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Autore: _Tallulah_    07/07/2023    0 recensioni
A breve inizierà il secondo al Karasuno. Una corona cadrà, una nuova monarchia sta per fare un colpo di stato nel regno che è la Palestra N2.
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«Per me sei la pallavolo al di fuori della pallavolo.»
Sgranò gli occhi a quelle parole, quella ammissione, con il cuore che pompava e il battito come un tamburo a riempirle le orecchie.
«Ti rendi conto di quello che hai detto?» chiese quasi senza fiato non osando girarsi «Tu..t-tu ami la pallavolo...»
«Già...»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karasuno Volleyball Club
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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15 Aprile 2013 lunedì, Karasuno High School - Prefettura di Miyagi.
*per le parti in cui si parlerà/penserà italiano il discorso sarà sottolineato*  

 

Quello appena trascorso si era rilevato un fine settimana inconcludente. Tirando le somme probabilmente aveva anche perso del tempo prezioso che avrebbe potuto utilizzare per migliaia di attività più importanti, che rivolgere la sua attenzione a quello che diceva quella stupida. 

Sabato Tobio aveva proceduto in modo metodico con la scaletta, che si era fatto mentalmente, dopo aver lasciato Yachi. La camminata verso casa, all’inizio tranquilla, si era convertita presto in un passo più veloce e affrettato. Quel passo allungato alla fine era tramutato in una corsa sostenuta, con il borsone a gravare come peso sulla spalla e sul finire della schiena dove sbatteva al ritmo cadenzato dalla corsa. Correva per fare chiarezza tra i pensieri che si affollavano incontrollati nella mente. Un passo dietro l’altro, una falcata precisa e regolare, non quelle corse a perdifiato che erano le sfide con Hinata. Era il modo in cui Tobio scaricava la tensione, il modo in cui suo nonno gli aveva insegnato come scaricare la tensione e ritrovare la concentrazione. 

Arrivato a casa si era tolto le scarpe, salutando la madre, per salire velocemente in camera dove il borsone venne sistemato accanto alla scrivania dove aperto restava abbandonato il libro di algebra con il portatile vicino. Aveva cenato, come sempre, con i suoi, in sottofondo il telegiornale locale di Miyagi News raccontava le ultime novità più o meno importanti. Rispondendo a qualche occasionale domanda sul procedere della vita scolastica, intanto consumava la cena con appetito. Quella corsa finale gli aveva fatto venire solo più fame e più volte la madre aveva dovuto pregarlo di non ingozzarsi con tale foga. 

Finita la cena era salito, quasi facendo gli scalini a due a due, chiudendosi la porta della camera alle spalle per non essere disturbato oltre. Il ragazzo fissò la scrivania ed il portatile chiuso, valutando se procedere immediatamente nel cercare questo “Jiji Liva”.
‘Scoprirò tutti i tuoi segreti, deve esserci un modo per batterti, sarai tu a inchinarti, anzi no, ad inginocchiarti ai miei piedi!’
Avvicinandosi al mobile decise, intanto, di accendere la fonte che sperava potesse fornirgli le informazioni desiderate, prendendo la biancheria e i cambi sudati dal borsone decise di ascoltare il proprio corpo. La fretta era una cattiva consigliera, doveva essere rilassato per carpire ogni piccola informazione necessaria. Un bagno caldo avrebbe dato sollievo ai muscoli, confidando che il tepore finisse l’opera di rilassamento iniziata dalla corsa. 

Seduto finalmente alla scrivania, rinfrescato dal bagno, con ancora l’asciugamano usato per frizionare i capelli poggiato sulle spalle, si ritrovò colto da un dubbio. 

‘In che lingua dovrei cercare? Quella seccatura parla per la metà del tempo in lingue diverse dal giapponese. O per lo meno è quello che ci ha detto quel tipo di quella scuola di dilettanti…come si chiamava? Ah, non importa. Se scrivessi in giapponese potrei non avere risultati.’ 

