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Autore: Neamh Moonstar    05/06/2023    2 recensioni
Convivere (/con·vì·ve·re/): vivere insieme, abitare nella stessa casa.
Un concetto semplice che Crowley non aveva visto l'ora di mettere in pratica, anche se di certo non si aspettava che sarebbe stato così difficile (e che sarebbe stata tutta colpa delle sue piante).
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Nella vita puoi scrivere, riscrivere, depennare o cancellare, gualcire, lisciare, appallottolare o recuperare... fintanto che l'inchiostro e la carta lo consentono.”

- Sosio Giordano


Citazione inserita solo per "scusarmi" dei mille progetti in corso che ho iniziato e non sto finendo. La verità è che alle volte le nuove idee superano quelle vecchie, seppur più brevi e frutto di uno sprazzo di vitalità momentanea.

Grazie a chiunque sopporti questo tratto della mia personalità, grazie a chiunque legga quello che butto in questo fandom meraviglioso che mi ha dato tanta ispirazione in un momento della mia vita in cui non so dove andare. Siete il mio punto fisso, e vi adoro tuttə: da te che leggi in silenzio, a te che lasci un feedback. Da te che dai solo un'occhiata, a te che forse non ce la fai più a vedere il mio nickname.

Chiunque tu sia, qualunque sia il motivo che ti ha portatə qui, grazie.

Semplicemente, grazie.


P.S. Menzione d'onore ad ineffable che mi ha dato la spinta giusta per dare un senso a questa fanfiction. Anche a te: grazie mille.


°•°•°


Convivere (/con·vì·ve·re/): vivere insieme, abitare nella stessa casa.

Un concetto semplice che Crowley non aveva visto l'ora di mettere in pratica.

Era come se lo avessero avuto sempre in programma. Non avevano nemmeno deciso effettivamente la cosa: la libreria di Aziraphale era da sempre il loro luogo di incontro preferito, posta ad un crocevia come fosse fatta apposta per gli incontri fugaci che vi avevano organizzato all'interno. Era fisicamente e simbolicamente perfetta per convivere, così ovviamente adatta da essere una certezza per il futuro.

Per questo il demone aveva fatto avanti e indietro più volte, guidato da un bisogno inspiegabile e alquanto inutile di gradualità. Avrebbe potuto schioccare le dita e spostare tutto in ordinati scatoloni davanti all'ingresso, ma no: aveva fatto tutto all'angelica maniera - non senza fatica, in realtà - solo ed esclusivamente per cercare di iniziare quella nuova fase della sua esistenza con il piede giusto.

Aveva raccattato le sue cose - piante in buona percentuale - e le aveva infilate in macchina, sapendo di dover dare loro spazio in un luogo che prima di allora aveva già considerato come casa, ma che adesso lo stava diventando in tutto e per tutto, effettivamente e completamente.

Di certo non si aspettava che sarebbe stato così difficile (e che sarebbe stata colpa proprio delle sue piante).


Discutere (/di·scù·te·re/): Contestare esprimendo riserve o obiezioni, criticare.

Un concetto che entrambi conoscevano fin troppo bene. Era successo così tante volte nel corso del tempo che ormai avevano perso il conto.

Le loro litigate avevano avuto origini piuttosto serie, alle volte. C'erano stati periodi lunghi anni in cui si erano rifiutati di vedersi - un comportamento dalle sfumature alquanto infantili probabilmente, ma che a loro erano sembrate necessarie. E poi c'erano stati i battibecchi sulle cose più stupide, quelle che a Crowley davano quasi più fastidio; idiozie che andavano inutilmente a rompere l'equilibrio che stavano cercando di mantenere.


Ordine (/ór·di·ne/): disposizione funzionale e conveniente che si realizza come distribuzione, successione, sistemazione, assetto.

