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Autore: Morgana_82    15/06/2023    3 recensioni
«D'inferno uscito invano/Egli è,» iniziò a recitare Carlisle «l'inferno ha in cor, l'inferno intorno/Pertutto egli ha, nè per cangiar di loco/Al circondante orror più che a sé stesso/Può un sol passo involarsi. Il già sopito/Suo disperar di coscïenza al fero/Grido or si sveglia, e la mordace idea/Di quel ch'ei fu, di quel ch'egli è, di quello/Che in avvenir sarà…» s’interruppe.
«Paradiso perduto» sussurrò Rosalie, senza sollevare la faccia. Carlisle sorrise compiaciuto e la strinse a sé più forte per un momento «esatto… uno dei miei preferiti» .
Rosalie girò la testa leggermente e lo guardò di sottecchi, «Ma come fai ad avere sempre una citazione pronta per tutto?»
Carlisle rise «a che serve vivere seicento anni, se non ad accumulare inutili citazioni letterarie da snocciolare per tediare i propri figli?»
ATTENZIONE: in questa storia vi saranno scene di punizioni corporali.
Genere: Comico, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clan Cullen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Carlisle trovò sostegno sul bordo della scrivania e vi si accasciò con gli occhi chiusi. La sua testa affondò tra le spalle, incrociò sul petto le braccia e vi nascose sotto le mani. 
Rosalie aveva seguito Emmett e Edward fino alla porta, l'aveva chiusa alle loro spalle e si era accasciata con la schiena contro lo stipite. I capelli le erano affastellati attorno alla testa in ciocche disordinate mentre si lasciava scivolare lentamente a terra. Quando toccò il pavimento raccolse le ginocchia al petto e le circondò con le braccia, affondando la testa tra di esse. Il silenzio nello studio era un micromondo di suoni inudibili a orecchie umane, dal vento che agitava le foglie oltre le finestre, al vibrare dei tarli nel legno delle mensole e della scrivania, ai leggeri scricchiolii di assestamento delle fondamenta della casa. 
Passarono alcuni minuti prima che Rosalie sollevasse lo sguardo su Carlisle, le sembrò  piccolo e spezzato, come un manichino rotto, coperto di costosa lana italiana. Carlisle non era un uomo particolarmente alto o prestante, non certo confronto a Emmett e Jasper o persino Edward. Ma in quel momento le sembrò piccolo e fragile come un bambino, il suo volto diafano era tirato e stanco. Rosalie aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono. La chiuse. Serrò le mascelle e calò di nuovo la testa tra le braccia. Passò un altro minuto di silenzio «Sembri molto stanco»  disse poi senza una particolare intonazione.
Carlisle aprì gli occhi come se si fosse svegliato all’improvviso e un sorriso gentile ammorbidì il volto tirato «non preoccuparti per me. Tu come stai?» 
Rosalie scosse la testa e i capelli dorati luccicarono come le fronde di un salice autunnale attorno alle braccia sottili «hai una domanda di riserva?» chiese. Il sorriso di Carlisle si accentuò «Sto di merda, ecco come sto…» aggiunse Rosalie. Sollevò la testa «sono proprio una stronza, non è vero?» Carlisle si sollevò lentamente dalla scrivania, come se il suo corpo fosse molto pesante o rigido. A passi lenti raggiunse il muro di fronte a sé, girò sui tacchi e si lasciò scivolare sul pavimento, accanto a Rosalie. Appoggiò la schiena al muro e stese le gambe sul pavimento «diciamo che interpreti il ruolo molto bene» le disse con voce stanca ma vagamente divertita.
«Grazie, ci metto un discreto impegno» disse lei tra l’amaro e il divertito. Girò la testa verso Carlisle, i loro corpi erano così vicini che le spalle quasi si toccavano «anche tu non te la cavi male nei panni del patriarca autoritario»  gli disse, quasi con ammirazione «in tutto questo tempo, non ho mai saputo che fossi maledetto lupo travestito da agnello» .  
Carlisle ridacchiò sommessamente, la testa appoggiata al muro dietro di lui «sarai sorpresa nel sapere che non sei la prima persona a dirmelo». Rosalie spostò il proprio peso leggermente, appena il necessario affinché la sua spalla sfiorasse quella di lui «comunque, preferisco di gran lunga il Carlisle autorevole a quello autoritario».