Alla fine, si decise a scrivere in inglese, passando qualche minuto online a cercare un servizio che gli mettesse a disposizione una tastiera straniera virtuale. Recuperò il suo dizionario giapponese-inglese, in modo da avere a disposizione i Romanji, ricordava l’alfabeto, ma non voleva rischiare. Convinto dei suoi preparativi si buttò finalmente nella ricerca rimanendo deluso già primo risultato trovato. Quel primo tentativo si era rivelato scoraggiante. Google invaso di notizie e immagini di un gatto nero, prodotto animato dello studio di animazione Ghibli. 

«Dannazione non è possibile, deve essere un errore. Forse ho sbagliato a scrivere...» 

Era rimasto seduto alla scrivania con il volto illuminato per riflesso dalla luce emanata dal computer, senza cavare un ragno dal buco, cercando di capire come quello potesse essere l’unico risultato possibile. Cercò risultati oltre la prima pagina, la seconda ed anche la terza, fino ad arrivare alla decima. 

 

Domenica si era svegliato nervoso, per le poche ore di sonno, rimasto sveglio a rigirarsi sotto le coperte non si era dato pace. Si era alzato dal letto con grande forza di volontà solo per non perdere i ritmi della sua routine. Tornato dalla corsa mattutina il tutto si era ripetuto in modo quasi identico al giorno prima. Quasi, perché, durante la corsa aveva avuto la geniale idea di affiancare il ruolo. “Jiji Liva Setter”...il secondo risultato deludente quanto il primo. Il motore di ricerca si prendeva beffe dei suoi sforzi mostrando una varietà di Setter, sì. Setter di razza canina. Saturo di frustrazione, in aumento, Tobio decise di stendersi e palleggiare, forse quell’esercizio poteva fargli svuotare la mente. Con la molten che gli ricadeva tra le mani decise di procedere in maniera più meticoloso. Tobio tornò seduto alla scrivania determinato. 

Prima di cercare nuovamente quel nome si era premurato di trovare lista completa delle nazioni che battevano bandiera Europea, aggiungendo anche la Svizzera non riuscendo a capire come non fosse in elenco vista la posizione, affiancando “Jiji Liva” alle varie nazionalità. Dei risultati fallimentari smise di tenere il conto. Si buttò con la schiena aderente alla sedia, la testa a penzoloni e le mani a massaggiarsi le tempie. 
‘Ok, ragioniamo... pensò Tobio provando a schiarirsi le idee. ‘Forse la lingua utilizzata non è l’inglese. 
Tobio cercò di ricordare i paesi dove la ragazza aveva detto di aver abitato.
‘C’era l’Inghilterra, quella nazione divisa in due per qualche strano motivo e poi…oddio come si chiamava? Itaglia? Itaria?’
Buttò un occhio alla lista, la memoria del cartone della pizza che il padre aveva buttato qualche giorno prima tornò prepotentemente. Si ricordò all’improvviso come si scrivesse in inglese, ma questa fu l’unica informazione che riuscì ad ottenere. Lui non sapeva di certo quella strana lingua, perché avrebbe dovuto. Navigando all’interno di Wikipedia per la pagina degli sport praticati in Italia aveva buttato un occhio sulla sezione dedicata della pallavolo. L’allenatore gli faceva spesso vedere video delle nazioni straniere, quasi mai però aveva visto un video di questa nazione in particolare. Cercò una lista dei giocatori più famosi, niente di simile a Jiji Liva. Non seppe il perché ma si ricordò anche di quell’altro stupido sport che aveva visto praticare dalla ragazza. Cliccò sul calcio, ma oltre a un’infinita lista di successi e calciatori non trovò altro. Li lesse in ordine sparso scorrendoli quasi annoiato e stancandosi dopo pochi nomi, risultandogli tutti sconosciuti. 
‘Maldini Palo, Totti Francesco, Baggio Roberto, Del Piero Alessandro, Riva Luigi…oh questo un po' ci assomigliava. Ah, sto perdendo tempo. Ci rinuncio.’
Un fine settimana inconcludente giunto al termine. 