Un concetto che vedevano in modo assolutamente diverso. Crowley aveva già fatto i conti con l'idea di avere troppo bisogno di spazio per stare in un posto che di spazio ne aveva ben poco. E, proprio per questo motivo, mai avrebbe pensato che avrebbe avuto problemi a riempire ulteriormente la libreria.

    «Sul serio?» Aveva chiesto, alzando un sopracciglio. «Ti preoccupa il fatto che questo minuscolo vasetto possa coprire un paio di titoli?»

Aveva inclinato malamente la piantina che aveva in mano - ma non aveva fatto scivolare nemmeno una briciola di terra sul parquet. Avrebbe voluto poggiarla su uno scaffale che, sapeva bene, essere ben rivolto verso il sole per buonissima parte del mattino. Peccato che la sua idea fosse stata stroncata sul nascere.

    Aziraphale lo aveva guardato come se stesse ignorando la cosa più ovvia del mondo. «Certo che mi preoccupa. La gente sarebbe costretta a spostare il vaso per prendere i libri.»

    Crowley aveva sbuffato appena - fortunatamente, la sua occhiata al cielo era ben coperta. «Non darà fastidio a nessuno, te lo assicuro.»

    «Non vorrai mica tenere lontane le persone da quello scaffale apposta, vero?»

    «Perché no?»

    Stavolta gli arrivò in risposta la più totale incredulità. «Perchè è una cosa assolutamente insensata da fare?»

    Il rosso gli rivolse uno sguardo furbetto. «Pensavo non ti piacesse avere troppa gente attorno ai tuoi preziosi volumi. Ti sto facendo un favore.»

Da parte dell'angelo ci fu un attimo di esitazione che fece ben sperare Crowley - anche se solo per un attimo, dato che si trattava di una sensazione destinata a non durare.

    «E se invece avessi bisogno di prenderli io quei libri?»

    «Quante volte al giorno avrai mai bisogno di un paio di dizionari?»

In effetti, lo scaffale incriminato sembrava essere pieno solo di quelli, altro motivo che aveva spinto Crowley a scegliere proprio quel punto. Tra tutte le pile di bei romanzi presenti là dentro - o comunque, di tutto ciò che di più interessante ci fosse di una lista di definizioni - di certo non si aspettava di dover battibeccare per la fila di noiosi libri smunti alle sue spalle.

    Aziraphale incrociò le braccia, più imbronciato che altro, ma pur sempre infastidito. «Non puoi saperlo.»

    «È vero: so solo che con tutto il casino che c'è in questa stanza, il vero problema è una minuscola foglia davanti ad una copertina inutile.»

    L'altro sussultò. «Cosa intendi con "casino"?»

    Stavolta fu Crowley a guardarlo come se stesse negando la più palese delle evidenze. «Intendo che sei disordinato, angelo.»

    Il volto dell'altro si fece indecifrabile per un attimo, troppo allibito per rispondere come avrebbe voluto. Gli ci volle un attimo - e una rassegnata passata di dita sugli occhi - per riprendere parola. «So che per te è strano, ma non è semplice "casino": è il "casino" a cui sono abituato. Perciò, potresti, per favore venirmi incontro?»

    

Compromesso (/com·pro·més·so/): clausola contrattuale con cui le parti deferiscono a terzi arbitri la risoluzione di controversie tra loro insorte.

Ovviamente, loro non avevano qualcuno a cui accollare i loro piccoli problemi. Fortunatamente, erano così abituati a trovare compromessi da non averne davvero bisogno.

Trovarono la soluzione in un tavolino vuoto che Aziraphale tirò fuori solo ed esclusivamente perché la piantina di Crowley avesse il suo posto al sole - cosa che intenerì non poco quest'ultimo, per quanto non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.

Seppellirono la conversazione in altre più giulive conversazioni davanti a un paio di bicchieri di vino, come facevano sempre, salvo poi ritrovarsi di nuovo a battibeccare qualche ora dopo.

Ormai, a Crowley pareva di essere in mezzo ad un campo minato. Qualsiasi punto di appoggio scegliesse, che fosse una mensola o un angolo di pavimento, c'era sempre qualcosa che non andava.

