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Autore: musa07    26/06/2023    1 recensioni
[KageHina][Post Time!Skip]
"Tobio aveva un problema. Il romanticismo.
E riteneva che per una proposta di matrimonio un po' di romanticismo fosse indubbiamente necessario. Peccato che lui, nonostante avesse ormai passato anche la soglia dei trentacinque anni, fosse completamente mancante di ciò (e ormai anche abbastanza irrecuperabile).
Ecco perché, per andare a colpo sicuro, non aveva potuto far altro che rivolgersi ad un suo vecchio senpai.
E, no: non si trattava di Oikawa stavolta. Perché, conoscendolo, Tooru gli avrebbe di sicuro proposto cose ridondanti e, plausibilmente, al limite del grottesco.
Si era rivolto a Suga, ovviamente. E, per osmosi, anche a Daichi[...]
Lui e Shoyo non avevano mai parlato di sposarsi, neppure quando avevano finalmente piantato definitivamente le tende in Giappone.
Non ne avevano mai sentita la necessità, ritenevano che non fosse un documento a sigillare il loro amore, il loro amarsi, il loro essere una coppia.
Loro due no, neppure i loro famigliari o i loro amici più cari. Ma lo Stato sì[...]"
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Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io dovrei finir di scriver le tracce per l’inizio degli orali di domani
ma intanto son qui a scrivere KageHina, bene ma non benissimo ahahah
(peccato non poter usare manga e anime come spunto per una traccia… o forse sì…)



Prompt: 
“Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore”
 
 

 
 
 
 
 
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Tobio aveva un problema. Il romanticismo.
 
E riteneva che per una proposta di matrimonio un po' di romanticismo fosse indubbiamente necessario. Peccato che lui, nonostante avesse ormai passato anche la soglia dei trentacinque anni, fosse completamente mancante di ciò (e ormai anche abbastanza irrecuperabile).
 
Ecco perché, per andare a colpo sicuro, non aveva potuto far altro che rivolgersi ad un suo vecchio senpai.
E, no: non si trattava di Oikawa stavolta. Perché, conoscendolo, Tooru gli avrebbe di sicuro proposto cose ridondanti e, plausibilmente, al limite del grottesco.
Si era rivolto a Suga, ovviamente. E, per osmosi, anche a Daichi.
 
 
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- Direi che dovresti trovare qualcosa di semplice. Non pensare a cose tipo fuochi di artificio o cartelli con proposte di matrimonio che svolazzano dalla coda di un elicottero. Anche se, conoscendo Hinata, sarebbe qualcosa in grado di fare lui. – gli aveva detto Koushi ridendo, mentre Tobio si trovava seduto nel salotto di casa dei suoi due vecchi senpai con Sushi, la loro calicò, che lo aveva eletto come suo schiavetto, nonché cuscino, personale.
- Qualcosa di semplice… - aveva mormorato Tobio, corrucciando le labbra e prendendo mentalmente appunti. Si vedeva proprio che lo stava facendo e Suga e Daichi si erano scambiati un’occhiata divertita mentre quest’ultimo era arrivato dalla cucina con un vassoio con tre tazze e la teiera.
- Di semplice ma anche che sia in qualche modo inaspettato. Un luogo particolare. – aveva rimarcato il concetto Koushi, mentre spostava dal tavolo i mille compiti dei suoi piccoli studenti per lasciar spazio alle tazze.
- La fai facile, Suga. – lo aveva ammonito dolcemente Daichi mentre aveva iniziato a versare il the e Tobio aveva ispirato il profumo del tè Sencha.
- Ma lo è. – Koushi si era stretto nelle spalle, prendendo la sua tazza con entrambe le mani.
- Perché te l’ho chiesto io di sposarti e tu non ti sei dovuto preoccupare di nulla. – lo aveva ammonito ridendo l’ex capitano, posandogli un bacio tra i capelli dopo averlo attirato a sé passandogli un braccio intorno alle spalle.
- Un posto speciale, Kageyama. –
- Ok… posto speciale, qualcosa di semplice ma di inaspettato. - aveva ripetuto lui, elencando le cose anche sulle dita.
 