 

 

Sulla strada per il Karasuno quella mattina faceva fresco, visto l’orario, e c’erano pochissimi studenti lungo la strada. Troppo presto per chi non avesse degli impegni nei propri club e lui era in anticipo rispetto al solito. Kageyama camminava ignorando gli altri, sovrappensiero aveva accolto l’arrivo del lunedì con rassegnazione, con le mani infilate nelle tasche della divisa sportiva, la destra giocherellava infilando l’indice nell’anellino che collegava la piastrina di plastica alla chiave della palestra, non erano più al primo anno. Ennoshita aveva dovuto cedere a quella concessione, non senza fare a lui e Hinata un lunghissimo discorso sulla responsabilità, sfociato poi in minaccia di sospensione dagli allenamenti, per tempo da definire, se il duo avesse abusato di quel privilegio più del dovuto. Era stato chiaro, chiarissimo, potevano allenarsi ma senza esagerare, la palestra andava chiusa a prescindere ad un orario decente e consono. Il duo della veloce aveva annuito immediatamente con un groppo in gola, elettrizzati dalla prospettiva di poter mettere finalmente le mani su quel prezioso oggetto metallico e la libertà, controllata, che forniva loro. Voleva quella mezz’ora di pace, quasi solitaria, in palestra quella mattina, si sarebbe sfogato con Hinata come al solito, e poi avrebbe visto come sarebbe andato l’andamento di questo primo, ufficiale, allenamento. 

Il primo di troppi. Il primo di un anno che si prospettava fastidioso. Il primo necessario. 
 

Kageyama guardò distrattamente come al solito il parcheggio dove gli studenti lasciavano le loro biciclette. Quella azzurra del centrale, già sistemata tra le poche presenti, fece spostare gli occhi dell’alzatore per vedere, in lontananza, una chioma rossa che camminava tranquilla verso le palestre. Iniziò a correre per superarlo ed arrivato primo alla porta degli spogliatoi. Lo superò lasciandoselo indietro, sentendo prima delle lamentele e poi i passi concitati di Hinata che cercava di riguadagnare terreno. 

L’umore era anche peggiorato se possibile. Hinata negli spogliatoi aveva continuato, curioso, a punzecchiarlo cercando di scoprire cosa fosse successo con Yachi, «Ti ho detto che non sono affari tuoi.» fu la risposta, bofonchiata attraverso la maglietta, dell’alzatore mentre finivano di cambiarsi. 

 

«Ehi Kageyama...ma hai dimenticato di chiudere a chiave la palestra sabato?» 

Entrambi non avevano fatto caso alla porta aperta della palestra mentre correvano per raggiungere gli spogliatoi. Scendendo le scale Hinata se ne era accorto per primo mentre l’alzatore chiudeva la porta dove si erano cambiati «Cosa stai dicendo boke? L’ho chiusa come sempre.» 

Era ovvio che fosse chiusa. 

Hinata fissava ancora la porta aperta, la mano poggiata sul corrimano. «Intanto è aperta,» commentò spostando lo sguardo dalla porta incriminata al compagno di squadra. 

Kageyama non riusciva a capire come fosse possibile, poteva vedere anche lui la porta aperta mentre affiancava il centrale, rimasto alla base delle scale, così come era certo di averla chiusa. Non riusciva proprio a far combaciare quella porta aperta con il dubbio di poter non aver chiuso distrattamente. Fissò la chiave che teneva nella mancina ripercorrendo con la memoria quello che aveva fatto sabato a fine allenamento. 

Era più che certo di aver inserito la chiave nella serratura. 

Stava discutendo con Hinata domandando come tornasse Yachi a casa, dando quel giro per chiudere la serratura mentre il rosso, dopo aver cambiato anche lui le scarpe, gli rispondeva posando le calzature da allenamento nella scarpiera. 

«Ho chiuso.» disse Kageyama, più a sé stesso che al compagno che camminava in quella direzione. La voce non tradiva quella nota dubbiosa che gli suggerivano gli occhi. Era sicuro di aver chiuso. Sicuro. 