E lì no, perché c'è la pila di Dickens. E qui no, perché è dove di solito una coppia di visitatori assidui sposta le poltroncine. E nemmeno lì, per carità! La luce passa perfettamente da quel punto, sia mai che la gente si ritrovi a leggere al buio.

    «Senti» sbottò alla fine il demone, poggiando l'ennesimo vaso sul primo spazio libero a sua disposizione. «Facciamo che prima pensi a dove posso poggiare le cose senza che vadano a rompere l'equilibrio del tuo sancta sanctorum, e poi me lo dici? È mezz'ora che giro a vuoto.»

L'altro parve non dargli granché retta. Si mise a fissare per un attimo alcuni punti apparentemente casuali di un angolino polveroso, sopracciglia aggrottate e mani sui fianchi.

Crowley si fece scappare un verso di frustrazione. Per quanto amasse il suo angelo, alle volte gli pareva di parlare con un muro - un muro alquanto avvezzo all'offesa facile e al litigio.

    Alla fine, dopo chissà quali assurdi giri mentali, Aziraphale decise addirittura di riarrangiare una mensola. Creò il nuovo spazio con una certa dose di rassegnazione in volto, sicuramente poco convinto del cambiamento ma comunque deciso a farlo - anche solo per far finire quegli inutili battibecchi. «Sai, potresti anche aiutarmi a trovare soluzioni alternative invece di impuntarti e lamentarti.»

Il rosso mise finalmente anche quella piantina al suo posto con un leggero sbuffo. Poteva sentire gli indagatori occhi dell'altro addosso - pronti a valutare se quella sistemazione andasse effettivamente bene o meno.

    «Detto dall'essere meno lamentoso dell'universo, poi» bisbigliò per evitare qualsivoglia ripensamento - e anche un po' per sfogo.

    «Ti ho sentito, sai?»

    «Sentito cosa?»

    «Non scherzare. Sai cosa penso del tuo sarcasmo.»

    «Purtroppo sì, e preferirei non ritirare fuori il discorso, grazie.»

Aveva ancora troppe cose da sistemare, e farlo mentre Aziraphale lo rimproverava con un tono da maestrina avrebbe reso il tutto ancora più estenuante.

Fortunatamente, il resto delle piante venne ricollocato più o meno agilmente. Quando si accorse di non avere più niente tra le mani, Crowley si fece scappare un sospiro di sollievo.

Andò a tuffarsi, letteralmente, sul divano, un braccio sugli occhi e i battibecchi che ancora gli formicolavano addosso. Almeno adesso che avevano superato quello che non credeva sarebbe stato uno scoglio, si sarebbero adattati e-

Sentì qualcosa ricadergli lievemente addosso, bloccando tutti i suoi pensieri di colpo. Sollevò la testa e si accorse che si trattava di una coperta morbida e piacevolmente calda, lunga abbastanza da coprirlo e leggera abbastanza da non dargli fastidio.

Confuso - piacevolmente confuso - seguì il rumore di una poltrona che strisciava sul tappeto. Aziraphale aveva preso un libro e vi si era accomodato, serio e troppo occupato a tenere lo sguardo fisso sui suoi affari per guardarlo. Nessuno dei due disse niente, forse per ripicca, forse per orgoglio.

Le cose si sarebbero raddrizzate al mattino, Crowley ci avrebbe scommesso. Si raggomitolò sotto la luce della sera che filtrava dalla finestra, inspirando l'odore di tè, pagine stampate e cioccolata. Persino la coperta color crema nella quale non vedeva l'ora di imbozzolarsi sapeva di casa.


Alternativa (/al·ter·na·tì·va/): scelta, possibile o necessaria, tra due soluzioni.