Carlisle avvertì il suo spostamento di peso e sollevò il braccio destro, per accogliere il corpo di sua figlia nel proprio abbraccio «niente mi rende più felice che sentirtelo dire»  ridacchiò «anche perché non credo che potrei anche solo immaginare di rifare mai più quello che ho fatto oggi. Se vuoi saperlo, è una delle cose più strazianti che abbia mai dovuto affrontare» . 
Rosalie si lasciò cingere dal braccio di Carlisle ma nascose la faccia con la fronte premuta contro le proprie ginocchia «hai tutto il diritto di odiarmi» mormorò, la voce leggermente soffocata «io di sicuro mi odio, in questo momento.» 
Carlisle la strinse a sé più forte e le poggiò le labbra sui capelli dorati «non ti odio»  le disse dolcemente «forse prima eri sorda di rabbia, ma ho snocciolato uno stucchevole e accorato discorso a proposito dei miei sentimenti per voi, e il succo era che ti voglio bene, e farei qualunque cosa per farti felice»  
Rosalie scosse la testa ancora appoggiata sulle proprie ginocchia «Già… e guarda come ti ricambio. Guarda cosa ti ho costretto a fare. Edward voleva solo ferirmi, ma ha ragione a chiedersi per quale motivo al mondo tu mi abbia scelto quel giorno. Sarebbe stato meglio per tutti se tu mi avessi lasciato morire. O forse, in fin dei conti, io sono morta e questa mia vita immortale è solo l’inferno.»
Le labbra di Carlisle si staccarono dalle ciocche dorate, appoggiò di nuovo la testa al muro e guardò il soffitto. Sospirò pesantemente. Rosalie non era nuova a queste uscite melodrammatiche. Non aveva mai accettato veramente la sua natura di vampiro, l’aveva sempre rigettata e disprezzata. E, periodicamente, cadeva in una sorta di fase depressiva in cui alternava momenti di furia cieca con momenti di autocommiserazione e autoflagellazione. Questo era chiaramente uno di quei casi. «D'inferno uscito invano/Egli è,» iniziò a recitare Carlisle «l'inferno ha in cor, l'inferno intorno/Pertutto egli ha, nè per cangiar di loco/Al circondante orror più che a sé stesso/Può un sol passo involarsi. Il già sopito/Suo disperar di coscïenza al fero/Grido or si sveglia, e la mordace idea/Di quel ch'ei fu, di quel ch'egli è, di quello/Che in avvenir sarà…»  s’interruppe.
«Paradiso perduto»  sussurrò Rosalie, senza sollevare la faccia. 
Carlisle sorrise compiaciuto e la strinse a sé più forte per un momento «esatto… uno dei miei preferiti. Io e Milton eravamo quasi contemporanei, sai? Avrei potuto incontrarlo.»
Rosalie girò la testa leggermente e lo guardò di sottecchi, «Ma hai sempre una citazione pronta per tutto?» 
Carlisle rise «a che serve vivere seicento anni, se non ad accumulare inutili citazioni letterarie da snocciolare per tediare i propri figli?» 
«Che fortuna» sbuffò Rosalie e l’ombra di un sorriso increspò le sue labbra turgide. Appoggiò la testa su Carlisle, trovando riparo nell’alveo tra la sua spalla e il petto e facendo gravare su di lui quasi tutto il proprio peso «quindi fammi capire…» disse, come se stesse facendo il punto della situazione «sarei come Lucifero che porta dentro di sé l’inferno, ovunque vada e che, vedendo Adamo ed Eva nell’Eden, prova tanta invidia da volerli distruggere? Messa così, non suona molto lusinghiero, non credi?» 
Carlisle si strinse spalle ma sorrise, «Lucifero era il più bello degli angeli, in ogni caso, potresti trovare lusinghiero il paragone».
Rosalie annuì pensosa, «certo, ma scatenò una rivolta contro Dio e una faida che ha spaccato in due il paradiso. Un curriculum niente male. Mi stai suggerendo di prendere esempio?» Guardò Carlisle con candida malizia.
Lui le accarezzò gentilmente la spalla con la mano che la cingeva «Oggi ci siamo andati vicino direi…»
«La tua modestia nel paragonarti a Dio è rimarchevole» sbuffò ironicamente Rosalie . 
