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Autore: oscar 82    18/06/2023    2 recensioni
"...Quello che resta, nel mezzo di quel turbine, è la consapevolezza - chiara, pungente - di non essere all’altezza di quella ineffabile devozione.
Ma giura - per lui, solo per lui - che farà di tutto per esserlo".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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Di solito non amo che Merlin usi il "voi" per rivolgersi ad Arthur, rende troppo distacco in un rapporto in cui l'intimità tra i due, il grado di vicinanza è talmente ampio da far risultare quel pronome forzato. Qui tuttavia lo uso per un motivo... Spero lo possiate cogliere e spero la storia vi piaccia!





Arthur lascia cadere il mantello, appesantito dall’acqua piovana, su uno sgabello. 
 
La stanza è già tiepida e luminosa, ravvivata dalle fiamme scoppiettanti del camino. Si avvicina, scacciando un brivido, gettando in terra i guanti per catturare il più possibile di quel calore rigenerante.
 
È stata una lunga campagna. 
 
Giorni e giorni di assedio, sotto la pioggia insistente, logorante. 
 
Il freddo è passato dalla pelle per entrare nelle ossa e penetrare fino al cuore, mescolandosi con il clangore delle spade, con il sibilo delle frecce, con il desiderio spasmotico di tornare a casa.
 
La sente vibrare alle sue spalle.
 
È come una brezza leggera, un formicolìo.
 
Sorride, con la coda dell’occhio intravede un luccicare d’oro, che si accende  dello stesso sorriso.
 

“Avete abbastanza caldo?”

 
La voce di Merlin è avvolgente, pari al tepore delle fiamme. Solo poco prima – pochi attimi prima, ancora in battaglia – modulava, severa, terribili e arcane parole alle quali Arthur non si è ancora abituato.
 
Accenna di sì con il capo. 
 

“Vi aiuto con l’armatura”,

e tende le mani rapidamente, abile, sapiente. Tira e slega, il primo pezzo, il secondo, spallacci, polsiere e usbergo che cadono dolcemente ai suoi piedi.
 
Penserà poi a sistemarli e pulirli.
 
Le dita snelle muovono i lacci della tunica bagnata, ma Arthur le blocca con le sue, il tocco che gli fa alzare lo sguardo, zaffiro profondo a cercare il profondo cobalto.
 

“Non cambiarla. Asciugala”.


Studia la sua reazione, soltanto un attimo.
 
Le lunghe ciglia corvine sbattono, più e più volte.
 

“Allora?”

 
Uno sfarfallìo di luce dorata nelle iridi. Un guizzo appena, un lampo. Un brevissimo canto.
 

“Air falbh an t-uisge”.

 
L’umidità sparisce dagli abiti, dai capelli, dalla pelle come se non li avesse mai martoriati così a lungo.
 
Eppure, Arthur rabbrividisce ancora.
 
Nella solitudine delle sue camere, lontano dalla frenesia delle battaglia, la voce solenne e la luce della magia lo incantano, lo irretiscono e lo fanno sentire come se fosse alla loro mercé.
 
È una stretta, dolorosa eppur piacevole, alla bocca dello stomaco e al centro del petto.
 
È tale da dimenticare che la sua mano sta ancora coprendo quella di lui. 
Merlin non sembra interessato a divincolarsi. 
 
Simula indifferenza, come se nemmeno avvertisse più il contatto. 
 
Sorregge ancora il suo blu, un dialogo silenzioso ormai divenuto abitudine tra loro, una scala di parole non dette che cade dai loro occhi. 
 
Domande che non si chiedono, risposte che non arrivano, eppure le loro anime le conoscono, conoscono ogni cosa alla perfezione.
 
È Arthur che rompe il silenzio.
 

Ripetilo. Ancora una volta”,


chiede, o ordina, o forse entrambi.
 

“La mia magia è vostra. È la vostra arma, la più potente”,


risponde, e lei con lui si libra in un soffio tenue, appena palpabile. 
 

“Ripetimi perché lo fai”,


un altro comando -  solo il bisogno di sentirselo dire, ancora e ancora, finché si sarà arreso.
 

“Perché sono nato per servirvi”,


e stavolta la mano si muove sotto quella di Arthur, la sfiora.
 
Perché sono vostro, perché siete il mio destino, perché una meta non odierà mai ciò che la rende intera, e ogni perché è un tocco gelido che rende liquefatte le riserve del Re.
 
Non è ancora abbastanza.
 

“Non puoi darmi tutto il tuo potere”,


soffia appena, quasi stordito. 
 

“Posso, invece. Voglio”.

 

“Dimmi davvero perché. Perché vuoi essere libero? Perché sono un Re? Perché…”,


ma non può continuare.
 
Le dita di Merlin stringono. 
 
Prendono le sue, le intrecciano, vi si legano come fa l’edera con il tronco, con forza e tenacia ma così delicate, ed é così ogni volta che lo tocca - come se avesse paura di fargli del male.
 

“Perché siete Arthur”,


dice soltanto, e l’oro riemerge.
 
Abbaglia per intensità e vigore tanto che vorrebbe abbassare il viso ma non può farlo, è come avere accanto un magnete che lo attira, inesorabile, poli che si attraggono senza scampo.
 
Perché vi amo.
 
È solo un frammento di istante. 
 
Il blu ritorna, le dita si sciolgono e si liberano, gli occhi si abbassano.
 
Merlin fa un passo indietro, la postura sempre fiera, ma sottomessa. 
 
Il suo potere è di Arthur, solo per Arthur, sempre per Arthur.
Non c’è nulla, assolutamente nulla, che gli farà cambiare idea.
 

“Vi aspettano. Andate, ora”.

 
Arthur si allontana, sente per qualche passo la brezza che lo culla e lo accompagna, poi, più nulla.
 
Prima di entrare nelle stanze del Consiglio si ferma, l’ultimo, feroce tentativo di calmare il subbuglio impazzito di cuore e pensieri.
 
Vi nuota dentro, alla ricerca di una paura atavica che non trova più, eco sbiadita delle voci di suo padre. 
 
Quello che resta, nel mezzo di quel turbine, è la consapevolezza -  chiara, pungente -  di non essere all’altezza di quella ineffabile devozione.
 
Ma giura -  per lui, solo per lui - che farà di tutto per esserlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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