Crowley ne aveva dovuto cercare tantissime di alternative nel corso della sua esistenza. Luoghi alternativi dove incontrarsi, attività alternative per evitare di essere beccati, parole alternative per evitare di essere frainteso... C'era una cosa, però, sulla quale non accettava alternative. Una cosa che iniziò a palesarsi gradualmente, giorno dopo giorno, proprio agli inizi della sua convivenza.

Tutto andava per il meglio. Si svegliava con il sole in faccia, chiacchierava con il suo angelo e poi, a seconda dei piani di quest'ultimo, uscivano e passeggiavano senza paura, senza ansia, senza preoccupazioni di sorta. Aveva trovato gioia nell'osservare Aziraphale mentre faceva le cose più basilari: mentre chiacchierava con un "cliente", mentre versava il tè, mentre gli parlava del più e del meno intanto che tirava su pile di libri che avrebbero potuto anche superarlo in altezza. Più si accomodava in quella vita, più iniziava ad apprezzare persino le occhiate al cielo e i commenti allibiti che l'angelo gli rivolgeva ogni qualvolta si mettese a sgridare le piante.

    «Devi per forza traumatizzarle?» Gli aveva chiesto un mattino, fissando quasi dispiaciuto il virgulto che aveva avuto l'ardire di crescere leggermente più storto del normale.

    «E tu questo lo chiami trauma?» Rispose il rosso, indicando con nonchalance una delle piante più verdi del suo ben fornito gruppetto. Era così rigogliosa da far invidia al melo dell'Eden.

    Aziraphale aveva semplicemente scosso la testa e cambiato discorso. «Hai mai pensato di prendere dei fiori?». Nel chiederlo si era adagiato su una sedia, naso già pronto ad affondare in un quotidiano.

    Crowley trattenne una risatina nervosa: «Per poi passare altre cinque ore a battibeccare con te sul dove metterli? No, grazie.»

    «Beh, puoi sempre metterli di sopra...»

    «Ma non è dove tieni tutti le cose che non sai dove mettere qui di sotto?»

    «Sì, ma c'è anche un letto di sopra. Io ovviamente me ne faccio poco, ma forse tu...»

    Crowley lo guardò inebetito. Scorreva le parole con lo sguardo, un leggero rossore sulle guance pallide. «Dici sul serio?»

    «A meno che tu non preferisca il divano.»

Adorava alla follia quel divano. Era la cosa più morbida, comoda e accogliente del pianeta - dopo Aziraphale stesso, probabilmente.

Ma l'angelo si stava volontariamente offrendo di riarrangiare un'intera stanza solo perché avesse un letto vero e proprio, accidenti.

    Andò a poggiarsi contro uno dei braccioli della sedia, invadendo il più possibile lo spazio personale dell'altro. «Guarda guarda chi si vuole far perdonare per essere stato una spina nel fianco il primissimo giorno.»

    Aziraphale si fece ricadere il quotidiano sulle gambe. «Devi sempre rovinare tutto.»

    Con una risata leggera e stavolta sincera, Crowley si abbassò fino ad incontrare quel ceruleo sguardo crucciato. «Qual'è il tuo fiore preferito?»

In risposta gli arrivò un sorriso.


Passarono il pomeriggio a cercare tutti i fiori più sani, profumati e candidi di Londra. Sfilarono davanti a chissà quante vetrine mano nella mano, fermandosi occasionalmente in qualche caffetteria - dove, chissà perché, nessuno ebbe da ridire sulla quantità di vasetti che si portavano dietro.

Tornarono solo verso sera. Aziraphale spostò un mazzetto di calle dentro un vaso accanto alla sua scrivania, guardandole come fossero la cosa più bella dell'universo.

Quando le aveva viste, Crowley se l'era fatte dare ben infiocchettate, e le aveva passate all'angelo con la stessa nonchalance con la quale gli passava le tazze di tè appena fatto. Erano belle e bianche, proprio come lui: regalargliele era stato un gesto ovvio e automatico.