Lui ridacchiò ancora ma poi sospirò «Sai» disse e la sua voce era velata di tristezza, «io spero che un giorno tu possa perdonare te stessa per essere quello che sei. E spero che, un giorno, tu possa perdonare anche me».
«Non so se potrò mai» sussurrò Rosalie e distolse lo sguardo dal suo «ma nemmeno posso odiarti» aggiunse con una nota di calore «perché mi hai dato Emmett, l’unica cosa che davvero abbia mai avuto senso in questa inutile immortalità dannata. Senza di lui, sarei impazzita tempo fa…» sospirò e affondò nuovamente la testa tra le braccia «e guarda che cosa gli tocca subire a causa mia. Forse, prima o poi, lui si stancherà di me.» 
«Emmett sarebbe felice si farsi fare a pezzi per te, e sono sicuro che troverai il modo di farti perdonare da lui, per qualche frustata… Gli argomenti a letto non ti mancano.» 
Lei lo guardò sconcertata «Carlisle, ti prego!»
«Che c’è» replicò lui con espressione innocente «non vuoi parlare di sesso con me? Non è che io e Esme non lo facciamo… come credi che mi farò perdonare da lei, stanotte, dopo quello che vi ho fatto?»
«Ooook, direi che abbiamo tergiversato abbastanza. Preferisco le frustate al sentire parlare di te e di Esme che fate sesso.» sospirò Rosalie e con un cenno della testa indicò la frusta che giaceva inerte per terra come un comune pezzo di cuoio. 
Carlisle chiuse gli occhi e sospirò «speravo di poterlo evitare, ma non ho intenzione di tirarmi indietro, se tu lo desideri.» 
«In che sento, se io lo desidero?» chiese Rosalie incredula.
Carlisle annuì, «per quel che mi riguarda, vedere Emmett e Edward soffrire a causa della tua sconsideratezza è stata una punizione sufficiente» disse «se non altro, sono abbastanza certo che tu ti sia pentita di aver invocato la legge della Disciplina. Ma non sono certo che tu la pensi come me. Quindi, sta a te decidere se devi o meno essere punita ancora.» concluse con tono grave.
Rosalie lo guardò con espressione sgomenta «che bastardo.» 
Carlisle rise di cuore «che diplomazia.» 
Rosalie si accigliò «Con che coraggio scarichi su di me questa scelta?» gli ringhiò in faccia.
Carlisle sollevò un sopracciglio, «Non sto scaricando niente su di te» disse pacato «dato che questo teatrino non è stata una mia scelta, in primo luogo. Sarò anche colpevole di aver dato adito alla tua idea malsana, ma non mi sento troppo responsabile, per questo. In fin dei conti, è stata una punizione anche per me, e molto dura, te lo assicuro.» 
L’espressione di Rosalie si inasprì «Ti rendi conto che non mi dai una vera scelta? Come potrei guardare in faccia Emmett sapendo che lui ha affrontato tutto questo per me e io l’ho passata liscia?» 
«Emmett ne sarebbe solo sollevato, lo sai» rispose calmo Carlisle «e conoscendo Edward, avrebbe nulla da ridire in proposito. L’unica con cui dovresti fare i conti è la tua coscienza»  la ammonì placidamente
Rosalie buffò amaramente «Beh, quindi, come dicevo, non ho una vera scelta. La mia coscienza ha già troppo da fare senza che le infligga un'ulteriore umiliazione. Allora che cosa devo fare, chiederti gentilmente di frustarmi?»
Carlisle dondolò la testa e guardò in alto con le sopracciglia inarcate, facendo finta di riflettere «Sì», disse poi «Chiedere gentilmente sarebbe un buon inizio.» 
Rosalie gli lanciò uno sguardo omicida e si sollevò in piedi di scatto. Andò a raccogliere la frusta da terra e con un gesto stizzito la lanciò addosso a Carlisle «Sei un fottuto lupo vestito da agnello!» Lui sollevò le mani e prese l'oggetto al volo, prima che lo colpisse dritto in faccia «Il comune buon senso direbbe di provare a ingraziarsi il carnefice, non provocarlo» le disse con un tono divertito. 
Lei si strinse nelle spalle, «Lo dici come se io avessi mai avuto il dono del buonsenso, in questa vita o nella precedente. E, comunque, mi sembravi poco motivato.»