«La smetti di dirlo,» fece Hinata con un tono di voce che suonava di rimprovero. «Chiaramente è aperta. Ennoshita ha fatto chiudere a noi, con l’unica chiave...» una pausa. «Non avrai perso...?» domandò il centrale abbassando il volume e tirando verso il di sé Kageyama per non farsi sentire, anche se non vi era nessuno nelle vicinanze. 

L’alzatore scosse la testa fissando l’interno della palestra, rivelato dalla porzione di porta aperta dal punto in cui si erano fermati, stava per dare un pugno in testa al ragazzo, per aver solo pensato a quella possibilità, quando si videro passare Ikeda da una parte all’altra della palestra. I capelli fittamente legati e intrecciati partivano dalla fronte, tirati fino alla nuca, a entrambi la treccia che ricadeva sulle spalle, senza potersi muovere troppo, sembrava più corta. La maglietta bianca anonima seguiva i movimenti del busto senza svolazzare tenuta ferma dall’elastico dei pantaloncini, neri bordati di rosso lungo l’orlo, in cui era stata infilata. Le gambe coperte fino sotto il ginocchio da un ulteriore pantalone di colore nero, più aderente e fasciante del pantaloncino sopra di esso. Le caviglie avvolte da un incrocio rosso di seta a chiudere le scarpette da ballerina dello stesso colore. Non un rosso accesso, di quelli accecanti, tendente all’arancione come i capelli di Hinata rimasto anche lui in silenzio. Un rosso più spento, più saturo e caldo, quel rosso che accompagnava l’alzatore durante alcune corse serali che faceva di tanto in tanto, quando il sole scompariva dietro i monti di Miyagi e il cielo si incendiava. Dovevano aver visto tempi migliori quelle scarpette, le punte consumate rivelavano i punti in cui la sera era ormai più sottile, rivelando il biancore ingrigito sottostante del materiale che le componevano. 

«Ma che cazzo...» fu il commento sottovoce di Kageyama. 

La ragazza non doveva essersi accorta del loro arrivo, doveva essere lì già un po' a giudicare dal rossore sulle guance. Continuava nei suoi movimenti fluidi, dando loro le spalle, restando per alcuni attimi, in equilibrio sulle punte per poi sgambettare in modo alternato. Momenti in cui trattenevano il respiro, come se anche quel soffio a distanza potesse modificarne l’equilibrio. Kageyama strinse le palpebre, corrugando la fronte, seguendone i movimenti, le braccia come un’onda accompagnavano il flusso creato dalle gambe. I polsi che si flettevano. Le mani, eleganti, quando si alzavano al di sopra della testa, per un secondo...una frazione di secondo, si posizionava perfettamente come se dovesse alzare, prima di posizionarne il dorso rivolto verso l’alto. 

Ikeda si girò per le piroette. Prese a spostarsi in semicerchio alternandosi sulle punte, andando verso destra, accompagnando lo slancio preso. Solo allora, con il Valzer dei Fiori risuonare in sottofondo nelle cuffiette, si rese conto dei due spettatori fermi all’ingresso della palestra. Smise di farsi condurre e trascinare dal movimento, fissando un punto ben preciso tra l’alzatore e il centrale, guadagnò tempo continuando a girare. Uno, due, tre giri la punta del piede destro poggiata davanti al ginocchio sinistro, la gamba destra, ben piegata a formare un triangolo e le braccia in cerchio con le mani giunte. Il piede lasciò il ginocchio per ridarsi slancio continuando la rotazione, così come le aveva insegnato Helmi, per poi tornare in posizione sul ginocchio. 

Schifoso equilibrio perfetto. pensò Kageyama osservando concentrato la gamba utilizzata come perno. Dritta. Perfetta. Gli occhi risalirono dalla caviglia scorrendo sulla curva del polpaccio. Come si fosse distesa l’altra gamba verso di loro girando, il movimento sinuoso con cui l’aveva riportata indietro accompagnando il giro, mentre con il piede sinistro si abbassava brevemente per poi rimettersi in punta, e quel piccolo cerchio che creava con la caviglia della gamba sospesa il ginocchio a fare da perno. Un cerchio piccolo in un cerchio più grande. Uno, due, tre, quattro giri ad ogni giro scorgeva brevemente i volti dei suoi spettatori, ognuno lasciava trasparire emozioni diametralmente opposte. 