A quanto pareva, lo spazio per quelle il biondo lo aveva trovato senza nemmeno pensarci, e gli stessi fiori ne furono felici. Crowley la poteva quasi vedere la gioia rilucere sulle punte di quei petali candidi. E come biasimarli, si disse. Persino lui si sentiva rinato sotto quel sorriso.


Certo non si sarebbe aspettato di vedere quella stessa luce rinvigorire le foglie delle sue piante.

    «Non starai mica approfittando della presenza dell'angelo, tu» ringhiò alla monstera che stava osservando. La bastardella si trovava fin troppo vicina alla stanza preferita di Aziraphale, e la cosa la stava rendendo fin troppo giuliva. Fortunatamente, gli ci volle qualche parolina ben assestata per farla tornare intimorita come avrebbe dovuto.

Peccato che la situazione si ripeté tale e quale anche i giorni a seguire. Nessuno sembrava più dargli retta; imperfezioni e macchiette sparivano solo sotto il suo sguardo duro e imperioso, salvo ricomparire subito dopo, seguite dalla stessa luce e dalla stessa gioia che aveva faticosamente cercato di eliminare.

    Un giorno, Crowley se la prese particolarmente con la sansevieria che aveva messo sul comodino accanto al suo letto. Una delle foglie aveva deciso di arcuarsi un pochino troppo verso il basso, e lui aveva passato così tanto tempo a sgridare le altre che la frustrazione gli fece mettere le mani tra i capelli. «Ma che accidenti vi prende ultimamente?!»

    «Qualcosa non va?»

Aziraphale era comparso sull'uscio, e ora lo stava guardando confuso, la testa inclinata leggermente da un lato.

    Il rosso sbuffò; un po' di rabbia si era dissipata sotto quei curiosi occhietti azzurri. «Persino le piante si innamorano di te».

    L'altro poggiò il vassoio che si era portato dietro, andando a dare un'occhiata alla piantina incriminata. «Strano. Non mi pare di averle detto niente di particolare ieri.»

A Crowley gli ci volle mezzo secondo per realizzare l'effettivo significato di quella frase.

    Sbarrò gli occhi, inebetito. «Aspetta, ci hai parlato?!»

    L'angelo parve genuinamente perplesso di fronte a quella reazione. «Ehm, sì, certo.»

Il rosso si sbatté una mano in faccia. Avrebbe dovuto capirlo subito: un comportamento del genere non era normale, soprattutto tenendo in considerazione il fatto che alcune delle sue piante erano persino cresciute più in fretta del previsto. Non che non potesserlo farlo, anzi, dovevano farlo, ma con i tempi e i metodi che lui aveva sempre dettato.

    Aziraphale si mise subito sulla difensiva. «Tu lo fai sempre. Pensavo che non ci fosse nulla di male.»

    «Dipende da come lo fai, angelo». Si passò due dita sugli occhi. Alle volte l'ingenuità del biondo lo lasciava genuinamente di sasso.

    «Se proprio vogliamo dirla tutta, una buona parola se la meritano di tanto in tanto. Soprattutto dopo tutte le cose terribili che gli urli contro.»

Normalmente, quel tono lo avrebbe solo infastidito. Alle volte, in realtà, gli piaceva persino marciarci sopra a quel tono - anche perché aveva imparato come gestirlo nel corso del tempo. Stavolta, però, aveva toccato un tasto diverso.

    «E a te che importa? Non sono mica tue.»

    «Tremano quando finisci di sgridarle. Lo sai, vero?»

    «Certo che lo so! Secondo te perché lo faccio?!»

Non avrebbe voluto urlargli contro ma, cacchio, era da quando aveva messo piede lì dentro che continuava ad avere da ridire. Non gli andava bene dove metteva i vasi, non gli andava bene come trattava le piante, non gli andava bene il fatto che le spronasse ad essere rigogliose il giusto, dritte come avrebbero dovuto o sane quanto bastava a non avere buchi nelle foglie...

    Ma Aziraphale parve non cogliere l'antifona. «Potresti anche, non so, valutare un metodo alternativo. Non mi pare stiano così male se trattate con un minimo di gentilezza.»