E il posto speciale lo avrebbe trovato. La cosa semplice più o meno. La cosa inaspettata gli sarebbe capitata suo malgrado.
 
 
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Lui e Shoyo non avevano mai parlato di sposarsi, neppure quando avevano finalmente piantato definitivamente le tende in Giappone.
Non ne avevano mai sentita la necessità, ritenevano che non fosse un documento a sigillare il loro amore, il loro amarsi, il loro essere una coppia.
Loro due no, neppure i loro famigliari o i loro amici più cari. Ma lo Stato sì.
 
Quando qualche settimana prima Shoyo aveva avuto la bella idea di mangiare dei funghi che inavvertitamente erano rimasti fuori dal frigorifero - perché per il suo compleanno avevano comprato un quantitativo industriale di cibo - uscendosene con una frase del tipo “Hai idea di quante volte in Brasile ho mangiato roba scaduta?” e Tobio l’aveva dovuto portare di corsa al Pronto Soccorso, a quest’ultimo non era stato permesso di avere notizie di Shoyo mentre si trovava nel triage, con i medici che si stavano occupando di lui. Perché Tobio non era “un famigliare”.
“C4zzo!” avrebbe voluto urlare frustrato “Stiamo insieme da quasi vent’anni, non basta?!”
Capiva perfettamente l’illogicità burocratica alla quale il personale sanitario era costretto a sottostare per evitare eventuali denunce o altro, ma Tobio si trovò a pensare che fosse qualcosa di totalmente ingiusto.
Mentre attendeva in quella stanzetta angusta e poco illuminata con l’unica compagnia del ronzio di sottofondo delle macchinette delle bevande davanti a sé, Tobio si era chiesto che cosa sarebbe successo se fosse accaduto qualcosa di ben più grave. Se Shoyo fosse stato coinvolto in un incidente o ad un intervento chirurgico e a lui fosse stato impedito di aver notizie o di poter prendere qualsiasi tipo di decisione anche conoscendo quelle che erano le idee del proprio compagno.
 
Ecco perché, in quelle settimane, aveva maturato l’idea che sarebbe stata una cosa indubbiamente sicura, dal punto di vista prettamente formale, essere a tutti gli effetti una coppia anche per lo Stato.
E ok: lo avrebbero fatto solo per una pura formalità – se anche Shoyo fosse stato d’accordo ovvio – ma questo non voleva dire che sarebbe stato carino chiederglielo mentre si stavano lavando i denti alla sera prima di andare a dormire. Tobio riteneva che sarebbe stato carino chiederglielo in modo delizioso, stupendolo. Ed ecco perché si era rivolto a Suga.
 
E, come si diceva, aveva trovato il posto ideale. Durante un bel sentiero in montagna. Ritiratisi tutti e due dalla pallavolo e sentendo la necessità di iniziare a fare qualcosa di nuovo, avevano scoperto quasi per caso questo grande amore per i sentieri e i rifugi.
Ed era proprio lì che si stavano trovando, in uno di quei sentieri che Tobio aveva studiato, come sempre, con la sua solita attenzione e cura certosine. Perché in quei casi non si fidava assolutamente dell’essere fatalista di Shoyo. Perché quando lo aveva fatto, quando gli aveva lasciato scegliere un sentiero, ad un certo punto a metà del cammino, direzione rifugio dove avrebbero passato la notte, ecco che era apparsa l’indicazione “sentiero per escursionisti esperti”.
- Ohy Boke, qui c’è scritto “escursionisti esperti”. – gli aveva fatto notare lui mentre Shoyo aveva già preso la cacciata.
- Hum…? – questi era ritornato sui suoi passi, osservando il cartello a sua volta – Ma siamo allenati, Kags. –
- Ma non è questo il problema! –
- Ma dai Kags. – Hinata non si era minimamente scomposto, come al solito, prendendolo per mano – I ragazzi della malga hanno detto che lo fanno anche i bambini. –
- Ma non è assolutamente un deterrente questo! Lo sai che i bambini si lanciano anche su Montagne Russe spaventose, dove io morirei di sicuro nel giro di zerodue. – aveva sbottato lui.
- Procederemo con cautela e con calma. –
- Ah beh, guarda: con te sono proprio in una botte di ferro allora… - e Shoyo era inevitabilmente scoppiato a ridere.
 