Ikeda decise di rallentare e fermarsi. Tallone sinistro ben piantato sul parquet, la gamba destra distesa alle sue spalle, disteso era anche il braccio destro verso quel pubblico esiguo e inaspettato. 

Hinata scoppiò in un applauso emozionato, facendo sorridere la ragazza mentre si liberava dalle cuffiette. 

«Buongiorno, troppo buono. Troppo buono, Hinata.» commentò Ikeda ancora sorridendo, spostando il peso sulla gamba destra sfiorando il pavimento con la punta sinistra, quasi a nascondere il piede, flettendosi sulle ginocchia e accompagnando il tutto con un cenno morbido del capo. Un inchino perfetto per un pubblico perfetto. 

«Dove ca-» Hinata tirò una gomitata al compagno, intuendo in che termini volesse esprimersi, dovevano già affrontare Ennoshita per la porta aperta era inutile mettere altra benzina sul fuoco, «-volo pensi di essere?» 

Ikeda rimase in silenzio, la testa piegata, esaminando l’alzatore «Karasuno..» fece una pausa avvicinandosi con le mani sui fianchi «Palestra numero due.» aggiunse poggiandosi allo stipite. L’aria vibrante di rivendicazioni a cui non serviva aggiungere altre parole.  

Kageyama la osservò levarsi qualcosa dai capelli. Un cerchietto su cui non si era soffermato prima. Intento a studiare altro, quel particolare non era risaltato e non era comunque di suo interesse. Non era spesso né vistoso, nonostante il colore dorato non risultava pacchiano, non che ne capisse qualcosa di accessori femminili, e il motivo a foglioline sembrava abbastanza delicato. 

«Non sono riuscita a trovare una corona d’alloro...» tono amabile e sorrisino sornione Ikeda riposizionò il cerchietto sul proprio capo in modo che poggiasse sulle orecchie e la parte aperta fosse rivolta verso la fronte. «Immagino che “questa” come corona e simbolo di gloria vada bene lo stesso,» i lineamenti del viso divertiti sottolineati dalla mano in un gesto che ricordava l’apertura di un ventaglio mentre si indicava il capo e quel cerchietto utilizzato come corona di fortuna. «Che ne dici Kageyama? Vogliamo continuare con altre ovvietà? Mi vuoi forse parlare del tempo?» si sporse in avanti alzando gli occhi al cielo azzurro. «Bella giornata...altro? Non esistono più le mezze stagioni? Si stava meglio quando si stava peggio?» 

L’alzatore tirò le labbra in una linea sottile, quella mezz’ora di pace in cui sperava di rifugiarsi svanita, sfumata, osservando con espressione malevole e palpebre socchiuse Ikeda dargli le spalle con sufficienza per rientrare in palestra. 

Hinata non colse quel momento di tensione, altro stava dominando le sue preoccupazioni, tormentandosi le mani prese coraggio. «Hai trovato la palestra aperta?» domandò sotto lo sguardo irritato del compagno. 

«Ti ho detto che ho chiuso!» 

Ikeda si voltò rimanendo in silenzio, soppesando come rispondere. «Si l’abbiamo trovata aperta...» 

«Abbiamo?» chiese confuso il centrale ignorando l’ennesima occhiataccia scoccata da Kageyama nella sua direzione. 

Ikeda alzò un dito per indicare un punto in lontananza. I quattro ragazzi del primo anno erano tutti a muro distanziati in fila, reggevano ciascuno una palla per poi lasciarla cadere bloccandola nella discesa tra il muro e le braccia in posizione di ricezione. Nella palestra risuonava solo quel suono. «Penso possiate fermarvi pulcini,» disse la manager rivolta ai primini. «Bevete un po' e poi vedete cosa vogliono fare loro due.» aggiunse indicando i due ragazzi, dirigendosi per prendere le palle e riporle nella cesta che non avevano portato fuori dal ripostiglio. 