    D'innanzi a quell'affermazione, Crowley non riuscì a trattenere una mezza risata sarcastica. «Certo che detta da quello che si è lasciato trattare da schifo per secoli fa proprio ridere.»

Capì di aver fatto il passo più lungo della gamba solo nel momento esatto in cui le parole smisero di rotolargli fuori dalla bocca. Per un secondo si chiese se fosse possibile tornare indietro, riavvolgere il nastro, e rifare tutto da capo.

Lo sapeva benissimo che, a differenza delle sue piante, Aziraphale non l'aveva mai avuta un'alternativa. O si faceva trattare male dai piani alti o per lui era la fine, semplice.

Eppure eccolo lì, di fronte allo sguardo più indifeso, deluso e distrutto che avesse mai visto.

Fece per dire qualcosa. Non avrebbe saputo dire cosa, esattamente, ma sentiva forte l'urgenza di risistemare le cose come solo lui sapeva fare.

    Ma Aziraphale lo bloccò con un solo gesto della mano. Si prese un secondo per ingoiare le lacrime in un modo che Crowley gli aveva visto fare fin troppe volte nel corso del tempo. Poi annuì - più a se stesso che altro. «Hai ragione» mormorò. «È un po' da ipocrita, non è vero?»

Non gli diede nemmeno il tempo di ribattere. Uscì lentamente e chiuse delicatamente la porta, lasciando Crowley da solo, nel silenzio, fermo sotto la luce del primo mattino.

La piantina sul comodino era tornata dritta come un righello.


Pentimento (/pen·ti·mén·to/): il riconoscimento di una propria colpa associato, sul piano morale, a un atteggiamento di autocondanna, e, su quello religioso, al fermo proposito di non più ricadervi.

Peccato che per Crowley fosse decisamente impossibile ri-cadere. L'unica cosa che poteva fare per pentirsi ancor di più di quanto non facesse di solito, era dire cazzate come quella che ancora gli rimbombava in testa.

Di tutte le cose stupide, idiote, da perfetto imbecille che poteva dire, aveva tirato fuori la peggiore di tutte. Si era rimesso le mani tra i capelli, stavolta frustrato solo nei confronti di sé stesso e della sua stupida linguaccia biforcuta.

Aveva passeggiato per la stanza per chissà quanto tempo, dicendosi che doveva sistemare le cose e doveva farlo subito.

Sì, ma come?


Dopo un numero indefinito di imprecazioni, decise di fare la cosa meno pensata in assoluto.

Si catapultò fuori dalla stanza, scendendo in volata le scale a chiocciola che portavano al piano di sotto. Avrebbe tirato giù il mondo se fosse servito, ma doveva chiedere scusa. Era pronto a dare, fare e dire qualsiasi cosa pur di riparare al danno.

    Saltò gli ultimi tre scalini, rischiando di finire per terra. Non si guardò nemmeno attorno, semplicemente sapeva che ogni singola pagina, copertina o segnalibro l'avrebbe sentito. «Aziraphale, ascolta, mi dispiace!» Esclamò, prima di rendersi conto di una cosa fondamentale e alquanto preoccupante.

L'angelo non c'era.

Il silenzio gli rispose quasi a prenderlo in giro e ricordargli quanto fosse imbecille. Se le piante avessero avuto le gambe, in quel momento sarebbero scappate volentieri fuori dalle finestre, forse consce del fatto che era anche un po' colpa loro.

Ignorandole, Crowley si voltò verso l'entrata. Poteva sentirla, la sua aura preferita: era bella, bianca e luminosa; una lucciola che non smetteva mai di fare luce. Avrebbe potuto scovarla dovunque e sapeva benissimo dove andare.

Non senza aver fatto prima una piccola sosta.