Carlisle crollò e scosse la testa, si strinse il ponte del naso con due dita «D’accordo» mormorò stancamente, «Se deve essere fatto, facciamolo per bene.» Rimase ancora alcuni istanti con gli occhi chiusi e quando li aprì erano severi e determinati. Con la frusta in una mano si sollevò da terra, facendo perno con la mano libera sul ginocchio. Quando fu in piedi si assestò le maniche del maglione, già semi arrotolate, riportandole a metà del bicipite. Dopo di ché portò il manico della frusta alla bocca e lo addentò. Rosalie soppresse un brivido “non mi tirerò indietro. Sono io che l’ho voluto, dopo tutto”. Sollevò il mento e con le braccia rigide lungo i fianchi accennò con la testa alla scrivania. «Devo…»  chiese esitando «...come hanno fatto Edward e Emmett?» In cuor suo sperava che le fosse risparmiata l’umiliazione della nudità, ma non ci sperava troppo. Non sapeva nemmeno se la frusta avrebbe funzionato sopra i vestiti. Forse no, dopotutto.
«No, non la scrivania» disse Carlisle, con un’espressione grave che la fece rabbrividire di nuovo, «Ho qualcos’altro in mente, per te.» Andò in un angolo dello studio e prelevò una vecchia sedia di legno senza braccioli e la posizionò al centro della stanza. Rosalie lo osservò confusa fino a quando, con uno scricchiolio di protesta del vecchio legno, Carlisle non si accomodò sulla sedia. Rosalie spalancò gli occhi e aprì la bocca, oltraggiata «Oh, no! No. No. No. No… stai scherzando.» Quasi urlò e indietreggiò fino a colpire la scrivania che gli bloccò la ritirata.
«Per citare Jules Verne: “Un inglese non scherza mai quando si tratta di una cosa importante come una sculacciata.”» recitò Carlisle, con fin troppa enfasi.
«Questa te la sei inventata…» lo accusò lei aspramente.
«Quasi» ammise lui «Ma non importa: tu vuoi che io lavi la tua coscienza, ma sono io a decidere come, quindi…» La guardò seriamente e batté con il palmo sulla propria coscia.
Lei si appoggiò alla scrivania con le mani dietro la schiena «Credo di averci ripensato…» disse con ostinazione «In fondo la mia coscienza è a posto».
«Troppo tardi» disse Carlisle in tono paternalistico «Erano cinquanta colpi, se non sbaglio, vero?» Rosalie annuì cautamente. 
Carlisle rifletté un momento, mentre arrotolava una parte della frusta attorno al palmo della mano destra, per ridurne in parte la lunghezza «dato che gli altri ne hanno avuti meno del previsto, scenderò a trenta» disse «Ma…» aggiunse guardandola severamente «ne aggiungerò cinque per ogni secondo che impiegherai a sdraiarti sulle mie ginocchia. Il tempo inizia ora.» sollevò un dito della mano sinistra, a indicare  il tempo che passava.
«Non è giusto» protestò Rosalie «non puoi trattarmi così solo perché sono una donna. È un dannato cliché di genere.» 
Carlisle scosse la testa «Tirare in ballo questioni di genere non ti aiuterà a cavartela e sono passati già due secondi» sollevò un secondo dito. «Anzi… Tre.»
Rosalie sbatté il piede per terra e strinse i pugni così forte che le nocche scricchiolarono. Un ringhio di frustrazione eruppe dalla sua gola.
«Quattro» continuò Carlisle imperterrito e sollevò un sopracciglio con aria interrogativa. Rosalie sospirò, esasperata. Non c’era molto da fare… non esisteva una creatura più ostinata di suo padre e non c’era modo di smuoverlo quando si metteva in testa qualcosa. A testa alta, le braccia rigide lungo i fianchi, raggiunse la sedia di Carlisle con una velocità che reputò sufficientemente dignitosa, ma comunque prima che lui alzasse il quinto dito della mano. 