«Cosa gli diciamo a Ennoshita?» Hinata si grattò la guancia pensieroso e leggermente spaventato. Da parte sua Kageyama era ancora certo di aver chiuso e non mancò di ribadirlo. Hinata rincarò la dose a bassa voce «Quello ci ammazza, assisteremo ai prossimi dieci allenamenti in ginocchio e con le mani in verticale.» 

«Noi l’abbiamo trovata aperta.» confermò Tokita, pentendosi immediatamente di aver aperto bocca ricevendo l’occhiataccia dell’alzatore con cui doveva allenarsi in servizio. Sarebbe stato un allenamento pesante, se ne rendeva conto dal modo in cui il senpai sbuffasse. 

«Fa silenzio numero tre...» fece Ikeda in tono che non ammetteva repliche, tanto bastò a sopprimere anche le risatine degli altri ragazzi a cui non era sfuggito lo sguardo truce dell’alzatore. «Se la porta è rimasta aperta è un problema?» 

«IO L’HO CHIUSA!» urlò esasperato Kageyama. 

«Si. Un bel problema,» rispose Hinata ignorando l’altro, seduto intento a cambiarsi le scarpe per levarsi quanto prima alla vista dei ragazzi che man mano passavano. «Accettalo Bakageyama, te la sei dimenticata aperta.» sospirò con la certezza che sarebbe andato di mezzo al rimprovero del capitano anche lui. 

Kageyama aprì la bocca per ribattere ma fu preceduto. 

«Come abbiamo trovato la palestra?» Ikeda con le misaka tra le braccia riportò l’attenzione al quartetto. Erano dei ragazzi svegli, l’avevano già dimostrato, non serviva spiegare cosa in realtà volesse dire con quella domanda. 

«Chiusa.» rispose Yaotome sorridendo. 

«Noi ci eravamo accordati per vederci prima,» Shimada annuì continuando a guardare i due senpai. 

«Così che Ikeda potesse correggerci gli appunti di inglese,» aggiunse Shoji. Non era, comunque, una bugia. Lungo il muro, sopra una sedia, vi erano posati i loro quaderni dove Ikeda li aveva lasciati, la penna poggiata sopra. Accanto, in maniera meno ordinata rispetto a quando avevano iniziato, si trovavano gli asciugamani, le ginocchiere, le borracce ormai mezze piene e uno zainetto con il logo Asics pieno su cui era abbandonato un cellulare dallo schermo ancora illuminato. 

«Giusto,» confermò Tokita. «Eravamo sugli scalini e poi siete arrivati voi ad aprire.» 

Ikeda sorrise dirigendosi nello sgabuzzino sparendo al suo interno. 

«Ringrazia baka.» 

«Non devo ringraziare nessuno,» sbottò nuovamente Kageyama guardandolo storto. «Era chiusa. CHIUSA.» 

«Come ti pare,» fece il centrale allontanandosi, più curioso di un particolare filtrato nella conversazione in maniera quasi casuale. «Pulcini?» chiese alzando un sopracciglio, doveva ammettere che il nomignolo aveva senso. I quattro annuirono.  

«E vi siete anche fatti numerari. Idioti.» aggiunse Kageyama stringendo i lacci delle proprie scarpe. 

Il piccolo libero mise le mani sui fianchi aspettando che qualcuno gli passasse da bere. «Ci chiamerà per cognome quando e cito “farete qualcosa sul campo che segni la vostra crescita”.» 

«Tanto sarò io il primo,» fece Tokita passando l’acqua al compagno. «Sono uno schiacciatore e sto più di voi in campo.» ghignò con una certa soddisfazione. 

«Guarda che gioco nello stesso ruolo.» lo stuzzicò risentito Shimada. 

«Che disdetta però che tu non sia nemmeno tra le riserve.» ribeccò il primo. 

«Volete vedere invece che continuerete ad essere pulcini numerati fino al prossimo anno?» 