Lo trovò al parco, su un ponticello che avevano attraversato chissà quante volte sotto la pioggia. Si era poggiato al parapetto e guardava distrattamente verso il basso, dove le anatre scivolavano tranquille e indisturbate sul pelo dell'acqua. Aveva gli occhi lucidi, le mani occupate a tamburellare nervosamente sulla copertina del grosso libro che aveva stretto al petto.

Crowley si avvicinò con cautela, quasi a chiedergli il permesso. Sapeva che Aziraphale si era accorto della sua presenza: se ne accorgeva sempre, e non riusciva ad ignorarlo nemmeno quando voleva.

    Si schiarì nervosamente la voce, prima di alzare un po' la busta che teneva tra le dita. «Ti ho preso una cosa.»

    Gli occhi di Aziraphale scivolarono verso la sua mano e lo sguardo gli si addolcì appena. «Pensavo fossero chiusi oggi.»

    L'altro ridacchiò. «Sì, lo pensavo anche io.»

Avrebbe scomodato tutti i cioccolatai del cosmo, se necessario. Una volta era andato letteralmente fino in capo al mondo per prendere la specifica scatola di leccornie delle quali Aziraphale non aveva fatto altro che parlargli. Era semplice prassi.

    «Grazie» mormorò quest'ultimo, tornando a guardare verso il basso. Almeno ora aveva il morale leggermente più sollevato.

    Per questo, Crowley capì che era arrivato il momento giusto. «Senti, mi dispiace per prima.»

Si bloccò prima di strafare. Avrebbe speso mille milioni di parole per ripetere quanto fosse stato stupido, quanto poco avesse pensato a ciò che stava dicendo, a quanto avrebbe detto e dato pur di farsi perdonare... Ma non era il caso. Non voleva rigirare il coltello nella piaga che il Paradiso aveva aperto.

Cercò lo sguardo dell'altro, ma questo rimase fermo ancora un po', forse fisso su un ragionamento. Quando si rialzò, soffermandosi sul suo, Crowley sentì l'aura fargli un balzo.

    «Sai perché non volevo che mettessi la tua piantina davanti ai dizionari?»

Quella domanda ricadde tra loro come un meteorite, un fulmine a ciel sereno, un... Beh, un qualcosa di assolutamente inaspettato, comparso dal nulla e che poco pareva centrare.

Confuso, il rosso scosse la testa.

    Spostandosi dal parapetto, Aziraphale gli mostrò il libro che si era portato dietro. Era effettivamente uno di quegli smunti, stravecchi e noiosissimi mattoni pieni di definizioni. «Ogni tanto annoto alcune parole che mi piacciono» riprese. «Alcune di queste spariscono nelle edizioni più recenti, sai? Gli umani smettono di usarle e ne inventano altre.»

    «Ora so dove tiri fuori certi termini assurdi, alle volte.»

Il tentativo di Crowley di buttare la conversazione sul leggero parve andare a buon fine. O almeno, così sperò vedendo il leggero scuotere di testa di Aziraphale.

    «E sai anche qual'è la mia parola preferita?»

Doveva essere una domanda a trabocchetto.

    «Non sarà mica: "ineffabile"» Rispose il rosso, poggiandosi con un braccio al parapetto.

    Aziraphale sorrise: «In effetti no.»

Sotto lo sguardo genuinamente curioso e sorpreso di Crowley, aprì il dizionario su una pagina apparentemente casuale. Nero su bianco, scritta con un inchiostro ormai vecchio e smunto, spiccava una definizione.

Dicotomia (/di·co·to·mì·a/):

1. Rigida divisione o suddivisione in due parti.

2. In filosofia, la derivazione logica da un concetto di due nuovi concetti, che esauriscano l'estensione del primo.

3. Nelle classificazioni biologiche, il rapporto di due caratteri che si escludono a vicenda.

4. In botanica, tipo di ramificazione nella quale l'apice dell'asse si divide in due nuovi apici.

5. Nell'astronomia antica, le fasi lunari del primo e ultimo quarto.

Origine: Dal greco dikhotomía, ‘divisione in due parti’, secolo XVIII.