«Brava la mia ragazza» le disse Carlisle con espressione più gentile «adesso, dato che ti sei lamentata di essere trattata con disparità, puoi denudare il tuo fondoschiena, prima di sdraiarti». Rosalie si morse il labbro inferiore, ma obiettare non aveva senso. Non a questo punto. «Sei un gran bastardo» disse solo, con un ringhio. Carlisle non reagì se non con alzando un sopracciglio e aprì le braccia per fargli posto sul proprio grembo. Rosalie si slacciò i jeans attillati, che aderivano alle sua gambe come guanti e li abbassò fino alle ginocchia. Non provava esattamente vergogna, non per la nudità in sé. Se una cosa poteva dire di apprezzare della propria condizione immortale era il proprio corpo. Era orgogliosa di farne mostra, con o senza vestiti, poiché con esso era capace di suscitare sempre forti reazioni, sia negli uomini che nelle donne. Più spesso, nelle donne suscitava ammirazione e invidia, piuttosto che desiderio carnale. La maggior parte degli uomini, invece era sessualmente attratto da lei. Il suo corpo e la brama che questo accendeva nel prossimo le conferiva un grande potere sugli altri e lei se ne beava. In quella situazione, però, davanti a Carlisle, sapeva di non avere alcun potere.  Lui non vedeva il suo corpo con gli occhi di un uomo, ma con quelli di un padre e non provava per lei alcun desiderio. Questo la metteva in una posizione di estrema vulnerabilità. Ed era ovviamente una cosa assurdamente umiliante, doversi sottomettere a lui in quel modo. In un certo senso, però, c’era qualcosa di confortante in questo lasciare andare il controllo. Essere libera per qualche momento. Cedere il comando, completamente. A qualcuno che, ne era certa, avrebbe avuto cura di lei. Carlisle, in fondo, non faceva altro da decenni. Prendersi cura di lei e di tutti loro. Le era grata per questo. Non che avesse intenzione di dirglielo, ovviamente. Ma forse Carlisle lo sapeva già. A volte anche lui, come Edward, sembrava in grado di leggerle il pensiero o forse il cuore. 
Decise che aveva tergiversato abbastanza. «Facciamola finita in fretta» disse. 
«Sono d’accordo» convenne Carlisle e la prese delicatamente per un braccio, tirandosela lentamente in grembo. Lei lo lasciò fare, grata che l’avesse liberata dall’incombenza di sdraiarsi volontariamente. Carlisle aveva allargato le gambe a sufficienza perché i fianchi di lei poggiassero sulla sua coscia destra, mentre il petto era appoggiato sulla coscia sinistra. Rosalie trovò la posizione non troppo scomoda. Sembrava, assurdamente, che Carlisle sapesse quello che faceva. 
«Terrò il conto per te, stavolta. D’accordo?» disse Carlisle. Le posò la mano sinistra sulla schiena. Rosalie annuì senza dire nulla e i capelli biondi le scivolarono davanti al viso e lo nascosero dietro una tenda color miele. 
Il primo colpo la fece sobbalzare più per la sorpresa che per il dolore, che arrivò solo qualche frazione di secondo dopo. Da umana, una volta, era stata punta da una medusa in mare. Il dolore che provò le ricordava molto quello provato allora, intenso e pungente ma in qualche modo più duro e profondo. Contrasse le spalle e ancorò le mani ai pantaloni di lana di Carlisle. 
Dopo il primo, Carlisle assestò una prima ventina di colpi in rapidissima successione, coprendo tutta la parte dalla parte alta delle natiche fino alla parte alta delle cosce. Anche se aveva accorciato la lunghezza della frusta, in modo che fosse più facile da controllare, non aveva modo di imprimere troppa forza, data la posizione. Ma non aveva bisogno, infatti Rosalie aveva già cominciato ad agitarsi e a emettere piccoli mugolii strozzati. 
Dopo la prima scarica, ritornò alla parte superiore dei glutei e ricominciò a colpire con precisione millimetrica, sovrapponendo perfettamente i nuovi colpi ai precedenti.
Rosalie sussultò a ogni frustata e iniziò a contorcersi più vigorosamente, tanto da rischiare di scivolare giù dalle gambe di Carlisle. Lui le cinse la vita con la mano libera e la tenne ferma.
«A che numero siamo? Brucia da morire! Spero per te che non mi restino segni» Lui non poté fare a meno di sorridere. 