 
A maggior ragione, quindi, questa volta Tobio si era studiato meticolosamente il sentiero, perché aveva voluto vedere quale fosse il punto in qualche modo più panoramico per tirare fuori la scatolina, che si trovava al sicuro dentro ad una delle tasche dei suoi pantaloni, e fargli la fatidica domanda.
 
E quel punto era infine arrivato…
 
Con un grosso inspiro, Tobio si fermò.
- Sho…? –
Shoyo si girò, allertato perché il tono di Tobio era indubbiamente diverso dal solito, sentiva che c’era qualcosa di diverso. E l’espressione di Tobio gli confermò questa cosa.
Lo conosceva da così tanti anni, da più della metà della sua vita e ormai sapeva cogliere ogni singola sfumatura che gli attraversava gli occhi blu.
A vecchie abitudini, come il corrucciare le labbra quando era imbarazzato, negli anni se n’erano aggiunte inevitabilmente delle altre. A volte le aveva imparate a conoscere attraverso uno schermo durante le videochiamante, a volte dal vivo.
 
Tobio, tastò la tasca dei pantaloni tecnici, sentendo il rassicurante rigonfiamento dato dalla scatolina di velluto rosso, e iniziò ad aprire la cerniera, introducendovi poi le dita per recuperarla, mentre Shoyo attendeva, sempre più perplesso di fronte a quel silenzio.
- Kags…? –
 
Ok, per timore che gli cadesse dalla tasca, non si sa per qualche misterioso motivo, Tobio aveva affondato la scatola bene nel fondo, quindi fu con non poco sforzo che riuscì ad agguantarla, per non parlare del fatto che stava facendo fatica ad estrarla.
- Kags ti scappa la cacca? –
- Idiota, quello sei tu! – ma rise, perché davvero dall’emozione un po' se la stava facendo sotto.
Eccola! Finalment… OH. NO…
 
No dai, cazzo! Ma non era possibile! La precisione cecchina delle sue dita da alzatore era sempre stata la sua arma. Ed ora, tale arma, lo aveva abbandonato mestamente così?!
- Kags, ti è caduto qualcosa dalla tasca? –
Sì, zio trenino deragliato. Sì! La scatola con le nostre fedine in oro bianco satinato…
L’aveva sentita con orrore sfuggirgli dalle dita ed ora non aveva neanche il coraggio di guardare dove avesse impattato.
Sugawara gli aveva detto, oltre a semplice e posto speciale, qualcosa di “inaspettato”. Ecco, poteva dire la triade completata.
Nel momento in cui lui si era pietrificato dall’incredulità e dall’orror3, ecco che Shoyo si sporse leggermente con il capo per controllare.
- È su un ramo. Se torniamo indietro e scendiamo di poco, riusciamo a recuperarla. – lo rassicurò Hinata, vedendolo letteralmente pietrificato.
- Hum… - si sporse anche lui – Come facciamo ad arrivare al ramo? –
- Io salgo sulle tue spalle. – Shoyo si strinse nelle spalle, come se avesse detto un’ovvietà.
 
