad assalirlo.    
Il suo cervello, ora, gli sta chiedendo pietà, così come il cuore che sente tremare di dolore nel petto.
Forse è giunto al limite, lo sa bene, ma il suo bisogno di spiare ancora lo catapulta di nuovo lì, da lei, dove lui è indesiderato più che mai, com’è accaduto la prima volta in cui si è permesso di comparirle davanti, nudo e bagnato, da farle perdere i sensi.   
Nulla di così tanto sconvolgente e scandaloso apparirà dinanzi ai suoi occhi, adesso. Non deve aiutarla, ora; ma salvarla da sé stesso, da quello che è.    
Un assassino. Una bestia. Un mostro… un Bogdanow, come lo è stato quel viscido verme di suo padre.      
Non si è pentito di quello che ha fatto, perché è quello che doveva essere fatto.         
Non importa che lei l’abbia visto, mentre traeva puro godimento, immenso piacere, ad aver ammazzato con foga e come un cane, quel viscido bastardo, figlio di puttana, che era suo zio. Cazzo, quanto ci aveva goduto ad averlo visto crepare per mano sua. Ogni proiettile era stato per Felix, per come aveva avuto il coraggio di ridurlo.          
Kala non capirà mai il motivo di quell’azione, ma non importa, non è minimamente dispiaciuto, nemmeno quando si è girato e se l’è ritrovata davanti, in lacrime, con il cuore spezzato e la muta domanda di chi diavolo si fosse innamorata dipinta sul viso.
Giustizia ora era stata fatta. Era questo che contava. Nient’altro.        
È questo il suo il mondo, non importa quanto sia ingiusto e sbagliato.
La violenza e la rabbia sono parte di lui da prima ancora che la conoscesse.   
Ce l’ha nel sangue.
È questo che è, un Bogdanow, e lo sarà sempre. Per cui è giusto così, anche se fa male, un male insopportabile per cui non riesce a trovare le parole. È meglio che le cose vadano in quel modo, come sono state decise.        
Lui non è nessuno, lui non può nulla, lui non è destino per lei, solo un uomo nella sua testa.
Sta per andarsene, sta per ritornare dove avrebbe dovuto sempre essere, ormai pieno di quello che ha visto, ma mentre lo sta per fare, mentre sta per distogliere lo sguardo, per un solo breve attimo, viene calamitato dal suo.    
L’espressione è stupita, affranta, forse persino sofferente.        
Kala sta pensando a lui.   
Ora è tutto chiaro, ora Wolfgang capisce perché riesce, continua a vederla, e non rimane solo un suo pensiero. Lei, anche nel lasso di tempo di un solo millesimo di secondo, pensa a lui, mentre sta sposando un altro.  
Kala distoglie lo sguardo perso, lo posa su Rajan, sul suo sposo, che si protende con le labbra, l’accenno di un sorriso, verso di lei.
Ora sono marito e moglie, lo sono per davvero, e lui continua a rimanere sempre quello che è stato, figlio del suo mondo, di tutto quello che è cresciuto.
Un Bogdanow.         






   
 
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