    Crowley ripassò le parole un paio di volte con una leggera smorfia. «Devo chiedertelo: perché ti piace tanto?»

    L'altro non parve sorpreso. «Perché? Non ti convince?»

    «Per niente.»

    «Invece a me ricorda un po' noi due.»

C'era decisamente qualcosa che non riusciva a cogliere in quel ragionamento. Davvero Aziraphale li vedeva ancora così nettamente separati? Dopo tutto quel tempo?

Non avrebbe saputo come sentirsi in quel momento. Si guardò la punta delle scarpe, chiedendosi se davvero avesse commesso un errore così grave da far finire tutto ancor prima che potesse ricominciare.

    Il rumore del libro che si richiudeva, la calda mano nell'altro stretta nella sua. «Non è come pensi.»

    «Ah, no?»

    Aziraphale scosse la testa. «Non mi ricorda noi due direttamente» spiegò, «mi ricorda ciò che siamo riusciti a fare, ciò che siamo riusciti ad eliminare.»

Oh. Effettivamente aveva molto più senso vista in quel modo.

    «Le differenze, le cose che ci allontanano, ci saranno sempre» riprese l'angelo, ovviamente un po' imbarazzato ma deciso più che mai a finire il discorso. «Però possiamo sempre lavorarci su. Voglio dire: ormai potremmo scambiarci per sbaglio e non accorgercene nemmeno. La storia delle piante è niente.»

    Crowley non avrebbe potuto essere più d'accordo. Rigirò la mano di Aziraphale nella sua, in modo che le loro dita si intrecciassero. «Sì, ma davvero: non le addolcire. Non ci sono abituate: potrebbero iniziare ad arrampicarsi tra gli scaffali.»

    L'altro sbarrò gli occhi, improvvisamente preoccupato: «Davvero?»

    «Già, e buttarti giù i libri.»

    «Cielo. Potevi dirmelo subito...»

    «Sì, ma se la cosa può consolarti: dubito che i tuoi fiori possano farlo. Perciò, con loro puoi spendere tutte le paroline dolci che vuoi.»

    Aziraphale emise un poco convinto: "mh", ma parve capire, stavolta. «Beh, dato che ho un così buon ascendente sulle tue piante, potrei anche darti una mano a metterle in riga.»

    Crowley alzò un sopracciglio: «E come? Facendogli una ramanzina?»

    «Tu detesti le ramanzine. Potrebbe anche funzionare.»

Il demone decise di non replicare. Tanto, se davvero voleva farlo, Aziraphale ci avrebbe provato comunque.

Decise che sarebbe stato bene incamminarsi verso casa, lasciare l'umidità del St.James e finire il discorso al calduccio, magari davanti ai cioccolatini di Aziraphale. Cosi fece per tirare entrambi via da quel ponte, ma il suo passo venne fermato da un piccolo ma dolce e veloce bacio sulla guancia.

    «Comunque sì, ti perdono. Me lo reggeresti?»

Aziraphale si era delicatamente staccato dalla sua mano per poggiargli il dizionario al petto e prendersi la busta. E Crowley, che ancora aveva il volto in fiamme, glielo resse senza nemmeno pensarci.


Non seppe esattamente grazie a quale forza di volontà riuscì a non ricambiare il bacio lì, sul posto, davanti a tutti, sotto una pioggerellina leggera. Col tempo, comunque, ebbe tutto il tempo di imparare un nuovo concetto.

Amore (/a·mó·re/) : Dedizione appassionata ed esclusiva, istintiva ed intuitiva fra persone, volta ad assicurare reciproca felicità.

Che poi era anche lo stesso concetto che li aveva sempre aiutati ad attenuare la dicotomia, solo che adesso se ne rendevano completamente e totalmente conto.

Da quel momento in poi non avrebbero solo vissuto assieme. Si sarebbero amati liberamente e senza freni.

Per sempre.

   
 
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