Ecco perché ora Tobio si stava per piegare sulle ginocchia, per far salire Shoyo sulle sue spalle. Però era dubbioso. Se Shoyo fosse arrivato a prendere la scatola, sarebbe stato inevitabile per questi capire che cosa ci fosse dentro e addio effetto sorpresa, ma – d’altra parte – non poteva di certo essere lui a salire sulle spalle di Shoyo. Doveva in qualche modo chiedergli di sposarlo prima che Hinata arrivasse alla scatolina.
Era ancora avvolto in questi pensieri, quando la voce di Shoyo lo riportò alla realtà.
- Siamo sempre stati un’ottima squadra tu ed io, non trovi? Sempre in grado di trovare soluzioni insieme di fronte alle problematiche più disparate. – e si vedeva chiaramente che Shoyo non stava facendo riferimento solo al mondo della pallavolo.
- E-eh? – Tobio portò la totale attenzione verso il volto del proprio compagno, che gli stava sorridendo dolcemente mentre gli prendeva entrambe le mani e le faceva intrecciare con le sue.
- Certo, a volte, e fin dal nostro primo incontro, ci sono state delle incomprensioni. – e qui rise, con quella sua solita risata cristallina – Quando ti ho visto in palestra, il primo giorno di Liceo, ho pensato fosse un incubo. Io dovevo batterti, farti abbassar la cresta, non diventare un tuo compagno di squadra. E all’inizio non hai fatto altro che confermare la mia tesi che fossi uno stronzo patentato. –
- Ohy… - ma Tobio stava ridendo, per nulla offeso. Shoyo aveva ragione d’altra parte, non lo poteva negare.
- Ma poi sei diventato il mio alleato. Il miglior alleato che potessi mai desiderare. La persona sulla quale appoggiarmi e affidarmi. Anche quando eravamo a chilometri di distanza. Credimi Tobio che tante volte anche il solo fatto di sapere di poterti parlare, sentirti, stare con te, era qualcosa che mi tranquillizzava quando mi sentivo in panico o nella disperazione più totale. – proseguì a parlare, mentre Tobio gli stava accarezzando il dorso delle mani con piccoli movimenti dei pollici.
- E stavo pensando ad una cosa… - qui Shoyo si fermò un attimo e Tobio lo invitò con lo sguardo a proseguir a parlare – Sposiamoci. –
- E-eh…? -
 
Perché se Tobio aveva un problema con il romanticismo, Shoyo – per altri versi – non era da meno. Gli piaceva, ma cannava sempre di brutto le tempistiche.
 
 
Ok, Shoyo si era paventato mentalmente tutta una serie di reazioni che Tobio avrebbe potuto manifestare di fronte a quella sua proposta, ma di certo non c’era il fatto che sarebbe scoppiato a ridere.
- Scusa amore, scusa. – Tobio si ricompose, stringendogli ancora di più le mani
- È che tu ed io abbiamo delle tempistiche pazzesche. Recuperiamo ciò che mi è caduto, così capirai. –
Tobio però, prima di abbassarsi sulle ginocchia e farlo salire sulle sue spalle, lo attirò a sé dopo aver sciolto la presa delle loro mani.
- Sì. - gli sussurrò sulle labbra - Voglio sposarti. Voglio diventare tuo marito, Sho. –
E quale brivido attraversò la schiena di Shoyo. Fu come ricevere una frustat4 in pieno petto, che si infranse nel basso ventre a quel tono, a quella voce, a quell’espressione.
- Sali dai. –
E Shoyo fece come richiesto, perplesso da quella frase sibillina di Tobio recuperiamo ciò che mi è caduto, così capirai.
 
E Shoyo capì eccome quando si trovò quella scatolina rossa di velluto tra le dita.
- Kags! – praticamente urlò dall’emozione, portando lo sguardo verso il basso, verso il volto del proprio compagno. Volto rivolto verso di lui, come tante volte lo era stato. Come tante volte Shoyo lo aveva trovato quando aveva volto lo sguardo verso di lui, molte più di quelle che mai avrebbe pensato.
- Vuoi sposarmi, Sho? –
- Sì! Mille volte sì! -
 
 
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La foto che i loro più cari amici ricevettero, li ritraeva con Shoyo ancora sulle spalle di Tobio e la scatola aperta che metteva in mostra le due fedine.
E anche se lo scatto era leggermente sfuocato, vista la particolarità della posizione in cui Shoyo – che aveva scattato – si trovava, era possibile cogliere ugualmente tutta la loro emozione. La loro felicità.
Perché una foto è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.
 
   
 
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