In silenzio Ikeda era tornata indietro, mentre rovistava nella sacca per estrarre un lungo elastico. Un verde acqua che una volta agli occhi di Kageyama ricordò in maniera limpida a chi accomunasse quel fastidio ambulante. Non che ci fosse tutta questa somiglianza somatica tra i due, i capelli di poco più scuri rispetto quelli di Oikawa, la luce morbida del mattino giocava ed illuminava il cerchietto, le sopracciglia non erano fine come quelle dell’alzatore, ammirato e odiava. Il naso forse risultava abbastanza simile nelle dimensioni. La ragazza si voltò nella sua direzione, continuando al contempo a parlare con i ragazzi di primo anno, sicuramente il colore degli occhi risultava differente. Ancora la vedeva l’ostilità in quegli occhi marroni, in quelli di Ikeda ci vedeva solo un verde tentare di sopraffare inutilmente il marrone. 

«Se avete finito con le stupidate.» li interruppe infastidito. Il gruppetto si fece silenzioso, Ikeda arricciò le labbra in un’espressione che non scappò al ragazzo. «Se devi continuare in quel modo vedi di levarti di mezzo. Ci serve spazio.» 

Ikeda fu solo che divertita dal tono perentorio. Immaginava che per Kageyama quella fosse una frase senza possibilità di replica. L’ordine di un Re che ci crede ancora. 

Prese la sedia liberandola dai quaderni. «Suppongo di si,» disse da sopra la spalla, rivolgendo i taglienti occhi nella sua direzione. «Visto il tuo ego, serve spazio. Per fortuna che hai lasciato la porta aperta altrimenti saremmo tutti rimasti schiacciati.» Calcò particolarmente il tono sulle parole “porta aperta” quella era una chiara minaccia. 

Iniziò a canticchiare, facendo salire un formicolio irritato lungo la schiena di Kageyama, trascinandosi la sedia per la palestra. 

«All eyes on the way I vibe...                                                                               
...then I walk into the room...                                                 
...The wind blows underneath the soles... 
                                  ...of my brand new pair of shoes...» 

Il gruppetto si fece scappare una risatina, ignorata dall’alzatore, mentre Ikeda gli passava a fianco dei primini fece scorrere lo sguardo su di loro sorpassandoli. 

«...I got the attention...                                                          
...I’m on a mission...                                      
...no sweat in the way I step... 
                        ...I got a fresh new attitude...»  

Fece due passi canticchiando ancora il motivetto prima di voltarsi e fissare negli occhi Kageyama. 

«...Call me a Queen...                                    
You can buy me a crown...» 

Si indicò il capo girandosi e guardandolo da sopra la spalla posizionò la sedia sotto il palco ne fece uso per salire. 

«...I’m levelled up...                                   
...And this is my world now» 

Terminò salendo agilmente, godendo del vantaggio che le dava l’altezza su quella testa corvina. Kageyama la guardava a testa alta, in bilico e indeciso, le labbra tirate in una linea sottile. Si costrinse a non reagire, con sorpresa di Hinata che di sottecchi cercava di capire quando sarebbe esploso. Di solito era lui che infastidiva gli altri e la squadra lasciava correre le sue esternazioni, ascoltandolo ma senza dargli peso di alcun tipo. 

«In ogni caso...» riprese Ikeda chinandosi per annodare le estremità dell’elastico alle caviglie con cura. 

Quel silenzio calcolato, quell’attimo, e quell’operazione svolta con estrema lentezza spinsero Kageyama a reagire prima che la frase fosse completata. Qualcosa gli diceva di muoversi, di camminare fino a sotto il palco e levare quella dannata sedia, almeno quello poteva farlo. 

‘Magari perdi l’equilibrio, cadi di faccia e quel tuo maledetto ghigno sornione sparisce.’ 

Ikeda si alzò dalla posizione in ginocchio, le mani giunte, il capo leggermente piegato, ancora divertita. «In ogni caso come sovrano in carica è giusto che la mia testa superi la tua,» disse muovendo la mano sopra il suo capo sottolineando così la, momentanea, differenza posta dal rialzo sul palco. Vedendosi portarsi via la sedia con rabbia continuò ridendo «Non solo è giusto, è l’etichetta della monarchia che lo richiede.» 