«Mh, forse la prossima volta ci penserai bene, prima di reclamare vendetta contro qualcuno dei tuoi fratelli. Come vedi, ti si ritorce sempre contro»
«Soprattutto se hai un padre machiavellico che ci mette lo zampino» Rosalie si rese conto troppo tardi di aver chiamato Carlisle “padre”, quando ormai le parole le erano sfuggite dalla bocca. Lui lo annotò con un sorriso triste e rimase con il braccio sollevato a mezz’aria. Era arrivato a venticinque, ma non pensava di essere in grado di arrivare a cinquanta. Non con la frusta, almeno. Ormai la sua determinazione a portare a termine il compito era quasi del tutto crollata. Ma doveva arrivare fino in fondo, in un modo o nell’altro.
La frusta scivolò per terra, per l’ennesima volta, e lui calò con forza il palmo disarmato, che schioccò sonoramente sulle natiche lattee di sua figlia. Lei sgranò gli occhi e strillò indignata. Istintivamente la sua mano scattò per proteggersi dai colpi. «Oh, no! ti prego» implorò. Ma Carlisle le piegò il braccio dietro la schiena e continuò a sculacciarla sonoramente con la mano. Sovrapponendosi ai colpi di frusta imbevuti di veleno che aveva già ricevuto, anche quelle blande sculacciate erano piuttosto dolorose ed erano certamente più umilianti.
«Oh, ti prego. Ti chiedo perdono, ok? Non farò mai più una cosa del genere. Mai più. Te lo prometto!»
«Ne sono sicuro», convenne Carlisle, continuando a colpirla con lenta metodicità. Rosalie sobbalzava ritmicamente sulle sue gambe, «perché non desidero mai più, essere messo nella condizione di dover andare contro i miei principi. E tu ti comporterai bene, d’ora in poi, vero?»
«Sì, sì. D’accordo» Piagnucolò Rosalie.
«E tratterai la ragazza umana di Edward con. Tutto. Il. Dovuto. Rispetto. Intesi?» le ultime cinque parole erano state accompagnate da altrettante sonore sculacciate.
«Intesi!» Strillò quasi Rosalie. A quel punto Carlisle si fermò. Passarono alcuni secondi di immobile silenzio e aspettativa, prima che Rosalie si azzardasse a parlare, con voce incerta. «È... è finita?» chiese.
Carlisle le rilasciò il braccio. «Sì» disse laconico «puoi alzarti».
Rosalie scivolò via dalle ginocchia di Carlisle, si sollevò velocemente e si tirò su i jeans con una leggera smorfia. Poi, senza nemmeno guardarlo in faccia, gli si gettò in braccio, affondando la faccia nella sua spalla. «Ti prego, perdonami. Ti prego, perdonami. Ti prego…» cominciò a ripetere Rosalie tremando come una foglia, la voce ovattata dalla lana del maglione di Carlisle in cui aveva premuto la faccia. Carlisle rimase spiazzato per un istante, ma poi strinse le braccia attorno a sua figlia e la cullò dolcemente come se fosse una bambina. «Va tutto bene, tesoro. Va tutto bene. Non sono arrabbiato». 
Le accarezzò i capelli, fino a quando il suo tremore si spense lentamente. «Meglio?» le chiese quando finalmente la sentì rilassarsi tra le sue braccia. Lei annuì piano.
«Tu come stai, invece?» gli chiese lei, con una nota d’ansia nella voce «e non dirmi di nuovo di nn preoccuparmi o andrò a chiedere direttamente a Jasper.»
«Sopravvivrò» rispose lui con dolcezza «ma vorrei davvero che ci lasciassimo alle spalle tutta questa storia, per non pensarci più, che ne dici?» Lei annuì ma non fece alcun movimento che lasciasse intendere che voleva abbandonare l’abbraccio di Carlisle. 
Carlisle ridacchiò e la strinse ancora più forte. «Sono sicuro che Emmett è in ansia per te e sta aspettando che tu vada da lui per, consolarvi a vicenda.» Lei annuì di nuovo e finalmente si alzò lentamente in piedi. Si schiarì la gola e si ravviò i capelli. Guardò in silenzio Carlisle che era rimasto seduto sulla sedia i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani congiunte, come in preghiera. Avrebbe voluto dire un milione di cose, ma nessuna aveva veramente senso, in quel momento. Quindi si diresse alla porta e l'aprì. Prima di oltrepassare la soglia e lasciare la stanza, però, si fermò un istante per mormorare «anche io ti voglio bene».
 
  
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