Kageyama si morse il labbro per non rispondere, non poteva concedersi altri passi falsi. Avrebbe tanto voluto dirle che si sarebbe riempito la bocca con la stessa risata, che gli riempiva le orecchie, quando tentando di scendere si sarebbe fatta sicuramente male. 

In silenzio con il labbro inferiore gonfio iniziò invece a correre per riscaldarsi, grato che bastò solo uno sguardo ai ragazzi per cancellare quei volti divertiti. 

Ikeda però non aveva terminato con lui. 

«Hai fatto quanto dovevi?» chiese appoggiando una mano al muro per sostenersi mentre si rimetteva sulle punte. 

Kageyama si bloccò, voltandosi si aspettava di incontrare il suo sguardo, Ikeda, invece era rimasta girata dall’altro lato. La gamba destra alzata, l’elastico che si fletteva in tensione, senza vederli per la distanza e il pantalone nero, l’alzatore riusciva a immaginare quali muscoli si stessero gonfiando per lo sforzo. Non ricevendo nessuna risposta la ragazza si decise a ruotare leggermente la testa. Non c’era astio nel tono usato per formulare la domanda, così come non ne trovava nemmeno negli occhi che lo scrutarono. Solo il bisogno di una conferma. «Hai fatto quanto dovevi?» insistette e Kageyama annuì in risposta. 

«A voce...» 

«Si.» confermò nuovamente iniziando a correre scocciato. 

Un bravo baka...è un bravo baka alla fine.pensò Ikeda lanciando un’ultima occhiata al ragazzo prima di rimettersi in posizione e tornare al suo esercizio. «Si...e poi?» 

Kageyama si fermò non capendo. «Sì, e basta. Non c’era altro.» 

«Non dovresti terminare le frasi con, non so, Sua Altezza quando ti rivolgi a me?» disse all’alzatore ma osservando la propria gamba scendere e salire. 

Kageyama riprese a correre, avrebbe voluto tirarla giù a forza, portarla fino alla porta e chiuderla fuori. 

«Sua Maestà Imperiale...? O Sua Eccellenza?» 

La voce accompagnava lo scandire delle lunghe falcate con cui il ragazzo riprese a correre a testa basta. Sicuro che se avesse visto quella arroganza dipinta sul viso di Ikeda sarebbe esploso. 

«Sua Eccellenza non suona male dai.» 

Strinse i pugni concentrandosi, deciso a non cadere in altre discussioni. Aveva fatto quasi un giro completo, non calcolando però che con quel senso di marcia inevitabilmente si sarebbe trovato di fronte per un breve, e troppo lungo, momento con Ikeda a guardarlo dall’alto in basso. Sarebbe stato lo stesso anche a marcia contraria ma poteva evitarsi il faccia a faccia. 

La superò allungando il passo. Kageyama non poteva giurarci, vista la distanza, ma era sembrato di vedere qualcosa. Qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. 

«Sua Grazia...?» 

La voce di Ikeda arrivò divertita, inseguendolo. 

Descrivere quanto gli desse fastidio era impossibile. Impossibile.



Spazio Delirio:
Mea culpa per questo aggiornamento così lento. Vorrei lamentarmi ma non ho tempo nemmeno per quello.
Scappo e vi lascio anche la canzone che canticchia Ikeda, ve ne consiglio l'ascolto. Una volta sentita per me era già loro.
Sempre un grande grazie a ReaderManga0 concorde sul fatto che il nostro, povero, alzatore capisse fischi per fiaschi (o fischi per dischi), da qui l'idea geniale che finisse in una disperata ricerca di questo Gigi Riva Jiji Liva. Noi abbiamo sul serio cercato Jiji Liva e sul serio come risultato ci dava il gatto di Kiki's Delivery Service della Ghibli, poi la cosa è degenerata con i setter cani...Tobio ci odierebbe. Forse glielo diremo alla fine chi è in realtà Gigi Riva...forse.
Un saluto a chi legge in silenzio.

   
 
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